Dopo qualche giorno dedicato alla spiritualità, la seconda parte dell'incontro dei Missionari della Consolata che lavorano in Asia è stata caratterizzata dalla Conferenza Regionale che si è svolta dal 15 al 18 ottobre 2023. In particolare il martedì 17 ottobre si è eletto il nuovo Superiore Regionale: P. Clement Kinyua Gachoka. Lui svolgerà il suo servizio insieme con coloro che già facevano parte del consiglio: P. Kyoung Ho (Pietro) Han, come Vice Superiore Regionale, e P. Dieudonné Mukadi come Consigliere. La conferenza si è conclusa la sera di mercoledì 18 ottobre con un intervento della Direzione Generale che ha sottolineato l'importanza del promuovere lo spirito di fraternità e l'impegno a favore della missione. In particolare p. James Lengarin, Superiore Generale, ha sottolineato l'unicità della regione asiatica e la necessità di una riflessione personale e comunitaria sulla nostra identità e missione ad gentes.
Dopo la conferenza alcuni missionari sono ritornati nelle loro comunità e luoghi di lavoro ma il gruppo dei più giovani, con meno di dieci anni di ordinazione, si sono recati al Seminario Maggiore Cattolico di Taipei, dove hanno iniziato un incontro di formazione permanente di tre giorni. Si trattava di condividere le sfide che la missione dell'Asia offriva loro e pensare anche a possibili risposte, strategie e soluzioni.
In un primo momento abbiamo ascoltato le nuove esperienze di p. Matthews Odhiambo IMC, di p. Raphael dell'arcidiocesi di Taipei e di Augustine, un laico cristiano convertito dal buddismo.
Sabato 21 ottobre è stata l'occasione di una gita di carattere culturale nella città di Taipei: abbiamo visitato il Tempio di Confucio; il Chiang Kai-shek Memorial Hall (costruito in onore di Kai Shek, lider nazionalista cinese e artefice dell'attuale -e conflittiva- "indipendenza" di Taiwan) e anche l'iconico edificio Taipei 101, il più alto di Taiwan e uno dei più alti al mondo.
Domenica 22 ottobre, giornata missionaria mondiale, abbiamo partecipato alla Messa con gli immigrati filippini a Zhongli, nella diocesi di Hsinchu. Con loro abbiamo celebrato questa domenica con respiro universale e il padre Kenneth Oriando nell'omelia ha detto: "Grazie al Battesimo, tutti siamo missionari; anche voi migranti dalle Filippine, dovete usare il dono della fede che avete ricevuto dallo Spirito Santo per testimoniare Cristo a Taiwan. Oggi, voi e noi sacerdoti siamo missionari a Taiwan". Il gruppo ha poi condiviso il pranzo con gli immigrati e sono ripartiti per la Corea e la Mongolia i missionari che lavorano là.
È stato un momento meraviglioso per pregare, pianificare, condividere, scherzare e sognare insieme come fratelli. Il salmista dice meglio: "Quanto è bello e piacevole quando i fratelli vivono insieme nell'unità!" (Salmo 133). Grazie a tutti.
P. Ashenafi Yonas Abebe è arrivato in Polonia nel primo gruppo di missionari della Consolata che hanno raggiunto questo paese. La nostra presenza, decisa nel capitolo del 2005, è iniziata nel 2008, con tre missionari, accompagnati inizialmente dalla Direzione Generale, che hanno dovuto avvicinarsi a una cultura, una lingua lontane da quelle dei loro paesi di origine e i paesi in cui si sono formati. Padre Ashenafi era uno di loro.
Originario dell’Etiopia y formato negli ultimi anni della teologia in Colombia, appena ordinato ha accettato la sfida di una missione nuova e così impegnativa. In quella c’è stato quindici anni vivendo le incertezze, i discernimenti, le riflessioni, le scelte che hanno accompagnato il sorgere della comunità dei Missionari della Consolata in quel paese europeo. Oggi una presenza missionaria e significativa per tutti noi. L’abbiamo sentito nella comunità di Roma dove è giunto pochi mesi fa per studiare Storia della Chiesa e prepararsi ad un altro servizio per l’Istituto.
La decisione di aprire in Polonia è stata presa dal capitolo del 2005 e si è cominciato con un gruppo di tre missionari, fra i quali c’ero anch’io, che si è recato in quel paese alla fine del 2008. La data dell’apertura forse non è stata la più fortunata. Sono nato in Etiopia e mi sono formato nell’ultima tappa della mia vita come seminarista in Colombia, quindi al caldo, in paesi abitati da gente solare, come il loro clima. Dalla mattina alla sera siamo “atterrati” in un contesto che non poteva essere più diverso. Per trovare la gente bisognava scavare sotto cappotti, sciarpe e berretti che lasciavano intravedere solo gli occhi che, per motivo della loro storia, guardavano sempre con sospetto tutti gli stranieri.
È tragica la storia di questa nazione. Convertita al cristianesimo già nel decimo secolo ha fatto sempre da cuscinetto fra due grandi nazioni con antiche tradizioni imperialiste: la nazione tedesca e quella Russia. Imperi che si sono fronteggiati e spesso si sono anche spartiti il territorio della Polonia. Dal 1795, i tempi della rivoluzione francese, fino alla fine della prima guerra mondiale letteralmente sparì dalla carta geografica divisa fra Russia, Prussia e Impero Austro Ungarico. La sua essenza così radicalmente cattolica ha permesso in qualche modo preservare la cultura e le tradizioni indenni dalle contaminazioni dei paesi occupanti di religione ortodossa e protestante. Precisamente per questo motivo la chiesa in Polonia ha una consistenza che non si trova in altre regioni dell’Europa e, può sembrare strano ma è vero, anche i risultati delle ultime votazioni fanno vedere i segni dell’antica spartizione, si vota in modo diverso nelle diverse regioni.
Il gelo che abbiamo percepito nei primi giorni poi poco a poco si è sciolto e al suo posto abbiamo scoperto gesti sorprendenti si solidarietà e vicinanza: famiglie che si facevano in quattro per aiutare, che prestavano la macchina perché noi non l’avevamo, che cominciavano a frequentare anche la nostra cappella, anche quella provvisoria che abbiamo avuto in una tenda che in inverno andava abbondantemente sotto zero... noi chiusi in casa per non congelarci e loro là che recitavano con devozione il santo rosario davanti all’immagine della nostra Consolata.
Dobbiamo evidentemente ringraziare i Missionari Comboniani che ci hanno accolto nella loro casa quasi due anni, mentre facevamo i primi passi impegnativi e difficili anche a causa di una lingua niente affatto facile. Ma poi poco a poco abbiamo cominciato ad aprirci spazio soprattutto nel mondo giovanile che, a differenza di quel che succede in altri paesi, vive e anche cerca una spiritualità profonda e spesso esigente. Con loro bisognava preparasi bene, la nostra prima attività “aperta al pubblico” è stata la Lectio Divina e partecipazione annuale al pellegrinaggio Mariano a Czestochowa. Ne venivano tanti ma se non ti preparavi come dovuto non tornavano più.
I giovani, sotto tanti punti di vista, sono stati l’attrattivo di questo paese. Bisogna ricordare che fino alla caduta della cortina di ferro (1989) nessuno poteva uscire dalla Polonia e quasi nessuno poteva avere il passaporto... solo i rappresentati del Partito Comunista e le persone in diverso modo legate ad alcuni incarichi nella Chiesa che di fatto hanno contribuito in modo importante al cambio accelerato che è venuto a continuazione, Giovanni Paolo II ne è l’esempio lampante. È arrivato il tempo della democrazia, è arrivato l’ingresso all’Unione Europea e sono stati soprattutto loro, i giovani, quelli che poi sono usciti, hanno fatto fortuna a volte, hanno riportato in patria capitale ed idee... stanno oggi cambiando il paese.
Di giovani ne abbiamo avuti quando ci siamo avvicinati alle parrocchie dove tradizionalmente si celebrano alcuni giorni di esercizi spirituali durante l’avvento e la quaresima una volta all’anno; quando abbiamo aperto la nostra tenda e poi la nostra cappella per le celebrazioni liturgiche; quando siamo stati accolti nelle scuole per raccontare la nostra vita e la nostra missione; quando –questa è stata la mia esperienza personale– sono diventato professore nell’università, insegnante di tradizioni, religione e culture africane preso la Facoltà Orientale della Università di Varsavia; quando ci siamo fatto presenti e abbiamo accompagnato i loro tradizionali pellegrinaggi... che si fanno non con i mezzi di trasporto ma a piedi, macinando chilometri; quando abbiamo offerto loro anche la possibilità di aprirsi a esperienze di volontariato missionario internazionale. Oggi i giovani stanno comunque cambiando: evidentemente sono diventati più europei e simili ai loro coetanei degli altri paesi del continente. Hanno assunto ideali nuovi, vivono sogni davvero diversi da quelli dei loro genitori, si mantengono ancora attaccati alla loro chiesa ma con atteggiamenti più critici, almeno si lasciano interrogare dalla nostra esperienza missionaria e dal nostro modo di essere chiesa, così diverso dal loro e da quello che hanno sempre vissuto.
Noi Missionari della Consolata cosa possiamo portare a questo paese e a questa chiesa così solida, consistente e sotto tanti punti di vista abituata o incluso obbligata ad essere autosufficiente? La risposta è una sola, noi stessi, la nostra ricchezza, la missione.
Di missione parliamo o cerchiamo di parlare tutto il tempo, ci siamo anche avvicinati e facciamo parte delle Pontificie Opere Missionarie e quella collaborazione aiuta non poco la nostra visibilità. Il lavoro è tanto: c’è da scalfire l’idea che la missione sia semplicemente la Giornata Missionaria Mondiale per mezzo della quale si collabora con le chiese lontane delle quali non si sa quasi niente ma che in qualche modo hanno bisogno del nostro aiuto; c’è da cambiare la percezione di cosa sia la chiesa che in Polonia per motivi storici è legata a doppio filo con la nazionalità polacca; dobbiamo anche “vendere” una immagine nuova dello stesso ministero sacerdotale così legato in Polonia a tradizioni sacrosante e così sacralizzato da riti, ruoli e perfino talari.
In questo ci hanno aiutato anche i seminaristi di Roma... loro stanno cominciando ad andare là per esperienze e studi. Anche la loro presenza aiuta ad aprire gli occhi ed aprire il cuore verso una chiesa che non è polacca, ma è cattolica e universale.
Questa missionarietà che vogliamo insegnare, evidentemente, la dobbiamo in qualche modo vivere noi stessi. Per quello abbiamo sempre preso l’occasione che ci è stata offerta di visitare e intervenire anche in chiese limitrofi: nei tre paesi baltici, in Bielorussia e anche in Ucraina. A motivo della guerra, che in Polonia risveglia spettri che non si vogliono affatto ricordare, abbiamo collaborato con la straordinaria solidarietà che ha accolto migliaia di profughi e ha portato conforto a tanti che sono rimasti nel paese sotto il fuoco nemico. Attualmente l’Istituto Missioni Consolata è ancora particolarmente coinvolto con la situazione dell’Ucraina e continua la sua missione di consolazione e aiuto materiale con i missionari presenti in Polonia. Sono due le comunità presenti in Polonia: una a Kielpin vicino a Varsavia e l’altra a Bialystok nei pressi della frontiera con la Bielorussia. I missionari presenti in questo momento sono sei e, curiosamente, di sei paesi diversi: Italia, Kenia, Mozambique, Congo, Argentina e Tanzania. Anche questa è una grande ricchezza che possiamo offrire per una chiesa locale che ha bisogno di far crescere al suo interno la dimensione missionaria della chiesa universale.
Durante la festa fatta in Casa madre nel pomeriggio del 20 settembre 1923, durante i festeggiamenti per il 50° di sacerdozio dell'Allamano, p. Tommaso Gays pronunciò un famoso discorso, stampato in seguito come opuscolo e distribuito a tutti i missionari e missionarie. Questo discorso può essere considerato come la “prima commemorazione ufficiale” del nostro Fondatore; molto lungo nell’originale, lo riportiamo abbreviato, ma senza ritoccarne lo stile proprio dell'oratore, piuttosto solenne e aulico.
Oggi, sul declinare della mia vita missionaria e in quest'aula satura di tanta letizia, assisto a ben altra festa; a festa più solenne e più rara, per la ricorrenza cinquantenaria di Ordinazione di un illustre ed intemerato Sacerdote, del Prelato più venerando della Chiesa Torinese; più intima, festeggiando chi, per avermi procurato la fortuna di partire missionario, mi è amatissimo e veneratissimo Padre; più significativa, perché oggi, innanzi al proprio Fondatore, si prostra riverente e grato lo stesso Istituto, promettente e vigoroso.
E questa festa, che non segna una tappa nello sviluppo, ma rivela l'opera riuscita e ormai adulta, vorrebb'essere un inno di riconoscenza, di esultanza, di speranza e di conforto.
Dirò della grandezza del Padre incomparabile rivelata da quella dell'opera-sua.
Tra voi, o carissimi virgulti dell'amato Istituto, s'è formata un'idea inesatta, un concetto erroneo, che oggi almeno dev'essere chiarito e corretto, ed è che il nostro Veneratissimo Superiore Generale sia grande perché ci è fondatore e Padre. Non nego che sia anche così: ma unicamente così, no, non è secondo verità. Egli era grande prima che l'Istituto sorgesse.
Già in Seminario, tra i compagni di corso è additato con singolare rispetto e generale ammirazione; non appena è Sacerdote gli si affida la cura degli alunni di cinque corsi teologici, nella carica di Direttore Spirituale del Seminario Metropolitano. A Lui, giovane, viene poi affidato il Santuario della Consolata e da S. Francesco il Convitto Ecclesiastico è traslocato alla Consolata, ed ecco Egli esserne, il Rettore e a 25 anni. La Facoltà Teologica Pontificia l'accoglie tra i suoi Dottori; il Collegio degli Esaminatori Sinodali lo novera tra i suoi membri; il Senato Arcivescovile lo elegge Canonico effettivo; e nell' Archidiocesi ogni commissione di studio o d'azione, ogni Comitato d'onore lo novera sempre fra i suoi.
Ma queste non sono che cariche accollategli; date uno sguardo al suo lavoro personale. Sarebbe sufficiente quello compiuto durante il suo rettorato alla Consolata per rilevare la sua grandezza.
Carissimi, quanti tesori di grazie... e quindi quanti tesori di operosità non avrà versato la SS. Consolata nell'animo del nostro amatissimo Padre, nei 43 anni di Rettorato nel suo Santuario? Ma qui non è opportuno scrutare ciò che la SS. Vergine diede a Lui; vorrei piuttosto farvi osservare ciò che Egli diede alla grande Patrona di Torino.
Rifece il suo Tempio quasi dalle fondamenta, rivestendolo di ori e di marmi da renderlo una reggia; e regalmente ricostruendo il Santuario, coll'inappuntabile funzionamento, colla copia di Sacerdoti, di Confessori, di frequenti Messe..., coll'esattezza d'orario, coll'ordine e'colla nettezza mirabile ne ridesta la devozione e vi attira Torino ed il Piemonte; e riaccendendo la devozione alla Consolata nei Piemontesi, colla mensile pubblicazione del Periodico, la diffonde in molte altre parti d'Italia, e particolarmente nell'America Meridionale.
Questo, tuttavia, s'impicciolisce se noi l'avviciniamo al suo lavoro quale Rettore del Convitto, vale a dire considerandolo come educatore del Clero. Per la sua singolare pietà, dottrina, prudenza, largamente conosciuto, innumeri furono le anime da Lui dirette nella via del bene...; molti furono quelli che versarono nelle di Lui mani validi e copiosi mezzi di opere buone; molti furono gli uomini noti ed insigni che aggiustarono con Lui le partite dell'anima propria dopo una vita areligiosa e liberale. E già tanta era allora la potenza della sua grandezza, da poter nel 1895, sul semplice suo nome far iniziare la causa di Beatificazione del Venerabile suo zio materno, Don Giuseppe Cafasso.
E tutto questo, fratelli, non ha a che fare col nostro carissimo Istituto..., tutto è antecedente alla sua Fondazione.
Ma, dunque, mi direte, non gli aggiunge nulla la nostra fondazione? Nulla? Tutto! Essa forma la sua vera grandezza.
La nostra fondazione non è un'opera, direi, transeunte, come tutte le altre innumeri da Lui compiute. Nel suo Istituto, nell'opera sua per eccellenza, nelle successive generazioni di noi, incalzantesi, Egli sarà sempre, e non solamente vivo, ma in un continuo crescendo di grandezza, di operosità e di fama. Per questo suo monumento Egli vivrà grandeggiando nella Chiesa di Dio, come vivono e grandeggiano i Cottolengo e i Don Bosco.
Genitore fecondissimo, in Cristo e nella Consolata, di una legione di Figlie e di Figli affezionati e devoti... gli sia lecito, a nome dei Figliuolini che gli affidasti, ed in rappresentanza ancora degli altri numerosi e lontani del Kenya, del Kaffa e dell'Iringa, gli sia lecito esprimerti la loro comune gioia per la tua grandezza e per quella dell'opera tua, di attestarti il loro immensurabile santo orgoglio di essere-tuoi figli e di formulare un augurio, quello che il Padrone della Messe, per intercessione della Consolata, a nostro conforto, a gloria sua e della sua Madre Santissima... «Ti conceda gli anni di Sant’Alfonso» [morto a più di 90 anni; n.d.R.].
Sì, noi vogliamo che Tu viva ancora e viva a lungo. Noi vogliamo la tua vecchiaia singolare e rara, piena di giocondità e di pace; che qualora avesse da essere provata da infermità od incomodi, non ti sia d'impedimento a compiere la tua alta Missione, e sempre si accompagni con una perenne giovinezza di mente e di cuore. Per molti anni ancora noi vogliamo contemplare la tua testa aureolata dai candidi capelli... il tuo aspetto nobile e venerando che in certi momenti assume una maestosa fierezza di signorilità e di comando.
Noi vogliamo per molti anni ancora godere l'effluvio della. tua vita immacolata e santa, udire la tua parola incoraggiante e paterna, attingere ai tuoi insegnamenti. Sì, per molti anni ancora sì, per molti anni ancora, noi vogliamo poterti avvicinare baciarti la mano benedicente, e chiamarti: «Padre!».
E a formulare questo voto del cuore sono con noi le migliaia di anime inviate al Cielo dai tuoi Missionari e dalle tue Missionarie col Battesimo; le centinaia di bambini strappati all'ingordigia della iena e di schiavi liberati dalle catene; le migliaia di fervorosi ed esemplari Cristiani delle tue tre fiorenti Missioni; le anime candide dei Seminaristi neri e delle aspiranti indigene; i quindicimila abbonati al Periodico “La Consolata” e tutti, tutti... tutti i presenti!
Padre incomparabile, accetta i nostri auguri... unisciti a noi a renderli efficaci colla preghiera e benedici noi tutti oggi, con una particolare benedizione.
Sì, benedici noi, perché ce lo meritiamo.
Sì, benedici noi, perché siamo la parte viva e palpitante dell'opera tua.
Sì, benedici noi, perché siamo trecento. Trecento! o Padre fortunato.
Come gli Spartani alle Termopili... e per Te... tutti eroi!
Dal 7 al 19 ottobre 2023, i Missionari della Consolata che lavorano in Asia si sono riuniti a Taiwan per gli Esercizi spirituali e la celebrazione della loro Conferenza Regionale. In tutta la Regione sono 20 e distribuiti in tre paesi: Corea, Taiwan e Mongolia.
I primi ad arrivare per questi incontri sono stati il Vice Superiore Generale Padre Michelangelo e padre Luca Bovio, predicatore degli Esercizi. Sono arrivati giovedì 5 ottobre e, due giorni dopo, anche i missionari provenienti dalla Mongolia e dalla Corea. Tutti i missionari sono stati ospitati a Hsinchu, nella città e diocesi nella quale viviamo.
Domenica 8 ottobre tutti hanno avuto l’opportunità di partecipare alla messa in lingua cinese distribuendosi in tre diverse parrocchie dove lavoriamo come Missionari della Consolata. Dopo le viarie celebrazioni eucaristiche ed il pranzo, ci siamo trasferiti a Kaohsiung, a quattro ore di distanza, nel luogo dove si sarebbero svolti gli Esercizi e la Conferenza Regionale.
Gli Esercizi sono stati guidati dal Padre Luca Bovio, missionario che lavora in Polonia. Lo ha fatto partendo dal tema della “missione” come “chiamata” e come “testimonianza di vita”; seguendo Cristo come modello e vivendo come Lui il nostro servizio missionario. Padre Luca ha anche sottolineato che “la missione precede il missionario”.
Venerdì 13 ottobre, alla fine dei giorni degli Esercizi, un breve incontro è stato destinato alla presentazione della difficile situazione della guerra in Ucraina; padre Luca ci ha narrato i diversi viaggi che ha compiuto per portare solidarietà a questa martoriata nazione.
Sabato 14 ottobre tutti i missionari, con il Superiore Generale e il suo Consiglio, che erano arrivati alla sera precedente, ci siamo messi in viaggio per visitare il Monastero Fo Guang Shan, il più grande tempio buddista di Taiwan, nella città di Kaohsiung, luogo è famoso e molto frequentato perché conserva la reliquia di un dente di Sakyamuni Buddha.
Domenica 15 è iniziata ufficialmente la Conferenza Regionale con un intervento del vescovo di Hsinchu Lee John Baptist che ci ha presentato la realtà pastorale della sua diocesi e quella di Taiwan in generale.
Martedì 17 ottobre i partecipanti alla Conferenza hanno anche eletto come nuovo superiore della Regione Asia il padre Gachoka Clement Kinyua.
La conferenza si concluderà giovedì 19 ottobre e poi i missionari fino a dieci anni di ordinazione si recheranno a Taipei per due giorni di formazione continua. Dopodiché ognuno tornerà alla sua missione nei rispettivi paesi.
La mia missione in Mozambico è cominciata nell’anno 2011, subito dopo la mia ordinazione. Ricordo che quando ero stato destinato al Mozambico mi era risultato difficile accettare questa destinazione. Sognavo poter lavorare nel mondo indigena in America Latina, dove mi ero formato e che avevo in vari modi frequentato nel corso della mia formazione di base.
Chi mi ha aiutato ad accettare la destinazione e mi ha dato una chiave per impegnarmi alla missione è stato il padre Bonanomi che per anni aveva lavorato con gli indigeni a Toribío e da poco, a causa dell’età e la salute, si era allontanato da quella missione. Lui mi aveva detto una frase che mi ha guidato in tutti questi anni: “non importa dove si trovi la missione, la cosa importante è che tu sappia amare le persone e i popoli che vi troverai... in America latina, in Africa, in Mozambico”.
Con questa luce ho affrontato le vicissitudini, non sempre facili, di questi 12 anni di missione, i miei primi dodici anni.
Quando arrivai in Mozambico la prima missione è stata quella di Maúa dove lavorava da più di trent’anni il famoso padre Frizzi che abbiamo perso in occasione della pandemia. Era il tempo e lo spazio che tradizionalmente si destinava ai missionari che arrivavano per la prima volta in Mozambico. Era il tempo dell’inculturazione, dell’apprendimento della lingua, dello stare zitti per imparare vedendo quel che si muove accanto a noi.
Dopo quell’anno di introduzione alla missione nel Nord del Mozambico Maúa è diventata anche la mia prima missione ed ho trascorso lì i primi quattro anni. Lo schema missionario del padre Frizzi era molto strutturato e non era facile entrarvi... ad ogni modo cercavo di collaborare con le sue orientazioni e il calendario di visita alle comunità ma poi ho anche cercato di trovare spazi pastorali “vergini”, non adeguatamente impegnati dal progetto del padre Frizzi, e la cosa più evidente che ho trovato è stata la pastorale nel variegato e amplio mondo giovanile.
In questo processo ho trovato una solida alleata e generosa collaboratrice in Suor Dalmazia, missionaria della Consolata da anni operante in questo territorio. Insieme abbiamo fatto tante cose come per esempio fondare la prima biblioteca della regione destinata agli studenti. Era impossibile trovare un libro, quasi di qualsiasi tipo. Grazie alla collaborazione di persone e associazione generose del Portogallo... abbiamo ricevuto da la i primi fondi della nostra biblioteca che poi è stata arricchita anche da libri che abbiamo potuto comprare per mezzo di un progetto.
Nella radio comunitaria del villaggio abbiamo aperto un programma il sabato mattina destinato alla formazione e all’evangelizzazione e poi, una cosa importante soprattutto per la gioventù, abbiamo organizzato una bella squadra di calcio che non faceva brutta figura nei tornei regionali.
Questi anni a Maúa sono stati davvero belli. Poi il primo trasferimento alla parrocchia di Lichinga. Quella è stata una esperienza parecchio impegnativa anche perché, a causa di una crisi economica che si stava propagando nella regione, in quel momento me la stavano consegnando quasi totalmente senza fondi.
Questa che era una difficoltà importante al principio di questo impegno alla fine è diventata una occasione di crescita persona e anche comunitaria. Comunitariamente si trattava di aiutare la comunità a diventare responsabile della parrocchia, delle sue strutture, dei suoi servizi che erano per tutti. Ricordo che il tempo parrocchiale era sporco, con il tetto fatto a pezzi, bisognoso di urgenti manutenzioni e riparazione. L’abbiamo fatto con l’impegno di tutti, per una volta non è stato necessario mettersi a cercare sussidi, fondi e collaborazione fuori la comunità ma li abbiamo trovati dentro e questo cammino ha contribuito non poco a rafforzare la comunità parrocchiale.
Poi è stata anche una occasione di crescita personale. Bisognava cercare fonti di mantenimento, più concretamente un lavoro. io lo trovai, grazie alla collaborazione del padre Álvaro López, nell’università della cattolica del Mozambico dove ho cominciato ad insegnare.
Un altro processo importante che abbiamo fatto e che ha fatto crescere la parrocchia e la comunità locale dei missionari della Consolata è stata la creazione di un collegio di istruzione privata alla portata delle economie delle famiglie della zona. C’era una casa che apparteneva alla comunità molto grande ma in disuso. Si era cercato di affittarla ma nessuno si mostrava interessato in quella struttura che era troppo grande per tante cose... e allora noi stessi le abbiamo dato nuova vita .
Dopo un po’ di lavori di ristrutturazione quella è diventato un collegio che è nato nel 2020 con 45 studenti (tra l’altro nato con la pandemia che ci ha obbligato a chiudere dopo solo 5 mesi di funzionamento) ma che oggi sta già ospitando 267 studenti. Quando si è cominciato c’era solo la prima elementare, poi ogni anno si aggiungeva un nuovo gruppo... e adesso sono quasi complete le classi elementari. Per il 2025 il progetto prevede raggiungere i 500 studenti dividi in corsi mattutini e pomeridiani. Anche quello certamente un impegno importante ma che ci ha fatto crescere e ci sta portando poco a poco sulla strada dell’autosufficienza economica che è necessaria per il nuovo volto della missione oggi. I tempi sono ormai maturi.