In tutte le culture, mangiare e bere insieme è un segno di amicizia. Le persone condividono cibo e bevande per dimostrare che hanno a cuore l'interesse reciproco. Mangiare e bere insieme è quindi un segno di buone relazioni tra le persone. Questo spiega perché nella società tradizionale Africana le persone ogni qual volta sorgevano conflitti prima si riconciliavano e solo alla fine del loro sforzo di riconciliazione condividevano cibo e bevande. Non era il cibo a riconciliarli ma il mangiare e bere insieme era il segno di apprezzamento per l'atteggiamento di tolleranza e comprensione delle parti coinvolte, era il segno di un nuovo inizio.

Oggi, possiamo intuire lo stato delle relazioni che intercorrono tra persone che mangiano insieme, osservando l'atmosfera che le circonda. Infatti, quando le persone non sono in buoni rapporti, anche il cibo che condividono diventa insipido. Questo ci porta all'Ultima Cena narrata dal Vangelo di Giovanni. Nel brano del vangelo di Giovanni 13, 21-33.36-38 (il vangelo del martedì della Settimana Santa), avvertiamo che Gesù era turbato. Presto anche i suoi discepoli sarebbero stati turbati. C'era un problema serio: qualcuno stava per tradirlo. Questi pochi versetti ci danno l'immagine di come fosse l'atmosfera nella stanza dopo quella rivelazione di Gesù.

Possiamo certamente immaginare lo shock degli apostoli quando Gesù disse che qualcuno lo avrebbe tradito. Dovevano essere molto sorpresi e addolorati. Come poteva qualcuno di loro fare una cosa del genere? I discepoli non conoscevano chi avrebbe tradito il Signore, e quindi le sue parole hanno fatto sì che tutti diventassero improvvisamente sospettosi del proprio vicino. Era difficile capire chi potesse essere la persona, perché tutti avevano un volto innocente. Questo spiega perché Pietro disse a Giovanni di chiedere a Gesù chi potesse essere quella persona. L'ansia di Gesù in quel momento divenne una preoccupazione per i suoi discepoli. È comprensibile. È doloroso per qualsiasi gruppo di persone scoprire troppo tardi che c'è un traditore tra di loro. Sappiamo tutti quanto possa essere angosciante rendersi conto che c'è una spia tra di noi. Sappiamo tutti quanto possa essere preoccupante scoprire che qualcuno di cui ci fidavamo era solo un falso amico che ci mostrava sorrisi non veri.

L'ultima cena, che doveva essere un banchetto, è stata rovinata da quelle parole. La tristezza era tangibile. Come poteva una persona trasformarsi in un traditore, in un mostro lui che era stato chiamato e che quindi aveva ricevuto la fiducia di Gesù? Significava forse che quella persona non aveva beneficiato di tutti gli insegnamenti che Gesù aveva impartito loro per quasi tre anni? Gli apostoli non riuscivano a capire. Era inimmaginabile che qualcuno potesse condividere i pasti con Gesù e finire per essere la sua "rovina".

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“Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue”.  Foto: Centro Aletti

Questo episodio dell'Ultima Cena ci porta dritti a due riflessioni importanti: La vita comunitaria e Gesù come cibo unificante. L'uomo è un essere sociale, quindi, che si tratti di vita religiosa o meno, la vita sociale è per lui fondamentale. In particolare per i religiosi, la vita comunitaria è importante quasi quanto i voti. Soprattutto, la vita comunitaria si fonda sulla fiducia e sul volersi bene a vicenda. Questo spiega perché è doloroso quando ci si accorge che qualcuno ha finto di far parte della comunità solo per trarne vantaggio. Dopo aver mangiato con gli altri apostoli, Giuda avrebbe lasciato la comunità avvelenata dal tradimento, ma più ricco, con trenta "pezzi d'argento". Quindi, in verità, Gesù era molto più turbato dal fatto che qualcuno potesse vivere con lui per così tanto tempo senza un segno di cambiamento, che dal fatto che stesse per essere lui stesso ucciso. È questo che dovrebbe turbarci cioè che non cambiamo molto anche dopo tutti questi anni! Ma siamo turbati? O siamo già abituati a vivere nel peccato? Se stiamo annegando nel male e la nostra coscienza non ci dice nulla, non solo dovremmo essere turbati e preoccupati, ma dovremmo essere già nel panico.

Il punto è che dovremmo valutare la nostra vita comunitaria e l'unità tra di noi. È un invito a ricordare che non è il cibo delizioso che crea relazioni armoniose tra noi. Sono le nostre relazioni armoniose a trasformare il cibo che abbiamo davanti in un banchetto delizioso.

Infine, anche se rimaniamo esseri umani con molte differenze tra di noi, Cristo si offre in questa Pasqua come fattore unificante, elemento curativo e forza rafforzante. L'ultima cena si è conclusa con l'uscita di Giuda Iscariota nelle tenebre. Un esito tragico per una comunità che aveva appena condiviso quello che avrebbe dovuto essere un pasto unificante. Preghiamo affinché l'Eucaristia, che riceviamo ogni giorno, possa essere un antidoto alle molte sfide relazionali che caratterizzano alcune delle nostre comunità nel mondo.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, Casa Generalizia a Roma, frequenta il corso in Cause dei Santi.

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