Nella piccola porzione di Chiesa del Paese asiatico, il Giubileo si sta svolgendo tra fede e speranza. Il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, racconta come al centro di tutte le attività ci sia la formazione e la condivisione che coinvolge tutti. Un Anno santo sotto lo sguardo della Madre del Cielo, titolo con il quale Papa Francesco volle onorare la statua di legno di Maria ritrovata in una discarica e poi intronizzata nella cattedrale cittadina
Una giornata di freddo intenso, la colonnina di mercurio che scende in picchiata fino a toccare i 30 gradi sotto zero, una straordinaria partecipazione di popolo che scalda il cuore. E l’anima. Così Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, il 29 dicembre scorso, giorno nel quale si è aperto il Giubileo 2025 con una solenne celebrazione che anche qui, ai più estremi confini del mondo, non poteva certo mancare o passare inosservata. La fotografia è ancora nitida nella mente del cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di quella infinitesimale porzione di Chiesa che conta circa 1600 battezzati su 3,2 milioni di abitanti sparpagliati in un territorio di oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati.
Il suo ricordo dettagliato, confidato in una conversazione con i media vaticani, serve per ricostruire quella giornata che si è aperta con una grande processione iniziata all’esterno della cattedrale dedicata ai santi Pietro e Paolo, sede della prefettura apostolica: "Siamo partiti dalla grande croce che venne usata per la messa papale durante il viaggio apostolico di Francesco nel settembre del 2023. Dopo aver recitato parte del Rosario all’esterno, siamo entrati solennemente in cattedrale orientandoci verso l’altro crocifisso che campeggia sopra il nostro altare e verso il quale abbiamo indirizzato il nostro sguardo e le nostre preghiere. È stata una celebrazione molto intensa che ha permesso alla nostra gente di sentirsi in comunione con la Chiesa universale".
I fedeli della prefettura apostolica di Ulaanbaatar non sono certamente arrivati impreparati a quel momento. Le occasioni di formazione e di approfondimento sono state molte, una in particolare ha riassunto al meglio l’esigenza di esercitare la speranza, tema portante dell’Anno santo: "È stata l’esperienza di comunione e di animazione legata al Gen Rosso, il gruppo di artisti internazionali che sono venuti a trovarci qui tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre e con i quali abbiamo preparato dei workshop e un concerto. Il filo conduttore di queste nostre attività è stato il concetto che in inglese abbiamo chiamato hoping together, sperando insieme, che poi è stato anche il tema della visita papale di quasi due anni fa". Prepararsi bene al Giubileo ha voluto anche dire riscoprire la storia di una Chiesa locale che affonda le radici in un cristianesimo dal passato antico ma che, in epoca contemporanea, vanta appena trentatré anni di esistenza. "Anche questo è stato un esercizio di speranza, un voler accogliere l’invito giubilare a guardare il futuro con gli occhi pieni di fede, senza scoraggiarsi mai".
Ascolta l'intervista al cardinale Marengo
Durante l’Anno santo la formazione dei fedeli sarà un elemento costante, non verrà certo accantonata. Sussidi e catechesi saranno messi a disposizione di tutti affinché si possa cogliere davvero il senso profondo della grazia del Giubileo: "In questo senso, stiamo pensando anche a una pubblicazione pieghevole con le spiegazioni per ottenere le indulgenze e con la quale si possa mettere in evidenza il senso vero del cammino di conversione che qui tutti stiamo cercando di compiere. Un rinnovamento che deve partire dalla purificazione continua del nostro cuore". Ciò a cui tiene maggiormente il cardinale Marengo in questo quadro di fede è la dimensione della carità, condizione essenziale per ricevere la grazia giubilare: "Le opere di misericordia, offrire i propri disagi e le proprie sofferenze al Signore, non sono cose di poco conto. Come non lo sono i sacrifici che ognuno potrà fare per partecipare ai nostri incontri di formazione, come la settimana pastorale che animeremo nel mese di maggio".
Anche se sarà difficile, quasi impossibile, che dalla Mongolia dei fedeli possano giungere a Roma in pellegrinaggio non solo per l’enorme distanza ma anche per l’alto costo del viaggio, il prefetto apostolico spiega che "le grazie del Giubileo ci raggiungono dove siamo e si configurano con delle iniziative che hanno a che fare con la vita di tutti i giorni: la preghiera, prenderci cura degli altri, moltiplicare la misericordia come modo concreto per esercitare la speranza".
La visita del Papa Francesco in Mongolia nel settembre 2023. Foto: Vatican Media
Ma oltre al pellegrinaggio che i fedeli potranno compiere alla cattedrale di Ulaanbaatar, ce n’è un altro che sta a cuore al porporato: quello che è rivolto particolarmente ai giovani e che si potrà fare nelle nove parrocchie della Prefettura. "Cinque di esse sono nella capitale, quattro sparse nel Paese. Ci siamo resi conto che, in molti casi, i fedeli di una parrocchia non conoscono bene le altre realtà. Allora abbiamo pensato che, quando la bella stagione arriverà, si potranno organizzare delle visite reciproche".
E visto che la distanza tra una parrocchia e l’altra può essere anche di centinaia di chilometri, Marengo ha pensato, sopratutto per i più giovani, una sorta di “passaporto del Giubileo”: "Sarà una specie di carta d’identità con i dati personali da far riempire ogni volta che si visita una parrocchia. Credo che sia un modo davvero bello per poter ringraziare il Signore per il dono di queste comunità che sono sparse in un territorio immenso".
Il cardinale Giorgio Marengo con i missionari e le missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia. Foto Dido Mukadi
A Ulaanbaatar il Giubileo si sta svolgendo sotto lo sguardo amorevole della Madre del Cielo, titolo con il quale Papa Francesco volle chiamare la statua di Maria che, qualche anno fa, fu ritrovata miracolosamente nella discarica di una città del nord da una donna non cattolica e intronizzata nella cattedrale. "È per questo che la cattedrale sta assumendo sempre più un ruolo spirituale fondamentale per i fedeli che possono recarsi davanti a questa piccola statua di legno e affidare la propria vita alla Vergine Maria".
* Federico Piana - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 26 febbraio 2025, nell'Aula Paolo VI e che è stata annullata a causa del ricovero del Pontefice al Policlinico Gemelli dal 12 febbraio.
Pubblichiamo di seguito il testo, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi. Nel testo, Francesco sviluppa una riflessione sulla presentazione di Gesù al Tempio e invita a essere come Simeone e Anna, “pellegrini di speranza” con occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze.
Gesù Cristo nostra speranza
I. L’infanzia di Gesù
7. «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). La presentazione di Gesù al Tempio
"Mosso dallo Spirito, [Simeone] si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola» (Lc 2,27-29).
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Contempliamo oggi la bellezza di «Gesù Cristo, nostra speranza» (1Tm 1,1) nel mistero della sua presentazione al Tempio.
Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni. In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore e ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa. Così aveva fatto Anna, madre del profeta Samuele, che era sterile; Dio ascoltò la sua preghiera e lei, avuto il figlio, lo condusse al tempio e lo offrì per sempre al Signore (cfr 1Sam 1,24-28).
Il Papa Francesco nell'Aula Paolo VI durante il Giubileo del Mondo della Comunicazione, il 25 gennaio 2025. Foto: Jaime C. Patias
Luca, dunque, racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi (cfr Lc 9,51), andando incontro al compimento della sua missione.
Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio. Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto. E loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga.
Nel Tempio, che è «casa di preghiera» (Lc 19,46), lo Spirito Santo, parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti. Simeone avverte nel Tempio la presenza dell’Unto del Signore, vede la luce che rifulge in mezzo ai popoli immersi «nelle tenebre» (cfr Is 9,1) e va incontro a quel bambino che, come profetizza Isaia, «è nato per noi», è il figlio che «ci è stato dato», il «Principe della pace» (Is 9,5). Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé. Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).
Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti. È testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo. Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come “sorella” che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede.
In quel giorno, Simeone non è l’unico a vedere la salvezza fattasi carne nel bambino Gesù. Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera. Alla vista del bambino, infatti, Anna celebra il Dio d’Israele, che proprio in quel piccolo ha redento il suo popolo, e lo racconta agli altri, diffondendo con generosità la parola profetica. Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo. Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza.
Cari fratelli e sorelle, imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi “pellegrini di speranza” che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno “fiutare” la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
Ottenere orientamenti per rafforzare la missione pastorale della Chiesa in Colombia. Per questo scopo sono stati a Roma, dal 18 al 24 febbraio, i vescovi mons. Francisco Múnera Correa, mons. Gabriel Ángel Villa Vahos e mons. Germán Medina Acosta, rispettivamente Presidente, Vicepresidente e Segretario della Conferenza Episcopale della Colombia (CEC).
Nel Vaticano i vescovi hanno tenuto incontri in vari dicasteri e organismi della Curia romana. Era prevista anche un'udienza con Papa Francesco, ma questo non è stato possibile a causa delle condizioni di salute del Santo Padre, ricoverato al Policlinico Gemelli dal 12 febbraio.
“La Chiesa che cammina in Colombia è una Chiesa sinodale, missionaria e misericordiosa”, ha dichiarato mons. Francisco Múnera, IMC, in una intervista rilasciata all’Ufficio per la Comunicazione che pubblichiamo di seguito nel video della seria "Giubileo nel Mondo".
Nel suo messaggio il missionario della Consolata e arcivescovo di Cartagena ha affermato: “Vogliamo essere una Chiesa che porta e semina speranza, che non si lascia scoraggiare dalle voci pessimistiche che ci portano allo scoraggiamento. Vogliamo essere una Chiesa che genera segni concreti di misericordia, soprattutto per le persone in situazioni di povertà e di bisogno, come dice Papa Francesco in questo anno Giubilare. Vogliamo essere una Chiesa missionaria, una Chiesa in uscita come ci ha proposto il Congresso Missionario centenario che abbiamo realizzato nell’anno 2024”.
Vedi anche il messaggio di mons. Germán Medina Acosta, vescovo di Engativá
In quest’Anno Santo - prosegue Mons. Francisco Múnera - in Colombia “camminiamo come pellegrini di speranza, come uomini e donne che si mettono in viaggio, che escono da sé stessi per percorrere con il cuore, la mente e i piedi le strade del mondo, le frontiere lontane. Disposti a uscire per incontrare gli altri e creare spazi di riconciliazione, per guarire vite e rafforzare relazioni. Siamo pellegrini di speranza che portano la bontà e la misericordia di Dio a tutti coloro che ne hanno più bisogno, come ci ricorda il Papa: malati, anziani, migranti, giovani e coloro che hanno bisogno di una parola di incoraggiamento e di speranza”, dice.
Il vescovo ha ricordato che il Giubileo è anche “un'opportunità per ricevere l'indulgenza plenaria e il perdono dei peccati grazie alla misericordia di Dio e per stabilire nuove relazioni con i fratelli e le sorelle, e con tutto il creato”. Essere uomini e donne riconciliati per portare speranza.
Un messaggio alla Famiglia Consolata
Ancora una volta, “ringraziamo Dio per questo immenso dono della canonizzazione del nostro santo Fondatore. È un dono che la Chiesa ci ha fatto ed allo stesso tempo un impegno per tutti noi a seguire le orme che il nostro Padre ci ha lasciato: camminare verso la santità e servire la Chiesa in tutta la sua dimensione missionaria.
I vescovi colombiani con il padre James Lengarin, IMC, Superiore Generale a Roma
Essere uomini e donne che annunciano il Vangelo a tutti i popoli e a tutte le culture, abbattendo tutte le barriere e tutti i blocchi culturali e nazionalistici, tutti i pregiudizi, con il desiderio di costruire la fraternità universale a cui Papa Francesco ci invita nella Fratelli Tutti, abbracciando anche il Creato, la nostra casa comune. Portare il Vangelo e la missione ad gentes sotto il segno della consolazione. ‘Annunciare la gloria di Dio a tutte le nazioni e a tutti i popoli’, come ci invita Maria nel meraviglioso testo che San Giuseppe Allamano ci regala dal profeta Isaia.
Mettiamoci in cammino per servire nella missione ad gentes, da qualsiasi parte ci troviamo, abbiamo un cuore universale e missionario. Sentiamo questa grande passione che San Giuseppe Allamano ci dona dal Santuario della Consolata: amore eucaristico, amore per Maria e passione per la missione”, conclude il vescovo di Cartagena.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione.
Mons. Gabriel Ángel Villa Vahos, arcivescovo di Tunja, fa una sintesi della visita
I missionari della Consolata sono arrivati in Polonia nel 2008 e si sono stabiliti a Kielpin nella Diocesi di Varsavia con la missione di lavorare nell’animazione missionaria della Chiesa locale. Nel 2022 è stata creata una seconda comunità nella città di Białystok centro della diocesi che porta lo stesso nome, ai confini con la Bielorussia.
“La nostra presenza è anche un segno di consolazione e perciò, in questa comunità si svolgono altri tipi di attività che non sono solo di evangelizzazione e animazione, ma anche di consolazione”, spiega il padre argentino, Juan Carlos Carmona, in una intervista rilasciata all’Ufficio per la Comunicazione durante la sua recente visita a Roma. “La nostra casa a Białystok è diventata anche parte della Caritas ed offre servizi ai migranti, soprattutto quelli che hanno dovuto uscire dell’Ucraina”, dice il missionario che da nove anni opera in Polonia e insieme al suo confratello, il padre Dirick Julius Sanga, visitano diversi luoghi del Paese per “fare animazione nella Chiesa locale con i giovani, con i bambini nelle scuole, realizzare incontri nelle parrocchie e organizzare le Domeniche Missionarie con ritiri spirituali”.
In quest’anno del Giubileo della Speranza, la Chiesa in Polonia ricorda la figura del Papa San Giovani Paolo II, che “è ancora viva e continua ad essere per noi quel pellegrino che ci accompagna ed è vicino a noi. Anche noi missionari della Consolata, tutti gli anni, ripetiamo questo bel gesto di fare un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Czestochowa. È un pellegrinaggio che dura dieci giorni, lo facciamo insieme alla gente ed è ormai una tradizione della Chiesa di Polonia che ogni anno se mette in strada verso la Vergine di Czestochowa. La particolarità di quest’anno come proposto da Papa Francesco, è appunto essere “Pellegrini di Speranza”. Ci troviamo in questa vita in pellegrinaggio verso il Padre, ed è un pellegrinaggio pieno di speranza. La speranza non è una caratteristica che soltanto da un colore al nostro pellegrinare. È anche qualcosa di più. La speranza è proprio il senso, il potere muovere i nostri passi già sapendo dove arriveremo e con chi saremo, con il Padre, il Figlio e con lo Spirito Santo.
Gruppo del pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Czestochowa reunito nella Cappella dei missionari della Consolata a Kielpin. Foto: IMC Polonia
Questa speranza ha un volto concreto, il Signore nostro Gesù Cristo. Con questo spirito noi in Polonia vogliamo essere pellegrini di speranza nella nostra quotidianità, nel nostro vivere questa vita intensamente, cioè, essere e vivere la presenza del Signore Gesù”.
“Quest’anno abbiamo una grazia in più perché l’Allamano è stato proclamato Santo. La santità dell’Allamano, fin dall’inizio la percepivamo ed eravamo già convinti che lui era con il Signore non soltanto perché era beato, ma anche per le sue stesse parole, quando ripeteva ai missionari: ‘Prima santi, poi missionari’. Avendo vissuto la sua canonizzazione poco tempo fa, ricominciamo un tempo nuovo, un tempo nel quale diciamo: sì, la santità del nostro Fondatore è confermata, quindi, le radici sono sante e sane; quindi, l’albero da lui piantato e i suoi frutti sono santi. Questo è molto bello perché ci fa percepire ancora di più il carisma ricevuto dell’Allamano: portare la consolazione, essere come Maria, portare il Signore Gesù alla gente. Quindi, con questo augurio di uscire, di andare, di trovare l’altro, di esser portatori di speranza, di essere portatori del Signore Gesù, viviamo questo tempo de grazia insieme con il nostro Padre Fondatore”.
Padre Juan Carlos è nato nel 1984 in Argentina a San Juan, nella provincia che porta lo stesso nome. Sentendo la chiamata di Dio entra nell’Istituto e dopo la formazione iniziale, nel 2007 ha fatto il Noviziato a Martin Coronado. Di seguito viene destinato a Roma per lo studio della teologia (2008-2013). La sua ordinazione sacerdotale è avvenuta in Argentina il 23 agosto 2014.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la comunicazione.
Santuario della Madonna di Czestochowa
Con il ricovero di Papa Francesco al Policlinico Gemelli che prosegue con le cautele spiegate dallo staff medico che lo ha in cura, gli appuntamenti in programma per questa domenica 23 febbraio, hanno seguito la modalità della settimana precedente.
La Santa Messa nella Basilica Vaticana alle ore 9.00 nella VII Domenica del Tempo Ordinario, in occasione del Giubileo dei Diaconi, è stata presieduta dal cardinale Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell'Evangelizzazione nel Mondo, che ha letto l’omelia preparata dal Santo Padre.
Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia del Santo Padre.
Il perdono, il servizio disinteressato e la comunione
Il messaggio delle Letture che abbiamo ascoltato si potrebbe riassumere con una parola: gratuità. Un termine certamente caro a voi Diaconi, qui raccolti per la celebrazione del Giubileo. Riflettiamo allora su questa dimensione fondamentale della vita cristiana e del vostro ministero, in particolare sotto tre aspetti: il perdono, il servizio disinteressato e la comunione.
Primo: il perdono. L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana. Gesù ce ne indica l’esigenza e la portata quando dice: «Amate i vostri nemici» (Lc 6,27). Ed è proprio così: per crescere insieme, condividendo luci e ombre, successi e fallimenti gli uni degli altri, è necessario saper perdonare e chiedere perdono, riallacciando relazioni e non escludendo dal nostro amore nemmeno chi ci colpisce e tradisce. Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo.
Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere – e ad insegnare agli altri a vedere – in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto. Di questa apertura di cuore ci parla la prima Lettura, presentandoci l’amore leale e generoso di Davide nei confronti di Saul, suo re, ma anche suo persecutore (cfr 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23).
Ce ne parla pure, in un altro contesto, la morte esemplare del diacono Stefano, che cade sotto i colpi delle pietre perdonando i suoi lapidatori (cfr At 7,60). Ma soprattutto la vediamo in Gesù, modello di ogni diaconia, che sulla croce, “svuotando” sé stesso fino a dare la vita per noi (cfr Fil 2,7), prega per i suoi crocifissori e apre al buon ladrone le porte del Paradiso (cfr Lc 23,34.43).
E veniamo al secondo punto: il servizio disinteressato. Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: «Fate del bene e prestate senza sperarne nulla» (Lc 6,35). Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, “scultore” e “pittore” del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità.
In molti passi evangelici Gesù parla di sé in questa luce. Lo fa con Filippo, nel cenacolo, poco dopo aver lavato i piedi ai Dodici, dicendogli: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Come pure quando istituisce l’Eucaristia, affermando: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Ma già prima, sulla via di Gerusalemme, quando i suoi discepoli discutevano tra loro su chi fosse il più grande, aveva spiegato loro che «il Figlio dell’uomo […] non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (cfr Mc 10,45).
Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra. Accompagnatelo il più possibile con un sorriso, senza lamentarvi e senza cercare riconoscimenti, gli uni a sostegno degli altri, anche nei rapporti con i Vescovi e i presbiteri, «come espressione di una Chiesa impegnata a crescere nel servizio del Regno con la valorizzazione di tutti i gradi del ministero ordinato» (C.E.I., I Diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme, 1993, 55). Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio.
E veniamo all’ultimo punto: la gratuità come fonte di comunione. Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: «Ecco i nostri tesori!». È così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, con le parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: “per noi tu sei importante”, “ti vogliamo bene”, “ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita”. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete.
Così la vostra missione, che vi prende dalla società per immettervi nuovamente in essa e renderla sempre più un luogo accogliente e aperto a tutti, è una delle espressioni più belle di una Chiesa sinodale e “in uscita”.
Tra poco alcuni di voi, ricevendo il sacramento dell’Ordine, “discenderanno” i gradini del ministero. Volutamente dico e sottolineo che “discenderanno”, e non che “ascenderanno”, perché con l’Ordinazione non si sale, ma si scende, ci si fa piccoli, ci si abbassa e ci si spoglia. Per usare le parole di San Paolo, si abbandona, nel servizio, l’“uomo di terra”, e ci si riveste, nella carità, dell’“uomo di cielo” (cfr 1Cor 15,45-49).
Meditiamo tutti su quanto stiamo per fare, mentre ci affidiamo alla Vergine Maria, serva del Signore, e a San Lorenzo, vostro patrono. Ci aiutino loro a vivere ogni nostro ministero con un cuore umile e pieno di amore e ad essere, nella gratuità, apostoli di perdono, servitori disinteressati dei fratelli e costruttori di comunione.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.