Durante il Concistoro Ordinario Pubblico questo lunedì 1° luglio, Papa Francesco ha annunciato che la canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, fondatore degli Istituti Missionari della Consolata, si terrà domenica 20 ottobre 2024 a Roma, giornata missionaria Mondiale.
Il miracolo attribuito all’intercessione del Beato Giuseppe Allamano è avvenuto nella foresta amazzonica brasiliana, nello Stato di Roraima, dove Sorino, uomo dell’etnia Yanomami, fu attaccato da un giaguaro che lo ferì gravemente alla testa, aprendo la scatola cranica; era il 7 febbraio 1996, primo giorno della novena del Beato Giuseppe Allamano.
Trasportato all’Ospedale di Boa Vista, accudito dalle Missionarie della Consolata, che non cessavano di chiedere la sua guarigione per intercessione del Padre Fondatore, Sorino ha miracolosamente recuperato la salute in pochi mesi, e vive tutt’ora nella sua comunità indigena.
L’inchiesta diocesana per lo studio del presunto miracolo è avvenuta nel marzo 2021 a Boa Vista, mentre l’iter del Dicastero delle Cause dei Santi si è concluso il 23 maggio 2024, con l’approvazione del decreto di riconoscimento del miracolo.
È un momento molto significativo per la famiglia missionaria della Consolata, composta da Padri, Fratelli, Suore, Laici e Laiche.
Suor Renata Conti e Padre Giacomo Mazzotti, che attualmente accompagnano la postulazione, parlano sul significato della Canonizzazione del Beato Allamano.
In un messaggio i Superiori generali dei due Istituti, Padre James Lengarin, IMC, e Madre Lucia Bortolomasi, MC, scrivono:
“La sua Canonizzazione è per tutti noi un dono immenso che ci invita ad ascoltarlo, ad attingere sempre di più alla ricchezza della sua santità. Siano i nostri occhi e il nostro cuore fissi sul nostro Fondatore per ascoltarlo e guardare alla sua santità che ci stimola a continuare in modo serio e profondo la sua missione”.
* Suor Stefania Raspo e Padre Jaime C. Patias, comunicazione MC e IMC.
Padre Giovanni Bisio, fondatore della nostra presenza in Brasile nel 1937, nacque in vicolo Maiola presso la Chiesa di S. Rocco al Ponte a Garessio (Cuneo) il 12 febbraio 1903. Compiute le classi elementari al paese natio, entrò nel Seminario Vescovile di Mondovì. Fece la Vestizione clericale il 17 gennaio 1918.
Al termine del primo anno di filosofia strappò alla madre, durante il corso di una malattia che lei considerava un castigo per la sua opposizione al proposito del figlio di partire missionario, l’assenso per entrare tra i Missionari della Consolata. Mondovì era in quegli anni fucina di tante vocazioni missionarie. Molti alunni del Seminario si aggregarono ai missionari della Consolata. Lo stesso Vescovo Diocesano, Mons. G. B. Ressia, compagno di studi del Can. Giuseppe Allamano, Fondatore dell’Istituto missionario, non si opponeva a questa emorragia missionaria nel suo Seminario a favore del nuovo Istituto missionario torinese.
Presentiamo questo breve profilo di padre Giovanni Bisio. Buona lettura!
(Padre Pietro Trabucco, IMC, Castelnuovo don Bosco)
Il 20 giugno è la festa della Consolata ed è la festa patronale dei Missionari e Missionarie della Consolata. È importante notare che la festa patronale è una celebrazione solenne dedicata a un santo patrono; viene celebrata in una data specifica dell'anno; ed è una occasione per ringraziare per il bene che abbiamo ricevuto da Dio per mezzo dell’intercessione del patrono.
Per i Missionari della Consolata, quindi, il 20 giugno di ogni anno è una data molto importante che abbiamo ricevuto in eredità dal Beato Giuseppe Allamano che era un fervente devoto della Consolata. Per il Beato Giuseppe Allamano, la festa della Consolata significa quanto segue:
"Nostra" è un aggettivo possessivo che mostra chiaramente la stretta relazione tra i missionari e questa festa. Dice Giuseppe Allamano: "se celebriamo con intensità di amore tutte le feste della Madonna, quanto più questa che è la “nostra” festa, nostra cioè in modo tutto particolare (Così vi voglio, N. 159); la Madonna Consolata è La Consolata è in modo speciale nostra e noi dobbiamo gloriarci di avere una tale Patrona, essere santamente superbi che il nostro Istituto si intitoli «della Consolata». (Così vi voglio, N. 158).
Normalmente la madre è colei che dà la vita; indica ai figli la strada da seguire e –succede così in molte culture e società– porta il pane alla casa e le dà un calore speciale.
In innumerevoli occasioni il Beato Giuseppe Allamano si è riferito alla Consolata come alla Madre dei missionari. Li chiamava gli occhi della Consolata e la sua opera viva: “non è infatti la SS. Vergine, sotto questo titolo, la nostra Madre e non siamo noi i suoi figli e le sue figlie? Sì, nostra Madre tenerissima, che ci ama come pupilla degli occhi suoi, che ideò il nostro Istituto (…) ed è sempre pronta a tutte le nostre necessità. La vera Fondatrice è la Madonna” (Così vi voglio, 157). La celebrazione della festa della Consolata è quindi un'occasione appropriata per onorare la Madre e Fondatrice degli Istituti missionari fondati dal Beato Giuseppe Allamano.
Esagereremmo se dicessimo che la festa della Consolata di quest'anno ha più valore di quelle celebrate negli anni precedenti. Tuttavia, questa festa ha qualcosa di speciale per i seguenti eventi:
La festa che celebriamo in attesa della canonizzazione di Giuseppe Allamano.
Quest'anno 2024 i Missionari e le Missionarie della Consolata celebrano la loro festa in attesa della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano. Dopo l'annuncio della Santa Sede del miracolo della guarigione dell'indigeno Sorino Yanomami, attribuito al Beato Giuseppe Allamano, non resta che attendere l'annuncio del Santo Padre sulla data della canonizzazione. Questa festa della Consolata del 2024 sarà diversa perché potrebbe essere l'ultima che celebreremo riferendoci a Giuseppe Allamano come Beato.
La festa che celebriamo nel quadro dell'anno di preghiera
Papa Francesco ha dichiarato il 2024 come “anno della preghiera” in preparazione al Giubileo del 2025. Il motivo dell'anno di preghiera è "vivere bene questo evento di grazia e sperimentare la forza della speranza" (Papa Francesco). Da quando abbiamo ricevuto la notizia dell'approvazione del miracolo, è probabile che la sua canonizzazione avvenga nell'ambito dell'anno di preghiera.
È interessante ricordare che Giuseppe Allamano è stato un maestro e un esempio di preghiera; spesso esortava i missionari sull'importanza della preghiera, sia nella loro vita personale che nell'apostolato missionario: "“ogni nostra azione, spirituale o materiale, incominci da Dio e termini in Dio. Questo è lo spirito che deve accompagnarci ogni giorno e tutti i giorni; così la nostra vita sarà veramente tutta del Signore” (Così vi voglio, N. 175). È una grazia di Dio che l'annuncio dell'approvazione del miracolo e forse la canonizzazione avvengano nello stesso anno di preghiera.
Nostra Signora Consolata è colei che identifica l'opera evangelizzatrice dei Missionari e delle Missionarie in tutto il mondo. La celebrazione della festa della Consolata è un'occasione per ringraziare il Signore per il dono del Beato Giuseppe Allamano alla Chiesa universale e la sua appassionata devozione alla Consolata è l'eredità che i missionari hanno ricevuto da lui per trasmetterla ad altri nelle missioni.
* Padre Lawrence Ssimbwa, IMC, parroco di San Martin de Porres a Buenaventura, Colombia.
Dopo tre anni di ricerca-studio, nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana in Roma, il missionario della Consolata tanzaniano, padre Thomas Leon Mushi ha difeso, questo venerdì 14 giugno 2024, la sua tesi dottorale dal titolo “La durata in ufficio del parroco religioso”.
In particolare, lo studio sulla relazione tra i canoni 522 e 682 ha conferito a padre Mushi il titolo di Dottore in Diritto Canonico.
Pubblichiamo una breve presentazione della sua tesi in questo articolo scritto dall'autore stesso.
Presentazione della tesi di dottorato in diritto canonico
L'interesse per intraprendere questo studio nasce proprio dalla mia vocazione religiosa e missionaria. Avendo incontrato vari missionari religiosi lavorando nel settore come parroci, ho coltivato l’interesse di approfondire la mia conoscenza sul ministero del parroco specificamente del parroco religioso.
Il tema però del parroco religioso è molto vasto, e quindi, grazie ai consigli del Moderatore della tesi, il Prof. Paul Armand Bosso, ho potuto restringere il campo ad un aspetto specifico e concreto. Sollecitato anche dall’esperienza acquistata dall’osservazione dei parroci religiosi nel mio paese di origine in Tanzania, nonché nelle nostre missioni in Mozambico e Portogallo, ho deciso di lavorare sull’aspetto che riguarda la “durata in ufficio”.
Il vedere i parroci religiosi spostati (rimossi o trasferiti) con facilità e dopo un breve periodo in ufficio, mi ha spinto a concentrarmi su questo aspetto con lo scopo di offrire chiarezza al riguardo, e possibilmente contribuire con uno strumento che servirebbe come manuale ai Superiori maggiori degli Istituti Religiosi nonché agli Ordinari del luogo per la fattispecie dei parroci religiosi.
Padre Thomas Mushi, Prof. Ndiaye Antoine Mignane, Prof. Bosso Armand Paul e Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia
La novità di questo studio è proprio come già accennato sta nel titolo “la durata in ufficio del parroco religioso.” Nella nostra ricerca abbiamo evidenziato che il campo di interesse sul parroco religioso è stato poco ricercato e approfondito, e molto meno sulle questioni riguardanti la durata in ufficio.
Le ragioni sono evidenti, perché dalla legge vigente non è specificata. L’espressione che la ricerca guarda con attenzione è “ad nutum superiorii” in can. 682 senza una diretta considerazione del can. 522 che mette in luce la “stabilitas” per garantire il bene delle anime. Secondo la legge attuale la provvisione ad vitam è meno frequente che della nomina ad tempus determinatum.
L'ufficio di parroco conferito ad un sacerdote religioso e la sua cessazione viene fatto secondo le disposizioni del canone 682, §§1-2. In più, nella procedura generale per la rimozione e trasferimento dall’ufficio del parroco, il religioso parroco è trattato come una eccezione. Può rimanerci 3 mesi, un anno, oppure 20 anni dipendendo dalla discrezione del suo superiore competente. Ma nessuna garanzia viene data per un tempo minimo per il bene delle anime a lui affidate.
Il nostro lavoro è diviso in tre capitoli. Il primo capitolo riguarda la configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ad un istituto religioso. In questo capitolo abbiamo cercato di approfondire la fattispecie dell’affidamento delle parrocchie agli istituti religiosi o ai chierici religiosi singolarmente. Il capitolo conclude con una particolare considerazione sulla personalità giuridica del titolare dell'ufficio di parroco e sul suo rapporto con la sua comunità religiosa e con le autorità competenti. La conclusione indica anche come risolvere la problematica della durata dalle convenzioni stipulate.
Il secondo si occupa dello status quaestionis della ricerca, cioè la durata in ufficio del parroco in generale con richiami alla considerazione giuridica, valida anche per il parroco religioso, che il parroco indipendentemente del suo status d’incardinazione è chiamato a servire il popolo di Dio in collaborazione con l’Ordinario del luogo. L’aspetto comune a tutti i parroci è “il bene delle anime”. È un capitolo di natura comparativa pensando necessariamente al rapporto tra due importanti cann. 522 e 682, §1. Entrambi i canoni trattano la durata dell'ufficio del parroco. Lo studio tocca anche il decreto Maxima cura che ha portato alle disposizioni del Codice Pio Benedettino ed altrettanto, l'apostolato dei religiosi, come raccomandato da alcuni documenti conciliari e postconciliari del Concilio vaticano II nonché l’esaminare la determinazione della durata a partire dai criteri e ruolo svolto dalle Conferenze episcopali. La conclusione indica la soluzione alla problematica considerando can. 522 nell’applicare il can. 682.
Il terzo capitolo è dedicato all'approfondimento delle fattispecie del conferimento e della rimozione di un parroco religioso nel c. 682, §§ 1-2. In questa fattispecie la nostra ricerca segue la norma del diritto come mezzo per il quale si potrà garantire la stabilitas del parroco religioso che dipende veramente dalla durata in termini dei tempi della provvisione e la cessazione d’ufficio. E per garantire la durata della provvisione, come nel primo capitolo presentiamo lo strumento di controllo, c’è la possibilità di ricorso amministrativo oppure gerarchico fino addirittura alla Segnatura apostolica.
Padre Alberto Trevisiol, Prof. Okonkwo Ernest B. Ogbonnia, padre Thomas Mushi, Prof. Bosso Armand Paul, Prof. Ndiaye A. Mignane e padre Mathews Odhiambo
Senza pretesa di esaustività della comprensione della fattispecie del parroco-religioso che ha determinato la nostra ricerca, è chiaro che l'approfondimento della conoscenza circa l'ufficio di parroco affidato ad un sacerdote-religioso, si è sviluppato proprio a partire dal contesto storico della pratica e dall'importanza dell'ufficio stesso. Sulla base dei risultati, è indicativo che il ruolo dei religiosi nella Chiesa locale è importante e positivo. In parte l’identità religiosa non cessa di esserlo grazie alle attività pastorali fuori della casa religiosa al servizio della diocesi e della Chiesa universale in generale. Seguendo l'indole del loro istituto, i sacerdoti-religiosi svolgono il loro ministero, tenendo presenti le prescrizioni dei cann. 673 e 678 §2.
Attraverso questa ricerca, abbiamo esaminato la durata di un parroco-religioso nell'ufficio dal punto di vista storico e giuridico, in modo da stabilire una possibile procedura per garantire la stabilità nell'ufficio per il bene delle anime nella Chiesa. La ricerca l'ha esaminata soprattutto dal punto di vista della configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ad un istituto religioso; osservando la realtà, ha visto che è un fatto innegabile come il numero delle parrocchie affidate agli istituti religiosi sia aumentato negli ultimi decenni in quasi tutta la Chiesa. Le ragioni sono varie, ma in generale si tratta del numero limitato di sacerdoti diocesani necessari per rispondere alla crescente necessità spirituale dei fedeli. Per questo motivo i religiosi addetti alla pastorale parrocchiale sono chiamati ad essere fedeli al carisma del proprio istituto durante tutto il tempo dell’esercizio del loro ufficio.
Padre Thomas Mushi con i confratelli della Casa Generalizia
Nella sua generalità, il diritto regola vari aspetti: la vita dei fedeli all'interno della Chiesa cattolica e la loro condotta, allo scopo di mantenere l’ordine. Tra questi aspetti, vi sono gli uffici ecclesiastici che sono affidati alle persone fisiche. La legge, nel trattare tali uffici e le persone alle quali sono affidate, non può ignorare il loro status, ad esempio, dei membri chierici diocesani, o religiosi. La dinamica dell'affidamento, anche se simile, nella sua concretizzazione varia da una Conferenza Episcopale all'altra.
Tanto per fare un esempio di ciò che è diverso, paragoniamo la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) alla Conferenza Episcopale del Tanzania (TEC) per cui l'una (la prima) nella sua dinamica comprende anche la retribuzione dei titolari degli uffici ecclesiastici, come del parroco, mentre l'altra (la seconda) cerca effettivamente l'aiuto dei titolari degli uffici senza garanzia di retribuzione, In realtà, può essere il contrario, che i titolari dell'ufficio ecclesiastico cerchino anche i mezzi per sostenere il loro lavoro e le loro iniziative pastorali e aiutare i bisognosi all'interno del territorio. Quindi, in entrambe le realtà i sacerdoti lavorano per lo stesso scopo, ma la considerazione data agli operai è diversa a seconda delle circostanze, o del migliore contesto economico. Con questa preoccupazione siamo d'accordo sul fatto che «la legge universale, nella sua generalità, non può prevedere tutte le eventualità. Occasionalmente ci sono mancanze, incompletezze, inadeguatezze, casus omissus e persino lacune all'interno del corpo legislativo». (J. O. Okello, La potestà dei superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto pontificio di dispensare dalle leggi generali e proprie, PUB Roma 2021, 801.
Il conferimento dell'ufficio parrocchiale ad un religioso da parte del Vescovo diocesano non può essere eseguito senza la presentazione, o almeno il consenso del Superiore religioso competente (cf. can. 682, §2). Attraverso questa procedura il religioso-parroco diventa soggetto al Vescovo diocesano in tutte le questioni di pastorale delle anime e al suo Superiore competente per quanto riguarda il suo stato religioso e l'istituto di appartenenza. Inoltre, lo stato religioso non è di per sé incompatibile con il ministero parrocchiale. Ciò che è veramente importante è cercare il modo corretto attraverso il quale i religiosi possono esprimere e vivere il carisma del proprio istituto religioso mentre esercitano il loro ministero parrocchiale. Il ministero pastorale dei religiosi sarà certamente influenzato dal loro carisma, specialmente dallo stile di vita spirituale e pastorale a cui sono chiamati da Dio mediante la loro vocazione.
Concretamente, si è cercato di mostrare la configurazione giuridica dell'affidamento di una parrocchia ai religiosi, così come è stata esaminata nell'impostazione del rapporto tra due canoni (682 e 522), dando alcune possibili ragioni per cui il can. 682 sembra mancare di qualcosa quando tratta della questione dei limiti temporali della nomina di un religioso a parroco. Questo lavoro ha messo in luce le informazioni che dovrebbero essere contenute; in particolare, quella su quanto tempo un parroco religioso dovrebbe rimanere nell'ufficio.
Questa “ambiguità” è radicata in tutta la dinamica della nomina, del trasferimento e/o della rimozione di un religioso dall'ufficio. Ciò è dovuto al fatto che i poteri del superiore competente per tali atti amministrativi sono incontrollati e ciò può dare spazio a possibili abusi della potestà discrezionale. La durata della nomina di un parroco-religioso alla luce del rapporto tra due importanti canoni (c. 522 in relazione al c. 682 §1) pone la domanda: «Qual è la ragione necessaria perché un parroco sia stabile nel suo ufficio?». Lo scopo raggiunto è stato la determinazione di ciò che conta davvero: il bene delle anime e quello del titolare d’ufficio.
Da questo studio di ricerca, abbiamo visto che chiaramente la legge deve garantire entrambi: il bene delle anime e il bene del titolare dell'ufficio. Il Concilio vaticano II ha profondamente modificato sia il concetto di ufficio, in cui il servizio delle anime è il fine principale (cf. la definizione di ufficio in Presbyterorum ordinis, 20), sia la ragione della stabilità, che è soprattutto il bene delle anime. Il Concilio Vaticano II si esprime così: «I parroci nelle loro parrocchie devono poter godere di quella stabilità nell'ufficio che il bene delle anime richiede». Non si dovrebbe, perciò, fare distinzione tra parroci; è sempre meglio che tutti siano trattati allo stesso modo e per lo stesso obiettivo. Possiamo quindi, senza dubbio, essere d'accordo sul fatto che la ragione della stabilità è il bene delle anime. I parroci, siano essi religiosi, o diocesani, devono poter godere di quella stabilità nel loro ufficio, che il bene delle anime richiede (Cf. F. Coccopalmerio, La parrocchia. Tra Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico, 165).
In effetti, il ministero di un parroco-religioso non è diverso da quello di un parroco diocesano. Esso si avvale dei compiti specifici della responsabilità della parrocchia, delle sue peculiari funzioni di culto e di evangelizzazione, della paterna guida dei fedeli, nonché dei vari compiti amministrativi connessi con la gestione quotidiana delle risorse della parrocchia e delle varie attività caritative. Il fattore di fondo è il fatto che il munus del parroco è essenzialmente di natura pastorale come affermano alcuni canonisti, si dovrebbe porre maggiore enfasi sull'obiettivo centrale che è la collaborazione con il vescovo nella nobile missione della cura delle anime. Il bene delle anime deve essere al primo posto nella scala dell'importanza, cioè, deve essere preso come un indicatore indispensabile al di sopra del bene dell'istituto religioso.
L'attuale Codice tace (in parte) sulla procedura di rimozione o trasferimento di un parroco-religioso. Considera solo ad nutum superioris ciò che è sotto la discrezionalità dei competenti superiori. Siamo del parere che ci debba essere un trattamento equo di tutti i parroci, indipendentemente dal loro status. Questo dovrebbe essere preso in seria considerazione perché non è solo il superiore religioso competente che può rimuovere, ma anche il vescovo e i suoi equivalenti. Questa considerazione garantirebbe il raggiungimento e la permanenza del fine supremo della cura pastorale, che è il bene delle anime. Così, il parroco-religioso dovrebbe essere considerato nel processo di rimozione descritto dai cc. 1740-1747 in modo esplicito, piuttosto che essere trattato come eccezione, ad nutum (cf. can. 682).
La responsabilità di colmare le lacune delle leggi universali e proprie ricade nelle mani di coloro che esercitano il potere pubblico all'interno della Chiesa. Ai sensi del can. 19 del Codice del 1983, sia il Legislatore universale che le competenti autorità interne con funzioni legislative ed esecutive all'interno degli istituti di diritto pontificio hanno il dovere di colmare queste lacune per una migliore amministrazione da parte dei Superiori e per la tutela dei diritti individuali all'interno degli istituti contro ogni forma di abuso di autorità. È nostra convinzione che le autorità responsabili rivedranno la legge universale in modo da colmare le lacune delle leggi che regolano il parroco-religioso.
Inoltre, I Capitoli Generali hanno un ruolo inevitabile per stabilire con chiarezza la prassi dell'affidamento delle parrocchie e la responsabilità dei superiori competenti di nominare i parroci, che saranno istituiti dagli Ordinari del luogo. Dovrebbe esserci anche la possibilità di rivendicare i propri diritti in caso di violazione della legge in procedendo o decernendo. La Santa Sede rimane responsabile di fornire le norme generali da seguire per la produzione di atti amministrativi singolari e le procedure per la rivendicazione dei diritti attraverso il ricorso amministrativo, o gerarchico ogni tal volta che i diritti dell'individuo sono stati violati.
E in fine, cosciente del principio “Ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus”, la ricerca fa delle proposte concrete per la soluzione del problema della durata in ufficio d’un parroco-religioso:
i) Che la durata sia specificata nella convenzione, richiamando i superiori competenti affinché rispettino i tempi definiti dalla Conferenza Episcopale del luogo, oppure stabilire il tempo determinato per la provvisione con una clausola specifica.
ii) Nel canone della provvisione dell’ufficio stesso si faccia un richiamo al can. 522 (per esempio: can. 682 2 sarebbe così: «Salvo restando le disposizioni del can. 522, il religioso può essere rimosso dall'ufficio conferito, a discrezione sia dell'autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatane l'autorità committente; nell'uno e nell'altro caso non si richiede il consenso dell'altra autorità,».
iii) Che il parroco-religioso sia trattato in modo uguale agli altri parroci per la rimozione, o il trasferimento dall’ufficio e non, invece, come un’eccezione, tutelando il bene dell’anime e non dell’istituto religioso. E, in tutto questo, è opportuno che i parroci stessi siano al corrente dello strumento di controllo a loro disposizione, cioè il ricorso amministrativo e gerarchico per potersene avvalere in caso di violazione di diritto in procedendo o decernendo.
* Padre Thomas Leon Mushi, IMC, è missionario tanzaniano dottore in Diritto Canonico.
Casa Generalizia IMC a Roma
In occasione del centenario della presenza delle Suore missionarie della Consolata in Etiopia (1924-2024), offriamo alcune spunti di lettura per comprendere il contesto storico che i missionari e le missionarie hanno incontrato all’inizio della loro discreta e rispettosa presenza in questo grande Paese dell'Africa orientale.
La missione è un dono che ci spinge a donarci agli altri. Il cuore missionario anela alla missione e non riposa mai fino a quando non ha raggiunto il suo scopo.
Il Beato Giuseppe Allamano pur non essendo mai stato in Etiopia, con la mente e con il cuore, nutriva un forte desiderio di arrivarci per conoscere quel popolo e continuare l’opera di evangelizzazione cominciata dal grande vescovo missionario, il cappuccino Guglielmo Massaia, che l’Allamano aveva avuto modo di incontrare e ascoltare. Fu impressionato da quell’incontro, un ricordo indelebile a cui continuamente ritornava per rinnovare lo zelo e la passione per quelle terre battute dal grande vescovo missionario.
Un fuoco era stato acceso per non spegnersi mai più, il fuoco della missione. Guidato dallo Spirito Santo e dalla Santissima Vergine Consolata, sostenuto dal cardinale Richelmy e dal suo amico e collaboratore Camissasa, nel 1901 l’Allamano fondò l’Istituto dei Missionari della Consolata e nel 1910 le missionarie che potessero raggiungere la tanto sospirata terra di Etiopia.
Il primo gruppo delle missionarie della Consolata in Etiopia. Foto: Archivio MC
I primi missionari non riuscirono a raggiungere quella meta e furono costretti, fin dai primi momenti, a ripiegare in Kenya nella speranza che circostanze più favorevoli potessero favorire il passaggio della frontiera. Dal Kenya, Mons. Perlo, incaricato di eseguire il piano di apertura della nuova missione, dava una mano a Mons. Gaudenzio Barlassina per cercare una via d’ingresso al Kaffa in Etiopia.
Solo dopo alcuni anni di pazienza e ripetuti tentativi nel 1914 un piccolo gruppo guidato da padre Angelo Dal Canton partiva per l’Etiopia ma dovette rimanere per diversi mesi a Moyale, sul confine tra Kenya e Etiopia, in attesa di ottenere i documenti necessari per entrare. Nel frattempo, il Camisassa, da parte sua, era in stretto contatto con le autorità italiane in Addis Abeba, perché in quell’epoca le missioni erano considerate non solo opere religiose e di civilizzazione, ma anche avamposti di “italianità”.
Alla fine, il padre Canton ricevette un permesso di soggiorno a Burgi, al confine con il Kaffa nella parte meridionale dell’Etiopia, ma l’anno anno seguente fu costretto a lasciare il paese per varie ragioni, di carattere religioso e politico.
Nel frattempo, i missionari in Kenya continuavano a cercare nuove vie per raggiungere l’ambita meta e anche l’Allamano asseconda e accompagna questo loro impegno. Era talmente fiducioso che quel “sogno” potesse realizzarsi che fece partire Mons. Barlassina per il Kenya, dove arrivò nel mese di febbraio 1915 con l’intento di proseguire, superati gli ostacoli burocratici, per il Kaffa.
Mons. Barlassina era un missionario coraggioso e determinato, creativo e visionario al punto che escogitò una nuova strategia di ingresso in Etiopia. Prima di tutto seguì un altro itinerario: da Mombasa passò per Mogadisco, Aden e Gibuti per giungere finalmente ad Addis Abeba nella notte di Natale del 1916. L’autorità locale, incuriosita, indagava clandestinamente chi fosse questo “strano personaggio”: un militare travestito, una spia tedesca, un agente di commercio oppure un giornalista?
Mons. Barlassina incontrò il Principe Tefarì Mekonnen (il futuro imperatore Haile Selassiè I) e presentò delle motivazioni umanitarie come ragione del suo ingresso in Etiopia: la formazione intellettuale e morale del popolo etiope attraverso l’agricoltura e il commercio. Dopo aver ottenuto dal capo locale, per sé e per i suoi due compagni, una licenza commerciale scritta, Barlassina iniziò così, in modo clandestino, l’attività missionaria presso la Prefettura apostolica del Kaffa.
Alcune Missionarie della Consolata dell'Etiopia
Nel 1924 arrivano anche le suore missionarie della Consolata che appunto quest’anno festeggiano il centenario della loro presenza evangelizzatrice e della missione di consolazione in Etiopia, portando a compimento il sogno del nostro padre Fondatore Giuseppe Allamano.
I missionari e le missionarie nel loro modesto inizio erano consapevoli, a differenza di altre situazioni in Africa, che era necessaria una buona dose di umiltà, di rispetto e di ascolto per non irritare i sacerdoti della Chiesa locale o risvegliare l’animosità dei capi locali in una nazione che aveva una Chiesa ortodossa con una tradizione apostolica millenaria, con dei propri libri sacri, manoscritti antichi, templi, teologia, letteratura e un proprio rito liturgico.
Gradualmente, con il passare degli anni, il sogno del Fondatore prende corpo nella creazione di diverse stazioni di missione: Ghimbi, Billo, Anderacha, Umbi, Magi, Komto, Melka Oda, Guder, Cianna, Gimma, Bonga, etc.
A causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale e del conseguente conflitto italo-etiopico, queste missioni rimarranno abbandonate per circa trent’anni: tutti i missionari e le missionarie furono espulsi dal paese. Padre Gaudenzio Barlassina aveva fondato le Suore Ancelle di Maria Consolata che continuarono una presenza che durò fino al ritorno delle missionarie della Consolata nel 22 agosto 1974. Alcuni missionari rientrano come cappellani dell’esercito di invasione italiano oppure come interpreti. Ma che questa fosse una scelta saggia di Mons. Barlassina è tuttora discutibile!
Messa nella Festa del Fondatore 2024 con la partecipazione della Direzione Generale, dei seminaristi, missionari e missionarie della Consolata.
Dopo la tragedia della guerra, si prospetta l’alba di un faticoso nuovo inizio. Espulso durante la guerra, l’Istituto dei Missionari della Consolata dovrà lottare per ritornarci. Negli anni 60 lavorava a Nyeri nel Kenya, padre Giovanni de Marchi, italiano, proveniente dagli USA e in possesso di passaporto americano. Come un degno figlio dell’Allamano, anche padre de Marchi sognava si riportare l’Istituto in Etiopia e questo avvenne agli inizi degli anni ’70 grazie al suo impegno e all’incontro del Superiore Generale, padre Mario Bianchi con l’imperatore Hailè Selassiè in visita a Torino.
I primi sette missionari protagonisti di questa miracolosa “alba di un nuovo giorno”, entrarono nel paese sottoforma di “promotori di progetti di cooperazione allo sviluppo” e furono i seguenti: Giovanni De marchi, Lorenzo Cavallera, Lorenzo Pietro Ori, Silvio Sordella, Antonio Vismara, Domenico Zordan e Tarcisio Rossi. Nel 1974 anche le missionarie della Consolata li raggiungeranno per riprendere il loro servizio nella pastorale degli ammalati, delle donne e della gioventù.
Attualmente i missionari della Consolata sono presenti nell’archidiocesi di Addis Abeba (Addis Abeba, Modjo), nel vicariato Apostolico di Meki (Weragu, Gambo ed Halaba). Grazie a Dio continua la fioritura di vocazioni missionarie locali: sono circa 20 i missionari della Consolata Etiopici che lavorano in tre continenti e c’è un buon numero di seminaristi nelle case di formazione. Ugualmente, abbiamo parecchie Suore Missionarie della Consolata etiopi sparse nel mondo.
Dopo il tramonto viene sempre un’alba nuova! Dopo la tempesta, riappare il sole! Auguri!
* Padre Ashenafi Yonas Abebe, IMC, studia storia della Chiesa a Roma.