Oggi, 24 marzo 2025, la Chiesa ricorda il 45° anniversario del martirio di Sant'Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador in America Centrale, assassinato mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980. Fu ucciso “in odium fidei” (in odio alla fede) per decisione e volere della giunta militare che governava il Paese. Romero è stato beatificato da Papa Francesco il 23 maggio 2015 e canonizzato il 14 ottobre 2018 insieme a Papa Paolo VI.
Il martire dei poveri è nato a Ciudad Barrios (El Salvador) nel 1917. Entrato nel seminario a El Salvador, ha studiato in Italia ed è stato ordinato sacerdote nel 1942. Ritornato a El Salvador è parroco in una parrocchia tra i contadini, prima di essere trasferito alla Cattedrale di San Miguel.
Nel 1970 è nominato vescovo ausiliare di San Salvador e, nel 1974, Paolo VI lo nomina vescovo della diocesi di Santiago de María, in un contesto politico di forte repressione, soprattutto nei confronti delle organizzazioni contadine.
Oscar Romero, il monsignore assassinato per aver provato a fermare la violenza il El Salvador
Nel 1977, Mons. Oscar Romero è nominato arcivescovo di San Salvador; Poco dopo, il sacerdote gesuita Rutílio Grande è stato assassinato e questo è stato il momento della sua conversione. Mons. Romero continuò a denunciare la repressione, la violenza di Stato e lo sfruttamento imposto al popolo dall'alleanza tra i settori politico-militare ed economico, sostenuta dagli Stati Uniti, nonché la violenza della guerriglia rivoluzionaria.
Nell'omelia del Sabato Santo (1979), l'arcivescovo Romero ha affermato: “Grazie a Dio, abbiamo pagine di martirio non solo nella storia del passato, ma anche nell'ora presente. Ci sono sacerdoti, religiosi, catechisti, umili uomini di campagna che sono stati assassinati e massacrati, che hanno avuto il volto spaccato e schiacciato, che sono stati perseguitati per essere fedeli all'unico Dio e Signore”. E ha aggiunto: “Ho ricevuto spesso minacce di morte. Devo dirvi che, come cristiano, non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccidono, risorgerò con il mio popolo salvadoregno. Lo dico senza orgoglio, con la massima umiltà... Come pastore, sono obbligato a dare la mia vita per coloro che amo, che sono tutti i salvadoregni, così come per coloro che mi uccideranno. Se mettono in atto le loro minacce, d'ora in poi offrirò a Dio il mio sangue per la redenzione e la resurrezione del Salvador”.
Nel video del marzo 2024, Papa Francesco ha ricordato: “Ci saranno sempre martiri tra noi. È un segno che siamo sulla strada giusta. Una persona informata mi ha detto che ci sono più martiri oggi che all'inizio del cristianesimo. Il coraggio dei martiri, la testimonianza dei martiri, è una benedizione per tutti”. Per questo Papa Francesco, ha chiesto a tutti di pregare per i nuovi martiri di questo tempo, affinché “possano contagiare la Chiesa con il loro coraggio e il loro impulso missionario”.
I martiri hanno lavato le vesti del loro impegno nel sangue dell'Agnello. Conosciuti o anonimi, sono tutti e tutte lievito del Regno. Sono vite donate per la vita, vite per il Regno... come la vita del grande Martire Gesù.
In occasione della beatificazione di Mons. Oscar Romero, Papa Francesco ha scritto: “Ha costruito la pace con la forza dell'amore, ha testimoniato la fede con la sua vita donata fino alla fine. In tempi difficili, Mons. Oscar Romero ha saputo guidare, difendere e proteggere il suo gregge, rimanendo fedele al Vangelo e in comunione con tutta la Chiesa. Il suo ministero si è distinto per la particolare attenzione ai poveri e agli emarginati”.
Il ricordo di Oscar Romero nella Via Crucis dei Martiri durante il Sinodo per l'Amazzonia nel 2019. Foto: Jaime C. Patias
Con il tempo di Quaresima ci prepariamo a celebrare il Triduo Pasquale: la morte e Risurrezione di Cristo. Infatti, in ogni Eucaristia facciamo memoria della vita: la vittoria della vita sulla morte e la sconfitta degli assassini della vita. Al comunicare il Corpo e il Sangue di Cristo, non riceviamo semplicemente un'ostia consacrata, ma partecipiamo alla vittoria di Cristo sulla morte e rinnoviamo il nostro impegno a favore della vita.
I martiri, che, come Cristo, sono stati inchiodati a una croce, sono il lievito del Regno, che porta frutto per la vita eterna. Nella Chiesa, finché ci sarà il martirio, cioè la fedeltà a Cristo, ci saranno credibilità, profezia e speranza. Nell’Anno giubilare 2025 siamo chiamati ad essere “pellegrini di speranza”.
Nella Bolla di indizione del Giubileo, Papa Francesco ci ricorda: “La testimonianza più convincente di tale speranza ci viene offerta dai martiri, che, saldi nella fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla vita stessa di quaggiù pur di non tradire il loro Signore. Essi sono presenti in tutte le epoche e sono numerosi, forse più che mai, ai nostri giorni, quali confessori della vita che non conosce fine. Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza” (n. 20).
“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
Ó Deus, Pai de amor e misericórdia
nós vos louvamos pela vida de Santo Óscar Romero
Pastor ao serviço dos pobres
Profeta defensor dos direitos humanos
Testemunha valente no derramamento do seu sangue.
Por sua intercessão, dai-nos a mesma coragem
na nossa missão de proclamar sem medo
o vosso Reino de justiça e de paz. Amém
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio Generale per la Comunicazione.
Una veglia il 10 gennaio nella basilica di San Bartolomeo all’Isola, a Roma, per la religiosa americana uccisa per la sua battaglia per i diritti delle popolazioni indigene e contro la deforestazione nel Brasile.
La teologa Laurie Johnston: “in lei la missione cristiana andava oltre la spiritualità personale, includendo l’impegno per i dimenticati, per le vittime del degrado ambientale e delle disuguaglianze sociali”
Suora, missionaria, martire, ma soprattutto una donna impegnata contro la deforestazione e per i diritti delle popolazioni autoctone brasiliane, suor Dorothy Stang “è stata un esempio di come mettere in pratica l’Enciclica di Papa Francesco Laudato sì, ecco perché era una persona scomoda e perché, vent’anni fa, è stata uccisa a colpi di pistola da una serie di criminali”, spiega la professoressa Laurie Jonhston, docente di teologia presso l’Emmanuel College di Boston, che il 10 gennaio, ha partecipato alla veglia, presieduta da monsignor Fabio Fabene, segretario del Dicastero delle Cause dei Santi, in memoria di suor Dorothy nel Santuario dei Nuovi Martiri di San Bartolomeo all’Isola e organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio.
Durante l’evento sono state consegnate due preziose memorie di suor Dorothy Stang, religiosa della congregazione di Nostra Signora di Namur, nata a Dayton, Ohio, nel 1931 e uccisa nel 2005 ad Anapu, nel Pará brasiliano: un pugno di terra proveniente dal luogo dell’assassinio e una maglia indossata dalla suora americana, la cui figura è stata ricordata nel recente Sinodo per l'Amazzonia. Terra e maglia, elementi simbolo di dedizione e sacrificio, di chi si sporca le mani restando attaccato alla quotidianità, necessari per una persona che, per diffondere il suo messaggio, è partita dalle basi: ha insegnato agli indigeni il rispetto e l’importanza della foresta, che non va aggredita e calpestata bensì va protetta e amata perché patrimonio di tutti, specie di chi la abita. Suor Dorothy ha tenuto corsi e incontri per formare le donne contadine, ha fatto studiare i diritti sociali, le politiche pubbliche per la salute, la maternità e la sessualità. Senza mai dimenticare l’importanza della Bibbia, volta a scoprire e ad approfondire il protagonismo delle donne negli strumenti necessari a compiere la liberazione di un popolo.
La tomba di Suor Dorothy Stang ad Anapu nello Stato di Pará in Brasile
Generare consapevolezza, aprire spazi, lottare per la giustizia. “Forse proprio per la sua dedizione a certi impegni suor Dorothy era diventata una persona scomoda, da rimuovere”, commenta Johnston. L’omicidio avviene il 12 febbraio 2005. Come suo solito, suor Dorothy si stava recando a fare visita ad alcune famiglie di contadini nella foresta. Aveva già ricevuto minacce di morte, fino ad allora, però, aveva sempre risposto “non scapperò, né abbandonerò la lotta di questi agricoltori, che vivono senza protezione, in mezzo alla foresta”. Con un sorriso, suor Dorothy, aggiungeva che “nessuno uccide una vecchia signora di più di 70 anni”. Eppure, quella mattina, la banda di giovani armati rifiutò persino i soldi offerti in cambio della vita. Lo scontro con la popolazione locale era arrivato a livelli insopportabili e le capacità di suor Dorothy avevano generato risultati tanto stravolgenti quanto fastidiosi. Così, sei colpi di pistola sparati dai nemici della natura, della popolazione locale, del creato, uccisero suor Dorothy.
Ricordarla oggi, vent’anni dopo, è quindi ancora più importante perché, indica la professoressa, “specie nell’anno del Giubileo, occorre riaffermare la centralità della missione cristiana nella società contemporanea”. Il messaggio di suor Dorothy, dunque, “è perfettamente in linea col pontificato di Papa Francesco che, nel luglio 2023, ha istituito la Commissione dei nuovi Martiri, testimoni della fede e nel 2015 aveva dedicato la seconda enciclica del suo pontificato al creato”. La figura di suor Dorothy ricorda come “la missione cristiana si estende oltre l'impegno personale. Include l’impegno per i dimenticati, per le vittime del degrado ambientale e delle disuguaglianze sociali”.
Dall’Ohio, dove suor Dorothy era nata, alla basilica di San Bartolomeo all’Isola, luogo di memoria per i martiri moderni, conclude Johnston, “le testimonianze di violenze terribili e le debolezze umane s’intrecciano con storie di speranza, mostrando che è possibile creare comunità capaci di vivere in armonia con l’ambiente e con gli insegnamenti di Dio”.
* Guglielmo Gallone - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Otto sacerdoti e cinque laici. Il maggior numero in Africa e America.
«Possiamo domandare: come avete fatto a sopportare tanta tribolazione? Ci diranno questo che abbiamo sentito in questo brano della seconda Lettera ai Corinzi: “Dio è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. È stato Lui a consolarci!”».
Abbiamo scelto le parole che Papa Francesco ha pronunciato nella Cattedrale di Tirana durante il suo Viaggio Apostolico in Albania del 2014 per introdurre il consueto report annuale dell’Agenzia Fides sui missionari e gli operatori pastorali uccisi nel mondo nel 2024.
Come accade oramai da tempo, l’elenco annuale proposto da Fides non include solo i missionari e le missionarie ad gentes in senso stretto, ma considera le definizioni di “missionario” e “missionaria” in un orizzonte più ampio e punta a registrare tutti i cattolici coinvolti in qualche modo nelle opere pastorali e nelle attività ecclesiali che morti in modo violento, anche se non espressamente “in odio alla fede”.
Per questo si preferisce non usare il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimoni”, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro attraverso i processi di canonizzazione.
Nel 2024, stando ai dati verificati dall’Agenzia Fides, nel mondo sono stati uccisi 13 “missionari” cattolici, di cui 8 sacerdoti e 5 laici. Anche quest’anno in Africa e in America si registra il numero più alto di operatori pastorali uccisi: cinque in entrambi i continenti. Negli ultimi anni sono l’Africa e l’America ad alternarsi al primo posto di questa tragica classifica.
Nel dettaglio, in Africa sono stati uccisi in tutto 6 uomini (2 in Burkina Faso, 1 in Camerun, 1 nella Repubblica Democratica del Congo e 2 in Sud Africa), 5 in America (1 in Colombia, 1 in Ecuador, 1 in Messico e 1 in Brasile) e due in Europa (1 in Polonia e 1 in Spagna).
Come evidenziano le informazioni, certe e verificate, sulle loro biografie e sulle circostanze della morte, i missionari e gli operatori pastorali uccisi non erano sotto i riflettori per opere o impegni eclatanti, ma operavano dando testimonianza della loro fede nella ordinarietà della vita quotidiana, non solo in contesti segnati dalla violenza e dai conflitti.
Le notizie sulla vita e sulle circostanze in cui è avvenuta la morte violenta di queste persone ci offrono immagini di vita quotidiana, in contesti spesso contrassegnati dalla violenza, dalla miseria, dalla mancanza di giustizia. Si tratta spesso di testimoni e missionari che hanno offerto la propria vita a Cristo fino alla fine, gratuitamente.
Tra gli operatori pastorali uccisi nel 2024 figurano anche Edmond Bahati Monja, coordinatore di Radio Maria/Goma, e Juan Antonio López, coordinatore della pastorale sociale della Diocesi di Truijllo e membro fondatore della pastorale di ecologia integrale in Honduras.
Edmond, che viveva in una zona del Nord Kivu scossa dall’avanzata del gruppo armato M23, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un gruppo di uomini armati vicino alla sua casa nel distretto di Ndosho, alla periferia di Goma. L’esercito regolare congolese, per accrescere le difese della città, ha stretto alleanze di circostanza con altri gruppi armati ed ha fornito armi anche a alcune milizie denominate Wazalendo (“Patrioti” in Swahili). La presenza di gruppi armati irregolari ha però accresciuto i crimini violenti all’interno di Goma, con rapine e omicidi all’ordine del giorno. Il caso dell’uccisione di Edmond Bahati, coinvolto in inchieste su questioni locali e su questi gruppi armati, è legato anche alla passione con cui conduceva il suo lavoro. In due anni sono almeno una decina gli operatori dei media assassinati a Goma e dintorni. Bahati aveva effettuato inchieste sulle violenze dei gruppi armati nella regione.
Un fermo immagine dal Video sulla vita di Juan Antonio López, ambientalista assassinato in Honduras
Juan Antonio López, invece, era noto per il suo impegno per la giustizia sociale, e attingeva forza e coraggio dalla sua fede cristiana. Il crimine è avvenuto poche ore dopo una conferenza stampa in cui, insieme ad altri leader della comunità, aveva denunciato i presunti legami tra membri dell’amministrazione comunale di Tocoa e la criminalità organizzata. L’omicidio di López si inserisce in un contesto di crescente repressione contro i difensori dei diritti umani in Honduras. Papa Francesco, durante l’Angelus del 22 settembre, ha sottolineato l’importanza di proteggere coloro che difendono la giustizia. “Mi unisco al lutto di quella Chiesa e alla condanna di ogni forma di violenza”, ha detto. “Sono vicino a quanti vedono calpestati i propri diritti elementari e a quelli che si impegnano per il bene comune in risposta al grido dei poveri e della terra”, ha aggiunto il Pontefice, ricordando l’eredità di López come uomo di fede che ha dato la vita per gli altri.
Dal 2000 al 2024 il totale dei missionari e operatori pastorali uccisi è di 608. «Questi fratelli e sorelle possono sembrare dei falliti, ma oggi vediamo che non è così. Adesso come allora, infatti, il seme dei loro sacrifici, che sembra morire, germoglia, porta frutto, perché Dio attraverso di loro continua a operare prodigi, a cambiare i cuori e a salvare gli uomini» (Papa Francesco, 26 dicembre 2023, festa liturgica di Santo Stefano protomartire)
Originalmente pubblicato in: www.fides.org
Il 24 gennaio scorso, nella Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna con sede a Cagliari, si è svolta la dissertazione pubblica della tesi di dottorato in Teologia Morale dello studente Marco Placentino dal titolo: "MARTIRIO: DONO PER POCHI O VOCAZIONE DEI FIGLI DI DIO? Una rilettura eucaristica alla luce degli Scritti della Beata Martire Leonella Sgorbati".
Alla difesa era presente una piccola delegazione di Missionarie della Consolata, tra cui sr. Renata Conti, Postulatrice, e sr. Maria Luisa Casiraghi, Superiora Regionale.
Marco Placentino è un ragazzo sardo di 32 anni, di professione insegnante, che nella sua ricerca ha scelto di approfondire la vicenda umana e spirituale della Beata Leonella, rileggendola attraverso la prospettiva cristologico-filiale inaugurata da Padre Tremblay, teologo redentorista. Il lavoro, summa cum laude probatus , sarà pubblicato e noi lo aspettiamo con impazienza.
Marco è un ragazzo sensibile ed entusiasta dei suoi studi, del suo lavoro e della sua fede. Nel testo e nella presentazione è emersa chiaramente tutta la passione con cui si è accostato all'esperienza di sr. Leonella e con la quale ha letteralmente sviscerato i suoi Diari e i suoi numerosi scritti, e che lo ha guidato nell'interpretazione teologica di tutta la sua esistenza, culminata col martirio quale ultimo atto della sua conformazione a Cristo.
Non si tratta dunque solamente di uno sforzo accademico ma di una vera e propria immersione e partecipazione nell'esperienza del dinamismo conformante dell'Eucarestia, che trasforma il culto in vita, nella prospettiva filiale del mistero Pasquale di Cristo, Inviato del Padre. La vita morale altro non è, in questa luce, che il vivere coerentemente il Vangelo, lasciando che il "Figlio sia libero in me di amare" (sr. Leonella), e amare fino alla fine.
Il martirio, allora, è il naturale evolversi di una vita donata, il frutto maturo della vita conformata al Figlio, e "la pienezza dell'umano", secondo l'espressione di p. Tremblay.
Ecco che sr. Leonella diventa ICONA per il popolo somalo: icona perché impregnata di divinità, icona perché manifestazione del vero volto di Dio. L'espressione in odium Fidei, in questa cornice, appare limitante, perché è sempre l'Amore che precede.
Un'Appendice mariana è dedicata a "La Consolata, via di filiazione eucaristica", divenuta figlia nel suo Figlio, chiamata a vivere la Croce fino a risorgere con Lui.
Per noi è stato commovente ascoltare il nome di sr. Leonella risuonare in una facoltà come oggetto di indagine teologica e vedere apprezzata la sua semplice, profonda, gioiosa e luminosa testimonianza, insieme a quella del nostro carisma missionario ad gentes e della missione della Chiesa.
«Se il mio corpo e il Suo sono una cosa sola, se il mio sangue e il Suo sono una cosa sola, allora è possibile essere sempre dono d’amore per tutti. Sempre, in ogni momento… Allora è possibile testimoniare sempre che Lui c’è e ci ama» (Suor Leonella)
* Sr. Alessandra Pulina, Missionaria della Consolata.
CONCLUSIONE DELLA FASE DIOCESANA DEL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE DEI MARTIRI DI CHAPOTERA, DIOCESI DI TETE (MOZAMBICO).
Il 12 agosto, presso il Santuario diocesano di Zobuè, diocesi di Tete, si è svolta la cerimonia di conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, sacerdoti Martiri di Chapotera.
Il processo è iniziato il 20 novembre 2021 con il giuramento dei membri della commissione d'inchiesta nominata dal Vescovo di Tete. Questa commissione, dal gennaio 2022 al giugno 2023, ha interrogato i testimoni che hanno conosciuto i Servi di Dio durante la loro vita e hanno informazioni sul loro martirio e sulla loro reputazione.
Dopo la raccolta di tutte le testimonianze, compresa la documentazione d'archivio, è stato preparato un dossier ben documentato sulla vita e il martirio dei due Servi di Dio (1500 pagine) che è stato consegnato dal Vescovo di Tete in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura Apostolica in Mozambico, Mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le Cause dei Santi a Roma.
I Servi di Dio don João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, come ha sottolineato Mons. Diamantino Guapo Antunes nell'omelia della Messa di chiusura del processo diocesano, sono stati buoni pastori, hanno sofferto con il loro popolo, hanno sempre cercato la pace e la riconciliazione. Hanno messo le loro qualità umane e spirituali al servizio di Dio e degli uomini, vivendo il loro ideale missionario. Sono stati assassinati il 30 ottobre 1985 nei pressi della residenza missionaria di Chapotera, Missione di Lifidzi, in Angonia. I loro corpi sono stati ritrovati il 4 novembre e sono stati sepolti nel cimitero di Vila Ulongwe lo stesso giorno. Padre João de Deus Gonçalves Kamtedza, mozambicano, era nato ad Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), l'8 marzo 1930. È entrato nel Seminario dei Gesuiti nel 1948 e ha professato i voti religiosi nel 1953 a Braga (Portogallo). È stato ordinato sacerdote nella Missione di Lifidzi il 15 agosto 1964. Si è dedicato con tutto il cuore alla missionarietà del suo popolo, prima e per molti anni nella Missione di Msaladzi, poi nella Missione di Fonte Boa e a Satémwa. Era un uomo dinamico, intelligente, saggio, accogliente, impavido, gioioso, comunicativo e un grande apostolo. Amava il suo popolo, la sua cultura e la sua lingua. Alla fine del 1983, padre João de Deus Kamtedza fu trasferito a Chapotera per evangelizzare e assistere pastoralmente le missioni di Lifidzi e Chabwalo.
Padre Sílvio Alves Moreira è nato a Rio Meão-Vila da Feira (Portogallo) il 16 aprile 1941. È entrato nel Seminario dei Gesuiti nel 1952 e ha professato i voti religiosi nel 1959. Ha studiato teologia all'Università Cattolica di Lisbona tra il 1968 e l 1972. È stato ordinato sacerdote a Covilhã (Portogallo) il 30 luglio 1972. Ha iniziato il suo lavoro missionario nella diocesi di Tete, presso il Seminario di Zobuè e successivamente nella parrocchia di Matundo. Nel 1981 è stato trasferito a Maputo, lavorando principalmente nella parrocchia di Amparo, a Matola. Nel settembre 1984 è tornato nella diocesi di Tete, venendo assegnato a Satemwa, missione di Fonte Boa, e poi a Chapotera, missione di Lifidzi. Don Sílvio era un uomo libero, intelligente, coraggioso e intraprendente, che viveva con entusiasmo e gioia le fatiche e i rischi che la vita missionaria comporta.
Alla cerimonia che ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione hanno partecipato molte centinaia di cattolici provenienti da tutte le parrocchie della diocesi di Tete che hanno preso parte al pellegrinaggio diocesano a Zobuè. È stata una giornata molto bella.
* Mons. Diamantino Guapo Antunes è Missionario della Consolata e vescovo di Tete