Una “messa nazionale per sollecitare la Corte costituzionale ad emettere una sentenza di impeachment” si è tenuta il 31 marzo 2025, nella Piazza Verde di Songhyeon, vicino alla sede della Corte, a Yeouido.

Il Tribunale Costituzionale ha destituito il presidente Yoon Suk-yeol con un’opinione unanime degli 8 giudici.

Oggi 4 aprile mattina alle 11:22, ora locale, il Tribunale Costituzionale ha finalmente pronunciato la destituzione del presidente Yoon con l’opinione unanime di tutti i giudici. Yoon, 64 anni, è stato protagonista lo scorso dicembre di un clamoroso quanto maldestro tentativo di auto-colpo di Stato che ha precipitato la quarta economia asiatica in una crisi istituzionale senza precedenti. Il presidente è sotto processo per insurrezione (e abuso di potere), un reato non coperto dall'immunità presidenziale.

In questo grave momento di crisi per la Corea del Sud la piazza risuonava delle grida ferventi del popolo che trafiggevano il cielo – forse per la certezza che Yoon Suk Yeol, il presidente in questione, sarebbe stato rimosso, o magari solo per pregare – mentre la leadership della Chiesa rimaneva costantemente in silenzio.

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Non molto tempo fa, abbiamo ricevuto un messaggio dal Cardinale Lazzaro You Heung-sik, Prefetto del Dicastero per il Clero a Roma, che affermava: “Non c’è neutralità nella giustizia”, esortando la Corte costituzionale ad agire senza indugio nel pronunciare una sentenza di impeachment. Sebbene questo sia stato molto apprezzato, non è stato sufficiente a spegnere la sete ardente del popolo. Una dichiarazione nazionale che riflettesse la posizione della Chiesa Cattolica sulla questione delle accuse al presidente e una messa per la nazione erano necessarie. Forse per questo, ancora più fedeli si sono aggiunti alla celebrazione, e le voci che chiedevano la rimozione di Yoon Suk Yeol sono risuonate con una forza tale da trafiggere il cielo.

Qual è il vero significato della Messa?

Mentre guardavo innumerevoli sacerdoti che portavano croci dietro di me, non ho potuto fare a meno di scoppiare improvvisamente in lacrime. Quanto avevamo atteso con ansia questa messa nazionale che non è solo per i credenti cattolici, ma per l’intera comunità – coloro che cercano di proteggere una nazione in crisi, per rifiutare il male e lottare per la giustizia – offrendo il loro desiderio collettivo a Dio. Vescovi e sacerdoti sono chiamati e consacrati proprio per questo compito. Eppure, rifiutare tale azione per qualsiasi motivo è venir meno al loro dovere sacerdotale.

Quando la Chiesa si allea con il potere, la Chiesa scompare

All’apparenza pare diventare più forte e acquisire influenza nel mondo, ma poi diventa un’entità che non ha più alcun messaggio né nulla da offrire al mondo. Questo perché il mondo è capace di generare potere da sé.

E quando noi utilizziamo Cristo per condurre crociate e perseguire il potere, questo diventa un’autodistruzione per la Chiesa, un errore fatale che essa stessa compie. Quando ciò accade, la Chiesa gradualmente svanisce.

Anche il clericalismo è considerato una forma di potere, ed è per questo che accade. San Agostino ha detto che il sacerdozio trova il suo significato nel servizio. Tuttavia, nella storia della Chiesa, quanti sono stati davvero liberi da questo potere? Guardando me stesso, vedo che non sono libero. Il chicco di grano deve cadere in terra e morire, ma io non voglio morire. Se rifiuto di marcire, non porterò frutto e alla fine sarò scartato. Tutto questo dipende anche dalla mia lotta interiore, dall’egoismo che porto dentro di me.

* Padre Kyoung Ho Han, IMC, membro della Commissione di riconciliazione nazionale.

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Posizione della Chiesa Cattolica Coreana

La storia sembra ripetersi sempre, ma oggi la nostra nazione e il nostro popolo si trovano a dover affrontare un momento doloroso, scrivendo una pagina di storia infelice che non avremmo mai voluto. Per la seconda volta nella nostra storia, un presidente eletto dal popolo è stato nuovamente destituito tramite impeachment.

Il tempo della giustizia, rappresentato dal processo di impeachment del presidente Yoon Suk-yeol, si è concluso. Ora, nel tempo della politica che segue immediatamente, dobbiamo raccogliere la saggezza per eleggere con cura un nuovo presidente che guiderà il nostro Paese.

Dobbiamo scegliere un presidente che riconosca profondamente che il potere presidenziale è un potere delegato dal popolo, un potere che deve servire il popolo, e che sia pronto a sacrificarsi in ogni momento per proteggere la vita e i beni dei cittadini, considerandolo il fondamento della politica.

Prima di tutto ciò, esortiamo le autorità nazionali a fare ogni sforzo per recuperare la fiducia del popolo e promuovere l’armonia. In particolare, i politici non devono dimenticare che esistono per servire il popolo, rispettando gli altri, ascoltando le reciproche opinioni e avanzando verso una politica di cooperazione e mutuo beneficio. Così, il processo di selezione di leader responsabili e moralmente integri, per realizzare la riconciliazione sociale e il bene comune, deve essere attuato in modo democratico e maturo.

La Chiesa Cattolica Coreana prega con tutto il cuore e accompagnerà il popolo affinché le scelte future possano diventare una pietra miliare per la realizzazione della giustizia e di una vera pace nel nostro Paese.

4 aprile 2025


Conferenza Episcopale Cattolica Coreana


Presidente, Vescovo Lee Yong-hoon

Crimini di guerra e sparizioni politiche

«È a causa di quello che hanno fatto i vostri parenti che siete qua. Voi pensate di poter prendere tutto il Burkina Faso. È la vostra fine», urla in moore (la lingua dei mossì, l’etnia maggioritaria in Burkina Faso) una voce fuori campo, presumibilmente della stessa persona che sta girando un rudimentale video con il telefono.

Nelle immagini si vede una donna a terra morta con la testa sanguinante, e vicino a lei un bimbo piccolo, visibilmente scioccato. Decine di video choccanti hanno invaso i social media dei burkinabè un paio di settimane fa. Sono stati girati nei pressi della città di Solenzo, nella provincia Banwa, l’estremo Ovest del Burkina Faso.

Documentano i massacri avvenuti tra il 10 e l’11 marzo, riporta Human rights watch (Hrw), l’organizzazione per la difesa dei diritti umani basata a New York. Nei video si vedono decine di uomini, donne e anche alcuni bambini uccisi o feriti. Sono ammucchiati a terra o su mezzi di trasporto. Cadaveri e feriti senza distinzione. A girare i video sono stati gli stessi autori dei crimini, i «Volontari per la difesa della patria» (Vdp), che hanno così firmato la carneficina. Sulle loro maglie si legge «Gruppo di autodifesa di Mahouna», oppure «Forza rapida di Kouka», tutte località della zona di Solenzo.

I Vdp sono gruppi paramilitari, presenti in tutto il Paese e sostenuti dal Governo, nati alcuni anni fa, con il presunto obiettivo di difendere la popolazione dall’attacco dei gruppi armati jihadisti, penetrati in Burkina fino dal gennaio 2016.
I ricercatori di Hrw hanno esaminato gli spezzoni di video e hanno contato, con approssimazione per difetto, almeno 58 cadaveri.

Secondo diverse testimonianze locali, il massacro è avvenuto ai danni della popolazione di etnia Peulh (Fulani). Questo gruppo è genericamente accusato di favoreggiamento dei jihadisti, a causa della stessa appartenenza etnica di molti membri degli islamisti (è a questo che si riferisce la voce del video citato sopra). Secondo fonti di Hrw, «il 10 e l’11 marzo, l’esercito burkinabè e le milizie alleate hanno compiuto una vasta operazione nelle campagne di Solenzo e colpito dei Peulh sfollati, apparentemente in rappresaglia contro la comunità che il Governo accusa di sostenere i combattenti islamisti». L’odio etnico pare essere oramai penetrato, anche in quest’area dell’Africa dove non si era mai verificato.

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Nord Burkina Faso, villaggio di You, provincia Loroum nel 2018

Incitazione allo sterminio

Intanto il 21 marzo, il procuratore della Repubblica, Blaise Bazié, ha aperto un’inchiesta per «incitazione all’odio» a causa dei molti messaggi circolanti sui social network inneggianti allo sterminio dei Peulh. Testi del tipo: «Lanciare operazione zero Peulh nelle 45 provincie del Burkina Faso». Amnesty International fa notare che sono circa quattro anni che avvengono queste inchieste, ma alcuna sanzione è stata mai imposta: «Ci sono denunce, richiami alla legge, ma purtroppo non seguite da sanzioni. […] Questa impunità si manifesta come una normalizzazione della violenza verso la comunità Peulh e facilita la sua perpetuazione».

Un comunicato del portavoce del Governo, datato 15 marzo riporta che «una vasta campagna di disinformazione fa seguito ai recenti avvenimenti di Solenzo, con l’obiettivo di discreditare i nostri valorosi combattenti e impaurire la popolazione pacifica». La giunta militare, al governo dall’ottobre 2022, considera questi video dei falsi, montati ad arte e diffusi allo scopo di screditare il suo operato per la sicurezza.

I civili nel mirino

Il massacro di Solenzo, purtroppo, non è un fatto isolato. Dal 2023 si contano oltre 500 i civili trucidati nelle campagne burkinabè. Quelli maggiori sono stati: Karma, aprile 2023, 150 morti; Zaongo, novembre 2023, 100 morti; Soro, febbraio 2024, 220 morti e Gayeri, tra il 2023 e il 24, diverse decine di vittime.

I jihadisti, dal canto loro, compiono attacchi selettivi, sovente contro le forze dell’ordine, nelle zone più remote del Paese. Ma non solo. Attaccano anche villaggi e uccidono civili inermi e creano vasti movimenti di popolazione in fuga.

Circa due milioni di persone, quasi il 10% della popolazione, sono state costrette a fuggire dalle proprie case a causa di scontri armati e problemi di sicurezza negli ultimi anni (riporta il Consiglio norvegese dei rifugiati).

Da ricordare tra tutti il massacro di Barsalogho, il 24 agosto 2024, quando il «Gruppo di sostengo all’islam e ai musulmani» (Gsim o Jnin, in arabo Jama’at al-Islam wa al-Muselimeen), una delle sigle dei movimenti jihadisti presenti in Sahel, legata questa ad al Qaeda, è stato responsabile dell’uccisione dalle 300 alle 400 persone. Il maggiore eccidio avvenuto ad oggi nel Paese.
Questo gruppo è stato particolarmente attivo proprio nella provincia di Banwa, tra fine 2024 e inizio 2025.

Hrw ha verificato che le forze armate burkinabè e i Vdp hanno commesso abusi generalizzati durante l’operazione di contro insurrezione in tutto il Paese, comprese uccisioni illegali di civili che accusano di sostenere i combattenti islamisti.

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Repressione politica

D’altro lato il governo della giunta militare guidata da Ibrahim Traoré, spinge su una retorica militarista e sovranista. E non ammette dissenso. Uomini, spesso in borghese, prelevano e fanno scomparire giornalisti e attivisti per i diritti umani, che poi ricompaiono nelle prigioni di Stato settimane dopo il sequestro.

È così che il 17 marzo scorso è stato preso in un ufficio dove lavorava il giornalista Idrissa Barry, membro del coordinamento del movimento politico Sens (Servir et non se servir). Il 22 marzo altri quattro membri dello stessa associazione sono stati sequestrati e non si conosce dove siano stati portati.

Il 24 marzo, poi, il presidente e il vice presidente dell’Ajb (Associazione giornalisti burkinabè, la maggiore del Paese), rispettivamente Guézouma Sanongo e Boukari Ouoba, sono scomparsi, e la stessa sorte è toccata a Luc Pagbelguem (giornalista di BF1 Tv). Il giorno dopo, l’Ajb è stata addirittura sciolta, con un comunicato del ministro dell’Amministrazione territoriale (equivalente al nostro ministro dell’Interno).

Il movimento Sens, in un comunicato, ha dichiarato: «Denunciamo fermamente questa nuova ondata di repressione politica e chiediamo al Governo di impedire i massacri di popolazioni innocenti piuttosto che prendersela con chi li denuncia. […] Chiediamo inoltre alla comunità internazionale, alle organizzazioni di difesa dei diritti umani e a tutte e personalità di buona volontà di fare pressioni sul regime per il rispetto della legalità e della dignità dei cittadini. Chiediamo infine, al popolo resiliente del Burkina Faso che si mobiliti sempre di più per opporsi alla deriva dittatoriale del Movimento patriottico per la salvaguardia e la restaurazione (la giunta, ndr)».

Crimini di guerra

Hrw, nel suo rapporto ricorda che «Tutte le parti in conflitto armato in Burkina Faso sono tenute a rispettare il diritto internazionale umanitario, che comprende l’articolo 3 della Convenzione di Ginevra. Esso proibisce l’uccisione, la tortura e i maltrattamenti di civili e di combattenti catturati. Chi commette violazioni […] è responsabile di crimini di guerra».

Hrw e Amnesty international chiedono, inoltre, alle autorità un’inchiesta indipendente che «porti a giudizio tutti i responsabili di questi gravi crimini».

* Marco Bello è giornalista, rivista Missioni Consolata. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it

Oggi, 24 marzo 2025, la Chiesa ricorda il 45° anniversario del martirio di Sant'Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador in America Centrale, assassinato mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980. Fu ucciso “in odium fidei” (in odio alla fede) per decisione e volere della giunta militare che governava il Paese. Romero è stato beatificato da Papa Francesco il 23 maggio 2015 e canonizzato il 14 ottobre 2018 insieme a Papa Paolo VI.

Il martire dei poveri è nato a Ciudad Barrios (El Salvador) nel 1917. Entrato nel seminario a El Salvador, ha studiato in Italia ed è stato ordinato sacerdote nel 1942. Ritornato a El Salvador è parroco in una parrocchia tra i contadini, prima di essere trasferito alla Cattedrale di San Miguel.

Nel 1970 è nominato vescovo ausiliare di San Salvador e, nel 1974, Paolo VI lo nomina vescovo della diocesi di Santiago de María, in un contesto politico di forte repressione, soprattutto nei confronti delle organizzazioni contadine.

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Oscar Romero, il monsignore assassinato per aver provato a fermare la violenza il El Salvador

Nel 1977, Mons. Oscar Romero è nominato arcivescovo di San Salvador; Poco dopo, il sacerdote gesuita Rutílio Grande è stato assassinato e questo è stato il momento della sua conversione. Mons. Romero continuò a denunciare la repressione, la violenza di Stato e lo sfruttamento imposto al popolo dall'alleanza tra i settori politico-militare ed economico, sostenuta dagli Stati Uniti, nonché la violenza della guerriglia rivoluzionaria.

Leggi anche: “Andate e invitate”. Giornata dei Missionari Martiri 2025

Nell'omelia del Sabato Santo (1979), l'arcivescovo Romero ha affermato: “Grazie a Dio, abbiamo pagine di martirio non solo nella storia del passato, ma anche nell'ora presente. Ci sono sacerdoti, religiosi, catechisti, umili uomini di campagna che sono stati assassinati e massacrati, che hanno avuto il volto spaccato e schiacciato, che sono stati perseguitati per essere fedeli all'unico Dio e Signore”. E ha aggiunto: “Ho ricevuto spesso minacce di morte. Devo dirvi che, come cristiano, non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccidono, risorgerò con il mio popolo salvadoregno. Lo dico senza orgoglio, con la massima umiltà... Come pastore, sono obbligato a dare la mia vita per coloro che amo, che sono tutti i salvadoregni, così come per coloro che mi uccideranno. Se mettono in atto le loro minacce, d'ora in poi offrirò a Dio il mio sangue per la redenzione e la resurrezione del Salvador”.

Mons. Òscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo assassinato dagli squadroni della morte nel 1980

Nel video del marzo 2024, Papa Francesco ha ricordato: “Ci saranno sempre martiri tra noi. È un segno che siamo sulla strada giusta. Una persona informata mi ha detto che ci sono più martiri oggi che all'inizio del cristianesimo. Il coraggio dei martiri, la testimonianza dei martiri, è una benedizione per tutti”. Per questo Papa Francesco, ha chiesto a tutti di pregare per i nuovi martiri di questo tempo, affinché “possano contagiare la Chiesa con il loro coraggio e il loro impulso missionario”.

I martiri hanno lavato le vesti del loro impegno nel sangue dell'Agnello. Conosciuti o anonimi, sono tutti e tutte lievito del Regno. Sono vite donate per la vita, vite per il Regno... come la vita del grande Martire Gesù.

In occasione della beatificazione di Mons. Oscar Romero, Papa Francesco ha scritto: “Ha costruito la pace con la forza dell'amore, ha testimoniato la fede con la sua vita donata fino alla fine. In tempi difficili, Mons. Oscar Romero ha saputo guidare, difendere e proteggere il suo gregge, rimanendo fedele al Vangelo e in comunione con tutta la Chiesa. Il suo ministero si è distinto per la particolare attenzione ai poveri e agli emarginati”.

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Il ricordo di Oscar Romero nella Via Crucis dei Martiri durante il Sinodo per l'Amazzonia nel 2019. Foto: Jaime C. Patias

Con il tempo di Quaresima ci prepariamo a celebrare il Triduo Pasquale: la morte e Risurrezione di Cristo. Infatti, in ogni Eucaristia facciamo memoria della vita: la vittoria della vita sulla morte e la sconfitta degli assassini della vita. Al comunicare il Corpo e il Sangue di Cristo, non riceviamo semplicemente un'ostia consacrata, ma partecipiamo alla vittoria di Cristo sulla morte e rinnoviamo il nostro impegno a favore della vita.

I martiri, che, come Cristo, sono stati inchiodati a una croce, sono il lievito del Regno, che porta frutto per la vita eterna. Nella Chiesa, finché ci sarà il martirio, cioè la fedeltà a Cristo, ci saranno credibilità, profezia e speranza. Nell’Anno giubilare 2025 siamo chiamati ad essere “pellegrini di speranza”.

Nella Bolla di indizione del Giubileo, Papa Francesco ci ricorda: “La testimonianza più convincente di tale speranza ci viene offerta dai martiri, che, saldi nella fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla vita stessa di quaggiù pur di non tradire il loro Signore. Essi sono presenti in tutte le epoche e sono numerosi, forse più che mai, ai nostri giorni, quali confessori della vita che non conosce fine. Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza” (n. 20).

Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).

Preghiera

  • Ó Deus, Pai de amor e misericórdia
    nós vos louvamos pela vida de Santo Óscar Romero
    Pastor ao serviço dos pobres
    Profeta defensor dos direitos humanos
    Testemunha valente no derramamento do seu sangue.

    Por sua intercessão, dai-nos a mesma coragem
    na nossa missão de proclamar sem medo
    o vosso Reino de justiça e de paz. Amém

  • Sant'Oscar Romero, prega per noi!

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio Generale per la Comunicazione.

“Facciamo pace. Umanità in cammino verso la fratellanza”. Questo è il tema centrale del corso di formazione organizzato dal Centro Missionario della Diocesi di Roma che prevede sei incontri a cadenza mensile, da gennaio a giugno, pensato in particolare per animatori missionari, catechisti, insegnanti di religione e operatori pastorali.

La prima conferenza tenutasi il 18 gennaio 2025, presso la Sala della Conciliazione nel Palazzo Lateranense, è stata guidata da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, sul tema della profezia missionaria della Pace in tempi di guerra.

Nell’introdurre il tema, il padre Giulio Albanese, mccj, direttore dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma ha ricordato le parole del Papa Francesco nel suo discorso ai membri del Corpo Diplomatico, il 9 gennaio 2025: “Purtroppo, iniziamo questo anno mentre il mondo si trova lacerato da numerosi conflitti, piccoli e grandi, più o meno noti e anche dalla ripresa di esecrabili atti di terrore…”. Di “fronte alla sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale”, il Papa propone una “diplomazia della speranza”. In questo Giubileo bisogna dunque “superare la logica dello scontro e abbracciare invece la logica dell’incontro”.

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In tal senso, “lo scopo di questo corso – ha spiegato padre Albanese - è quello di promuovere la cultura della pace nelle nostre comunità. Questo perché è inammissibile che alla domenica nell’intenzione di preghiera dei fedeli si parli di tutto, meno che della pace. Questo è un peccato di omissione. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di far sì che la pace diventi parte integrante della pastorale ordinaria”.

L’obiettivo del corso di formazione è proprio quello di stimolare l’impegno personale e comunitario per la pace. Secondo padre Albanese, “purtroppo, viviamo costantemente condizionati da una certa informazione che spesso distorce il messaggio. Ecco perché “l’informazione è la prima forma di solidarietà. Allora, dobbiamo avere un atteggiamento di ascolto”.

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Nel saluto rivolto ai partecipanti all’incontro, il cardinale vicario di Roma, Baldo Reina, ha espresso la sua soddisfazione per la realizzazione del corso. “È una vera sfida quella di formarsi a una cultura della pace, anzitutto, da proporre all’interno delle nostre comunità. Noi abbiamo il compito di diffondere questa cultura. Grazie per la vostra presenza e per la vostra sensibilità”, ha concluso il cardinale Reina.

La profezia missionaria della pace in tempi di guerra

“Oggi parlerò di due temi che non sono di moda: il discorso missionario e la pace. Ma che centra il discorso missionario con la pace?” si chiede Andrea Riccardi, che è anche presidente della Società Dante Alighieri, all’inizio della sua conferenza sulla “profezia missionaria della pace in tempi di guerra”.

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Riguardo all’impegno per la pace nel mondo, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato che “un cristiano, un cattolico non può rinchiudersi nel solo ambito parrocchiale”. La profezia missionaria è radicata nelle parole di Gesù e del Vangelo. L’Apostolo Paolo dice: “Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor 5, 14-15).

Piste di riflessione del corso

Come professore di storia contemporanea, Andrea Riccardi ha studiato i nuovi martiri del nostro secolo, tra cui, i missionari sono un gran numero. Loro partivano e non tornavano più, sono morti nei paesi dove lavoravano. “Queste storie in modo complesso hanno espresso il legame tra mondi, il senso del destino comune tra il nord e sud. Questa gente ha avuto alle proprie spalle congregazione missionarie, ma anche ambienti diocesane sensibili ai temi della missione. Molte cose del passato sono superate, ma resta il fatto fondamentale che attorno alla esperienza missionaria, la cultura missionaria, si è articolata la estroversione dei cristiani dal proprio ambiente, dal provincialismo verso il mondo. Non parlo soltanto dei missionari che hanno compreso di non potere vivere per sé stessi, ma parlo anche di molti diocesani, cattolici che hanno capito di non potere vivere chiusi nel proprio ambiente”.

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Nella sua riflessione, Andrea Ricardi ha riportato la sua esperienza di mediatore di pace in diverse parte del mondo, tra cui in Mozambico, Colombia e Medio Oriente.

Alcune affermazioni del relatore

“Le guerre sono frutto dell’odio, ma anche producono l’odio”. “L’odio trova un terreno fertile nel nazionalismo che si manifesta nell’odio verso i migranti, i rifugiati, e gli stranieri… Purtroppo, il nazionalismo è entrato anche nel mondo cattolico”.

“L’odio, le guerre, la cultura della forza, ci hanno anestetizzati davanti il dolore del mondo. La impossibilità di fare qualcosa ci porta all’indifferenza e alla rassegnazione per la sofferenza. Questo perché molti sono mal informati sulle conseguenze delle guerre”.

Domanda

La condivisione tra i partecipanti del corso è stata motivata dalla seguente domanda: Noi che crediamo nella profezia della pace, siamo un resto del passato o profezia del futuro?

Secondo Andrea Riccardi, “noi non siamo un resto del passato, ma profezia del futuro”.

Di seguito il video completo della conferenza di Andrea Riccardi

Tutti gli incontri si terranno dalle 9 alle 12.30 nell’Aula della Conciliazione del Palazzo Lateranense

Il 22 febbraio sarà protagonista invece Fabrizio Battistelli, presidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, che parlerà di “Il business delle armi nell’attuale congiuntura internazionale. Una minaccia alla pace”. Sugli “Effetti del neocolonialismo sulla pace nelle periferie del mondo” rifletterà invece, il 15 marzo, Marco Massoni, docente alla Luiss “Guido Carli” presso la facoltà di Scienze Politiche, mentre Maria Grazia Galantino, coordinatrice dell’Area di ricerca di Archivio Disarmo, il 12 aprile, affronterà il tema: “Come essere costruttori di pace. L’impegno civile nel contrastare il ricordo alle armi”.

Il 17 maggio interverrà la giornalista Lucia Bellaspiga, che terrà una relazione su “Guerra e pace nell’informazione giornalistica internazionale”. Le conclusioni il 21 giugno con frate Alberto Parise, che terrà la relazione finale e condurrà i laboratori.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione

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La decisione è stata annunciata dalla vicepresidente Rosario Murillo. I beni delle ong, per la maggior parte religiose, verranno ora trasferiti allo Stato. D’ora in poi le organizzazioni saranno obbligate ad una “alleanza” con le istituzioni pubbliche, ossia a collaborare con lo Stato. Dal 2018 sono stati espulsi 245 religiosi.

Il governo del presidente Daniel Ortega ha intensificato una feroce campagna arrestando sacerdoti ed espellendo religiosi. Il dato emerge dal rapporto "Libertà religiosa, persecuzione dei laici" diffuso dalla ONG Colectivo Nicaragua Nunca Más. La persecuzione non si è limitata solo all'espulsione di religiosi, ma ha visto anche la crescente violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. La persecuzione del governo Ortega contro la Chiesa cattolica riflette una strategia più ampia di repressione contro qualsiasi forma di dissenso.

20240822Nicarangua2Il 20 agosto il governo ha cancellato lo status giuridico di 1.500 organizzazioni non governative presenti nel Paese, tra le quali "almeno 700 religiose", trasferendo i loro beni allo Stato. La decisione, approvata dal Ministro degli Interni María Amelia Coronel, e pubblicata su La Gaceta, la gazzetta ufficiale del Nicaragua, nasce, così come indicato, dall’inadempimento da parte delle ong di alcuni obblighi, come quello di presentare, “per periodi compresi tra uno e 35 anni i loro bilanci secondo i periodi fiscali, con una ripartizione dettagliata delle entrate e delle uscite, il bilancio dei pagamenti, i dettagli delle donazioni e i loro Consigli di amministrazione”. Le organizzazioni, riportano alcuni siti indipendenti quali 100%Noticias e La Prensa, che non hanno ricevuto alcun preavviso, sono accusate dal governo di aver ostacolato il controllo del Ministero dell’Interno. Secondo l’accordo in atto fino a questo momento, ora la Procura generale sarà responsabile del trasferimento dei beni mobili e immobili a nome dello Stato del Nicaragua.

La maggior parte delle ong chiuse fa capo a comunità evangeliche, tra quelle cattoliche figura, tra le altre, la Caritas diocesana di Granada. Nell’elenco compaiono anche enti di beneficenza, associazioni sportive e indigene. Con questa ultima azione, senza precedenti poiché per la prima volta con un unico atto vengono messe fuori legge 1.500 organizzazioni, le ong sciolte dal 2018, inizio delle proteste popolari, sono state oltre 5.200.

Espulsi e inviati a Roma altri due sacerdoti

I padri Leonel Balmaceda e Denis Martínez, i due sacerdoti arrestati in Nicaragua il 10 e l’11 agosto, sono stati espulsi dal governo e inviati a Roma. Il primo, parroco della chiesa di Jesús de Caridad di La Trinidad, è della diocesi di Estelí, il secondo, formatore presso il seminario interdiocesano Nuestra Señora de Fátima a Managua, del clero della Diocesi di Matagalpa, entrambe amministrate dal vescovo Rolando Álvarez, accolto a Roma lo scorso gennaio.

Secondo il rapporto di una ricercatrice nicaraguense in esilio, e riportato dalla media indipendenti, 100% Noticias, dalla esplosione della crisi nel Paese, nel 2018, sarebbero stati costretti all’esilio o espulsi 245 religiosi, tra loro anche il nunzio apostolico Waldemar Sommertag, e poi tre vescovi, 136 sacerdoti di diverse diocesi del Nicaragua, tre diaconi, undici seminaristi e 91 tra suore o religiosi. Sempre secondo il sito che cita il documento, 19 religiosi, tra cui il vescovo Álvarez, il vescovo esiliato Silvio Báez, e altri 14 sacerdoti, sono stati dichiarati “traditori della patria” e privati della loro nazionalità.

Ricordando che il 2 agosto, secondo il sito indipendente Despacho 505, sono stati arrestati otto sacerdoti e un diacono, la maggior parte dei quali appartenenti alla diocesi di Matagalpa. Nove persone che si aggiungono alle tre arrestate negli ultimi giorni.

Questa escalation di arresti è iniziata il 27 luglio scorso con l'arresto del sacerdote quasi ottantenne Frutos Constantino Valle Salmerón, amministratore “ad Omnia” della diocesi di Estelí. Il primo agosto, poi, due sacerdoti erano stati fermati durante la festa religiosa di Santo Domingo de Guzmán.

Tasse su elemosine e donazioni della Chiesa

L’ultima decisione del governo del presidente Daniel Ortega applica il regime fiscale dell’economia privata anche alle istituzioni religiose. Ora viene varata l’imposizione di tasse su quegli introiti che normalmente consentono a parrocchie, scuole e altre istituzioni di realizzare importanti iniziative nei campi dell’istruzione, umanitario e religioso: le donazioni dei fedeli.

Violazioni dei diritti umani

Il governo del Nicaragua ha cercato di controllare e soffocare tutte le istituzioni che potrebbero rappresentare una minaccia al suo potere, compresa la Chiesa, che storicamente ha svolto un ruolo cruciale nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel Paese. L'escalation di queste violenze e violazioni sottolinea la necessità di un intervento internazionale per proteggere la libertà religiosa e i diritti umani.

* Con informazioni di media indipendenti e agenzie internazionali.

 

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22-04-2025 Notizie

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21-04-2025 Notizie

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