Questa figura è presente nella mente del Fondatore fin dalla fase di progettazione dell'Istituto. Nel primo documento che redige per la presentazione del suo progetto alla Santa Sede, afferma di aver sviluppato il suo progetto in contatto con sacerdoti e seminaristi, ma aggiunge, a margine: “non mancheranno i laici” (Lettera a C. Mancini, 6 aprile 1891).

Sappiamo che nella Chiesa cattolica esistono Sacerdoti diocesani che prestano il loro servizio in una Chiesa particolare che può essere un'Arcidiocesi, una Diocesi o un Vicariato Apostolico. Vivono nel celibato e promettono obbedienza al loro Vescovo. Ci sono poi i sacerdoti religiosi, consacrati con i voti di povertà, castità e obbedienza, appartenenti a Ordini, Congregazioni o Istituti di vita consacrata, tutti chiamati alla vita comunitaria. Alcune di queste istituzioni sono composte da sacerdoti ma ancheda laici o fratelli. La Vita Consacrata o Vita Religiosa esiste nella sua versione maschile e femminile, con carismi e ministeri diversi. 

L'Istituto Missioni Consolata, secondo la volontà del Fondatore Giuseppe Allamano, è composto da sacerdoti e fratelli coadiutori (laici consacrati) per la missione ad gentes e vive in spirito di famiglia (XI Capitolo Generale 59).

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Fratello Fortunato Rosin. Foto: Archivio IMC Colombia

Chi è il religioso o la religiosa nella Chiesa cattolica?

Il Concilio Vaticano II nella “Perfectae catitatis”, il documento che scrive sul rinnovamento della vira religiosa (n. 10) li presenta così: “La vita religiosa laicale, tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici. Perciò il sacro Concilio, che ha grande stima di esso poiché tanta utilità arreca all'attività pastorale della Chiesa nell'educazione della gioventù, nell'assistenza agli infermi e in altri ministeri, conferma i membri di tale forma di vita religiosa nella loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vita alle odierne esigenze”. La vita religiosa laicale è quindi completa in se stessa. Non deve essere definita per ciò che le manca (non essere sacerdoti), ma per ciò che è. Da parte sua, Giovanni Paolo II ha affermato: “Sono convinto che questo tipo di vita religiosa che, nel corso della storia, ha reso così grandi servizi alla Chiesa, rimane oggi uno dei più adatti alle nuove sfide apostoliche dell'annuncio del messaggio evangelico”.

Il Fratello nell'Istituto Missioni Consolata 

20241014Fratelli2Questa figura era presente nella mente del Fondatore fin dal principio. Nel primo documento redatto per la presentazione del suo progetto alla Santa Sede afferma di averlo sviluppato in contatto con sacerdoti e seminaristi ma –aggiunge, a margine– “non mancheranno i laici” (Lettera a C. Mancini, 6 aprile 1891). Infatti, nella bozza di Regolamento dello stesso anno, sacerdoti e laici sono considerati “desiderosi di dedicarsi alle missioni”, “di consacrarsi all'evangelizzazione degli infedeli”.

Quando Giuseppe Allamano parla di comunione e comunità, le pensa sempre nel contesto dello “spirito di famiglia”. I suoi studiosi dicono che non si tratta di una semplice “strategia” per affrontare la vita, ma di una motivazione che l’ha portato a pensare di fondare l'Istituto. Questo lo pensava e proponeva, come una famiglia e non come un seminario o un collegio e in una famiglia non è possibile dire che ci siano membri di prima classe (i genitori) e membri di seconda classe (i fratelli). In una famiglia si intrecciano relazioni di uguaglianza e fraternità, tutti con la missione ad gentes nella testa, nel cuore, nelle mani e nei piedi. Ognuno svolge il proprio ruolo o ministero e tutti in “unità di intenti”.

(Foto: Fratelli Vincenzo Clerici, Carlo Zacquini, Adolphe Mulenguzi e Domenico Brusa)

I Fratelli sono parte costitutiva della Famiglia dei Missionari della Consolata e non solo, sono anche i più cari al Fondatore. Lo dimostrano espressioni come la seguente: “Che una sorella mi scriva dall'Africa mi fa piacere; che un padre mi scriva, altrettanto; ma che lo faccia un fratello coadiutore mi rallegra ancora di più”. Ciò non significa che siamo esenti dal ripensare e ricreare il ruolo, la figura e la presenza dei Fratelli nella missione dell’Istituto con maggior ragione oggi che viviamo un tempo di protagonismo laico e di messa in discussione del clericalismo esacerbato.

Formazione dei primi gruppi di missionari inviati dal Fondatore

Il primo gruppo, inviato il 5/8/1901 era composto dai padri Tomaso Gays e Filippo Perlo e dai fratelli Celeste Lusso e Gabriele Perlo. Il secondo –inviato il 15/12/1902– era composto da p. Borda Bossana, il seminarista G. Cravero e fratel Andrea Anselmetti. Il terzo inviato il 24/4/1903 era composto da 8 suore, 4 sacerdoti, 1 seminarista e da fratel Benedetto Falda. Nel quarto invio (il 24/12/1903) c’erano 12 religiose, 3 sacerdoti e i fratelli Anselmo Jeantet e Agostino Negro e finalmente nel quinto (il 27/11/1905) c’erano 6 suore, 2 sacerdoti e fratel Aquilino Caneparo.

Senza grande sforzo possiamo dedurre, dalla formazione dei primi gruppi missionari, composti da uomini e donne, sacerdoti e religiosi laici, la comprensione di una missione interdisciplinare e integrale, avviata su due binari, come il treno: l'annuncio esplicito del Vangelo oltre alla promozione umana e dell’ambiente. A questo scopo i missionari vengono formati e preparati, all'inizio con evidente fretta, sperando che la missione stessa continui a formarli, nell'esperienza comunitaria che li tempra nella loro personalità, nella pratica religiosa-spirituale che li conduce sulla via della santità, negli studi accademici e nella formazione tecnico-pratica che li facilita ad agire con saggezza, conoscenza e creatività pratica per il lavoro con la gente del luogo dove il Dio della missione li dirige.

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Incontro dei Fratelli dell'IMC, Miguel Angel Millán, Laureano Galindo, Fortunato Rosin e Antonio Martín. Bogotà, 1983. Foto: Archivio IMC Colombia

Conclusione

L'ultimo Capitolo Generale (XIV) ha dedicato brevi paragrafi ai Fratelli e, al numero 529, ha dato mandato che “nei prossimi sei anni, la Direzione Generale organizzi un ‘Anno dei Fratelli imc’ invitando tutto l'Istituto a pregare e a riflettere sulla vocazione alla fraternità nella comunità dei Missionari della Consolata. Sarà un'opportunità per integrare più chiaramente la vocazione di Fratello nelle attività di animazione missionaria.

Si apre quindi un tempo di riflessione e di ricreazione. La presenza di giovani missionari laici nell'animazione missionaria giovanile e vocazionale della nostra Regione Colombia e dei Missionari Laici della Consolata diviene molto significativa, provocatoria e opportuna, nel momento in cui la figura del Fratello, come la conosciamo tradizionalmente, tende a scomparire.

* Padre Salvador Medina, IMC, Equipe di promozione della missione in Colombia. Articolo pubblicato originariamente sulla rivista Dimensión Misionera (qui per vedere)

Nella missione, “nonostante le sfide da affrontare, dobbiamo sempre accompagnare il popolo di Dio perché il popolo non vede noi, ma Gesù che è in noi. Quindi più siamo vicini a loro, più Dio è presente. Questa è un'esperienza che mi ha aiutato molto nella mia vita”. 

Queste sono parole di mons. Peter Munguti Makau, missionario della Consolata, in un'intervista rilasciata al Segretariato per la Comunicazione a Roma durante la sua prima visita ad limina nello scorso mese di settembre.

Il 28 settembre 2024, Papa Francesco lo ha nominato vescovo titolare della diocesi di Isiolo nel Kenya dove era stato fino a quel momento vescovo coadiutore. Il primo vescovo di quella giovane diocesi, creata il 15 febbraio 2023, era stato Mons. Anthony Mukobo, IMC, che ha raggiunto l’età canonica e si è dimesso.  

Nell’intervista in inglese, che pubblichiamo di seguito, parlando ancora come vescovo coadiutore di Isiolo, Mons. Peter Makau ci racconta la sua storia e il percorso che ha fatto in diversi spazi missionari. Ricorda gli anni del seminario e del noviziato in Kenya; gli studi di teologia a Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo; la sfidante missione del Venezuela dove è stato anche superiore e, ancora una volta superiore, gli anni della presenza nella Regione IMC del Kenya e Uganda. Poi il 4 maggio 2024 e all’età di 49 anni Papa Francesco lo ha nominato vescovo.

Leggi anche: Mons. Anthony Mukobo: “La diocesi di Isiolo tra crescita e sfide pastorali”

Biografia

Peter Munguti Makau è nato il 6 maggio 1975 a Nairobi dove ha ingressato nell’Istituto e ha fatto la sua formazione religiosa. L'anno di noviziato l’ha compiuto a Sagana (Kenya) dove ha emesso i primi voti il 6 agosto 1999. Pois ha fatto gli studi teologici a Kinshasa, RD Congo e è stato ordinato presbitero il 20 novembre 2004 nella Diocesi di Machakos (Kenya).

Dopo l'ordinazione è stato inviato in Venezuela dove ha lavorato nella pastorale e nell’animazione missionaria. È stato Superiore Delegato IMC per il Venezuela per due mandati (2014-2019). Poi, nel 2019 è tornato in Kenya come Superiore Regionale IMC. 

Nominato dal Papa Francesco vescovo coadiutore della diocesi di Isiolo nel Kenya il 4 maggio 2024, la sua ordinazione episcopale ha avuto luogo il 27 luglio 2024, nella cattedrale di Sant'Eusebio nella Diocesi di Isiolo.

Diocesi di Isiolo

Situata nella parte centrale del Kenya, la diocesi ha una superficie di 25.700 km2 e una popolazione di 268 mila abitanti di cui il 19% sono cattolici. Ci sono 15 parrocchie, 74 istituzioni educative ed 11 di carità, tra cui 5 dispensari ed 1 maternità. Nella diocesi di Isiolo lavorano 27 sacerdoti diocesani e 6  sacerdoti religiosi, assieme ad altri 58 fra religiosi e religiose. Sono presenti anche 10 catechisti a tempo pieno e tantissimi laici impegnati nella cura pastorale delle comunità cristiane.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato per la Comunicazione

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Per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America, il riconoscimento del miracolo di Sorino Yanomami per intecerssione del Beato Giuseppe Allamano ha un significato molto particolare: è il sigillo, la conferma di un’opzione che assunsero negli ultimi decenni e che caratterizza la missione nel continente: la missione con i popoli indigeni.

Perché questa opzione? Perché si può dire con chiarezza oggi che l’ad gentes in America trova piena espressione in questa scelta apostolica? Per rispondere a queste domande, ripercorriamo a grandi linee la storia del movimento indigenista e il ruolo della Chiesa accanto ai popoli nativi.

Un movimento che dà voce a chi non ha voce

Il movimento indigenista in America Latina sorge attorno agli anni Settanta, quando si formano organizzazioni che agglutinano persone che si riconoscono in un’appartenenza etnica, più o meno direttamente (in Ecuador: la federazione SHUAR è una delle prime, fondata nel 1961, raggruppa popoli amazzonici; CRIC è un’associazione dei popoli andini della Colombia; il movimento katarista nella Bolivia andina e il CIDOB nell’area amazzonica).

Prima d’allora, infatti, se escludiamo il caso dei Mapuche in Cile, che sempre sottolinearono l’elemento etnico, le organizzazioni popolari nei vari paesi latinoamericani si riunivano generalmente come associazioni rurali. Questo cambio di rotta è significativo: oltre al riconoscersi come un gruppo sociale di estrazione popolare, i membri di queste associazioni iniziarono a sottolinerare l’aspetto etnico, cambiando anche la prospettiva dei problemi e delle rivendicazioni.

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Argentina: visita alle famiglie Wichi e Toba. Foto: Archivio MC

Un esempio molto significativo è la rivendicazione della terra, un problema sociale spinoso fino al giorno d’oggi in America Latina: molte persone si vedono private del diritto di possedere terra per coltivare, concentrata nelle mani di pochi latifondisti.  Nel corso della riflessione e della rivendicazione, oltre a parlare di diritto alla terra, si inizia a considerare il territorio, che è un concetto molto più ampio e complesso.

Il territorio non si riferisce solo a un’estensione geografica riservata a un gruppo etnico-sociale, ma contempla diversi punti di riferimento che un determinato spazio contiene: quelli simbolici, significativi per la cosmovisione del popolo e per la religiosità del gruppo (esempio: montagne o altri luoghi considerati sacri, per la presenza di spiriti o degli antenati, i luoghi di culto, tutto ciò che costituisce la “geografia simbolica” o “geografia sacra” di un popolo) come anche quelli produttivi per la vita concreta di lavoro e produzione (foresta, fiumi e laghi per la caccia, la pesca, il raccolto dei frutti, i campi per coltivare).

Il momento storico che stava vivendo gran parte dell’America Latina era molto particolare: il movimento indigenista nasce durante il tempo delle dittature militari di estrema destra, che riducevano la libertà e opprimevano le classi più umili, a favore di un’oligarchia minoritaria. Sappiamo le atrocità commesse in tanti Paesi (i desaparecidos, cioè le persone scomparse, le torture, gli esili...) e i tanti martiri anche tra gli indigeni che furono trucidati per l’opposizione manifestata alla politica repressiva e oligarchica.

Nello stesso periodo inizia la migrazione dalle aree rurali alle città di un consistente numero di famiglie; la conseguente urbanizzazione di masse di contadini per un certo verso facilita l’organizzazione e il reclutamento di membri per le nascenti organizzazioni indigene.

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Brasile: educazione nelle comunità Yanomami. Foto: Archivio MC

L’apporto della Chiesa e di altre istituzioni

Un aiuto grande per l’organizzazione di questi nuovi movimenti fu dato dalle ONG, sempre più presenti e vicine alle realtà locali. Si tratta di istituzioni di diversa posizione politica/ideologica/religiosa: dai “verdi” che iniziano a battersi per la difesa dell’Amazzonia, a ONG di stampo cristiano, passando per una numerosa serie di altre posture ideologiche, inclusi i movimenti di sinistra estrema e moderata. Sono proprio queste organizzazioni internazionali che promuovono la formazione di leader locali a livello universitario che assumono quindi un ruolo da protagonisti nei negoziati tra Stato e movimenti indigeni.

“La lucha ya no debe ser con arcos y flechas, sino con lápiz y papel” (Mateo Chumira, leader guaranì). “la lotta non deve più essere con arco e freccia, ma con lapis e carta”

Negli anni Ottanta, con il graduale ritorno alla democrazia, il movimento indigenista continua le negoziazioni con i nuovi governi, fino ad ottenere importanti risultati, in modo speciale la riforma delle Costituzioni nazionali, in cui vengono inseriti articoli che riconoscono i popoli indigeni e i loro diritti (diritto alla terra, diritto all’istruzione bilingue...).

Il 19 aprile 1989 è stato creato il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (COIAB), un'organizzazione regionale del movimento indigeno che fa parte dell'Articolazione nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) con 75 organizzazioni membri.

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Manifestazione dei popoli indigeni organizzata dal COIAB a Brasilia. Fonto: Felipe Beltrame

E così la Chiesa cattolica, e in essa i Missionari e Missionarie della Consolata, che stette al fianco dei fratelli e sorelle nativi nella fatica della rivendicazione, poté condividere con loro anche la gioia immensa che diede questo risultato.

In questo breve scorcio della realtà dell’ America Latina negli Anni Settanta/Ottanta/Novanta, possiamo adesso inserire le scelte che i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno assunto, focalizzandoci sulla presenza consolatina in Roraima, stato del Nord de Brasile, in piena area amazzonica.

L’opzione dei popoli indigeni dei Missionari e Missionarie della Consolata

Le Missionarie della Consolata arrivarono in Roraima nel 1949, mentre i confratelli erano già arrivati nel 1948. Nei primi decenni le attività principali si svolgevano nel campo della sanità, dell’educazione e dell’assistenza sociale nella città di Boa Vista. Nell’epoca precedente il Concilio Vaticano II, i Missionari e le Missionarie visitavano l’area rurale per la “desobriga”, ovvero: per amministrare i Sacramenti e permettere a tutti i cristiani di confessarsi e fare la comunione almeno una volta all’anno per Pasqua, secondo il precetto della Chiesa.

I Missionari della Consolata arrivano a Catrimani nel 1965. Già negli Anni Settanta le Sorelle raggiungevano l’area Yanomami per assistenza sanitaria; è nel 1990 che le Missionarie si stabiliscono come comunità in Catrimani, condividendo la vita con il popolo Yanomami e lavorando in modo speciale nella sanità e nell’educazione, insieme ai confratelli. La decisione di aprire questa comunità è stata presa come “ringraziamento per la beatificazione di Giuseppe Allamano, il Padre Fondatore”, che proprio quell’anno veniva beatificato.

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Incontro di formazione dei leader indigeni nel 1977 nella Terra Raposa Serra do Sol, Roraima. Foto: Lirio Girardi

La scelta di vivere insieme ai popoli indigeni è stata abbracciata in diverse realtà dell’America Latina: per quanto riguarda le Missionarie della Consolata, nel 1991 in Bolivia aprono la presenza a Poopò con il popolo quechua e a Tencua, con il popolo Yecuana, nell’Amazzonia venezuelana; nel 1992 le Sorelle in Argentina aprono la comunità di Comandancia Frías, con il popolo Wichi, nell’Impenetrabile chaqueño e nel 1994 in Colombia le comunità di Puerto Cayetán e Resguardo Guacoyo.

Dopo 30 anni, una certezza e una conferma

Nel documento Ratio Missionis delle Suore Missionarie della Consolata, si dà questa lettura del cammino compiuto:

“Dagli Anni Novanta del secolo scorso le varie Circoscrizioni del Continente si sono decisamente orientate verso la presenza tra i popoli originari o nativi. L’esperienza e la riflessione hanno mostrato e sempre più confermato che l’ad gentes in America trova la sua espressione in questa opzione apostolica. La Regione America [nata nel 2018, n.d.r.] ha riconfermato la scelta della missione tra i popoli originari come priorità della Circoscrizione.

In un primo tempo, le Missionarie della Consolata hanno affiancato i gruppi nativi nella rivendicazione dei propri diritti, negati dagli Stati nazionali e usurpati dai potenti locali. Con il tempo, si è unito l’impegno per conoscere sempre più profondamente le culture e le spiritualità dei popoli, in un dialogo semplice, quotidiano, che richiede tempi prolungati e relazioni significative con la gente” (Ratio Missionis, 4.8.2).

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Questo piccolo inquadramento storico può dare un’idea di cosa significa per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America questo miracolo riconosciuto all’intercessione di Padre Fondatore a favore di un uomo Yanomami, nel 1996, proprio in quegli anni in cui tanti missionari e missionarie davano il meglio di sé, anche a rischio della vita, per i fratelli e le sorelle indigeni dell’America.

È il riconoscimento di un’opzione assunta a favore dei più emarginati delle società latinoamericane, suggellato da un miracolo che porta alla canonizzazione il nostro Fondatore. È la benedizione di un cammino che continua oggi, con l’opzione prioritaria della missione ad gentes con i popoli originari del Continente.

* Suor Stefania Raspo, MC, Consigliera Generale.

Riferimenti bibliografici:

ALBÓ, Xavier, “El retorno del indioin: Revista Andina, Cuzco, Perú, 1991.

CAUREY, Elías, Asamblea del pueblo guaraní. Un breve repaso a su historia. Bolivia, 2015.

MISSIONARIE DELLA CONSOLATA, Ratio Missionis. Visione della missione secondo il Carisma delle Suore Missionarie della Consolata. Nepi, 2023.

La celebrazione della V Conferenza della Delegazione dei Missionari della Consolata in Costa d'Avorio programmata per il mese di Aprile scorso si è finalmente svolta dal 23 al 26 settembre 2024 presso il Centro di Animazione Missionaria (CAM) di San Pedro.

L’incontro è stato un momento di revisione totale, di ascolto profondo, e dall’elaborazione di una visione comune per l’avvenire della Delegazione, illuminati dallo Spirito, e richiamando i valori fondamentali, irrinunciabili del nostro carisma di Consolazione.

La Conferenza, programmata per l’Aprile scorso è stata rinviata a Settembre a causa della morte imprevista del Superiore delegato, padre Matteo Pettinari mentre si recava a San Pedro proprio  per la preparazione della Conferenza. Questa Conferenza è stata caratterizzata dal rinnovato impegno di ogni missionario a preservare comunione fraterna nello spirito profetico del Vangelo.

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I missionari in Costa d'Avorio con gli Amici della Consolata del CAM di San Pedro

Padre Celestino Marandu, attuale superiore della Delegazione, ha aperto la Conferenza e ha sottolineato ai missionari che “la comunione in unità di intenti non si limita a un semplice scambio di idee, ma implica una responsabilità personale e reciproca; un impegno a costruire insieme il presente e il futuro della Consolata in Costa d’Avorio”.

La Conferenza ha permesso agli undici missionari presenti assieme a padre Erasto Colnel Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, di condividere le proprie esperienze e riflessioni, rafforzando così i legami all'interno della comunità della Delegazione.

I missionari hanno convenuto che per portare a termine la loro missione evangelizzatrice è essenziale adottare un approccio collaborativo e uscire dalla propria zona di comfort che neutralizza la grazia di una conversione pastorale e missionaria. Ciò significa ascoltare tutte le voci, soprattutto all'interno della propria comunità locale e lavorare insieme per stabilire linee d'azione chiare, concrete e verificabili.

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Così, i missionari hanno rivisitato ed elaborato nuove linee d’azione per integrare questa visione complessiva nelle loro attività missionarie, assicurandosi che ogni membro si senta valorizzato e coinvolto nella costruzione di una missione ad gentes feconda e contestualizzata in terra ivoriana.

L'accoglienza tradizionale offerta dagli Amici della Consolata del CAM di San Pedro che condivide la spiritualità missionaria ricevuta dal Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, è stata apprezzata da tutti. La loro presenza all’Eucaristia quotidiana e l'accoglienza calorosa, hanno arricchito il clima della Conferenza, e approfondito la collaborazione tra i missionari e gli Amici della Consolata al fine di rafforzare l'opera di evangelizzazione e l’animazione missionaria.

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La Conferenza è stata un'occasione preziosa per rafforzare i legami fraterni e promuovere lo spirito di famiglia, permettendoci anche di vivere una vera partecipazione, celebrare una comunione duratura e rivitalizzare la missione ad gentes in modo rinnovato e dinamico.

* Padre Ariel Tosoni, IMC, è missionario argentino nella Costa d’Avorio.

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Padre Erasto Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, padre Celestino Marandu e un amico della missione.

Dall'11 al 16 settembre 2024, in Tanzania si è celebrato il suo quinto Congresso Eucaristico Nazionale, nella città di Dar Es Salaam, in continuità con le precedenti conferenze tenutesi ogni quattro anni. Vi hanno partecipato migliaia di persone. Lo slogan della conferenza era ‘Fraternità, guarigione del mondo: siete tutti fratelli’.

Sono stati presentati sette argomenti e, in breve, li condividiamo qui di seguito.

1. La solennità nella celebrazione della Santa Messa (del vescovo Simon Masondole della diocesi di Bunda).

Il vescovo ha sottolineato l'importanza della Santa Messa nella vita della Chiesa, sottolineando che è una questione di responsabilità prepararla in modo appropriato. Ogni celebrazione della Santa Messa è un atto unico per la sua santità. È nostro dovere e obbligo celebrarla con profondo rispetto.

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Fedeli allo Stadio Uhuru durante la chiusura del Congresso

2. La fraternità cristiana come strumento importante per lo sviluppo della dignità umana (di Padre Joseph Mosha dell'Arcidiocesi di Dar es Salaam).

Il relatore ha spiegato come la fraternità è intrinsecamente un atto dell’essere umano, legato al fatto del suo essere stato creato a somiglianza e immagine di Dio, e Gesù Cristo, nutrendoci del suo corpo e del suo sangue, diventa nostro fratello. Dobbiamo riconoscere, e fare nostra la fraternità cristiana per poter guarire le tante ferite che affliggono l'umanità.

3. La Santa Eucaristia e le piccole comunità di base (di Padre Benno Kikudo della Conferenza episcopale della Tanzania).

Come il titolo suggerisce, le piccole comunità di base dovrebbero essere comunità eucaristiche. Il fulcro e centro di tutto è Cristo. Cosa si dovrebbe fare per rendere questo fattibile? Si dovrebbero preparare e implementare piani e strategie pastorali con l'obiettivo di rafforzare le famiglie, le comunità, i gruppi di giovani, i bambini e le madri, affinché possano vivere una vita eucaristica. Ciò deve essere fatto attraverso seminari, workshop e programmi pedagogici.

4. La Santa Eucaristia e la moralità (del vescovo Christopher Ndizeye della diocesi di Kahama).

Il vescovo ha sottolineato che la Santa Eucaristia è Cristo stesso. Accettare Cristo ci rende capaci di vivere come Cristo ha vissuto. Gesù Cristo non fece il male, e in tutta la vita non fece altro che il bene. Quindi, è dovere di ogni cattolico amare e desiderare di ricevere Cristo regolarmente, preparandosi bene.

Ha avvertito, tuttavia, che sarebbe una bestemmia se ricevessimo la Santa Eucaristia e allo stesso tempo continuassimo a fare il male, perché ciò darebbe l'impressione che sia Cristo che riceviamo, colui che ci fa fare il male, in quanto dovremmo essere ciò che mangiamo.

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5. La Santa Eucaristia e la guarigione nella famiglia (di Padre Rogasian Msaifi dell'Arcidiocesi di Dar es Salaam).

Ha spiegato come la Dottrina della Chiesa indica che la famiglia e il mondo hanno bisogno di guarigione e come Cristo è il vero guaritore, idea affermata anche dagli altri relatori. Ogni famiglia dovrebbe ricercare, ricevere e abbracciare Cristo come vero cibo e vera bevanda.

6. La sfida: pentecostalismo e i cattolici oggi (di Padre Leonard Maliva della diocesi di Iringa).

Ha basato il suo intervento sul fatto che le persone (per vari motivi, inclusa la difficoltà di vita) sono sempre in ricerca di soluzioni ai loro problemi, al punto da ritrovarsi ad entrare in sette per trovare “miracoli” e “vuote benedizioni”. Alcuni di loro acquistano da falsi pastori, falsi oggetti religiosi come olio, terra, foglie, che ritengano siano in possesso di poteri magici. In seguito si rendono conto che invece di essere curati, sono stati imbrogliati, derubati economicamente e la loro fede vacilla.

Per affrontare questa sfida, la Chiesa cattolica deve fare uno sforzo deliberato per preparare un piano pastorale strategico, per identificare e aiutare quei figli e figlie della Chiesa che si sono perduti.

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Il Cardinale del Tanzania, Protas Rugambwa e il Nunzio Angelo Accatino durante la cerimonia di chiusura.

7. La storia dell'evangelizzazione nella regione orientale (Mons. Methodius Kilaini vescovo ausiliare in pensione della diocesi di Bukoba).

Ha sottolineato il lavoro missionario svolto e i suoi frutti oggi, di cui il Congresso Eucaristoco n’è parte, e come molto si potrebbe dire di questo congresso. L’argomentazione del Vescovo si è basata sulla realtà presente Tanzaniana e Africana a livello politico, culturale, economico, religioso.

Fraternità e guarigione sono le parole più usate considerando la situazione che questa nazione sta affrontando oggi. C'è preoccupazione e paura nella società Tanzaniana a causa di ondate di violazione dei diritti umani come rapimenti, omicidi, abusi sui deboli, bullismo. Ecco perché, alla chiusura del congresso, la Conferenza Episcopale Tanzaniana (TEC), ha rilasciato una dichiarazione congiunta che condanna tali azioni, sottolineando che la nostra società ha bisogno di guarigione. La vera guarigione si trova nel Gesù dell'Eucaristia che ci chiama alla tavola del dialogo e della comunione.

Come missionari della Consolata, qual è il nostro contributo per guarire il mondo? Qual è il nostro ruolo nel costruire un mondo fraterno con i principi di giustizia e uguaglianza? Viviamo la vita fraterna nelle nostre comunità? Che San Giuseppe Allamano, nostro fondatore, ci aiuti a impegnarci sempre di più nel nostro Carisma.

* Padre Paulino Madeje, IMC, è il direttore della rivista Enendeni.

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Il logo del Congresso che riporta anche lo slogan

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