20 Settembre 2023: celebriamo i centocinquanta anni di Ordinazione sacerdotale del Beato Giuseppe Allamano. Mentre stiamo ancora godendo la notizia dell'approvazione, da parte del Dicastero per le Cause dei Santi, del miracolo che dovrebbe portarlo alla canonizzazione, è importante riflettere sulla connessione dei due eventi: per lui, ma soprattutto sulle loro implicazioni nella nostra vita.
Vale la pena ricordare che, il 10 agosto 1973, padre Mario Bianchi, allora Superiore Generale dell’Istituto, aveva scritto una lettera commemorativa, nella quale invitava i missionari a celebrare il centenario dell’ordinazione sacerdotale del Fondatore. Aveva, inoltre, invitato tutti, i missionari che condividevano con il Fondatore lo stesso sacerdozio ministeriale, i fratelli e le suore che partecipavano al carisma missionario del Fondatore, e gli studenti, che si preparavano ad essere futuri Missionari della Consolata, a riflettere sul sacerdozio nella vita e spiritualità dell’Allamano e sulla sua presenza nell’Istituto.
È con grande gioia che noi suoi missionari, cinquant'anni dopo, celebriamo ancora questo evento. Ogni periodo cinquantenario rappresenta un Giubileo, che segna la fedeltà di Dio nella vita di una persona, festeggiando, altri cinquant'anni dopo, lo stretto rapporto tra santità e sacerdozio.
Un santo è una persona che viene identificata dalla Chiesa, dopo la sua morte, come un esempio di fede, morale e impegno cristiano. Il sacerdote è una persona che si offre generosamente nel servizio al popolo di Dio, che offre fedelmente il sacrificio eucaristico e la preghiera per il bene della Chiesa, portando speranza alle persone, in cui il calore dell'amore di Dio, la misericordia e il perdono non si sentono.
Questo è il motivo per cui Il sacerdozio dell’Allamano è un aspetto da meditare. Fu, con tenacia e passione, un vero sacerdote. La sua vita in seminario fu fatta di esercizi ascetici che prepararono il suo essere al ministero sacerdotale che lo attendeva. Ciò era evidente nel suo impegno generoso e sistematico verso la perfezione e la santità, nel suo duro lavoro e sacrifici quotidiani.
Consapevoli del nostro sacerdozio ‘comune e ministeriale’, ci rendiamo subito conto di quanti passi verso la santità l'Allamano avesse fatto fin dall’inizio del suo cammino verso il sacerdozio. La sua vita sacerdotale fu notevole. Si distingueva per la sua unità, armonia ed equilibrio tra contemplazione e azione. Era un riflesso della sua vita interiore e del suo intimo rapporto con Dio attraverso la preghiera. Era centrato nell'Eucaristia e nell'amore per la Consolata.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che la dottrina dell’Allamano sul sacerdozio fosse piuttosto tradizionale, anche se aperta ai problemi del tempo. A differenza di oggi, quando i missionari sono valutati e pesati per il lavoro che svolgono e non per quello che sono, la visione del sacerdozio dell’Allamano metteva in primo piano la persona del sacerdote. Per lui, la dignità del sacerdote era regale, angelica e divina; in quanto tale, non è mai stata concepita in senso trionfalistico, ma in senso dinamico: dall’impegno per la santificazione personale prima, e poi per il ministero pastorale in mezzo al popolo di Dio. Il nostro Fondatore capì questo segreto, e per questo continuava a ricordare ai suoi missionari che se non fossero stati buoni religiosi, sarebbero diventati dei pessimi missionari.
La celebrazione del sacerdozio del nostro Fondatore ha implicazioni concrete sulla nostra vita e sul nostro ministero, offrendoci ispirazione e orientamenti per la nostra vocazione missionaria. Questo perché, in virtù e con la grazia del carisma di fondazione ricevuto da Dio, il Fondatore è molto presente tra noi, nell’Istituto da lui fondato. La presenza di un padre in una famiglia ha un valore innegabile, come esempio e guida.
La sua vita vuole sfidarci, perché anche noi possiamo rendere anche la nostra, via alla santità. Il suo spirito meditativo, strutturato sul silenzio profondo e sul raccoglimento, costituisce la tonalità della sua spiritualità missionaria. Questo ovviamente ci ricorda la necessità di fare bene il bene, senza pubblicizzarlo e senza aspettarsi eloghi, o altro. L’esempio dell’Allamano in questo è limpido ed evidente, era davvero all'altezza del compito. Ecco perché Egli è il nostro miglior esempio di come seguire Gesù fedelmente e come servire il popolo di Dio, con impegno.
In secondo luogo, l’Allamano non poteva immaginare un prete senza la Chiesa. Il suo amore per essa era evidente a tutti, cominciando dalla sua diocesi nella quale ha servito tutta la vita, alla Chiesa universale, alla quale ha offerto i suoi figli come prolungamento di sé stesso. Oggi, quindi, il nostro Fondatore esige amore per la Chiesa.
L’amore dell’Allamano per la Chiesa era evidente attraverso il suo zelo nel servire in qualunque incarico gli venisse richiesto. Per noi l'amore alla Chiesa non può essere separato dall'amore all'Istituto, perché serviamo la Chiesa negli incarichi particolari che ci vengono affidati.
Terzo, il sacerdozio dell’Allamano dimostra cosa vuol dire essere docili allo Spirito di Dio. Come tale, che attraverso i superiori orienta la volontà di Dio per noi. Come il Fondatore che si aprì alle ispirazioni dello Spirito Santo, dobbiamo imparare che la docilità alla voce di Dio e il coraggio di fare ciò che dice è molto più importante che aderire rigidamente ai propri progetti, che finiscono per diventare monumenti di orgoglio che non durano. La docilità allo Spirito di Dio e il coraggio di compiere la volontà di Dio richiedono flessibilità da parte nostra. Solo chi è sufficientemente flessibile è in grado di sacrificare i propri desideri, sogni e ambizioni per realizzare ciò che lo Spirito gli indica anche se non è ciò che avrebbe desiderato. In altre parole, la docilità allo spirito e il coraggio di fare la volontà di Dio ci chiamano alla disponibilità e alla flessibilità.
Infine, il sacerdozio dell'Allamano ci ricorda l'importanza fondamentale dello spirito di famiglia. La comunità del Santuario della Consolata a Torino ha offerto sia all’Allamano come al Camisassa lo spazio in cui avrebbero servito il popolo di Dio lì presente. Quella comunità è stata il fondamento di quanto ha fatto il nostro Fondatore nella diocesi e nell'Istituto. In altre parole, quella comunità poteva creare o distruggere non solo la serenità vocazionale necessaria per il suo buon lavoro, ma anche il suo servizio al popolo di Dio nel Santuario. Vale a dire, la salute di una comunità determina la possibilità o l'impossibilità della santificazione personale e della prestazione apostolica.
Grazie a Dio, la comunità del Santuario della Consolata di Torino è stata un ‘forum’ positivo dove è stata apprezzata la correzione fraterna e l'amicizia è maturata in fraternità. Questi finirono per diventare trampolini di lancio verso la santità. Precisamente, il sacerdozio dell’Allamano ci insegna che la vita missionaria è possibile e più facile dove si coltiva lo spirito di famiglia.
Mentre celebriamo questo importante anniversario, chiediamo a Dio che, attraverso l'intercessione del nostro Fondatore e della Consolata, anche noi possiamo trasformare le nostre comunità traballanti in cammini verso la santità.
Nell'ambito del XIV Capitolo Generale, dal 17 al 21 giugno, i missionari capitolari hanno compiuto un pellegrinaggio alle fonti del carisma della loro comunità in Piemonte. I Missionari e le Missionarie della Consolata furono fondati dal Beato Giuseppe Allamano, rispettivamente nel 1901 e nel 1910, ai piedi del Santuario della Vergine della Consolata patrona della città di Torino.
Questa parentesi piemontese del Capitolo Generale é stata occasione per affidare l'Istituto alla protezione della Madonna Consolata e del Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano e per Rinnovare la vita e la missione alle fonti originarie del carisma.
A Castelnuovo si conserva la casa dove nacque Giuseppe Allamano e poco distante (foto sotto) anche quella dove nacque San Giuseppe Cafasso che era suo zio materno
A 40 km da Torino si trova el paese di Castelnuovo. Anticamente chiamato Castelnuovo d'Asti oggi, in onore al più noto dei suoi santi, si chiama Castelnuovo Don Bosco e precisamente in quel paese dell’astigiano nacque, il 21 gennaio 1851, il beato Giuseppe Allamano.
La prima parte della visita è stata alla casa natale del Fondatore che si trova nella parte bassa del centro storico di Castelnuovo. Giuseppe Allamano era il quarto dei cinque figli del matrimonio di Giovanni Allamano e Maria Anna Cafasso, che vissero in quella casa nell'Ottocento. Oggi questa bella residenza di famiglia contadina è diventata meta di pellegrinaggi con un itinerario che riproduce in gran parte la vita dei primi anni di Giuseppe Allamano.
Situata in un piccolo vicolo lontano dal corso principale, troviamo una porta ad arco, tipica della campagna piemontese, che si apre sul cortiletto e la casa. Nel cortile c'è un pozzo e un piccolo giardino e sul fondo la casa di tre piani.
Al piano terra, a sinistra delle scale, si trova la cucina con il camino il cui fuoco, oltre a cucinare, serviva a riscaldare gli ambienti della casa e a destra, c’era la stalla che oggi è stata trasformata in cappella.
Al centro la scala conduce al piano successivo della casa, dove si trovavano le camere da letto. La prima stanza a destra è quella dove nacque Giuseppe Allamano ed è ancora arredata con mobili d'epoca. Poi in altre sale sono esposti alcuni oggetti usati da Giuseppe Allamano oltre ai resti della bara che ha custodito il suo corpo fino al 1990, anno della sua beatificazione.
Nella parte altra della casa, come in tutte le case contadine dell’epoca, c'era il fienile. In questo spazio originariamente aperto sono allestite mostre fotografiche che illustrano la vita e la missione nei diversi continenti, nonché l'organizzazione della famiglia della Consolata.
Nell'ultima stanza si trova la stanza dove soggiornava San Giuseppe Cafasso quando visitava la famiglia. La sua casa natale è poco distante, e la troviamo risalendo la piazza principale di Castelnuovo in direzione della chiesa parrocchiale: lui, zio materno di Giuseppe Allamano, nacque il 15 gennaio 1811
Questo santo sacerdote, definito da Pio XI "la perla del clero italiano", dedicò il suo ministero alla formazione dei giovani sacerdoti, all'insegnamento della teologia morale, alla pastorale tra i carcerati e i condannati a morte, e fu di supporto a varie iniziative sociali e pastorali della chiesa di Torino e del Piemonte in quegli anni. Morì a Torino il 23 giugno 1860, a soli 49 anni, e fu proclamato santo nel 1947.
L’ultima parte della Visita è stata fatta nella chiesa di Sant’Andrea, dove nel 1851 fu battezzato il beato Giuseppe Allamano, nello stesso fonte battesimale nel quale anni prima furono battezzati gli atri due santi dell’ottocento di Castelnuovo: Giovanni Bosco e lo zio Giuseppe Cafasso.
In questa stessa chiesa l'Allamano fece la sua prima confessione e comunione ed esattamente 150 anni fa, all'altare dell'Addolorata, celebrò la sua prima messa il 21 settembre 1873.
I capitolari, alla presenza di alcuni parenti e fedeli di Castelnuovo, hanno celebrato l’eucaristia presieduta da padre Michelangelo Piovano, Vice-Superiore Generale.
Una parte importante della visita si è svolta ad Alpignano, a 20 km da Torino, dove si trova la casa dei missionari anziani e bisognosi di cure mediche. In questa comunità risiede un gruppo di 28 missionari che hanno lavorato in diverse missioni in Africa, America ed Europa.
Momento centrale dell'incontro è stata la celebrazione eucaristica, presieduta dal nuovo Superiore Generale, P. James Lengarin, che ha ringraziato Dio per il dono di questi uomini che ora accompagnano l’impegno missionario con la preghiera, che è la parte essenziale dell’Evangelizzazione.
È stato bello condividere il pane eucaristico con questi missionari che con la loro vita hanno marcato la storia delle nostre missioni e continuano ad essere fonte di ispirazione per continuare a costruire con fedeltà e audacia la storia del nostro impegno missionario.
A Torino, in corso Ferrucci, c'è la Casa Madre, dove i capitolari hanno avuto la possibilità di condividere con i missionari residenti e in visita la gioia della missione e la bella storia del loro impegno missionario.
I Missionari della Consolata, fondati il 29 gennaio 1901, ebbero come prima sede un edificio sito al civico 49 di Corso Duca di Genova, che allora era familiarmente conosciuto con il nome di “Consolatina" ma pochi anni dopo l'edificio divenne troppo piccolo per accogliere le numerose vocazioni e così nel 1905 fu costruita la nuova "Casa Madre" che poteva ospitare 150 studenti, tra seminario minore, noviziato e seminario maggiore.
In parte di questo edificio originale operano ancora oggi vari servizi: la rivista Missioni Consolata, fondata dai Giuseppe Allamano e Giacomo Camisassa nel 1899; il Museo Etnografico IMC e il nuovo Centro di Missione e Cultura; l'accoglienza dei missionari che vengono a “bere alle sorgenti del carisma”. In questa stessa casa si trova la sede della Regione Europa.
Nello stesso isolato si trova anche la Casa Madre delle Missionarie della Consolata, che furono fondate il 29 gennaio 1910. Anche loro ebbero come prima sede la "Consolatina", divenuta in poco tempo insufficiente per ospitare tutti, e allora nel 2014 iniziò la costruzione della loro Casa Madre nel lotto che era rimasto vuoto a nord della casa dei Missionari e che era utilizzato come orto.
In questa casa si mantiene viva gran parte della storia del Fondatore e della missione delle Missionarie: alcuni luoghi emblematici sono la “stanza verde”, dove il Fondatore parlava personalmente con ogni suora, e l'auditorium, dove la domenica mattina teneva le suggestive conferenze.
La cappella del Beato Giuseppe Allamano nella Casa Madre
Nella Cappella Beato Giuseppe Allamano, situata nella parte meridionale della Casa Madre, sono conservate le tombe del Beato Giuseppe Allamano e del cofondatore Giacomo Camisassa, nonché le reliquie delle beate Missionarie della Consolata Irene Stefani e Leonella Sgobarti.
Giuseppe Allamano morì il 16 febbraio 1926 e il suo corpo fu allora sepolto nella cripta riservata ai canonici. Fu nel 1938 quando venne trasportato nell’attuale cappella a lui dedicata in Casa Madre dove lo raggiunsero, nel 2001, i resti del suo collaboratore Giacomo Camisassa. Con la sua beatificazione nel 1990 questo è diventato un luogo di pellegrinaggio dove il suo esempio irradia un rinnovato fervore nella fede e nella missione.
Giuseppe Allamano, sacerdote diocesano di Torino e rettore del Santuario della Consolata per 46 anni, si è dedicato a “essere straordinario nelle cose ordinarie”. Ha trasformato la routine quotidiana del suo ministero sacerdotale in un cammino di santità, essendo strumento di consolazione per tutti coloro che cercavano la via del ritorno a Dio.
Allo stesso tempo, si occupava di promozione sociale e culturale, compresi i media. Animato da una viva coscienza della missione universale della Chiesa, fondò i Missionari della Consolata per portare al popolo la vera "consolazione": Gesù, figlio di Maria.
Il santuario della Consolata e, sotto, una immagine della processione dello scorso 20 giugno
Il giorno della festa della Consolata, il 20 giugno, i capitolari hanno celebrato la mattina nella chiesa del Beato Allamano e il pomeriggio nel Santuario della Consolata. Entrambe le celebrazioni sono state presiedute dal Superiore Generale, P. James Lengarin, con la partecipazione di decine di missionari, laici e devoti della Consolata.
Nel pomeriggio si è svolta una massiccia processione per le vie del centro di Torino, accompagnata da canti, preghiere e anche la proclamazione di pensieri scritti da Giuseppe Allamano in onore di Maria Consolata. Situato nella "via consolata" il Santuario è uno dei luoghi di culto più antichi e frequentati di Torino e del Piemonte.
Giuseppe Allamano fu rettore del Santuario della Consolata dal 1880 fino alla sua morte avvenuta nel 1926. Coltivò personalmente e nei fedeli che frequentavano il santuario una grande devozione a Maria, una devozione che diffuse grandemente anche fuori del Santuario stesso. Ai suoi missionari ha lasciato questa eredità spirituale: “Dobbiamo sentire il santo orgoglio che il nostro Istituto è “della Consolata”. Sforziamoci di meritarci sempre di più il bel titolo che ci è stato dato: siamo della Consolata. Dobbiamo ritenerci fortunati a portare questo nome”.
“La Vergine è una sola anche se ha molti titoli ma noi siamo specialmente devoti del titolo di Consolata. Lei è la nostra tenerissima Madre, che ci ama come la pupilla dei suoi occhi, che ha concepito il nostro Istituto, che lo sostiene materialmente e spiritualmente anno dopo anno; sempre pronta a soddisfare tutte le nostre esigenze. La nostra vera Fondatrice è la Consolata”.
“Dobbiamo rivolgerci a lei durante questa festa come ci si rivolge a una madre. Se celebriamo con intenso amore tutte le feste della Vergine, dobbiamo fare molto di più in questa che è la “nostra” festa, nostra in modo specialissimo”.
* P. Julio Caldeira IMC, padre capitolare, è missionario nell'Amazzonia brasiliana, al servizio della Rete Ecclesiale Panamazzonica – REPAM.
La penultima settimana del corso di formazione dei missionari con 50 anni di ordinazione ci ha portato lontano da Roma per avvicinarci alla città di Torino, la culla del nostro Istituto. Un viaggio fatto in autobus anche per permetterci muovere con maggior facilità nei luoghi che avremmo visitato. Lo stesso viaggio, con pranzo al sacco, è stato un bel momento per fraternizzare e dialogare fra noi.
I giorni che abbiamo passato nella città di Torino sono state dense di esperienze che in diversi modi ci hanno permesso di vedere e riflettere a proposito della nostra vocazione missionaria.
Abbiamo potuto vedere in anteprima, qualche ora prima della inaugurazione officiale, il Polo culturale che è stato allestito in Casa Madre. Una esposizione, distribuita su tre piani della nostra Casa Madre, che ha valorizzato una parte degli oggetti che fanno parte della storia dell’Istituto e del suo lavoro missionario prima malamente esposti in uno spazio ridotto e di difficile accesso. Oggi questo piccolo patrimonio artistico e culturale dei Missionari della Consolata è messo a disposizione di pubblico e scolaresche in spazi immersivi e multimediali.
Alcuni di noi sono rimasti inizialmente perplessi perché non era visibile l’orientazione religiosa e missionaria di questa esposizione ma poi abbiamo capito che per la società italiana oggi un approccio più direttamente confessionale non sempre è bene accetto, meglio avvicinarsi all’opera dei missionari per mezzo della conoscenza delle culture e società in mezzo alle quasi si sono mossi, con le quali hanno condiviso vita, valori e impegno mossi in ultimo termine da una esperia di fede che diventa comune e condivisa.
Dopo questa interessante esperienza abbiamo avuto l’opportunità –eravamo venuti a Torino per quello– di rivisitare luoghi e spazi legati alla vita del Beato Giuseppe Allamano, nostro fondatore.
Abbiamo così visitato la casa di Rivoli dove lui ha passato lunghi periodi di riposo, ricevendo la visita di seminaristi e di missionari partenti; dove Giuseppe Allamano ha critto al suo vescovo la lettera nella quale annunciava la sua decisione di fondare la congregazione missionaria dedicata alla Consolata.
Siamo stati accolti a Castelnuovo Don Bosco dalla comunità di missionari che vive nella casa natale di Giuseppe Allamano, guidata dal padre Piero Trabucco, che ha fatto di quel luogo, così intimamente unito al nostro beato, un luogo di spiritualità e formazione. Tutto è ben conservato y visitabile, tutto ci parla di Lui e delle sue radici profonde e contadine. In questa visita abbiamo celebrato l’eucaristia al primo piano della casa paterna, nella stalla trasformata in cappella e dalla quale si accedeva, per mezzo di una ripida scala, alle stanze della casa della famiglia Allamano.
Poi in due occasioni abbiamo visitato il Santuario della Consolata, lo spazio che conserva il ricordo più denso del lavoro, dell’impegno e della spiritualità del nostro Fondatore. In una prima occasione siamo stati ricevuti dall’attuale rettore del Santuario, Mons. Marinacci, il decimo successore di Giuseppe Allamano. Lui ha voluto farci rivisitare questi spazi con gli occhi e la mente del nostro Fondatore: gli incontri con tanti sacerdoti giovani che si formavano nel convittorio ecclesiastico che dirigeva; la vicinanza alla popolazione della città di Torino che aveva nella Consolata il suo santuario mariano e uno dei luoghi più amati dai cristiani di quella città; l’amicizia con Giacomo Camisassa, vicerettore del santuario, mano destra dell’Allamano, la persona pragmatica y preparata per mezzo della quale ha potuto realizzare tante ristrutturazioni necessarie per la conservazione e l’abbellimento di questo luogo sacro e al contempo creare quella comunità missionaria che per anni aveva sognato e pensato senza poterla realizzare perché non si era ancora presentato il momento opportuno.
Nel santuario della Consolata come sulla tomba dell’Allamano, in Casa Madre, abbiamo celebrato l’eucaristia in comunione con Lui che ci ha voluto e Lei, la Consolata, che sempre ci ha protetti.
Per finire ci sempre importante anche ricordare in modo speciale una vista, quella fatta alla comunità dei nostri missionari anziani e malati di Alpignano. Che bello ed emozionante trovare alcuni missionari con i quali abbiamo magari camminato insieme per alcuni anni, o anche hanno inspirato il nostro cammino missionario. Oggi li vediamo prostrati, molto anziani o malati ma capaci di continuare in altro modo, anche nel dolore, lo stesso impegno o la stessa passione missionaria. Un piccolo gruppo di noi ha potuto fare la stesse esperienza con le nostre sorelle Missionarie della Consolata.
Il 27 novembre 1903 Giuseppe Allamano scrisse una lettera ai missionari in Kenya nella quale dava importanti indicazioni di carattere spirituale e pratico. Di quello che lui scriveva vorrei riflettere sulla gratitudine che non è una virtù che si sviluppa automaticamente in noi stessi ma una qualità che si coltiva attraverso un duro lavoro su se stessi.
Nella sua lettera il Beato Allamano invitava i suoi missionari a guardare indietro per vedere la trasformazione avvenuta nell'Istituto, quando, dopo la partenza dei primi missionari che lasciarono letteralmente vuota la prima casa dell’istituto e sembrava quasi che tutto fosse finito. Ma l’Istituto non è morto –diceva l’Allamano– perché ispirato, guidato e protetto da Dio.
Rivolgete o cari il pensiero a quel tempo in cui la nostra casa accoglieva nel suo seno pochi alunni, e per un anno quale germe nascosto sotto terra non dava sentore di se, e pareva agli occhi umani che dovesse morire prima di nascere. Pero l’esito non poteva mancare perché l’opera era ispirata da Dio e da Lui protetta. (Lettere ai Missionari e Missionarie della Consolata, 40)
Nella sua riflessione l’Allamano diceva ai missionari in Kenya che anche loro avevano motivi per essere grati: in primo luogo Dio li aveva protetti durante il viaggio verso un luogo in cui non avevano mai messo piede e Maria Consolata li accompagnava mentre si recavano nella terra che lei aveva preparato per loro. L’accoglienza in Kenya da parte del Vicario Apostolico e dei Padri dello Spirito Santo era stata a tal punto calorosa che sembrava che il Signore li stesse aspettando ancora prima di lasciare Torino. Avevano trovato anche le autorità civili ben disposte; la gente del luogo disponibile e perfino il clima, quello di Nyeri, temperato e salubre. Nessuna di quelle cose era da ignorare o dimenticare.
Anche Lui personalmente aveva molti motivi per essere grato: nel tempo del bisogno aveva sentito prossima la presenza di Dio e della comunità cristiana; riconosceva le tante grazie che aveva concesso ai suoi missionari e alla sua umile opera.
Questo ci mostra che la gratitudine è frutto della fede perché solo chi è attento al proprio rapporto con Dio è in grado di individuare la sua azione gratuita nella vita.
La gratitudine è poi anche un frutto dell'umiltà. Gli umili si rendono conto di essere benedetti non perché siano migliori ma perché scelti dell'Onnipotente. Inoltre non dobbiamo mai dimenticare che la gratitudine è la capacità di riconoscere e apprezzare i sacrifici che gli altri fanno per noi, anche se piccoli. Come uomo grato, il Fondatore Giuseppe Allamano doveva essere uomo di grande fede e insieme di umiltà.
Oggi noi figli dell'Allamano ci stiamo preparando al 14° Capitolo Generale, che si svolge a cento anni dal primo capitolo avvenuto tra il 10 e il 24 novembre 1922. Abbiamo molti motivi per essere felici e grati. Mentre il primo capitolo si era concentrato in particolare sull'approvazione delle Costituzioni, che avrebbero governato la vita di un gruppo piccolo di missionari che al morire il Fondatore nel 1926 era presente solo in Kenya, Tanzania, Etiopia e Mozambico, oggi il prossimo Capitolo Generale interessa la vita di un numero molto maggiore di missionari, provenienti e presenti in quattro continenti.
Non possiamo dimenticare la buona accoglienza che abbiamo sempre ricevuto dalla Chiesa locale ogni volta che abbiamo aperto una missione in un'altra diocesi o Paese. Questa è una cosa molto incoraggiante. È un chiaro segno che la Chiesa e il popolo di Dio, sono in grado di vedere la mano di Dio attraverso le nostre attività missionarie.
Non possiamo inoltre ignorare la buona volontà dimostrata da molti missionari nel loro lavoro, e gli evidenti sacrifici di molti altri, che lavorano in aree difficili e talvolta pericolose nel loro servizio all'umanità e in risposta alla chiamata di Cristo.
Chi può dimenticare la testimonianza silenziosa dei nostri missionari in tante parti del mondo, che senza dire una parola, sostengono la missione con la loro esemplare vita di preghiera, i saggi consigli e il contributo materiale? Queste cose incarnano la nostra comune offerta a Dio e la nostra comune partecipazione al mistero pasquale di Cristo.
Al termine di quella lettera il Beato Allamano disse due cose importanti. La prima, nelle sue stesse parole, è questa: "Appena ricevuta questa lettera, in ogni stazione si canti il “Te Deum”, possibilmente con la Benedizione del Santissimo Sacramento, e si reciti per nove giorni sette Ave Maria ed una Salve Regina".
Detto in altro modo Giuseppe Allamano chiedeva ai suoi missionari di celebrare una novena in segno di gratitudine per quanto Dio aveva fatto per l'istituto.
La seconda cosa era la sua preghiera. E anche in questo caso ascoltiamo le sue parole: "Se però (le tribulazioni) alla gloria di Dio e al maggior nostro bene saranno convenienti, io prego che queste provengano dal mondo o dal di fuori dell’istituto, non dall’interno e dai suoi membri per mancanza nei medesimi della virtù proprie del nostro stato. Non avvenga che nei soggetti manchi lo spirito di fede, di carità, di sacrificio e di umiltà, virtù indispensabili al vero missionario".
Lui in modo molto realista riconosceva che le difficoltà e le sfide erano in qualche modo necessarie alla vita, ma se dovessero capitare all'Istituto considerava che fosse meglio che provenissero da fuori e non dalla poca formazione spirituale dei missionari che, diceva, dovevano essere tutti uomini di prima qualità.
Ringraziando il Signore per le tante grazie che ci ha concesso, chiediamo la grazia di essere uomini di preghiera. Senza dimenticare il detto che dice “Nessuno può distruggere il ferro, ma la sua stessa ruggine sì”, impariamo ad essere grati per il dono reciproco ed evitiamo di diventare causa della rovina l'uno dell'altro. Che la preghiera del nostro Fondatore diventi realtà tra noi. Amen.
* Padre Jonah M. Makau, Missionario della Consolata (Roma)
Ogni famiglia ha il suo capo e ogni opera ha il suo ispiratore o ispiratrice. Per la Famiglia Missionaria della Consolata il suo Fondatore, Padre e Ispiratore è il Beato Giuseppe Allamano: è il suo antenato, l’origine del carisma che identifica i Missionari e le Missionarie della Consolata nella chiesa, la radice da cui scaturisce tutto ciò che ha a che fare con la storia, il presente e il futuro delle due comunità missionarie. Grazie al carisma da lui ereditato, hanno contribuito enormemente alla diffusione della fede nel mondo.
Il culto degli antenati è stato praticato fin dall'antichità, con la convinzione che essi abbiano bisogno di determinati rituali per continuare la loro esistenza in un altro mondo e anche oggi il culto degli antenati è praticato da molti popoli e culture in Africa, Asia e America Latina. Dietro agli antenati ci sono sempre una serie di valori che si affermano e si consolidano nel tempo e identificano una comunità.
In questo senso il Beato Giuseppe Allamano è un antenato, poiché la Famiglia Missionaria della Consolata è stata fondata da lui e la sua storia è iniziata direttamente con lui. Il 29 gennaio 1901 ha fondato la comunità dei Missionari e lo stesso giorno del 1910 quella delle Missionarie. Non possiamo parlare di queste due comunità senza fare riferimento all'ispirazione carismatica del Beato Giuseppe Allamano.
Lui per anni pensò a una fondazione missionaria ma giunse alla decisione finale dopo una prodigiosa guarigione, avvenuta nel gennaio del 1900, un anno prima della fondazione del primo Istituto. La motivazione di questa fondazione era, da un lato, il desiderio di continuare l'opera missionaria del cardinale Guglielmo Massaia, espulso dall'Etiopia, e dall'altro lo spirito missionario di alcuni sacerdoti della sua diocesi natale. L'8 maggio 1902 i primi quattro missionari della Consolata partirono per il Kenya e nove anni dopo, nel 1910, il Beato Giuseppe Allamano fondò le Suore Missionarie della Consolata. La fondazione delle missionarie avvenne su insistenza del vescovo Filippo Perlo, che si trovava nel campo di missione in Kenya; del prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Gerolamo Gotti e dello stesso Papa Pio X. L’Allamano stesso confessò alle sue missionarie "è Papa Pio X che ha voluto che le fondassi; mi ha dato lui la vocazione di fondare missionarie".
Il carisma è una grazia speciale che lo Spirito Santo dona per l’edificazione della Chiesa, il bene degli uomini e le necessità del mondo (cfr. LG 12). La missione Ad Gentes è il carisma che il Beato Giuseppe Allamano ha ricevuto dallo Spirito per i suoi missionari: "noi siamo per coloro che ancora non lo conoscono".
Questo impegno è stato declinato in modi diversi nel corso degli anni, tanto che i Missionari e le Missionarie hanno accompagnato popoli di prima evangelizzazione, minoranze etniche, chiese locali a cui hanno dato vita e con il loro carisma hanno ispirato diverse diocesi e congregazioni.
Il beato Giuseppe Allamano, pur non avendo mai messo piede in Africa a causa dei suoi problemi di salute, ha avuto senza dubbio un cuore totalmente missionario: ha allargato il suo sguardo missionario oltre le frontiere della sua Chiesa locale di Torino, oltre il suo continente europeo e oltre il Santuario della Consolata di cui è stato rettore per molti anni. Per lui, "la vocazione missionaria non è altro che un amore più grande per nostro Signore Gesù Cristo, che ci incoraggia a farlo conoscere e amare da coloro che non lo conoscono e non lo amano ancora". (cf. Conf. I, 651).
Per il beato Giuseppe Allamano, la vocazione missionaria ha due requisiti fondamentali: la santità e la scienza. È necessario essere santi per essere missionari, "è necessario che il missionario non parli solo con le parole, ma penetri nei cuori induriti con l'eminente santità di tutta la sua vita. La santità dei missionari deve essere speciale" (Conf. I, 619). Un altro pilastro della vocazione missionaria è la scienza: l’Allamano si preoccupava della preparazione intellettuale e professionale dei missionari, da cui la sua famosa frase: "il missionario ignorante è un vero idolo di tristezza e di amarezza" (Conf. I, 165); "è necessario per il bene dell'Istituto che vi siano studiosi preparati nei vari campi della scienza" (Conf. I, 347).
Gesù Cristo è il Missionario per eccellenza di Dio Padre: ha mandato la Chiesa a evangelizzare ogni angolo della terra (Mt 28,19) e il Beato Giuseppe Allamano, come fedele discepolo di Gesù, si è lasciato ispirare dal Signore stesso e ispira anche noi nei seguenti modi:
1. Ci ispira a guardare oltre i nostri confini geografici ed ecclesiali. Sapeva allargare lo sguardo verso l'Africa e capire che come fedele seguace di Gesù Cristo aveva un compito missionario anche oltre i confini più vicini alla sua città di Torino e al suo Piemonte. Mentre era in vita, arrivarono missionari in Kenya (1902), Etiopia (1919), Tanzania (1924), Somalia e Mozambico (1925). In seguito i Missionari e le Missionarie continuarono la sua opera e oggi sono diffusi in quattro continenti e in 26 diversi paesi del mondo.
2. Ci indica la strada per l'evangelizzazione dei popoli e delle culture. Giuseppe Allamano volle appassionatamente annunciare Gesù Cristo a popoli e culture che non lo conoscevano e si preoccupò che i suoi missionari avessero un metodo adeguato e rispettoso.
3. Egli anima la vita di ogni Missionario della Consolata con caratteristiche che gli sono molto tipiche: la vita familiare, cioè i missionari vivono in famiglia e l'Istituto Missionario della Consolata è una famiglia; la santità, cioè la ragione primaria del loro essere e lavorare è la ricerca della santità; il carisma ad gentes, cioè il missionario della Consolata è per l'evangelizzazione dei popoli; la devozione mariana, l'amore all'Eucaristia e alla liturgia; l'operosità per qualificare le azioni di promozione umana e la scienza per qualificare tutta l'azione missionaria.
Ancora oggi i Missionari e le Missionarie della Consolata Consolata continuano a portare e manifestare nel mondo l'ispirazione e il carisma di questo grande missionario loro antenato.