È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere questo mercoledì, 5 marzo, e che è stata annullata a causa della permanenza del Pontefice al Policlinico Gemelli. Di seguito il testo che, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi su "Gesù Cristo nostra speranza. L'infanzia di Gesù", propone una riflessione sul ritrovamento di Gesù al Tempio (Lc 2,49).
“Dopo tre giorni, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. […] Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro (Lc 2,46.48-50).
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! In quest’ultima catechesi dedicata all’infanzia di Gesù, prendiamo spunto dall’episodio in cui, a dodici anni, Egli rimase nel Tempio senza dirlo ai genitori, i quali lo cercarono ansiosamente e lo ritrovarono dopo tre giorni. Questo racconto ci presenta un dialogo molto interessante tra Maria e Gesù, che ci aiuta a riflettere sul cammino della madre di Gesù, un cammino non certo facile. Infatti Maria ha compiuto un itinerario spirituale lungo il quale è avanzata nella comprensione del mistero del suo Figlio.
Ripensiamo alle varie tappe di questo percorso. All’inizio della sua gravidanza, Maria fa visita a Elisabetta e si ferma da lei per tre mesi, fino alla nascita del piccolo Giovanni. Poi, quando è ormai al nono mese, a causa del censimento, con Giuseppe va a Betlemme, dove dà alla luce Gesù. Dopo quaranta giorni si recano a Gerusalemme per la presentazione del bambino; e quindi ogni anno ritornano in pellegrinaggio al Tempio. Ma con Gesù ancora piccolo si erano rifugiati a lungo in Egitto per proteggerlo da Erode, e solo dopo la morte del re si erano stabiliti di nuovo a Nazaret. Quando Gesù, divenuto adulto, inizia il suo ministero, Maria è presente e protagonista alle nozze di Cana; poi lo segue “a distanza”, fino all’ultimo viaggio a Gerusalemme, fino alla passione e alla morte. Dopo la Risurrezione, Maria resta a Gerusalemme, come Madre dei discepoli, sostenendo la loro fede in attesa dell’effusione dello Spirito Santo.
Pellegrini nell'Aula Paolo VI
In tutto questo cammino, la Vergine è pellegrina di speranza, nel senso forte che diventa la “figlia del suo Figlio”, la prima sua discepola. Maria ha portato al mondo Gesù, Speranza dell’umanità: lo ha nutrito, lo ha fatto crescere, lo ha seguito lasciandosi plasmare per prima dalla Parola di Dio. In essa – come ha detto Benedetto XVI – Maria «è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio […]. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata» (Enc. Deus caritas est, 41). Questa singolare comunione con la Parola di Dio non le risparmia però la fatica di un impegnativo “apprendistato”.
L’esperienza dello smarrimento di Gesù dodicenne, durante il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, spaventa Maria al punto che si fa portavoce anche di Giuseppe nel riprendere il figlio: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Maria e Giuseppe hanno provato il dolore dei genitori che smarriscono un figlio: credevano entrambi che Gesù fosse nella carovana dei parenti, ma non avendolo visto per un’intera giornata, incominciano la ricerca che li porterà a fare il viaggio a ritroso. Tornati al Tempio, scoprono che Colui che ai loro occhi, fino a poco prima, era un bambino da proteggere, è come cresciuto di colpo, capace ormai di coinvolgersi in discussioni sulle Scritture, reggendo il confronto con i maestri della Legge.
Di fronte al rimprovero della madre, Gesù risponde con disamante semplicità: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Maria e Giuseppe non comprendono: il mistero del Dio fatto bambino supera la loro intelligenza. I genitori vogliono proteggere quel figlio preziosissimo sotto le ali del loro amore; Gesù invece vuole vivere la sua vocazione di Figlio del Padre che sta al suo servizio e vive immerso nella sua Parola.
I Racconti dell’Infanzia di Luca si chiudono, così, con le ultime parole di Maria, che ricordano la paternità di Giuseppe nei confronti di Gesù, e con le prime parole di Gesù, che riconoscono come questa paternità tragga origine da quella del Padre suo celeste, del quale riconosce il primato indiscusso.
Cari fratelli e sorelle, come Maria e Giuseppe, pieni di speranza, mettiamoci anche noi sulle tracce del Signore, che non si lascia contenere dai nostri schemi e si lascia trovare non tanto in un luogo, ma nella risposta d’amore alla tenera paternità divina, risposta d’amore che è la vita filiale.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
«Camminiamo insieme nella speranza»: è il tema del messaggio di Papa Francesco per la Quaresima dell’Anno Santo 2025, che è stato pubblicato il 25 febbraio. Il periodo quaresimale quest'anno inizia il 5 marzo, Mercoledì delle Ceneri, e termina il 17 aprile, Giovedì Santo.
In un testo denso di riflessioni, il Pontefice invita i fedeli a vivere questo tempo come un pellegrinaggio di conversione e fiducia, sottolineando l’importanza della sinodalità e della speranza cristiana.
Il Papa richiama il cammino del popolo d’Israele verso la terra promessa, incoraggiando a riflettere sulla propria condizione di pellegrini nella vita. “Siamo tutti chiamati a camminare insieme, senza lasciare nessuno indietro”, scrive Francesco, evidenziando il valore della comunione e della solidarietà nella Chiesa e nel mondo.
Il messaggio si inserisce nel contesto dell’Anno Giubilare, offrendo spunti di meditazione sulla necessità di una conversione che tocchi il cuore delle persone e delle comunità. Tre i richiami fondamentali: camminare, camminare insieme e camminare nella speranza, con l’invito a vivere la Quaresima come un tempo di rinnovamento e fiducia nella promessa della vita eterna.
Nella piccola porzione di Chiesa del Paese asiatico, il Giubileo si sta svolgendo tra fede e speranza. Il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, racconta come al centro di tutte le attività ci sia la formazione e la condivisione che coinvolge tutti. Un Anno santo sotto lo sguardo della Madre del Cielo, titolo con il quale Papa Francesco volle onorare la statua di legno di Maria ritrovata in una discarica e poi intronizzata nella cattedrale cittadina
Una giornata di freddo intenso, la colonnina di mercurio che scende in picchiata fino a toccare i 30 gradi sotto zero, una straordinaria partecipazione di popolo che scalda il cuore. E l’anima. Così Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, il 29 dicembre scorso, giorno nel quale si è aperto il Giubileo 2025 con una solenne celebrazione che anche qui, ai più estremi confini del mondo, non poteva certo mancare o passare inosservata. La fotografia è ancora nitida nella mente del cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di quella infinitesimale porzione di Chiesa che conta circa 1600 battezzati su 3,2 milioni di abitanti sparpagliati in un territorio di oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati.
Il suo ricordo dettagliato, confidato in una conversazione con i media vaticani, serve per ricostruire quella giornata che si è aperta con una grande processione iniziata all’esterno della cattedrale dedicata ai santi Pietro e Paolo, sede della prefettura apostolica: "Siamo partiti dalla grande croce che venne usata per la messa papale durante il viaggio apostolico di Francesco nel settembre del 2023. Dopo aver recitato parte del Rosario all’esterno, siamo entrati solennemente in cattedrale orientandoci verso l’altro crocifisso che campeggia sopra il nostro altare e verso il quale abbiamo indirizzato il nostro sguardo e le nostre preghiere. È stata una celebrazione molto intensa che ha permesso alla nostra gente di sentirsi in comunione con la Chiesa universale".
I fedeli della prefettura apostolica di Ulaanbaatar non sono certamente arrivati impreparati a quel momento. Le occasioni di formazione e di approfondimento sono state molte, una in particolare ha riassunto al meglio l’esigenza di esercitare la speranza, tema portante dell’Anno santo: "È stata l’esperienza di comunione e di animazione legata al Gen Rosso, il gruppo di artisti internazionali che sono venuti a trovarci qui tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre e con i quali abbiamo preparato dei workshop e un concerto. Il filo conduttore di queste nostre attività è stato il concetto che in inglese abbiamo chiamato hoping together, sperando insieme, che poi è stato anche il tema della visita papale di quasi due anni fa". Prepararsi bene al Giubileo ha voluto anche dire riscoprire la storia di una Chiesa locale che affonda le radici in un cristianesimo dal passato antico ma che, in epoca contemporanea, vanta appena trentatré anni di esistenza. "Anche questo è stato un esercizio di speranza, un voler accogliere l’invito giubilare a guardare il futuro con gli occhi pieni di fede, senza scoraggiarsi mai".
Ascolta l'intervista al cardinale Marengo
Durante l’Anno santo la formazione dei fedeli sarà un elemento costante, non verrà certo accantonata. Sussidi e catechesi saranno messi a disposizione di tutti affinché si possa cogliere davvero il senso profondo della grazia del Giubileo: "In questo senso, stiamo pensando anche a una pubblicazione pieghevole con le spiegazioni per ottenere le indulgenze e con la quale si possa mettere in evidenza il senso vero del cammino di conversione che qui tutti stiamo cercando di compiere. Un rinnovamento che deve partire dalla purificazione continua del nostro cuore". Ciò a cui tiene maggiormente il cardinale Marengo in questo quadro di fede è la dimensione della carità, condizione essenziale per ricevere la grazia giubilare: "Le opere di misericordia, offrire i propri disagi e le proprie sofferenze al Signore, non sono cose di poco conto. Come non lo sono i sacrifici che ognuno potrà fare per partecipare ai nostri incontri di formazione, come la settimana pastorale che animeremo nel mese di maggio".
Anche se sarà difficile, quasi impossibile, che dalla Mongolia dei fedeli possano giungere a Roma in pellegrinaggio non solo per l’enorme distanza ma anche per l’alto costo del viaggio, il prefetto apostolico spiega che "le grazie del Giubileo ci raggiungono dove siamo e si configurano con delle iniziative che hanno a che fare con la vita di tutti i giorni: la preghiera, prenderci cura degli altri, moltiplicare la misericordia come modo concreto per esercitare la speranza".
La visita del Papa Francesco in Mongolia nel settembre 2023. Foto: Vatican Media
Ma oltre al pellegrinaggio che i fedeli potranno compiere alla cattedrale di Ulaanbaatar, ce n’è un altro che sta a cuore al porporato: quello che è rivolto particolarmente ai giovani e che si potrà fare nelle nove parrocchie della Prefettura. "Cinque di esse sono nella capitale, quattro sparse nel Paese. Ci siamo resi conto che, in molti casi, i fedeli di una parrocchia non conoscono bene le altre realtà. Allora abbiamo pensato che, quando la bella stagione arriverà, si potranno organizzare delle visite reciproche".
E visto che la distanza tra una parrocchia e l’altra può essere anche di centinaia di chilometri, Marengo ha pensato, sopratutto per i più giovani, una sorta di “passaporto del Giubileo”: "Sarà una specie di carta d’identità con i dati personali da far riempire ogni volta che si visita una parrocchia. Credo che sia un modo davvero bello per poter ringraziare il Signore per il dono di queste comunità che sono sparse in un territorio immenso".
Il cardinale Giorgio Marengo con i missionari e le missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia. Foto Dido Mukadi
A Ulaanbaatar il Giubileo si sta svolgendo sotto lo sguardo amorevole della Madre del Cielo, titolo con il quale Papa Francesco volle chiamare la statua di Maria che, qualche anno fa, fu ritrovata miracolosamente nella discarica di una città del nord da una donna non cattolica e intronizzata nella cattedrale. "È per questo che la cattedrale sta assumendo sempre più un ruolo spirituale fondamentale per i fedeli che possono recarsi davanti a questa piccola statua di legno e affidare la propria vita alla Vergine Maria".
* Federico Piana - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 26 febbraio 2025, nell'Aula Paolo VI e che è stata annullata a causa del ricovero del Pontefice al Policlinico Gemelli dal 12 febbraio.
Pubblichiamo di seguito il testo, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi. Nel testo, Francesco sviluppa una riflessione sulla presentazione di Gesù al Tempio e invita a essere come Simeone e Anna, “pellegrini di speranza” con occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze.
Gesù Cristo nostra speranza
I. L’infanzia di Gesù
7. «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). La presentazione di Gesù al Tempio
"Mosso dallo Spirito, [Simeone] si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola» (Lc 2,27-29).
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Contempliamo oggi la bellezza di «Gesù Cristo, nostra speranza» (1Tm 1,1) nel mistero della sua presentazione al Tempio.
Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni. In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore e ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa. Così aveva fatto Anna, madre del profeta Samuele, che era sterile; Dio ascoltò la sua preghiera e lei, avuto il figlio, lo condusse al tempio e lo offrì per sempre al Signore (cfr 1Sam 1,24-28).
Il Papa Francesco nell'Aula Paolo VI durante il Giubileo del Mondo della Comunicazione, il 25 gennaio 2025. Foto: Jaime C. Patias
Luca, dunque, racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi (cfr Lc 9,51), andando incontro al compimento della sua missione.
Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio. Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto. E loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga.
Nel Tempio, che è «casa di preghiera» (Lc 19,46), lo Spirito Santo, parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti. Simeone avverte nel Tempio la presenza dell’Unto del Signore, vede la luce che rifulge in mezzo ai popoli immersi «nelle tenebre» (cfr Is 9,1) e va incontro a quel bambino che, come profetizza Isaia, «è nato per noi», è il figlio che «ci è stato dato», il «Principe della pace» (Is 9,5). Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé. Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).
Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti. È testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo. Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come “sorella” che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede.
In quel giorno, Simeone non è l’unico a vedere la salvezza fattasi carne nel bambino Gesù. Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera. Alla vista del bambino, infatti, Anna celebra il Dio d’Israele, che proprio in quel piccolo ha redento il suo popolo, e lo racconta agli altri, diffondendo con generosità la parola profetica. Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo. Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza.
Cari fratelli e sorelle, imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi “pellegrini di speranza” che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno “fiutare” la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
Ottenere orientamenti per rafforzare la missione pastorale della Chiesa in Colombia. Per questo scopo sono stati a Roma, dal 18 al 24 febbraio, i vescovi mons. Francisco Múnera Correa, mons. Gabriel Ángel Villa Vahos e mons. Germán Medina Acosta, rispettivamente Presidente, Vicepresidente e Segretario della Conferenza Episcopale della Colombia (CEC).
Nel Vaticano i vescovi hanno tenuto incontri in vari dicasteri e organismi della Curia romana. Era prevista anche un'udienza con Papa Francesco, ma questo non è stato possibile a causa delle condizioni di salute del Santo Padre, ricoverato al Policlinico Gemelli dal 12 febbraio.
“La Chiesa che cammina in Colombia è una Chiesa sinodale, missionaria e misericordiosa”, ha dichiarato mons. Francisco Múnera, IMC, in una intervista rilasciata all’Ufficio per la Comunicazione che pubblichiamo di seguito nel video della seria "Giubileo nel Mondo".
Nel suo messaggio il missionario della Consolata e arcivescovo di Cartagena ha affermato: “Vogliamo essere una Chiesa che porta e semina speranza, che non si lascia scoraggiare dalle voci pessimistiche che ci portano allo scoraggiamento. Vogliamo essere una Chiesa che genera segni concreti di misericordia, soprattutto per le persone in situazioni di povertà e di bisogno, come dice Papa Francesco in questo anno Giubilare. Vogliamo essere una Chiesa missionaria, una Chiesa in uscita come ci ha proposto il Congresso Missionario centenario che abbiamo realizzato nell’anno 2024”.
Vedi anche il messaggio di mons. Germán Medina Acosta, vescovo di Engativá
In quest’Anno Santo - prosegue Mons. Francisco Múnera - in Colombia “camminiamo come pellegrini di speranza, come uomini e donne che si mettono in viaggio, che escono da sé stessi per percorrere con il cuore, la mente e i piedi le strade del mondo, le frontiere lontane. Disposti a uscire per incontrare gli altri e creare spazi di riconciliazione, per guarire vite e rafforzare relazioni. Siamo pellegrini di speranza che portano la bontà e la misericordia di Dio a tutti coloro che ne hanno più bisogno, come ci ricorda il Papa: malati, anziani, migranti, giovani e coloro che hanno bisogno di una parola di incoraggiamento e di speranza”, dice.
Il vescovo ha ricordato che il Giubileo è anche “un'opportunità per ricevere l'indulgenza plenaria e il perdono dei peccati grazie alla misericordia di Dio e per stabilire nuove relazioni con i fratelli e le sorelle, e con tutto il creato”. Essere uomini e donne riconciliati per portare speranza.
Un messaggio alla Famiglia Consolata
Ancora una volta, “ringraziamo Dio per questo immenso dono della canonizzazione del nostro santo Fondatore. È un dono che la Chiesa ci ha fatto ed allo stesso tempo un impegno per tutti noi a seguire le orme che il nostro Padre ci ha lasciato: camminare verso la santità e servire la Chiesa in tutta la sua dimensione missionaria.
I vescovi colombiani con il padre James Lengarin, IMC, Superiore Generale a Roma
Essere uomini e donne che annunciano il Vangelo a tutti i popoli e a tutte le culture, abbattendo tutte le barriere e tutti i blocchi culturali e nazionalistici, tutti i pregiudizi, con il desiderio di costruire la fraternità universale a cui Papa Francesco ci invita nella Fratelli Tutti, abbracciando anche il Creato, la nostra casa comune. Portare il Vangelo e la missione ad gentes sotto il segno della consolazione. ‘Annunciare la gloria di Dio a tutte le nazioni e a tutti i popoli’, come ci invita Maria nel meraviglioso testo che San Giuseppe Allamano ci regala dal profeta Isaia.
Mettiamoci in cammino per servire nella missione ad gentes, da qualsiasi parte ci troviamo, abbiamo un cuore universale e missionario. Sentiamo questa grande passione che San Giuseppe Allamano ci dona dal Santuario della Consolata: amore eucaristico, amore per Maria e passione per la missione”, conclude il vescovo di Cartagena.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione.
Mons. Gabriel Ángel Villa Vahos, arcivescovo di Tunja, fa una sintesi della visita