L'obiettivo della scuola è quello di contribuire alla formazione dei giovani offrendogli un'istruzione di qualità
I missionari della Consolata sono arrivati in Madagascar il 13 marzo 2019 per lavorare nella diocesi di Ambanja, nel nord-ovest dell'Isola Grande. Dopo un congruo periodo di studio della lingua malgascia, il 20 ottobre 2019 hanno iniziato il loro servizio pastorale nella nuova missione di Beandrarezona, creata con l'arrivo dei primi tre missionari, i padri Jean Tuluba (RD Congo), Jared Makori (Kenya) e Kizito Mukalazi (Uganda).
La nostra missione è l'ultima parrocchia creata nella diocesi e si trova a quasi 1000 chilometri da Antananarivo, la capitale del Paese. Si estende su tre comuni rurali e conta più di 80 villaggi, di cui solo 12 hanno comunità cristiane. I villaggi sono molto distanti tra loro e l’unico mezzo di trasporto possibile per visitarli è la moto, ma nella maggior parte ci si arriva quasi sempre solo a piedi. Per raggiungere alcune comunità dobbiamo camminare fino a 14 ore. Ci vuole forza e determinazione per affrontare le difficoltà delle strade. Dei 2.587.014 abitanti (censimento 2022) della diocesi, solo il 7% della popolazione è cattolica e nella nostra missione i cattolici sono circa il 3% del totale di 21.170 abitanti (censimento 2018). Come si vede, è davvero una missione ad gentes che ha bisogno della nostra presenza e attenzione.
Le attività principali della missione sono le visite alle comunità, la catechesi sacramentale, la formazione dei catechisti, l'animazione missionaria e vocazionale, la formazione dei giovani e dei bambini... La maggioranza della popolazione della nostra missione è costituita da giovani e bambini. Infatti, si stima che il 75% della popolazione del Madagascar sia costituito da giovani e bambini.
Dopo il nostro contatto con la realtà locale, abbiamo notato che a Beandrarezona, che è il centro della missione, e negli altri villaggi, ci sono scuole private e pubbliche: scuole materne, elementari e primo ciclo delle medie, ma mancano le scuole del secondo ciclo delle medie e delle superiori.
Dopo uno scambio di idee con i leaders locali e i genitori, abbiamo sentito la necessità di costruire una scuola secondaria perché i giovani di Beandrarezona e degli altri villaggi vicini sono costretti a lasciare le loro famiglie dopo la scuola primaria per continuare gli studi in città. Questo ha un notevole impatto economico sulle famiglie, che hanno bisogno di più denaro per pagare gli spostamenti, il cibo e l'affitto per i figli mentre il loro income è decisamente inferiore alle spese da sostenere. Di conseguenza, molti giovani abbandonano la scuola per andare lavorare nei campi.
Padre Jean Tuluba durante la inaugurazione della nuova scuola nella missione di Beandrarezona
Così, con l'aiuto del nostro recentemente scomparso confratello, padre Noè Cereda (che il Signore gli conceda l'eterno riposo) e dei suoi amici in Italia, abbiamo iniziato a costruire la scuola nel 2021 dopo l'epidemia di Covid-19. Con molti sacrifici e determinazione la scuola ha preso forma fino al suo completamento quest'anno 2024. Ci sono state molte difficoltà nella realizzazione dell'opera, come il costoso trasporto dei materiali, acquistati ad Antananarivo, la regolarità degli operai, ecc.
Finalmente, il 2 settembre 2024, la scuola è stata ufficialmente inaugurata e aperta con la celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Francis Donatien Randriamalala, vescovo diocesano di Ambanja e con la benedizione dello stabile. Alla celebrazione hanno partecipato altri sacerdoti, religiose, autorità amministrative e politiche locali, rappresentanti delle confessioni religiose locali, cristiani della nostra missione, amici e conoscenti. Il giorno successivo sono iniziate subito le classi con 30 studenti.
Mons. Francis Donatien Randriamalala, vescovo diocesano di Ambanja
Nei loro discorsi, le autorità e i cristiani hanno ringraziato la diocesi per aver invitato i Missionari della Consolata a lavorare nella diocesi, hanno ringraziato per l’opera di padre Noé Cereda e dei sacerdoti venuti in questa missione e per aver costruito una scuola di qualità. La popolazione era pronta a collaborare con noi affinché i loro giovani potessero studiare in buone condizioni e diventare in futuro persone con grandi ruoli nella società.
Abbiamo scelto di gestire la scuola in modo graduale, aprendo una classe all'anno fino al completamento del ciclo triennale. Questo perché il livello di formazione degli studenti è molto basso. Aprire una classe all'anno ci aiuterà ad accompagnare la formazione degli studenti e anche la formazione permanente degli insegnanti.
L'obiettivo della scuola è quello di contribuire alla formazione dei giovani della nostra missione, offrendogli un'istruzione di qualità che dia loro pari opportunità rispetto agli altri giovani delle città. La scuola è un grande strumento di evangelizzazione in molti modi. Sebbene molti giovani non sono molto interessati alla religione, attraverso la scuola possono scoprire il messaggio del Vangelo e anche le loro famiglie possono essere raggiunte.
Tra i primi 30 alunni, luna buona percentuale proviene da altre confessioni religiose. La scuola diventa anche un modo per dialogare con le altre religioni attraverso l'educazione che diamo ai loro figli, dato che fin dall'inizio queste altre confessioni hanno riposto la loro fiducia in noi mandando i loro figli a studiare nella nostra scuola. In questo modo, la scuola non è solo un centro di istruzione, ma anche un luogo di incontro tra le confessioni religiose.
La nostra gratitudine a padre Cereda e ai suoi amici e ai missionari della Consolata per questo grande e prezioso dono ai giovani. Speriamo che questa scuola sia davvero uno strumento di consolazione per la gente di Beandrarezona, affinché possano diventare persone utili alla società malgascia, alla Chiesa e al mondo intero.
Una grande sfida è lo stipendio degli insegnanti. In tutte le scuole pubbliche qui, gli insegnanti sono pagati con le rette degli alunni. Al momento, nella nostra scuola, il denaro versato mensilmente dai genitori dei nostri 30 studenti non è sufficiente per pagare uno stipendio minimo agli insegnanti. Dobbiamo quindi cercare altri mezzi per completare gli stipendi.
Ma di fronte a questa sfida non ci scoraggiamo. Come ci ha insegnato il nostro Padre Fondatore Giuseppe Allamano, confidiamo nella Divina Provvidenza e nell'aiuto dei nostri amici per continuare questa buona opera di consolazione. L'abbiamo iniziata e non può più fermarsi. Lo Spirito Santo, protagonista della missione, e la Vergine Consolata illuminino i nostri passi per camminare sempre con la gente.
* Padre Jean Tuluba, IMC, Missione di Beandrarezona, Madagascar.
La «grande isola» è come un ponte tra l’Africa e l’Asia. Porta in sé contrasti e difficoltà, oltre a tanta bellezza. Iniziamo questa serie dall’ultimo paese nel quale hanno messo piede i «figli» di Giuseppe Allamano.
«Ormai è venuto il tempo di una missione più discreta, umile, solidale, propositiva, fondata più sull’essere che sul fare» (cfr. dalla presentazione degli atti del Capitolo Generale dei Missionari della Consolata del 2017).
Nel 2012 il vescovo di Abanja, monsignor Rosario Vella, salesiano, passa alla casa Generalizia a Roma. Mi cerca perché le suore Battistine gli hanno parlato bene di noi. Io all’epoca ero superiore generale dei Missionari della Consolata. Mi dice: «perché non venite ad aprire in Madagascar, è una missione ad gentes, adatta a voi. Venite nella nostra diocesi».
Io gli rispondo: «È una bellissima idea, ma noi stiamo lavorando a livello continentale, per cui per aprire una missione in un nuovo paese, mi piacerebbe sentire cosa pensa il consiglio continentale dell’Africa dell’istituto». «Ma come, un generale non può decidere?», dice lui. Io presento l’idea al consiglio, che ci lavora quasi due anni.
Nel 2016, una prima delegazione va in Madagascar a incontrare il vescovo e vedere il possibile luogo di missione. Ne fanno parte il vice superiore generale padre Dietrich Pendawazima, il consigliere per l’Africa padre Marco Marini, e padre Hyeronimus Joya, all’epoca superiore del Kenya, a rappresentare il consiglio d’Africa.
Ma facciamo un passo indietro. Nel 2010, quando ero vice superiore generale, io ero andato a trovare il nostro confratello padre Noè Cereda (recentemente scomparso, ndr) nella capitale Antananarivo. Lui era lì perché aveva lavorato come responsabile all’Emi (Editrice missionaria italiana), e aveva avuto un contratto per pubblicare i libri per le scuole elementari e medie dello Stato. Quando ha lasciato l’Emi, dati i suoi contatti, si è trasferito in Madagascar, a lavorare con delle suore. Mi ero dunque fatto un’idea del Paese.
Ma perché il Madagascar? Per noi rispondeva a una delle nostre inquietudini come missionari della Consolata. Oggi tutto è missione e il significato dell’«ad gentes» è in crisi. Non si capisce più esattamente quale sia l’identità concreta dell’andare «alle genti». Diciamo che sono i luoghi dove bisogna annunciare il Vangelo per la prima volta. In Madagascar i cattolici sono una minoranza (circa il 16%, ndr).
Una seconda motivazione era che questo Paese è un ponte che unisce l’Africa all’Asia. La popolazione è in parte di origine africana e in parte austronesiana (come i popoli di Malaysia e Indonesia, ndr).
Il terzo elemento di interesse era quello dare occasione ai nostri missionari africani di realizzare una missione tutta africana.
Quando i nostri primi tre sono partiti nel marzo 2019, sono andati dal vescovo di Ambanja e hanno iniziato a imparare la lingua. Si trattava del congolese Jean Tuluba, l’ugandese Kizito Mukalazi e il keniano Jared Makori. Come africani non hanno avuto grosse difficoltà a comprendere la cultura. Ma dopo qualche mese il vescovo è cambiato, monsignor Vella è stato trasferito e siamo rimasti per un paio di anni con un amministratore apostolico, che però stava in un’altra diocesi e aveva molto altro da fare. I nostri sono stati lasciati un po’ soli. Questo aspetto ha penalizzato la nostra missione. Quando abbiamo fatto la visita con la nostra delegazione si è dunque pensato di aprire nel Nord del Paese, a Beandrarezona, dove i nostri sono arrivati nell’ottobre 2020. Abbiamo subito visto che si tratta di una missione puramente ad gentes: è proprio un luogo fuori dal mondo.
Padre Jared Makori, padre Jean Tuluba e padre Kizito Mukalaz a Nairobi, in Kenya, prima della partenza per il Madagascar. Foto: Jaime C. Patias
Durante la stagione delle piogge, per sei mesi all’anno, non si può neppure arrivare con la macchina. Inoltre, l’unica auto che c’è in zona è la nostra. Nella cittadina dove stiamo, le case sono molto vicine tra loro, perché chi vi abita non aveva mai pensato che potesse passare un mezzo, quindi non c’è una vera strada. Anche le comunicazioni sono difficoltose: per usare il telefono cellulare, i missionari devono andare su una montagna.
Inoltre, la nostra è stata la prima presenza missionaria straniera in assoluto. Prima c’era solo un gruppo di suore malgasce che, ancora oggi, gestiscono una scuola. Forse come prima apertura in un paese nuovo è stata un po’ un azzardo.
Quando ho fatto la mia ultima visita canonica, nel luglio 2022, abbiamo confermato che la missione di Beandrarezona è quella dove vogliamo stare. Allo stesso tempo abbiamo rinforzato l’idea di aprire una nuova comunità nella capitale Antananarivo. Abbiamo infatti visto che in Madagascar, tutto si gioca in capitale, quindi una nostra presenza lì è fondamentale. Non soltanto per gli aspetti pratici ma anche per essere riconosciuti e significativi. Molte congregazioni presenti nel Paese non sanno neppure che esistiamo.
Nella stagione delle piogge le strade sono impraticabili. Foto: Godfrey Msumange
È una missione povera, le entrate sono limitate, anche per mantenere il minimo di strutture non è facile. I tre missionari sono rimasti per tre anni in una famiglia il cui papà era direttore della scuola. Loro si sono ristretti e ci hanno lasciato due stanze con una specie di cucina. Solo recentemente abbiamo fatto fare una casa e poi anche una scuola, che potrebbe dare un senso alla missione e una piccola entrata economica. Il luogo ci definisce, ovvero certe scelte ci definiscono. Essere in Madagascar in questo momento storico è una scelta di campo, da ad gentes, tra i più poveri e abbandonati. La forza di questo Paese è il turismo, ma si concentra sulle coste mentre all’interno la popolazione vive in una povertà estrema.
Adesso padre Kizito ha cambiato destinazione, mentre due padri giovani si stanno preparando per integrare il gruppo.
Questa nuova modalità di missione, si presenta con pochi mezzi. Si esplicita in tre punti: stare con la gente, avere meno potere e più condivisione. Il missionario non deve essere il solito straniero potente che risolve tutto. Questa è però una fatica per i giovani, che sono portati a essere protagonisti.
Bisogna trovare le condizioni per riuscire a stare o, al contrario, capire le condizioni che ti obbligano ad andare via.
La missione oggi chiede una grande conversione: si fa fatica a individuarla, è diversa da quella di una volta, ed è difficile portarla avanti.
* Padre Stefano Camerlengo, IMC, missionario in Costa d’Avorio. Pubblicato originalmente in: Missioni Consolata, Maggio 2024.
Lo scorso 17 luglio 2023 presso la Missione di Beandrarezona, in Madagascar, è stata inaugurata la Casa Leonella Sgorbati. Questa sarà la casa dei Missionari della Consolata da pochi anni in Madagascar.
L’inaugurazione è iniziata con la solenne benedizione della casa, fatta dal vescovo della diocesi cattolica di Ambanja, mons. Francis Donatien Randriamalala, e seguita poi dalla celebrazione eucaristica nella quale abbiamo concelebrato noi Missionari della Consolata presenti e alcuni sacerdoti che lavorano nella diocesi.
Durante l’omelia il vescovo, a nome della Diocesi, ha ringraziato i Missionari della Consolata per la presenza e il coraggio di accettare lavorare in un luogo difficile, disposti a portare Gesù al popolo malgascio. "Ringraziamo i missionari per questa casa bella e ben fatta, per questa presenza significativa, per aver accettato la difficile missione di Beandrarezona... grazie per la vostra disponibilità...".
Poi, rivolgendosi ai cristiani, il vescovo ha proseguito: "Vi chiedo di amare i vostri sacerdoti, pregare per loro, collaborare e lavorare con loro in spirito di sinodalità. Siamo felici perché ora hanno una casa decente. La casa dei religiosi e dei sacerdoti è una casa di preghiera, una casa di accoglienza e di ascolto della gente. Questa stessa casa ci sta dicendo che non lasceranno Beandrarezona; che sono venuti per rimanere e portare consolazione a questo villaggio e ad altri tutto intorno. Con la predicazione della Parola di Dio e con tutte le altre strutture pastorali saranno una garanzia di crescita e di sviluppo.
Oggi allora inauguriamo la casa dei Missionari, poi dovremmo pensare a una chiesa parrocchiale bella come la casa. Aiutate i padri a proteggere questa casa che è anche un patrimonio del villaggio”.
Ringraziando il vescovo e i cristiani al termine della celebrazione della messa, P. Jean Tuluba, a nome dei Missionari della Consolata, ha detto che “la nostra casa di Beandrarezona è casa della consolazione, casa di accoglienza e di ascolto delle persone. Le sue porte saranno sempre aperte per accogliere chiunque entri e voglia incontrarci”.
Il nome dato a questa casa è quello di "Leonella Sgorbati": lei è la protettrice della nostra missione in Madagascar e allora abbiamo ritenuto importante dedicarle questa prima opera.
Ringraziamo il Signore e l’Istituto che, per mezzo del Consiglio Continentale, ci ha regalato questa struttura. Prima eravamo in una piccola casa familiare con una famiglia che ci aveva ospitato condividendo tutto con noi. Siamo riconoscenti di questo gesto di solidarietà nei nostri confronti.
Oggi le condizioni sono cambiate e avremo la possibilità di accogliere in buone condizioni la gente, i nuovi confratelli che saranno destinati al Madagascar e vari amici disposti a farci visita. Ringraziamo il Signore e Avanti in Domino!
Il 20 ottobre prossimo, la Missione di Beandrarezona compirà 3 anni dalla sua apertura ufficiale nella Domenica missionaria del 2019. Da allora, la nuova missione affidata alla cura dei Missionari della Consolata ha continuato il suo cammino.
Dopo un periodo di apprendimento della lingua malgascia, di osservazione e comprensione della realtà locale, delle persone e della loro cultura, ci eravamo resi conto che il primo passo necessario in questa missione "al cento per cento Ad Gentes" era quello di costruire una comunità cristiana locale solida e attiva nella fede. È un processo delicato che richiede coraggio, pazienza, creatività, costanza e ottimismo. Questo perché, per molti anni, la gente qui non era abituata a vedere e convivere con missionari e sacerdoti e spesso non c'erano celebrazioni eucaristiche la domenica. È una nuova esperienza per loro contare con la presenza di missionari che risiedono nel loro terriorio.
È in questa dinamica che abbiamo iniziato la visita alle famiglie e ai villaggi e la catechesi per vari gruppi in vista della preparazione alla ricezione dei sacramenti. Così lo scorso lunedì, 12 settembre 2022, è stato un giorno di immensa gioia per la missione di Beandrarezona. C'è stata la prima celebrazione del sacramento del matrimonio nella nostra nuova missione. Tre coppie hanno proclamato pubblicamente il loro "sì" definitivo accogliendosi mutuamente davanti a Dio e all'intera assemblea presente in questo grande atto di fede e di comunione fraterna. Cristiani e non cristiani, cattolici, protestanti e altri, autorità locali e abitanti degli altri villaggi, hanno partecipato alla celebrazione di questo sacramento che non si era mai celebrato nel loro villaggio. Dato il gran numero di persone, la celebrazione eucaristica, presieduta da padre Kizito Mukalazi, parroco e capo del gruppo IMC Madagascar, e concelebrata dai padri Jean Tuluba e Jared Makori, si è tenuta sulla spianata del collegio della missione ancora in costruzione. Uno dei coniugi appartiene a un gruppo protestante autoctono del Madagascar ma sua moglie è cristiana cattolica molto devota con responsabilità nella nostra cappella.
Fin dal nostro arrivo a Beandrarezona, questa signora era irrequieta perché da tempo desiderava celebrare il matrimonio e suo marito protestante aveva accettato di sposarsi nella Chiesa Cattolica. Il tempo passava e lei era preoccupata che suo marito potesse cambiare idea dal momento che bisognava aspettare così a lungo. Il suo più grande desiderio era quello di poter ricevere l'Eucaristia. Incaricata delle sacristia, preparava ogni giorno la chiesa per la celebrazione nella quale lei stessa non poteva partecipare con pienezza e per quello era particolarmente insistente per la celebrazione del suo matrimonio. È stato emozionante vederla felice con suo marito il giorno della festa.
Un altro coniuge non era ancora battezzato e quindi ha ricevuto tutti i sacramenti allo stesso tempo.
È stata una festa per la Chiesa ma anche per tutto il paese che si è riunito attorno agli sposi. La celebrazione è iniziata alle 10.30 e si è conclusa alle 14.30. Poi, secondo le abitudini della gente, la festa comunitaria è seguita fino all'alba del giorno dopo.
Questo è stato il primo grande e notevole evento della nuova missione di Beandrarezona. Siamo convinti che sarà il primo di molti altri momenti importanti nella vita di questa nuova comunità cristiana e che contribuirà a rafforzare la fede della gente e a qualificare la nostra presenza e azione missionaria in questo angolo dimenticato del mondo.
Che la Madre Consolata e il Beato José Allamano ci aiutino a muoverci verso nuovi orizzonti di vita con la gente di Beandrarezona!
Messaggio in occasione della nomina di padre Joya Hieronymus a vescovo della Diocesi di Maralal in Kenya
“Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi.” (St. Agostino)
“Siate generosi, datevi interamente al Signore; non bisogna misurare, non fermarsi a guardare delle storie. Il Signore pensa lui a quello che è necessario, e se qualche volta si devono fare dei sacrifici, ebbene facciamoli volentieri. Siate umili!” (Beato Giuseppe Allamano)
Beandrarezona Madagascar, 26 luglio 2022.
Missionari carissimi, giunga a tutti voi questo messaggio di gioia e di festa per il nostro Istituto. Il 20 luglio scorso, il Santo Padre, Papa Francesco, ha nominato il nostro caro padre Joya come nuovo vescovo della Diocesi di Maralal in Kenya.
Mi si perdoni se questo messaggio vi raggiunge un po’ in ritardo, ma proprio il giorno 20 luglio, ho intrapreso il viaggio per la visita ai nostri tre confratelli che da tre anni sono impegnati nel lavoro missionario in Madagascar e precisamente nella missione di Beandrarezona nella diocesi di Ambanja.
La nomina di padre Joya come vescovo riempie di gioia il nostro cuore. Vogliamo ringraziarlo per la sua testimonianza e la sua disponibilità a lavorare come pastore nella Chiesa. La gioia e la festa per padre Joya diventa più grande se la viviamo insieme alle numerose grazie che in questi ultimi tempi, il nostro Istituto ha ricevuto. Penso sia a padre Joya come agli altri vescovi nominati, penso anche al dono che il Papa ci ha regalato nominando Monsignor Giorgio Marengo come primo cardinale della nostra famiglia, ma non possono passare sotto silenzio i tanti nostri missionari che con umiltà e spirito di servizio si donano ogni giorno nella missione.
Il mio pensiero va anche al bel gruppo di giovani che in questi ultimi anni si è donato totalmente al Signore accettando con gioia l’ordinazione sacerdotale allo scopo di servirlo e impiantare il suo regno. Come dimenticare le tante comunità sparse per il mondo che, pur tra molte sofferenze e disagi, vivono con gioia la loro missione: i missionari in Venezuela, in Congo, in Costa d’Avorio, in Etiopia, nell’Amazzonia, nella stessa Madagascar dove mi trovo attualmente e da dove scrivo. Attualmente siamo presenti in 28 paesi e rappresentiamo 27 nazionalità di cui siamo originari.
Ho anche nel cuore il cammino sinodale iniziato in preparazione del prossimo Capitolo Generale che vorrebbe che tutti diventassero veri e autentici protagonisti. Come dimenticare le nostre diverse case di formazione che sono sparse nei diversi Continenti. Esse sono luoghi privilegiati dove cerchiamo, seppur con fatica, di trasmettere il nostro carisma, di instillare nei giovani l’amore per Gesù e per la Missione, dove tentiamo anche di trasmettere i valori umani e cristiani che dovrebbero rendere tutti noi persone mature, vere e generose.
Sono certo che questo tempo è un tempo di grazia per il nostro Istituto e vorrei invitare tutti a mettersi in ascolto dello Spirito per cogliere quanto egli vuol comunicarci. La sua voce si percepisce solo nel silenzio della contemplazione. Credo che dobbiamo rendere grazie per questi “giorni buoni” che il Signore ci dona, ringraziandolo, vivendo con più amore e donazione la nostra vita missionaria, e ricordandoci sia dei poveri e sia di coloro che Dio ha messo sul nostro cammino.
Come missionari della Consolata dobbiamo essere capaci di investigare questo particolare momento storico che, soprattutto per noi, potrebbe essere un tempo di grazia. È questo lo sguardo che dobbiamo avere sulla realtà che stiamo vivendo. Forse anche noi, come dice Isaia, ci sentiamo un po’ come delle canne incrinate, come delle fiamme smorte, incapaci realizzare con determinazione qualcosa che possa essere un segno forte. Ma questo è il tempo della grazia, in cui il Signore ci invita a seguirlo con forza, e ad affidarci a lui senza condizioni. Solo così possiamo cogliere la sua voce e diventare segni visibili della sua grazia.
Celebrare la festa di un confratello che diventa pastore vuol dire ricordarlo e, insieme a lui, ricordare tutte quelle persone che, nel corso della storia, hanno vissuto, con coerenza, fino alla fine, la propria fede senza paura, senza timori e tentennamenti.
Celebrare questi avvenimenti, forieri di “giorni buoni” per il nostro Istituto, vuol dire prendere sul serio la nostra fede e la nostra missione. La fede e anche la missione sono una cosa seria, non sono di certo un passatempo. Siamo invitati, prima di tutto, a vivere la nostra donazione coerentemente. Quando si vive in modo mediocre e non si vive il Vangelo fino in fondo, non si partecipa alla vita della comunità, e non ci si sente membra vive della Chiesa e dell’Istituto, allora si offende apertamente la memoria di quei missionari che prendono sul serio la loro vocazione e la loro missione. L’Istituto si fonda sulla roccia che è Gesù Cristo, ma anche su altri due pilastri: da una parte, la testimonianza e l’insegnamento del nostro Fondatore e, dall’altra parte, la vita di tutti i missionari che, nel corso della storia, ci hanno annunciato e testimoniato, con la loro vita, Gesù Cristo.
Il primo invito, dunque, che ci viene dal momento storico che viviamo come Istituto, è che ci aiuti a vivere la nostra fede e la nostra missione, sempre fino in fondo, senza mezze misure, senza falsità, e senza mediocrità.
Il secondo invito, che ci viene da questi “giorni buoni” per il nostro Istituto, è di prenderci sempre cura, all’interno delle nostre comunità missionarie, di quelle situazioni di difficoltà che le persone vivono, facendoci loro compagni di viaggio allo scopo di aiutarle e di infondere in loro speranza per sé e per i loro cari. Amare è servire e servire vuol dire appunto essere disposti a mettersi in gioco, a donare la propria vita. Esiste un martirio che spinge fino al dono del proprio sangue. Ma esiste anche un martirio quotidiano che siamo chiamati a vivere, attraverso la nostra testimonianza di fede. A questo proposito dice Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24). Gesù insegna che crescere nella vita vuol dire imparare a donarla agli altri, donarla attraverso il servizio.
A questo punto la domanda è d’obbligo: che cosa possiamo fare noi per il nostro Istituto? Che cosa possiamo fare noi per la nostra comunità? Che tempo possiamo mettere a disposizione degli altri? Quali nostre qualità possiamo donare agli altri? Quali servizi possiamo offrire agli altri perché ci aiutino a crescere insieme sia come comunità sia come Istituto?
Pensando alla vita dell’Istituto, ritengo che i servizi di cui abbiamo bisogno sono tanti, ma uno, penso, sia necessario in modo particolare. C’è bisogno di crescere nella responsabilità. Nel sentirsi parte viva della comunità. C’è bisogno di prendersi le proprie responsabilità. Ognuno dovrebbe dire: questa è la mia casa. C’è bisogno di domandarsi che cosa posso fare per farla crescere sempre di più, per far conoscere sempre di più gli altri, la persona e il messaggio di Gesù Cristo.
Di conseguenza in questi “giorni buoni”, come padre, vorrei chiedere questa grazia per l’Istituto alla Consolata: che faccia crescere e maturare nelle nostre comunità persone disponibili al servizio. Di fronte al Signore, per intercessione del Beato Giuseppe Allamano e delle Beate Leonella e Irene, mettiamo oggi le nostre comunità, il nostro Istituto, perché ognuno di noi possa sentirsi sempre più parte viva e possa fare la sua parte, per la crescita della fede e per la crescita del bene comune. Possa il Signore inviare il suo Spirito su di noi perché ci renda sempre più sensibili e impegnati a sollevare la sorte dei più poveri della nostra società.
Mentre promettiamo il ricordo nelle nostre preghiere e rinnoviamo i nostri auguri a p. Joya, accogliamo con gioia quanto questo tempo ci offre per vivere meglio la nostra vita e la nostra missione. Che la grazia del Signore, che ci sta visitando abbondantemente in questo tempo, aiuti tutti noi a essere più missionari. Che questi “giorni buoni”, che il Signore ci dona, ci aiutino a ben preparare e vivere il prossimo Capitolo Genarele come un momento di grande rinnovamento e purificazione affinché possiamo essere sempre più degni del nome che portiamo. Fraternamente a tutti e ad ognuno: coraggio e avanti in Domino!
* Stefano Camerlengo è Superiore Generale dei Missionari della Consolata