Solo sei mesi fa abbiamo celebrato il centenario della conferenza di Murang’a che ha tratteggiato alcuni aspetti fondamentali del nostro metodo missionario fatto di vicinanza, incontro, dialogo e accompagnamento. Anche oggi la missione, che nasce dall’incontro con Cristo e con i poveri, ci aiuta a definire la nostra identità e a superare i rischi dell’autoreferenzialità. Anche oggi il missionario e la missionaria, alla luce dello Spirito, devono essere audaci e creativi, per ripensarsi al servizio di una missione, urgente come prima e come sempre, ma con caratteristiche ed esigenze nuove come le seguenti:
1. una missione del piccolo resto: il fermento nascosto nella massa di un mondo conflittivo;
2. una missione che deve dare una risposta di spiritualità alla ricerca del sacro e alla nostalgia di Dio;
3. una missione di testimoni della trascendenza e presenza di un Dio compassionevole e misericordioso in società pluralistiche;
4. una missione chiamata a rendere visibili i valori del Vangelo nell’impegno con i poveri, con la giustizia, partecipando ai movimenti che lavorano per la pace, per l’ecologia e per la difesa dei diritti umani;
5. una missione che diventa presente nei posti di frontiera, al servizio degli emarginati, per testimoniare il progetto di Dio e denunciare tutto quello che a lui si oppone;
6. una missione che favorisce la creazione di comunità nuove più semplici, oranti, fraterne, vicine al popolo;
7. una missione che testimonia una nuova umanità a partire dall’impegno con le persone, con i loro diritti umani, con la giustizia in relazione reciproca di genere.
A tutti e a ciascuno: coraggio e avanti in Domino!
P. Kim, nato il 19 dicembre 1973 a Geum San, provincia di GimJe (Corea del Sud), in una famiglia composta dai genitori Kim Ki Su e Jo Bok Yeo e da una sorella, è tornato in patria dopo dieci anni di lavoro missionario fra la Colombia e l’Ecuador. Ha rilasciato questi riflessioni al portale “Consolata America”.
Non è esagerato dire che i miei genitori mi hanno trasmesso la vocazione sacerdotale. Mio padre, che era un falegname, dopo il matrimonio si trasferì in un paesino dove vivevano dei pii cattolici che ha uno spazio particolare nella storia della chiesa cattolica coreana. Sono nato lì e quindi sono cresciuto in un ambiente molto religioso che ha anche prodotto non poche vocazioni sacerdotali e religiose. quando io avevo 8 anni tutti i membri della mia famiglia sono stati battezzati.
Ai tempi della scuola ero molto impegnato nella parrocchia ma non ero interessato a diventare sacerdote. Tuttavia, mi sono spesso interrogato sulla mia identità personale, su chi ero io. Era una domanda che non mi lasciava in pace.
Poco prima di entrare alla Consolata stavo lavorando nella Hyundai e ogni fine settimana andavo in discoteca con i miei amici... eppure, in un angolo del mio cuore, c’era un vuoto che non riuscivo a colmare fino a quando, un giorno, ho sperimentato un cambiamento interiore e da quel momento ho deciso di vivere una vita diversa. A 25 anni ho venduto la mia auto e il mio appartamento. I miei genitori, all'inizio, erano contrari perché ero l'unico maschio in famiglia ma sapevo che una nuova vita inizia sempre così: con decisioni radicali e superando questo tipo di avversità.
Con gli studenti del collegio Allamano (Bogotà)
Quando sono arrivato in Colombia non avevo mai vissuto a 2500 metri sul livello del mare e quindi ho fatto fatica anche ad adattarmi all'altitudine ma poi la lingua e la cultura sono stati l’impegno maggiore soprattutto quando, poco più di un anno dopo essere arrivato in Colombia, sono stato mandato alla pastorale indigena nella regione di Sucumbíos, in Ecuador. In quella missione è stato impegnativo adattarsi all'ambiente amazzonico, caldo e umido, e alla lingua e cultura indigena. Quel primo salto è davvero stato complicato e difficile anche se ha lasciato un segno nella mia vita missionaria; mi ha permesso di conoscere da vicino la ricchezza della cultura indigena e la gravità della deforestazione e dello sfruttamento ambientale.
Dopo l’esperienza di Sucumbíos ho lavorato per poco più di 3 anni come vice parroco nella parrocchia di “Nuestra Señora de Fátima” nella città di Manizales, nella bella regione del caffé situata nella regione occidentale della Colombia. Ho anche aiutato ad amministrare la casa “San José” che ospitava i nostri missionari anziani. Forse il periodo trascorso a Manizales è stato il mio periodo più felice.
Poi il 9 novembre 2019 sono andato a Puerto Leguízamo ancora una volta nella regione amazzonica, non lontano da Sucumbíos dove ero già stato ma in Colombia e non in Ecuador. Ho lavorato come vicario nella cattedrale e vissuto con intensità la fraternità con i missionari presenti in quella geografia, tra di loro anche il vicario apostolico Mons. Joaquín Umberto Pinzón.
Ho fatto del mio meglio e ho vissuto felicemente, ma onestamente non posso cancellare le brutte impressioni e il dolore che mi è rimasto nel cuore, quando ho visto da vicino la situazione di violenza che dilagava nella regione: innumerevoli persone scomparse o reclutate o uccise vittime dei conflitti socio-politici. Eppure la gente viveva tranquilla e come se nulla fosse accaduto. L'esperienza di tre anni a Leguízamo è per me come l'esperienza che fece Fëdor Dostoevskij quando trascorse quattro anni a Omsk.
Con il vescovo e membri dell'equipe missionaria in una comunità indigena di Sucumbíos
Ad essere sincero, sono molto felice di essere tornato nel mio Paese. Negli ultimi due anni mi sono successe molte cose. Dopo un incidente in moto a Leguízamo, un'operazione di rimozione della cistifellea per calcoli biliari e la morte dei miei genitori, ho sentito la necessità di cambiare il luogo della missione.
È stata un'esperienza preziosa in Colombia e credo che rimarrà per sempre nella mia memoria. Grazie a tutti i sacerdoti della Regione Colombia.
* Kim Myeong Ho è un missionario coreano della Consolata che ha trascorso 10 anni in Ecuador e Colombia.
Un gruppo di ex alunni del Seminario Nostra Signora di Fatima di Três de Maio (Rio Grande do Sul, Brasile) si è riunito il 6 gennaio per una celebrazione fraterna e ricordare la formazione ricevuta.
Il programma dell'incontro, che ha visto la partecipazione di più di 60 persone, comprendeva la celebrazione dell’eucaristia, un incontro e la condivisione del periodo trascorso in seminario. Durante la Messa celebrata nella parrocchia di Santa Rosa da Lima nella città di Independência, padre Jaime C. Patias, Consigliere Generale per l'America, ha ricordato la storia dei Missionari della Consolata in Brasile e il loro arrivo nello stato di Rio Grande do Sul.
I Missionari della Consolata sono arrivati in Brasile per la prima volta con padre Giovanni Battista Bisio il 17 febbraio 1937, 86 anni fa, e si sono subito occupati della Parrocchia di São Manuel, nell'interno dello stato di São Paulo, e della costruzione del Santuario di Santa Teresina.
Nel 1940 la presenza della comunità si amplia allo stato di Santa Catarina: invitati dal vescovo Mons. Pio de Freitas, vescovo di Joinville, i Missionari della Consolata si sono dedicati alla gestione pastorale della parrocchia Maria Ausiliatrice della città di Rio do Oeste e hanno aperto il primo seminario, dedicato a San Francesco Saverio, con la presenza di 16 studenti. Con il tempo hanno esteso la loro presenza a altre città di Santa Catarina –come Pouso Redondo, Rio do Campo e Garuva– ed è stato anche costruito il Santuario di "Nostra Signora della Consolata".
Nell'ottobre del 1946 è stata la volta di São Paulo, prima nel quartiere di Jardim São Bento, nella parte settentrionale della città di São Paulo. Due anni dopo anche la casa provinciale della comunità è stata trasferita da São Manuel a São Paulo e in quello stesso anno, 1948, è stata assunta la missione nella Prelatura di Rio Branco nello stato di Roraima, al nord del Brasile, sostituendo l'Ordine benedettino.
Parrocchia di Santa Rosa da Lima
I Missionari della Consolata arrivarono per la prima volta in questo stato con p. Afonso Durigon nel 1947: lui sarà vice parroco della parrocchia di "São José" nella città di Erechim. Nella stessa città, l’anno successivo, sarà inaugurato il seminario "São José" che, quando ebbe una nuova sede, assunse il nome di "Seminario Nossa Senhora Consolata", attivo centro di formazione fino al 1998, anno della sua chiusura.
L’anno successivo, nel 1948, è stata la volta della città Três de Maio. Lì i Missionari della Consolata saranno collaboratori nella parrocchia di "Nossa Senhora da Conceição" e allo stesso tempo insegneranno nelle scuole pubbliche di "Dom Hermeto José Pinheiro" e "Pio XII" che nel 1963 fu ribattezzato col nome di “Cardinal Pacelli”.
L'autorizzazione di aprire il seminario "Nossa Senhora de Fatima" a Três de Maio è stata concessa ai Missionari della Consolata l'11 aprile 1956 da monsignor José Newton Batista de Almeida, vescovo di Uruguaiana. I lavori di costruzione, sostenuti anche con la partecipazione delle famiglie locali, iniziarono nel 1957 e l'inaugurazione avvenne il 12 febbraio 1961, alla presenza del nuovo vescovo di Uruguaiana, Mons. Luis Filipe De Nadal, e del Governatore dello Stato, Dr. Leonel de Moura Brizolla.
Nella città di Independência, è stata la parrocchia Santa Rosa di Lima ad essere affidata ai Missionari della Consolata nel 1972 che l’hanno gestita per dodici anni; alla fine del 1984 è stata restituita alla diocesi di Santo Ângelo e presa in carico dai Padri Dehoniani che vi sono rimasti fino al 2014.
Altre presenze che appartengono ai primi anni di lavoro dei Missionari della Consolata nello stato di Rio Grande do Sul, tra il 1952 e il 1964, sono state la parrocchia di "San Francesco d'Assisi", nell'omonimo comune; e la parrocchia di "Nostra Signora del Rosario" di Horizontina.
Anche le Missionarie della Consolata hanno avuto una presenza significativa in questo Stato per diversi anni. Suor Lurdes Bonapaz, nativa di Independência, ha partecipato alla messa er aell'incontro degli Amici della Consolata. Lei ha svolto la sua attività missionaria in Liberia e Guinea Bissau.
In tutto la permanenza dei Missionari della Consolata in questo che è lo stato più meridionale del Brasile è durata 53 anni, dal 1947 fino all’anno 2000.
In questo mezzo secolo di attività, molti sacerdoti e fratelli Missionari della Consolata hanno vissuto la missione nelle fertili terre di Rio Grande do Sul e la loro presenza ha segnato segnato la vita di famiglie e comunità. nel corso degli anni i semi del Vangelo sono germogliati e ancora oggi continuano a portare frutto nella società. Oltre al lavoro pastorale nelle parrocchie e alla promozione umana nelle opere sociali, centinaia di adolescenti e giovani hanno studiato e si sono formati nei collegi e nei seminari di Três de Maio e Erechim. fra di loro poco meno di una ventina sono poi diventati missionari della Consolata.
Dio ha voluto che facessimo parte di questa storia fatta di generosità e amore per l'evangelizzazione e la promozione umana, caratteristiche del carisma ereditato dal Beato Fondatore, Giuseppe Allamano. Ci possono essere state alcune limitazioni, ma in generale quello che abbiamo e siamo oggi ha l'indiscutibile contributo dei Missionari della Consolata.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, è Consigliere generale per l'America.
I missionari della Consolata nati nello stato di Rio Grande do Sul sono Sabino Mariga, Sérgio Weber, Nelson Sinigalia, Etelvino Balsan, Osmar Zucatto, Cláudio Cobalchini, Rosalino Dall'Agnese, Aquileo Fiorentini (lui consigliere generale dal 1999 e poi Superiore Generale nel periodo 2005-2011), Elio Rama (dal 2012 vescovo di Pinheiro, Luiz Balsan, Ivanilson Brun, Mário de Carli, José Tolfo, Jaime C. Patias, Luiz C. Emer, Laurindo Lazaretti, Fratel Ayres Osmarim, Arlei Pivetta e Sandro Dalanora.
Ex Seminario Nostra Signora di Fatima. Três de Maio (RS)
La comunità dei Missionari della Consolata di Águas Santas (Portogallo) ha informato che sabato mattina, 14 gennaio 2023, è deceduto padre Casimiro Torres. Aveva 56 anni di vita dei quali 26 vissuti come sacerdote e Missionario della Consolata.
Poco più di un anno fa gli era stato diagnosticato un cancro e le prime cure le aveva ricevute in Tanzania dove era stato in missione per 20 dei suoi 26 anni di sacerdozio. Poi il 6 giugno dell’anno scorso era tornato in Portogallo dove è stato immediatamente ricoverato nell’ospedale di São João nella città di Porto per una degenza durata vari mesi. Il 22 novembre è tornato nella sua comunità di Águas Santas –diceva lui che ne sentiva la mancanza– e da quel momento, anche se la malattia avanzava minando inesorabilmente sempre più la sua salute, ha cercato di vivere normalmente i suoi impegni sacerdotali presiedendo l’eucaristia nella cappella pubblica della comunità fino a pochi giorni prima di morire.
Nato a São Mamede do Coronado il 2 luglio 1966, padre Casimiro Nuno Oliveira Torres aveva 56 anni dei quali 31 come Missionario della Consolata e 26 come sacerdote. Nel 1991, a Vittorio Veneto, aveva emesso la sua prima professione religiosa e fino al 1996 studiato teologia nel seminario teologico di Nairobi (Kenya). Il giorno 6 ottobre del 1996, nel suo paese natale, era stato ordinato sacerdote da Mons. José Augusto Pedreira e in seguito i primi anni del suo ministero sacerdotale li aveva vissuti nella comunità di Águas Santas come animatore missionario.
La sua Tanzania, che da allora ha sempre avuto nel cuore, l’ha raggiunta nel 2002. Dopo un periodo dedicato a imparare la lingua ha svolto attività pastorali a Sanza (fino al 2009), a Makambako (fino al 2011) e a Ubungu (fino al 2020). Nel 2020 è stato nominato superiore della comunità di Mjimwema dove è rimasto fino a quando, già malato, è dovuto rientrare in Portogallo.
La maggior parte della sua vita religiosa a missionaria padre Casimiro l’ha quindi trascorsa in Africa, nella sua amata Tanzania dove ha speso una parte importante della sua vita. In questi anni ha anche ospitato e animato molti giovani e gruppi di volontariato missionario, provenienti soprattutto dal Portogallo e dall'Europa.
In comunione fraterna con la sua famiglia, con i Missionari della Consolata e con le comunità cristiane alle quali ha annunciato il vangelo preghiamo il Signore per il suo eterno riposo.
(Dall'omilia di p. Gianni Treglia, Superiore Provinciale)
Carissimo padre Casimiro, carissimo amico e fratello, tu hai saputo accogliere l'amore di Dio, accogliendo Dio stesso negli ultimi che hai sempre servito. Il mistero del povero è stato il tuo stesso mistero, come Gesù. Anche la croce hai portato in questi anni di sofferenza, senza lamentarti, accogliendo la volontà di Dio, donando tutta la vita, fino alla fine. Tre sono le caratteristiche che ho sempre visto e ammirato in te, fin dal tempo degli studi quando ci siamo conosciuti.
SILENZIOSO. Non eri un uomo dalle molte parole, piuttosto eri propenso all'ascolto. Nè mai ricordo che tu abbia alzato la voce per gridare o sgridare qualcuno. Eri piuttosto un uomo della presenza, del fare, concreto. In te riconosco il figlio del Beato Giuseppe Allamano, nostro fondatore, quando diceva che "il bene va fatto bene, e senza rumore".
UMILE. Mai hai preteso qualcosa per te stesso. Hai sempre ceduto il passo a qualcun altro: ai confratelli che con te hanno vissuto, alla gente che tanto amavi. Apparire davanti agli altri e più degli altri non era una faccenda che ti riguardasse. Come Maria, per te e per noi la Consolata, umile serva del Signore, hai semplicemente detto il tuo sì.
ULTIMO. Non parlo di una gara, né di graduatorie dove c'è chi arriva primo e in fondo chi arriva ultimo. No! Non solo hai servito gli ultimi e per essi hai speso tutto te stesso, tutta la tua vita, senza risparmi. Con gli ultimi ti sei fatto ultimo, uno di loro. Ho ancora negli occhi quando ogni giorno ponevi il tuo banchetto nella veranda della missione di Sanza, davanti a tutti, così da vincere la timidezza (spesso proprio perché si sente troppo povero, troppo ultimo, troppo indegno) di chi non osa varcare le barriere di un ufficio. Ultimo con gli ultimi, vero missionario secondo il cuore di Dio.
Carissimo Casimiro, mentre oggi preghiamo per te, accompagnandoti in questo ultimo tratto di strada, ringraziamo il Signore perché ci ha fatto dono della tua vita. La testimonianza della tua vita non solo è Vangelo vissuto, ma per tutti noi rimante Vangelo vivente. La testimonianza della tua vita sia consolazione per quanti ti hanno conosciuto, i tuoi familiari innanzitutto, tua mamma, tuo fratello con la sua famiglia, e tutti i missionari della Consolata, del Portogallo, dell'Europa tutta e, in particolare, del Tanzania.
Questa epoca di cambio che stiamo vivendo, che porta con se innumerevoli situazioni di crisi che toccano persone e istituzioni fino a poco tempo fa inquestionabili come la famiglia, la scuola e la Chiesa, ci ricorda l’urgenza di un rinnovamento profondo che raggiunga persone e istituzioni. Guerra, crisi economica, grandi fenomeni migratori, scandali nella Chiesa ci stanno privando della capacità di sognare e confidare che il sospirato "Regno di Dio" sia già tra noi.
Oggi è quantomai necessario rinfrescarsi, rinnovarsi, risvegliare ciò che sembra essersi addormentato.
Invece il tempo liturgico dell'Avvento che stiamo vivendo, così come la preparazione al nostro XIV Capitolo Generale ci invitano a rinnovare la speranza; sono occasioni per riconnetterci con Dio, con le persone, e con il meglio che ognuno di noi ha. È tempo di ascoltare la voce dello Spirito, che ci dice ciò che siamo, ciò che siamo chiamati ad essere, e ciò che vogliamo diventare. Non lasciamoci trascinare dal disfattismo, dal pessimismo o dall'indifferenza ma osiamo sognare un mondo nuovo, una Chiesa viva, un Istituto rinnovato che riscopra la bellezza e l'entusiasmo della missione ad gentes.
La speranza e la gioia sono atteggiamenti necessari e permanenti; papa Francesco ci ricorda che "un evangelizzatore non deve sempre avere un volto funebre. Recuperiamo e accresciamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando è necessario seminare nelle lacrime... Il mondo d'oggi deve ricevere la Buona Novella, non attraverso evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti o ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi il fervore di coloro che hanno ricevuto, prima di tutto in se stessi, la gioia di Cristo" (cf. Evangelii Gaudium 10).
Sperare non è aspettare passivamente come una sorta di vento che spazzi via le nuvole ma guardare la dura realtà con occhi diversi sapendo che ciò che sta per arrivare non è dovuto al solo sforzo umano o alle nostre forza ma avrà a che vedere con il Regno di Dio che si impone nella storia per mezzo dell'azione e del protagonismo di un Dio che non ha dimenticato il suo popolo.
Questo tempo di preparazione (al Natale e al Capitolo generale) ci aiuta a recuperare la capacità di sognare un mondo nuovo e un Istituto innovato; ci ricorda che Dio è la pienezza della vita e che in Gesù è venuto al mondo con l'intenzione di non abbandonarlo più.
E allora il mio augurio è che qualcosa di "nuovo" accada nella vita di ognuno di noi, nelle nostre comunità cristiane, nel nostro Istituto che si interroga, nel prossimo Capitolo Generale, a proposito del nostro rinnovato impegno nel cammino dell'evangelizzazione.
*Juan Pablo de los Rios è superiore regionale in Colombia