Per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America, il riconoscimento del miracolo di Sorino Yanomami per intecerssione del Beato Giuseppe Allamano ha un significato molto particolare: è il sigillo, la conferma di un’opzione che assunsero negli ultimi decenni e che caratterizza la missione nel continente: la missione con i popoli indigeni.

Perché questa opzione? Perché si può dire con chiarezza oggi che l’ad gentes in America trova piena espressione in questa scelta apostolica? Per rispondere a queste domande, ripercorriamo a grandi linee la storia del movimento indigenista e il ruolo della Chiesa accanto ai popoli nativi.

Un movimento che dà voce a chi non ha voce

Il movimento indigenista in America Latina sorge attorno agli anni Settanta, quando si formano organizzazioni che agglutinano persone che si riconoscono in un’appartenenza etnica, più o meno direttamente (in Ecuador: la federazione SHUAR è una delle prime, fondata nel 1961, raggruppa popoli amazzonici; CRIC è un’associazione dei popoli andini della Colombia; il movimento katarista nella Bolivia andina e il CIDOB nell’area amazzonica).

Prima d’allora, infatti, se escludiamo il caso dei Mapuche in Cile, che sempre sottolinearono l’elemento etnico, le organizzazioni popolari nei vari paesi latinoamericani si riunivano generalmente come associazioni rurali. Questo cambio di rotta è significativo: oltre al riconoscersi come un gruppo sociale di estrazione popolare, i membri di queste associazioni iniziarono a sottolinerare l’aspetto etnico, cambiando anche la prospettiva dei problemi e delle rivendicazioni.

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Argentina: visita alle famiglie Wichi e Toba. Foto: Archivio MC

Un esempio molto significativo è la rivendicazione della terra, un problema sociale spinoso fino al giorno d’oggi in America Latina: molte persone si vedono private del diritto di possedere terra per coltivare, concentrata nelle mani di pochi latifondisti.  Nel corso della riflessione e della rivendicazione, oltre a parlare di diritto alla terra, si inizia a considerare il territorio, che è un concetto molto più ampio e complesso.

Il territorio non si riferisce solo a un’estensione geografica riservata a un gruppo etnico-sociale, ma contempla diversi punti di riferimento che un determinato spazio contiene: quelli simbolici, significativi per la cosmovisione del popolo e per la religiosità del gruppo (esempio: montagne o altri luoghi considerati sacri, per la presenza di spiriti o degli antenati, i luoghi di culto, tutto ciò che costituisce la “geografia simbolica” o “geografia sacra” di un popolo) come anche quelli produttivi per la vita concreta di lavoro e produzione (foresta, fiumi e laghi per la caccia, la pesca, il raccolto dei frutti, i campi per coltivare).

Il momento storico che stava vivendo gran parte dell’America Latina era molto particolare: il movimento indigenista nasce durante il tempo delle dittature militari di estrema destra, che riducevano la libertà e opprimevano le classi più umili, a favore di un’oligarchia minoritaria. Sappiamo le atrocità commesse in tanti Paesi (i desaparecidos, cioè le persone scomparse, le torture, gli esili...) e i tanti martiri anche tra gli indigeni che furono trucidati per l’opposizione manifestata alla politica repressiva e oligarchica.

Nello stesso periodo inizia la migrazione dalle aree rurali alle città di un consistente numero di famiglie; la conseguente urbanizzazione di masse di contadini per un certo verso facilita l’organizzazione e il reclutamento di membri per le nascenti organizzazioni indigene.

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Brasile: educazione nelle comunità Yanomami. Foto: Archivio MC

L’apporto della Chiesa e di altre istituzioni

Un aiuto grande per l’organizzazione di questi nuovi movimenti fu dato dalle ONG, sempre più presenti e vicine alle realtà locali. Si tratta di istituzioni di diversa posizione politica/ideologica/religiosa: dai “verdi” che iniziano a battersi per la difesa dell’Amazzonia, a ONG di stampo cristiano, passando per una numerosa serie di altre posture ideologiche, inclusi i movimenti di sinistra estrema e moderata. Sono proprio queste organizzazioni internazionali che promuovono la formazione di leader locali a livello universitario che assumono quindi un ruolo da protagonisti nei negoziati tra Stato e movimenti indigeni.

“La lucha ya no debe ser con arcos y flechas, sino con lápiz y papel” (Mateo Chumira, leader guaranì). “la lotta non deve più essere con arco e freccia, ma con lapis e carta”

Negli anni Ottanta, con il graduale ritorno alla democrazia, il movimento indigenista continua le negoziazioni con i nuovi governi, fino ad ottenere importanti risultati, in modo speciale la riforma delle Costituzioni nazionali, in cui vengono inseriti articoli che riconoscono i popoli indigeni e i loro diritti (diritto alla terra, diritto all’istruzione bilingue...).

Il 19 aprile 1989 è stato creato il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell'Amazzonia Brasiliana (COIAB), un'organizzazione regionale del movimento indigeno che fa parte dell'Articolazione nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) con 75 organizzazioni membri.

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Manifestazione dei popoli indigeni organizzata dal COIAB a Brasilia. Fonto: Felipe Beltrame

E così la Chiesa cattolica, e in essa i Missionari e Missionarie della Consolata, che stette al fianco dei fratelli e sorelle nativi nella fatica della rivendicazione, poté condividere con loro anche la gioia immensa che diede questo risultato.

In questo breve scorcio della realtà dell’ America Latina negli Anni Settanta/Ottanta/Novanta, possiamo adesso inserire le scelte che i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno assunto, focalizzandoci sulla presenza consolatina in Roraima, stato del Nord de Brasile, in piena area amazzonica.

L’opzione dei popoli indigeni dei Missionari e Missionarie della Consolata

Le Missionarie della Consolata arrivarono in Roraima nel 1949, mentre i confratelli erano già arrivati nel 1948. Nei primi decenni le attività principali si svolgevano nel campo della sanità, dell’educazione e dell’assistenza sociale nella città di Boa Vista. Nell’epoca precedente il Concilio Vaticano II, i Missionari e le Missionarie visitavano l’area rurale per la “desobriga”, ovvero: per amministrare i Sacramenti e permettere a tutti i cristiani di confessarsi e fare la comunione almeno una volta all’anno per Pasqua, secondo il precetto della Chiesa.

I Missionari della Consolata arrivano a Catrimani nel 1965. Già negli Anni Settanta le Sorelle raggiungevano l’area Yanomami per assistenza sanitaria; è nel 1990 che le Missionarie si stabiliscono come comunità in Catrimani, condividendo la vita con il popolo Yanomami e lavorando in modo speciale nella sanità e nell’educazione, insieme ai confratelli. La decisione di aprire questa comunità è stata presa come “ringraziamento per la beatificazione di Giuseppe Allamano, il Padre Fondatore”, che proprio quell’anno veniva beatificato.

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Incontro di formazione dei leader indigeni nel 1977 nella Terra Raposa Serra do Sol, Roraima. Foto: Lirio Girardi

La scelta di vivere insieme ai popoli indigeni è stata abbracciata in diverse realtà dell’America Latina: per quanto riguarda le Missionarie della Consolata, nel 1991 in Bolivia aprono la presenza a Poopò con il popolo quechua e a Tencua, con il popolo Yecuana, nell’Amazzonia venezuelana; nel 1992 le Sorelle in Argentina aprono la comunità di Comandancia Frías, con il popolo Wichi, nell’Impenetrabile chaqueño e nel 1994 in Colombia le comunità di Puerto Cayetán e Resguardo Guacoyo.

Dopo 30 anni, una certezza e una conferma

Nel documento Ratio Missionis delle Suore Missionarie della Consolata, si dà questa lettura del cammino compiuto:

“Dagli Anni Novanta del secolo scorso le varie Circoscrizioni del Continente si sono decisamente orientate verso la presenza tra i popoli originari o nativi. L’esperienza e la riflessione hanno mostrato e sempre più confermato che l’ad gentes in America trova la sua espressione in questa opzione apostolica. La Regione America [nata nel 2018, n.d.r.] ha riconfermato la scelta della missione tra i popoli originari come priorità della Circoscrizione.

In un primo tempo, le Missionarie della Consolata hanno affiancato i gruppi nativi nella rivendicazione dei propri diritti, negati dagli Stati nazionali e usurpati dai potenti locali. Con il tempo, si è unito l’impegno per conoscere sempre più profondamente le culture e le spiritualità dei popoli, in un dialogo semplice, quotidiano, che richiede tempi prolungati e relazioni significative con la gente” (Ratio Missionis, 4.8.2).

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Questo piccolo inquadramento storico può dare un’idea di cosa significa per i Missionari e le Missionarie della Consolata in America questo miracolo riconosciuto all’intercessione di Padre Fondatore a favore di un uomo Yanomami, nel 1996, proprio in quegli anni in cui tanti missionari e missionarie davano il meglio di sé, anche a rischio della vita, per i fratelli e le sorelle indigeni dell’America.

È il riconoscimento di un’opzione assunta a favore dei più emarginati delle società latinoamericane, suggellato da un miracolo che porta alla canonizzazione il nostro Fondatore. È la benedizione di un cammino che continua oggi, con l’opzione prioritaria della missione ad gentes con i popoli originari del Continente.

* Suor Stefania Raspo, MC, Consigliera Generale.

Riferimenti bibliografici:

ALBÓ, Xavier, “El retorno del indioin: Revista Andina, Cuzco, Perú, 1991.

CAUREY, Elías, Asamblea del pueblo guaraní. Un breve repaso a su historia. Bolivia, 2015.

MISSIONARIE DELLA CONSOLATA, Ratio Missionis. Visione della missione secondo il Carisma delle Suore Missionarie della Consolata. Nepi, 2023.

La celebrazione della V Conferenza della Delegazione dei Missionari della Consolata in Costa d'Avorio programmata per il mese di Aprile scorso si è finalmente svolta dal 23 al 26 settembre 2024 presso il Centro di Animazione Missionaria (CAM) di San Pedro.

L’incontro è stato un momento di revisione totale, di ascolto profondo, e dall’elaborazione di una visione comune per l’avvenire della Delegazione, illuminati dallo Spirito, e richiamando i valori fondamentali, irrinunciabili del nostro carisma di Consolazione.

La Conferenza, programmata per l’Aprile scorso è stata rinviata a Settembre a causa della morte imprevista del Superiore delegato, padre Matteo Pettinari mentre si recava a San Pedro proprio  per la preparazione della Conferenza. Questa Conferenza è stata caratterizzata dal rinnovato impegno di ogni missionario a preservare comunione fraterna nello spirito profetico del Vangelo.

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I missionari in Costa d'Avorio con gli Amici della Consolata del CAM di San Pedro

Padre Celestino Marandu, attuale superiore della Delegazione, ha aperto la Conferenza e ha sottolineato ai missionari che “la comunione in unità di intenti non si limita a un semplice scambio di idee, ma implica una responsabilità personale e reciproca; un impegno a costruire insieme il presente e il futuro della Consolata in Costa d’Avorio”.

La Conferenza ha permesso agli undici missionari presenti assieme a padre Erasto Colnel Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, di condividere le proprie esperienze e riflessioni, rafforzando così i legami all'interno della comunità della Delegazione.

I missionari hanno convenuto che per portare a termine la loro missione evangelizzatrice è essenziale adottare un approccio collaborativo e uscire dalla propria zona di comfort che neutralizza la grazia di una conversione pastorale e missionaria. Ciò significa ascoltare tutte le voci, soprattutto all'interno della propria comunità locale e lavorare insieme per stabilire linee d'azione chiare, concrete e verificabili.

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Così, i missionari hanno rivisitato ed elaborato nuove linee d’azione per integrare questa visione complessiva nelle loro attività missionarie, assicurandosi che ogni membro si senta valorizzato e coinvolto nella costruzione di una missione ad gentes feconda e contestualizzata in terra ivoriana.

L'accoglienza tradizionale offerta dagli Amici della Consolata del CAM di San Pedro che condivide la spiritualità missionaria ricevuta dal Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, è stata apprezzata da tutti. La loro presenza all’Eucaristia quotidiana e l'accoglienza calorosa, hanno arricchito il clima della Conferenza, e approfondito la collaborazione tra i missionari e gli Amici della Consolata al fine di rafforzare l'opera di evangelizzazione e l’animazione missionaria.

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La Conferenza è stata un'occasione preziosa per rafforzare i legami fraterni e promuovere lo spirito di famiglia, permettendoci anche di vivere una vera partecipazione, celebrare una comunione duratura e rivitalizzare la missione ad gentes in modo rinnovato e dinamico.

* Padre Ariel Tosoni, IMC, è missionario argentino nella Costa d’Avorio.

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Padre Erasto Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, padre Celestino Marandu e un amico della missione.

Dall'11 al 16 settembre 2024, in Tanzania si è celebrato il suo quinto Congresso Eucaristico Nazionale, nella città di Dar Es Salaam, in continuità con le precedenti conferenze tenutesi ogni quattro anni. Vi hanno partecipato migliaia di persone. Lo slogan della conferenza era ‘Fraternità, guarigione del mondo: siete tutti fratelli’.

Sono stati presentati sette argomenti e, in breve, li condividiamo qui di seguito.

1. La solennità nella celebrazione della Santa Messa (del vescovo Simon Masondole della diocesi di Bunda).

Il vescovo ha sottolineato l'importanza della Santa Messa nella vita della Chiesa, sottolineando che è una questione di responsabilità prepararla in modo appropriato. Ogni celebrazione della Santa Messa è un atto unico per la sua santità. È nostro dovere e obbligo celebrarla con profondo rispetto.

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Fedeli allo Stadio Uhuru durante la chiusura del Congresso

2. La fraternità cristiana come strumento importante per lo sviluppo della dignità umana (di Padre Joseph Mosha dell'Arcidiocesi di Dar es Salaam).

Il relatore ha spiegato come la fraternità è intrinsecamente un atto dell’essere umano, legato al fatto del suo essere stato creato a somiglianza e immagine di Dio, e Gesù Cristo, nutrendoci del suo corpo e del suo sangue, diventa nostro fratello. Dobbiamo riconoscere, e fare nostra la fraternità cristiana per poter guarire le tante ferite che affliggono l'umanità.

3. La Santa Eucaristia e le piccole comunità di base (di Padre Benno Kikudo della Conferenza episcopale della Tanzania).

Come il titolo suggerisce, le piccole comunità di base dovrebbero essere comunità eucaristiche. Il fulcro e centro di tutto è Cristo. Cosa si dovrebbe fare per rendere questo fattibile? Si dovrebbero preparare e implementare piani e strategie pastorali con l'obiettivo di rafforzare le famiglie, le comunità, i gruppi di giovani, i bambini e le madri, affinché possano vivere una vita eucaristica. Ciò deve essere fatto attraverso seminari, workshop e programmi pedagogici.

4. La Santa Eucaristia e la moralità (del vescovo Christopher Ndizeye della diocesi di Kahama).

Il vescovo ha sottolineato che la Santa Eucaristia è Cristo stesso. Accettare Cristo ci rende capaci di vivere come Cristo ha vissuto. Gesù Cristo non fece il male, e in tutta la vita non fece altro che il bene. Quindi, è dovere di ogni cattolico amare e desiderare di ricevere Cristo regolarmente, preparandosi bene.

Ha avvertito, tuttavia, che sarebbe una bestemmia se ricevessimo la Santa Eucaristia e allo stesso tempo continuassimo a fare il male, perché ciò darebbe l'impressione che sia Cristo che riceviamo, colui che ci fa fare il male, in quanto dovremmo essere ciò che mangiamo.

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5. La Santa Eucaristia e la guarigione nella famiglia (di Padre Rogasian Msaifi dell'Arcidiocesi di Dar es Salaam).

Ha spiegato come la Dottrina della Chiesa indica che la famiglia e il mondo hanno bisogno di guarigione e come Cristo è il vero guaritore, idea affermata anche dagli altri relatori. Ogni famiglia dovrebbe ricercare, ricevere e abbracciare Cristo come vero cibo e vera bevanda.

6. La sfida: pentecostalismo e i cattolici oggi (di Padre Leonard Maliva della diocesi di Iringa).

Ha basato il suo intervento sul fatto che le persone (per vari motivi, inclusa la difficoltà di vita) sono sempre in ricerca di soluzioni ai loro problemi, al punto da ritrovarsi ad entrare in sette per trovare “miracoli” e “vuote benedizioni”. Alcuni di loro acquistano da falsi pastori, falsi oggetti religiosi come olio, terra, foglie, che ritengano siano in possesso di poteri magici. In seguito si rendono conto che invece di essere curati, sono stati imbrogliati, derubati economicamente e la loro fede vacilla.

Per affrontare questa sfida, la Chiesa cattolica deve fare uno sforzo deliberato per preparare un piano pastorale strategico, per identificare e aiutare quei figli e figlie della Chiesa che si sono perduti.

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Il Cardinale del Tanzania, Protas Rugambwa e il Nunzio Angelo Accatino durante la cerimonia di chiusura.

7. La storia dell'evangelizzazione nella regione orientale (Mons. Methodius Kilaini vescovo ausiliare in pensione della diocesi di Bukoba).

Ha sottolineato il lavoro missionario svolto e i suoi frutti oggi, di cui il Congresso Eucaristoco n’è parte, e come molto si potrebbe dire di questo congresso. L’argomentazione del Vescovo si è basata sulla realtà presente Tanzaniana e Africana a livello politico, culturale, economico, religioso.

Fraternità e guarigione sono le parole più usate considerando la situazione che questa nazione sta affrontando oggi. C'è preoccupazione e paura nella società Tanzaniana a causa di ondate di violazione dei diritti umani come rapimenti, omicidi, abusi sui deboli, bullismo. Ecco perché, alla chiusura del congresso, la Conferenza Episcopale Tanzaniana (TEC), ha rilasciato una dichiarazione congiunta che condanna tali azioni, sottolineando che la nostra società ha bisogno di guarigione. La vera guarigione si trova nel Gesù dell'Eucaristia che ci chiama alla tavola del dialogo e della comunione.

Come missionari della Consolata, qual è il nostro contributo per guarire il mondo? Qual è il nostro ruolo nel costruire un mondo fraterno con i principi di giustizia e uguaglianza? Viviamo la vita fraterna nelle nostre comunità? Che San Giuseppe Allamano, nostro fondatore, ci aiuti a impegnarci sempre di più nel nostro Carisma.

* Padre Paulino Madeje, IMC, è il direttore della rivista Enendeni.

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Il logo del Congresso che riporta anche lo slogan

Padre Jude Katende, missionario della Consolata, ha lasciato un segno indelebile nella comunità accademica e teologica a seguito della sua difesa di dottorato, tenutasi il 6 settembre 2024 a Nairobi presso la Catholic University of Eastern Africa (CUEA).

La sua tesi innovativa, intitolata “Il ‘pianto’ di Maria presso la tomba in Giovanni 20:11-18 attraverso il ‘pianto’ funebre nella cultura Luo”, ha esplorato il profondo significato narrativo e teologico del pianto nel contesto dell’apparizione di Gesù a Maria Maddalena, come raffigurato nel Vangelo di Giovanni.

Nello studio Padre Katende si è addentrato nei parallelismi tra l'effusione emotiva di Maria Maddalena sulla tomba di Gesù e i rituali funebri del "pianto" nella cultura Luo del Kenya. La sua ricerca ha analizzato come il pianto, sia nel contesto biblico che culturale, si evolve da un'espressione di dolore ad una di gioia, segnando la transizione dal dolore della perdita al riconoscimento del Cristo Risorto. Attraverso questo confronto, Padre Katende ha esaminato l'interazione di dolore e gioia come elementi tematici che definiscono l'esperienza spirituale ed emotiva degli individui confrontati con la morte e la resurrezione, sia nella narrazione biblica che nelle tradizioni funebri Luo.

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Padre Jude Katende con gli esaminatori

Alla difesa pubblica della tesi, tenutasi presso la CUEA, erano presenti diverse persone, tra cui Padre Zachariah Kariuki, Superiore Regionale dei Missionari della Consolata per la Regione Kenya-Uganda. Padre Jude Katende non è solo un colto studioso, ma anche il rettore dell'Allamano House, il seminario teologico di Nairobi, dove è rispettato e ammirato dai giovani missionari in formazione. Un buon numero di questi giovani, insieme ad altri confratelli e amici, erano presenti alla sua difesa per mostrargli il loro sostegno in questa importante occasione.

Sia la presentazione che la difesa della sua tesi, hanno impressionato la commissione degli esaminatori, rimasti profondamente colpiti dalla sua meticolosa ricerca e analisi teologica. La sua capacità di integrare perfettamente l'antropologia culturale con l'esegesi biblica ha mostrato una profonda comprensione delle dimensioni umane e divine del lutto e della gioia in contesti sia religiosi che culturali.

Dopo il successo della sua difesa, Fr. Katende è stato calorosamente congratulato dai relatori, che hanno elogiato l'originalità e la profondità della sua ricerca. La sua dissertazione, infatti, non solo contribuisce alla discussione accademica in corso sulle narrazioni bibliche, ma fornisce anche preziose informazioni su come le pratiche culturali, come quelle riscontrate nella comunità Luo, possano illuminare e arricchire le interpretazioni teologiche delle scritture.

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Padre Zachariah Kariuki e padre Jude Katende

La presenza di Padre Zachariah Kariuki ha sottolineato l'importanza di questo evento per i Missionari della Consolata, in quanto i risultati di Padre Katende riflettono l'impegno che l’Istituto mette nella formazione intellettuale e spirituale dei suoi membri. Il sostegno dei confratelli, dei giovani missionari della Consolata e degli amici ha ulteriormente evidenziato il senso di orgoglio e gioia comunitari per il successo della difesa della tesi.

La difesa di dottorato di Padre Jude Katende segna il culmine di anni di studio, e il suo lavoro è una testimonianza dell'importanza del dialogo tra cultura ed evangelizzazione per la Chiesa. Questo risultato non solo arricchisce il panorama accademico della CUEA, ma serve anche da ispirazione per futuri studi di teologia e missiologia, nel dialogo tra fede e cultura.

Mentre continua il suo lavoro come rettore presso l'Allamano House, i contributi accademici e pastorali di Padre Katende, continueranno ad illuminare la riflessione teologica, e ad ispirare i giovani in formazione sotto la sua responsabilità.

* Fratel Adolphe Mulengezi, IMC, Congolese, studia Comunicazione a Roma.

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Tra preghiera, pittura e pennelli, padre Carlo Mondini, 86 anni dei quali 55 anni come sacerdote, prima di tornare in Italia parla dei 25 anni di servizio missionario in Argentina. Il suo impegno per la missione è evidente in ogni aspetto della sua vita.

Nella Casa Regionale dei Missionari della Consolata, nel quartiere di Flores, a Buenos Aires, da un quarto di secolo batte forte un cuore italiano. Padre Carlo Federico Mondini, 86 anni, bresciano di origine, ha dedicato una parte della sua vita a portare un messaggio di speranza e consolazione in Sud America.

Arrivò in Argentina il 7 luglio 1999 con la speranza di condividere la sua fede e servire i più bisognosi. Dopo un intenso periodo di studio dello spagnolo, la sua prima destinazione è stata la parrocchia di Pompeya, a Merlo, provincia di Buenos Aires. Lì, immerso nel calore della comunità di Buenos Aires, ha iniziato a costruire le basi di quella che sarebbe stata la sua missione in Argentina: il seminario di San Miguel, la pastorale di  Jujuy, a stretto contatto con le comunità indigene, e poi Mendoza.

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Padre Mondini ha lasciato la sua impronta artistica in Africa e in Argentina, dove ha dipinto immagini religiose

Una missione senza frontiere

Nella vita del padre Mondini la formazione è stato un aspetto importante; in Kenya e in Italia, prima ancora che in Argentina, ha dedicato forze e tempo all’animazione missionaria e alla formazione di giovani missionari. Con una profonda sensibilità interculturale e una solida conoscenza della spiritualità della Consolata, padre Mondini ha saputo trasmettere ai suoi studenti la passione per la missione ad gentes. La sua esperienza di animazione missionaria è stata fondamentale per rafforzare la vocazione di molti giovani.

20240826Mondini4“Nella preghiera non siamo mai da soli. Abbiamo un dialogo intimo con Dio, il nostro Padre amorevole. È in questo incontro personale che Egli ci rivela i suoi progetti e ci guida sulla strada che ha tracciato per ognuno di noi. Osate chiedergli: “Signore, cosa vuoi che faccia? Illuminami con il tuo Spirito Santo e dammi la forza di fare la tua volontà. Parlami, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” è il consiglio che padre Mondini dà ai giovani che iniziano la loro vocazione al sacerdozio.

Pennellate missionarie: la passione per la pittura

Padre Mondini ha unito la sua vocazione religiosa alla passione per la pittura. In Africa ha decorato cappelle e ha organizzato mostre d'arte con la comunità locale, i cui dipinti sono stati venduti per sostenere progetti comunitari. In Argentina, ha lasciato la sua impronta artistica a Jujuy, dove ha dipinto immagini religiose come la Vergine Consolata e il Sacro Cuore di Gesù, donando le sue opere alla comunità. Sebbene per lui la pittura sia solo un hobby, il suo talento ha contribuito a decorare gli spazi e a stabilire un contatto con le persone. Con le sue pennellate missionarie dimostra che l'arte può essere un potente strumento di evangelizzazione e di promozione dei valori umani e cristiani.

Il cuore di un missionario

Negli ultimi tre anni, padre Mondini ha fatto della spiritualità il centro della sua vita inspirandosi alla figura di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni. Ogni sua parola, ogni suo pensiero e ogni sua azione sono concepiti come un'offerta al Signore.

“Tutto ciò che faccio, ciò che dico, ciò che penso, ogni respiro della mia bocca e ogni battito del mio cuore è un'offerta al Signore”, dice padre Mondini, riflettendo la profondità della sua dedizione.  Nella sua vita consacrata il missionario cerca di unire il suo cuore a quello di Dio e quindi di intercedere per tutte le persone, soprattutto quelle più bisognose. La sua testimonianza ci invita a riflettere sull'importanza della preghiera e dell'offerta personale come mezzi per trasformare il mondo.

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Missionari della Consolata residenti nella Casa Regionale: Guillermo Pinilla, Mario Guglielmin, James Macharia, Carlos Monidini, Marcos Im Sang Hun e Nino Bigani.

Oggi padre Carlo, che ha lasciato un segno profondo e tanta gratitudine nella comunità argentina, ha deciso di tornare in Italia, sua terra d'origine. All’età di 86 anni, questo ritorno è il risultato di una maturazione personale e spirituale che si è sviluppata negli ultimi mesi. Padre Mondini sente il bisogno di riconnettersi alle sue radici, alla sua lingua, alla sua cultura e, soprattutto, ai suoi cari. In Italia lo aspettano nipoti, parenti e amici con cui condividerà questa nuova tappa.

Ad ogni modo questa sua partenza non significa la conclusione della sua vocazione missionaria: porterà con sé il fuoco dell'apostolato che ha acceso in tanti cuori. Dalla sua patria, continuerà a dedicarsi alla preghiera e alle offerte per le necessità del mondo, ispirando altri a seguire le sue orme.

* Padre Guillermo Pinilla, IMC, superiore della Casa Regionale di Buenos Aires e Celina Atencio, insegnante a Mendoza.

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