Il 16 febbraio è noto per essere il giorno della festa del Fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Un giorno in cui ricordiamo la sua nascita al cielo e ringraziamo Dio per il dono della sua vita per noi. Inoltre, quest'anno è stata la prima volta che abbiamo celebrato Giuseppe Allamano come Santo dopo la sua canonizzazione avvenuta a Roma il 20 ottobre 2024 da Papa Francesco.

A coronare questa giornata, i Missionari e le Missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia, insieme ai fedeli si sono riuniti nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Ulan Bator per la Messa di ringraziamento. La coincidenza ha voluto che questo giorno sia stata una domenica, il Giorno del Signore. Grande fu la gioia di tutti i presenti alla celebrazione.

La Messa è iniziata con un breve rito liturgico di benedizione delle casule e delle stole realizzate per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano in Italia, a cui ha fatto seguito la processione del celebrante e i concelebranti all’altare. Bambini e adulti hanno partecipato attivamente.

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Infatti, più che una festa dei Missionari della Consolata, fu una festa di tutti. Nella sua omelia, il cardinale Giorgio Marengo, ha sottolineato una verità universale quando ha detto: “In realtà, celebrare un santo ha un valore molto più profondo e ampio, perché i santi riconosciuti dalla Chiesa appartengono a tutti, riguardano ciascuno di noi, rappresentano un grande aiuto che lo Spirito Santo mette a disposizione di tutta la Chiesa”.

Ancora in vita, San Giuseppe Allamano arricchì la Chiesa nella sua essenziale natura missionaria raggiungendo persone di ogni ceto sociale, favorendo la formazione e l'educazione cristiana e invitando tutti a camminare verso la meta della santità. Dopo la sua canonizzazione, continua ciò che fece da vivo, ma questa volta dal cielo, intercedendo per coloro che cercano il suo aiuto.

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Non ci fu nell’Allamano nessuna discrepanza tra ciò che egli predicò e ciò che egli visse. “Prima santi e poi missionari” resta la strada da lui indicata e realizzata nella sua attività apostolica, strada che ha insegnato ai suoi figli e alle sue figlie. Un cammino che ha percorso con umiltà e consapevolezza dei suoi limiti, credendo che la grazia del Signore fosse sufficiente per raggiungere la meta della santità.

Ai fedeli mongoli che hanno partecipato alla messa, il celebrante ha ricordato che “la santità non è un'utopia, ma è la realtà in cui già viviamo, grazie alla mediazione della Chiesa; è l’aria che respiriamo, la forza a cui possiamo sempre attingere, la speranza che ci fa rialzare dopo ogni caduta”. Nella piccola chiesa cattolica che si trova in Mongolia, il suggerimento di santità di San Giuseppe Allamano può essere fonte di ispirazione e motivazione per portarci sempre più profondamente nell’incontro con Cristo e nell'amore.

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Il cardinale Giorgio Marengo con i missionari e le missionarie della Consolata che lavorano in Mongolia

Dopo l'omelia, la professione di fede, la preghiera dei fedeli, ci fu la processione offertoriale, nella quale ciascuno ha portato la sua offerta. L’incenso ha aperto il corteo con il suo profumo di benedizioni, seguito dai ritratti di San Giuseppe Allamano, della sua reliquia e della Consolata: doni presentati per rinnovare la nostra volontà di essere disponibili a compiere la santa volontà di Dio, chiedendogli di esaudire con bontà il desiderio di essere veri missionari; fiori: presentati a Dio Padre creatore, chiedendogli di continuare a dare crescita e benedirci con la pioggia del suo Spirito, e splendere come sole nella nostra vita per un raccolto gioioso; frutti: che rappresentano le nostre preghiere a Dio affinché faccia sbocciare l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la gentilezza, la bontà, la fedeltà, la mitezza e l'autocontrollo nella nostra vita; pane e vino: simbolo dell’offerta del nostro lavoro quotidiano, affinché ci trasformi nel Corpo e nel Sangue di Cristo e contribuire al disegno salvifico di Dio. 

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Dopo la messa alcuni fedeli e le foto di rito vicino all'altare, siamo andati nel salone della Cattedrale e abbiamo passato un momento di gioia e fratellanza con tutti.

* Padre Dido Mukadi, IMC, missionario in Mongolia.

In comunione con tutta la famiglia Consolata nel mondo, le comunità dei missionari e delle missionarie di Roma e Nepi si sono radunati, domenica 16 febbraio 2025, nella Casa Generalizia IMC per festeggiare San Giuseppe Allamano.

La celebrazione di quest'anno è stata speciale perché era la prima festa del Santo Fondatore dopo la sua canonizzazione, avvenuta il 20 ottobre 2024 e ha segnato anche l'inizio di un tempo di preparazione al centenario della sua nascita in cielo che celebreremo il 16 febbraio de 2026.

Nelle sue parole di benvenuto ai presenti, padre Zé Martins, superiore della Casa Generalizia, ha sottolineato l'importanza di vivere questi momenti come una famiglia.

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Il programma festivo è iniziato con una riflessione sulla santità di San Giuseppe Allamano, offerta dal Postulatore, padre Jonah Makau. “Se c'era una parola che il Fondatore pronunciava spesso, era il termine santità - ha dichiarato il Postulatore. “L’Allamano ha vissuto una vita santa. Questo spiega perché, per lui, il primo e principale obiettivo dell'Istituto era il benessere spirituale dei suoi membri. L'Allamano diceva infatti che, se non lavoriamo per la nostra santificazione, non meritiamo di essere strumenti di Dio nella sua missione”.

Dopo aver sotto.ineato le caratteristiche principali del Santo Fondatore, padre Jonah ha invitato a riflettere sulla sua attualità rispetto ai problemi del mondo di oggi: “la sicurezza alimentare, la salute, gestione del territorio, sicurezza idrica e il cambiamento climatico”. Secondo il Postulatore, “i missionari e le missionarie della Consolata sono sempre stati attenti ai segni dei tempi e ai bisogni della gente”. Ecco perché l'Allamano insisteva “sull’importanza di cambiare l'ambiente per trasformare anche la gente”.

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Padre Jonah Makau. "L’Allamano era un uomo santo proprio perché vedeva la volontà di Dio in ogni cosa"

La missione deve sempre essere vissuta nella santità di vita. É la buona vita spirituale dei missionari e delle missionarie che li trasforma in strumenti efficaci di Dio.

“Mentre celebriamo questa festa del nostro Fondatore e iniziamo un cammino verso il centenario della sua morte, chiediamo al Signore, per sua intercessione, di ispirarci ancora di più al suo spirito e di diventare autentici strumenti di consolazione nel mondo”, ha concluso padre Jonah.

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L’Eucaristia festiva

La Santa Messa è stata presieduta da padre Nicholas Odhiambo, rettore nel Seminario internazionale di Bravetta, che nella sua omelia, servendosi di una riflessione di padre Stefano Carmelengo, ha parlato su tre luoghi privilegiati della santità di San Giuseppe Allamano.

“Siamo coscienti che il primo luogo privilegiato per formarci alla santità è la vita quotidiana della nostra missione, fatta di gioie e speranze, di li miti e debolezze, nelle sue varie forme ed espressioni. Si tratta di viverla a imitazione del Signore che ‘fece bene ogni cosa’ (Mc 7:37) con la convinzione che il ‘bene bisogna farlo bene e senza rumore’ (VS 128 - 129). La Santità del nostro Istituto dipende dall’impegno di ogni missionario, sempre e ovunque.

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Il secondo luogo privilegiato per formarci alla santità è il servizio. Spesso abbiamo interpretato l’episodio della lavanda dei piedi come un invito di Gesù alla Chiesa, perché lavi i piedi ai poveri, agli emarginati. Abbiamo dimenticati che Gesù ha detto ai suoi apostoli: ‘Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri’ (Gv 13:14). C’è in questa espressione di Gesù tutto il suo desiderio, tutta la sua preoccupazione per una comunione all’interno del gruppo dei suoi apostoli, una comunione profonda, che noi dobbiamo riscoprire e vivere mettendoci al servizio gli uni degli altri.

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Se noi, più a contatto con l’Eucaristia, non viviamo veramente la comunione, la nostra testimonianza sarà vana. Saremmo ipocriti se proclamiamo la Parola, se spezziamo il Pane dell’Eucaristia, e poi vivessimo per conto proprio, mortificandoci a vicenda, coltivando piccole invidie, piccoli rancori, dissociandoci gli uni gli altri, vivendo all’interno della comunità la disaffezione reciproca, ignorandoci a vicenda.

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Il terzo luogo privilegiato per formarci alla santità è la croce. Ciò che deve accompagnare il nostro cammino verso la santità è la non presunzione, la non arroganza, l’umiltà fino alla debolezza. Tutti i nostri progetti, tutte le nostre mediazioni culturali, tutti i nostri tentativi di presenza tra gli emarginati devono essere portati davanti alla croce di Gesù e devono essere valutati e riconciliati con la Parola di colui che ‘ha tanto amato il mondo’ (Gv 3:16).

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La santità è nutrita e vive del memoriale della croce. Perché l’evangelizzazione non batta sentieri aridi e non diventi improvvisazione, guardiamo a Gesù crocifisso, per recuperare il senso umano della vita di fede che esige la gratuità delle relazioni quotidiane con i confratelli e la solidarietà con la gente, l’umiltà di sentirci inutili servi nella vigna del Signore”.

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La giornata è poi continuata con un pranzo festivo in famiglia durante il quale, come fratelli e sorelle, figli e figlie di San Giuseppe Allamano, abbiamo condiviso la gioia della vocazione missionaria in questo momento così speciale della nostra storia.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la comunicazione.

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Con gioia e speranza l’Istituto Missioni Consolata ha raggiunto i 124 anni di vita e missione e, nello stesso tempo anche la Congregazione delle Missionarie della Consolata celebra 115 anni di fondazione.

“Un saluto fraterno in questo tempo ricco di grazia, dove la benedizione di Dio si rende presente in tutta la Famiglia Missionaria della Consolata, nella Chiesa e nel mondo intero. Abbiamo celebrato da poco la Canonizzazione del nostro Fondatore, in cui ci siamo abbeverati del suo spirito in modo tutto speciale, da poco abbiamo iniziato l’anno giubilare, un’occasione speciale in cui la Chiesa mette a nostra disposizione mezzi straordinari per aiutarci a sperimentare l’immensa misericordia di Dio”.

Queste le parole di padre James Lengarin, IMC, Superiore Generale e di Suor Lucia Bortolomasi, MC, Superiora Generale, all'inizio del loro Messaggio in occasione della Festa della Fondazione dei dui Istituti celebrata il 29 gennaio, “un dono immenso da ringraziare il Signore per tutta l’eternità”.

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Di seguito il testo integrale del Messagio con informazioni sulla preparazione del Centenario della morte del Fondatore (16 febbraio 2026).

Infiammato dal suo zelo apostolico e avendo compreso la missione della Chiesa, San Giuseppe Allamano si interessò al mondo intero. Sentì l'urgenza di portare il Vangelo fino ai confini della terra. Nella sua osservazione, c'erano così tante organizzazioni sponsorizzate dalla Chiesa che si dedicavano alla carità, ma nessuna era dedicata alla missione.

Per porre rimedio alla situazione, dopo una lunga preparazione spirituale accompagnata da ostacoli e sfide, il 29 gennaio 1901 fondò la congregazione dei Missionari della Consolata per padri e fratelli.

Nella formazione iniziale, il Fondatore aveva previsto che, mentre i padri si sarebbero fatti carico del lavoro pastorale, i fratelli sarebbero stati responsabili nella creazione di strutture al servizio della missione. Coadiutori della missione. Il lavoro fatto dai fratelli, fino ad oggi, parla dell’importanza dei fratelli nella missione.

Fratel Vincenzo Clerici

20241210Vincenzo1Durante il ritiro annuale dei missionari della Consolata a Modjo, ho avuto modo di interagire con Fratel Vincenzo Clerici, che ha 84 anni, e che è l'unico Fratello della Consolata rimasto in Etiopia. Era mia intenzione cercare di capire la sua storia come fratello nella Consolata.

Nato in Italia nel 1940, Fratel Vincenzo ha conseguito la laurea in fisica presso l’università di Torino, ed in seguito ha lavorato come insegnante in un istituto tecnico.

Fratel Vincenzo confessa che il cammino che lo ha portato ad essere fratello della Consolata è stato in un certo senso speciale. All'inizio si recò in missione in Kenya come giovane laico. Il termine volontario non era in uso allora. I giovani dall'Italia si trasferivano nei paesi del terzo mondo (come venivano chiamati allora) per fare un'esperienza lì. La sua prima esperienza missionaria è stata con i missionari della Consolata.

Tornato in Italia, fece parte di un gruppo di quattro giovani che ogni mese andavano alla Casa Madre dei missionari della Consolata. Lì, erano accompagnati da Padre Giuseppe Caffaratto che fungeva da loro animatore. Arrivò il momento che i suoi amici furono inviati in Amazzonia (Brasile), e invece lui fu mandato in Kenya.

Quando arrivò in Kenya, ci fu quello che lui definì un "Boom" delle scuole. Padre Giovanni De Marchi che era già in Kenya lo incoraggiò a imparare l'inglese. Quindi dovette recarsi in Inghilterra, dove trovò un lavoro per sostenersi e vi rimase per un anno mentre seguiva il suo corso di Inglese. Tornato in Kenya dopo il corso, fu inviato alla missione di Mugoiri vicino a Murang'a, dove lavorò come insegnante nella scuola secondaria di Mugoiri.

Da giovane laico, dovette sostenersi economicamente da solo. Fu così che padre Cesare Facchinello, responsabile della missione Mugoiri, fece in modo che la scuola gli pagasse uno stipendio. La metà andava alla missione per il suo vitto e alloggio, e l’altra metà per le sue necessità personali. In seguito fu trasferito a Sagana dove incontrò cinque fratelli della Consolata tra cui Fratel Sandro e Fratel Adriano. Vivere con questi fratelli a Sagana, fare lo stesso lavoro, gli stessi orari, condividere le loro esperienze di vita insieme lo aiutò a fare il passo decisivo di diventare fratello religioso.

In seguito alla sua decisione, fu ammesso al Postulato a Sagana e poi inviato alla Certosa di Pesio per il suo Noviziato dall’allora superiore generale Padre Giuseppe Inverardi. Qui, si unì al gruppo di altri novizi, lui l'unico fratello. Dopo il suo noviziato, fu rimandato a Sagana come Fratello della Consolata.

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Fratel Vincenzo con il gruppo dei Missionari della Consolata in Etiopia. Foto: Edgar Nyangiya

Dopo la sua prima esperienza come fratello a Sagana, Fratel Vincenzo fu destinato all'Etiopia dove lavorò per sette anni prima di essere richiamato a Langata in Kenya, una comunità di fratelli dove lavorò come formatore. Dopo due anni fu inviato nuovamente in Etiopia. Da allora, ha sempre vissuto e lavorato in Etiopia come fratello.

I suoi primi anni di vita come Fratello

Fr. Vincenzo ricorda che i fratelli all’inizio si impegnavano nell'apprendere  nuove conoscenze tecniche. Camminavano assieme e si aiutavano a vicenda.  Si applicavano con passione ai compiti assegnati, sia che si trattasse di falegnameria, muratura, meccanica e altro. Ricorda come Fratel Mario Bernardi ebbe una grande influenza su di lui. Fratel Mario nonostante il suo impegno nella falegnameria, trovava tempo anche per le attività  pastorali. Secondo lui, Fratel Mario è stato determinante nella vita dei fratelli in Kenya, con il suo continuo incoraggiamento.

In Etiopia, i fratelli lavoravano con passione nelle missioni e nelle scuole tecniche. Ad esempio, ricorda la scuola tecnica di Meki dove era stato assegnato. Oltre a insegnare, si assicurava che le forniture (materiali per la falegnameria, la lavorazione dei metalli, ecc.) fossero sempre disponibili. Ricorda di aver lavorato con Padre Michele Brizio (di buona memoria) che era il direttore e lui era il suo vice. In seguito, la scuola tecnica fu consegnata alla prefettura locale.

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In quel tempo i fratelli erano spinti dalla passione per la missione e dall'amore per il lavoro che stavano svolgendo. Non solo utilizzavano le loro conoscenze e competenze tecniche, ma si impegnavano anche nel lavoro pastorale. Ha ancora bei ricordi di quando fu inviato nella missione di Gambo, quando andava a visitare le famiglie cristiane e i lebbrosi della missione, pregando con loro e dando loro conforto.

Diminuzione del numero di fratelli IMC

Ho chiesto la sua opinione sul motivo della diminuzione dei fratelli IMC. All’inizio sembrava immerso nei suoi pensieri, poi ha sottolineato come la maggior parte dei fratelli è in età avanzata e in tanti sono morti, e d'altra parte che sono pochi coloro che aspirano a diventare fratelli.

Ha inoltre osservato come la società ha contribuito notevolmente alla diminuzione di questa vocazione, nel senso che, ciò che i fratelli facevano come specialisti qualificati, ora ci sono molte persone che sono qualificate nello stesso campo. Ma non ritiene che questa sia la vera ragione. Ha tristemente osservato come alcuni fratelli ritengono che i sacerdoti siano contrari alla vocazione di fratello, e che alcuni sacerdoti incoraggeranno i giovani a farsi sacerdoti piuttosto che incoraggiarli alla vocazione ad essere fratello.

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I partecipanti al corso G50 presso la casa del Fondatore a Castelnuovo don Bosco. Foto: Orlando Hoyos

Il suo incoraggiamento

Fratel Vincenzo è fermamente convinto che la vocazione alla fratellanza sia ancora molto buona e nobile, che serve molte persone nella società in moltissimi campi diversi. Tuttavia, a causa delle competenze e della professionalità coinvolte in questa vocazione, scoraggia l'aspetto dei giovani che preferiscono il denaro al servizio che offrono all'umanità. Questa avidità di denaro e posizioni ha reso il mondo simile a un gioco di combattimento per la sopravvivenza.

Per avere più vocazioni, egli consiglia che noi come famiglia della Consolata (fratelli, sacerdoti, suore e missionari laici) dovremmo incoraggiare e motivare i giovani in formazione. Si dovrebbe propagandare di più questa vocazione ad essere fratello e mostrare ai giovani che questa vocazione è ancora rilevante nella Chiesa, così facendo da rendere apprezzabile questa  vocazione ai giovani in formazione.

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Fratel Vincenzo ha sottolineato come tutti i professi dovrebbero riconoscere e apprezzare la bellezza della vita comunitaria e della fratellanza propria della vocazione a fratello. Con le sue parole conferma che "certamente la vocazione a fratello non ti rende ricco, ma ci sono più vantaggi e gioia nell'essere un fratello rispetto ai pochi svantaggi che accompagnano questa vocazione".

Fratel Vincenzo ha concluso dicendo che, nonostante la sua età, si sente ancora più realizzato e felice come fratello religioso e non ha rimpianti nel continuare a seguire questa vocazione. Se potesse tornare giovane e avere la possibilità di scegliere, sceglierebbe ancora di essere un fratello religioso della Consolata.

Attualmente, il fratello lavora nella missione di Modjo assieme altri membri della comunità.

* Padre Edgar Nyangiya, IMC, missionario in Etiopia.

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 Chiesa nella missione di Modjo in Etiopia

In un mondo che oggi guarda troppo al futuro, molte persone non vedono il valore della storia. La preoccupazione per il futuro ci tiene sulle spine e l'ansia di raggiungere gli obiettivi prima ancora di averli stabiliti ci tiene svegli. La preoccupazione per il futuro sembra farci vivere nel futuro.

Questa tendenza è però controproducente, perché non c'è futuro senza uno sguardo al passato che trasformi il presente. Questo spiega perché la storia è fondamentale. Lo studio e la scrittura della storia mantengono viva la coscienza collettiva delle persone. Questo ci porta al punto di questa riflessione: Nel nostro Istituto dobbiamo far rivivere l'amore per la storia dell'Istituto. Siamo ciò che siamo grazie agli sforzi e ai sacrifici di molti missionari precedenti. Sappiamo quello che sappiamo dell'Istituto grazie a missionari che, oltre alle tante attività che potevano svolgere, hanno anche trovato il tempo di scrivere e documentare le cose.

L'Ufficio Storico dell'Istituto

La futura generazione dell'Istituto Missioni Consolata si aspetta di imparare da noi, così come noi abbiamo imparato dagli altri. L'Ufficio Storico dell'Istituto ci ricorda questo nobile dovere. Per chi non lo sapesse, l'Ufficio Storico dell'Istituto è uno degli uffici che assistono la Direzione Generale nelle attività previste dalla nostra Costituzione, numero 132. L'Ufficio storico ha quattro compiti principali.

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Padre Gabriele Perlo con gruppo di giovani a Tuthu, la prima missione nel Kenya. Foto: Archivio IMC

Primo, raccogliere materiali, documenti e testi sul fondatore, sulla vita dell'Istituto e dei suoi membri, sulle missioni, sugli scritti e sui testi dei missionari (vivi e defunti). Secondo, conservare e curare la catalogazione scientifica di tutto il materiale, in modo da facilitarne la consultazione. Terzo, produrre il materiale sugli argomenti del primo punto. Infine, diffondere all'interno e all'esterno dell'Istituto quanto prodotto o raccolto.

Con l'avvicinarsi della fine dell'anno, l'Ufficio Storico invita tutti noi a partecipare allo sforzo di recuperare la memoria storica del nostro Istituto. Sarebbe incoraggiante se ogni missionario fosse abbastanza attento da identificare gli “oggetti” che definiscono la nostra identità, o che rimandano alla nostra storia, ma soprattutto se si mettesse in contatto con i superiori per capire come prendersi cura di questo materiale. È doloroso quando lasciamo le parrocchie con tutti gli oggetti storici dei missionari, che avrebbero dovuto essere conservati dall'Istituto.

È nostro dovere mantenere viva la memoria

L'Ufficio Storico chiede a tutti noi di essere orgogliosi di ciò che siamo, e quindi di essere disposti e pronti a fare lo sforzo necessario per ricordare la testimonianza di molti missionari che hanno definito una certa epoca della vita dell'Istituto.

In secondo luogo, l'Ufficio Storico invita tutti noi a ricordare il dovere di comunicare la nostra storia. Non basta accumulare bei ricordi dell'Istituto che hanno fatto la sua storia. Abbiamo tutti il dovere di condividere, comunicare e far sì che le nuove generazioni sappiano chi siamo e cosa siamo stati nel corso degli anni. Lo sforzo di raccontare la nostra storia è molto importante. Attribuisce un significato all'esistenza di ciascuno di noi. Ci permette di essere radicati in ciò che siamo. E dà un significato a ciò che è stato raggiunto finora.

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Padre Jonah M. Makau, IMC, Direttore dell'Ufficio Storico

In terzo luogo, l'Ufficio Storico ricorda a tutti noi il dovere di mantenere vivi i diversi “strumenti” che hanno caratterizzato la nostra storia. Questi strumenti includono, tra l'altro, i diari dei nostri missionari. Questi sono una fonte preziosa di informazioni su ciò che sappiamo della vita dell'Istituto agli inizi. Anche il fondatore San Giuseppe Allamano trovò il modo di seguire la vita dei missionari e di vedere, mentre era a Torino, come si svolgeva l'organizzazione delle missioni. I musei e i centri culturali sono altri strumenti in cui abbiamo raccolto i simboli della nostra storia. Abbiamo il dovere di mantenerli vivi, facendoli conoscere di più alle persone che ci circondano.

Il dovere di conservare e a far conoscere

Infine, Ufficio Storico ci invita a conservare e a far conoscere le opere di tanti missionari operosi che, giorno e notte, lottano per mantenere vive le vicende del loro lavoro. Abbiamo un patrimonio prezioso, espresso dalla testimonianza di molti missionari. In verità, il dono più grande che abbiamo è l'esempio e la testimonianza dei nostri missionari. Abbiamo il dovere di rendere la loro vita e i loro scritti parte di noi, perché solo così possiamo far parte della loro grande storia.

Mentre ci avviciniamo alla fine dell'anno, l'Ufficio Storico ci ricorda che nessuno può conoscere veramente l'identità più profonda o ciò che desidera essere in futuro senza occuparsi dei legami che lo uniscono alle generazioni precedenti. Quindi risvegliare un adeguato senso della storia con l'avvicinarsi del nuovo anno ci aiuterà a sviluppare un migliore senso delle proporzioni e della prospettiva nel comprendere la realtà dell'Istituto e dell'intera Chiesa, così com'è e non come la immaginiamo o vorremmo che fosse. Questo tipo di sforzo servirà come misura correttiva all'approccio sbagliato che vede le cose da una difesa trionfalistica della nostra funzione o del nostro ruolo nella Chiesa.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, Direttore dell'Ufficio Storico, Roma

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L'arazzo di Giuseppe Allamano visualizzata sulla facciata della Basilica di San Pietro in Vaticano nel giorno della canonizzazione il 20 ottobre 2024. Foto: Jaime C. Patias

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