Is 35,4-7; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37

La difficoltà e la resistenza da parte dei discepoli di accettare che la buona notizia, il messaggio di Gesù venga rivolto anche ai pagani viene dall’evangelista Marco narrato in un episodio che ha soltanto lui. È il capitolo settimo, versetti 31-37.

Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Basta guardare una qualunque carta geografica per vedere che è un itinerario assurdo, inverosimile, perché Gesù parte da Tiro, era già andato in terra pagana, va su al nord come possiamo vedere nella cartina geografica, a Sidòne, poi scende per andare al mare di Galilea, ma fa tutto un ampio giro passando per la Decàpoli, cioè le città pagane. Perché questo?

L’evangelista non vuole indicare un itinerario topografico, ma teologico: l’azione di Gesù, quella della buona notizia, abbraccia tutto il mondo pagano ed è qui che incontra la resistenza. In questo episodio l’evangelista, attraverso la figura del sordomuto, rappresenta la resistenza dei discepoli. Sono sordi, non accolgono il messaggio di Gesù e per questo non possono esporlo.

Gli portarono un sordo, non è muto, balbuziente, il riferimento è al profeta Isaia nel capitolo 35 dove si parla dell’esodo, della liberazione, e lo pregarono di imporgli la mano. Ebbene Gesù non impone la mano, la situazione è molto più grave e Gesù agisce quasi con violenza, lo prese in disparte, questa espressione “in disparte” delle sette volte che appare nel vangelo di Marco ben sei riguarda i discepoli. Quindi sotto la figura di questo sordo balbuziente l’evangelista intende rappresentare la resistenza da parte dei suoi discepoli.

Lontano dalle folle gli pose le dita negli orecchi, letteralmente gli infilò, cioè gli sturò le dita negli orecchi. Qui l’evangelista adopera il termine greco “ota” (fonetico) che indica proprio l’organo fisico, e con la saliva, la saliva si riteneva che fosse alito condensato ed era un’immagine dello Spirito, gli toccò la lingua. Guardando quindi verso il cielo, il cielo rappresenta la sfera divina, emise un sospiro, è solo qui nel nuovo testamento che Gesù sospira. È la resistenza, la fatica che Gesù fa per comprendere che il regno di Dio non riconosce confini, non innalza muri, ma apre le porte a tutti quanti.

Egli disse: Effatà. Quando nel vangelo di Marco vengono adoperate parole in aramaico, la lingua parlata a quel tempo, significa che l’episodio riguarda i discepoli di Gesù che erano di questa lingua, cioè, ed è un imperativo, apriti. L’imperativo è rivolto a tutto l’individuo: se era rivolto alle orecchie Gesù avrebbe dovuto dire “apritevi”, invece è l’uomo che si deve aprire completamente E subito, finalmente, gli si aprirono, e qui l’evangelista per orecchi non adopera il termine adoperato prima, ma un altro termine “acuai” (fonetico) che indica l’udito, la comprensione.

Era questo il problema, non era un problema fisico, era un problema di comprensione. Si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente, qui il riferimento è preso dall’evangelista dai capitolo 35 del profeta Isaia dove si parla della liberazione, dell’esodo dalla prigionia. Isaia scrive “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchie dei sordi, allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto”. Quindi l’evangelista vede nell’azione di Gesù questa liberazione che lui porta.

E comandò loro, a questi portatori, di non dirlo a nessuno, ma più egli lo proibiva più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano, e qui la reazione è strana perché Gesù ha guarito un sordomuto, ma viene estesa a tutti, il plurale indica che riguarda i discepoli, ha fatto bene, il termine “bene” è preso dal libro della Genesi, della creazione, quindi si vede nell’attività di Gesù il prosieguo dell’azione creatrice del Padre, ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti. Quindi l’attività di Gesù è quella di liberare questi discepoli da questi pregiudizi nazionalisti, religiosi, che li chiudevano ai pagani. Ma perché Gesù proibisce? Per evitare un facile entusiasmo, il cammino sarà ancora lungo e Gesù più avanti li dovrà ancora rimproverare dicendo “Avete orecchi e non udite”, il cammino è lungo.

* Padre Alberto Maggi, OSM, Centro Studi Biblici G. Vannucci, a Montefano (Mc).

Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21b.22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

La liturgia ci propone un insegnamento sulla religione autentica, sul rapporto tra religione e osservanze, tra religione e cuore. La prima lettura è un testo del Deuteronomio in cui Mosè fa l'elogio della legge e chiede che la si metta in pratica. La seconda lettura non parla della legge, ma della parola di Dio: questa parola, seminata in noi, non soltanto dev'essere ascoltata, ma anche messa in pratica; e la religione pura è una religione di amore, di attenzione e di aiuto alle persone bisognose. Nel Vangelo Gesù non parla di legge, ma di osservanze, di tradizioni, e ci dà un insegnamento molto importante.

Ascolta le leggi e le norme affinché le mettiate in pratica

Nella prima lettura ciò che si deve innanzitutto notare è che la legge è un dono di Dio. Per amore del suo popolo Dio gli ha dato una legge, che gli permette di trovare il suo autentico cammino di vita e di raggiungere la felicità. Le parole di Dio sono in primo luogo un dono, perché ci mettono in relazione con lui. Giacomo ci dice che la parola di Dio è anche sorgente di vita: «Dio ci ha generati con una parola di verità» (Gc 1,18). Perciò dobbiamo accogliere la legge di Dio e la parola di Dio con gratitudine e metterle in pratica.

Nell' Antico Testamento si insiste molto sulla necessità di adempiere la legge. Se essa non viene messa in pratica, non serve a nulla. Similmente Gesù nel Vangelo ci dice che chi ascolta la sua parola ma non la mette in pratica è come uno che costruisce la sua casa sulla sabbia, è un uomo stolto. Invece, è saggio colui che ascolta la sua parola e la mette in pratica; costui costruisce la sua casa sulla roccia, e può affrontare tutte le difficoltà della vita, perché la sua casa è ben fondata (cf. MI 7,24-27).Anche Giacomo insiste molto sulla necessità di mettere in pratica la parola di Dio. Dice ai fedeli: «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi».

Noi dobbiamo fare un esame di coscienza per vedere come accogliamo la parola di Dio. Se l'ascoltiamo in modo distratto, superficiale, essa non ci servirà molto per la nostra vita. La nostra vita allora non andrà nella direzione giusta, non ci metterà in una relazione profonda con Dio, e anche le nostre relazioni con il prossimo saranno falsate. Dobbiamo invece accogliere la parola di Dio in modo da farla penetrare profondamente in noi e poi metterla in pratica nella vita concreta. I farisei avevano aggiunto molte osservanze alla legge di Mosè.

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

Nel brano evangelico di oggi Marco ci dice che essi criticavano i discepoli di Gesù perché alcuni di loro prendevano cibo con mani ritualmente impure, ossia con mani che non erano state lavate. Presso gli ebrei c'era l'usanza di lavarsi le mani prima di mangiare, anche se esse erano pulite; e questa osservanza, per i farisei, doveva essere praticata rigorosamente. Tutti gli ebrei, attenendosi alla tradizione degli antichi, praticavano molte osservanze di questo genere. Davanti a questa situazione, Gesù critica l'insistenza esagerata dei farisei sulle osservanze rituali, come se la cosa più importante nella vita fosse l'osservanza di tutti i precetti di purità legale e rituale. Egli fa notare che scribi e farisei trascurano il comandamento di Dio per osservare la tradizione degli uomini. E in un altro passo dichiara che essi trascurano la giustizia, la misericordia e la fedeltà, cose che sono molto più importanti di tutte le osservanze esterne.

Quando tutta l'attenzione è posta sulle osservanze esterne, è praticamente inevitabile che si pecchi contro la carità, perché si giudicano e si criticano gli altri che non si comportano secondo la tradizione. Invece, occorre osservare la legge nei suoi orientamenti più importanti. La legge di Dio va rispettata, ma dev'essere capita in profondità. Gesù ha dichiarato: «Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento», e ha insistito sulle cose più importanti della legge. Poi Gesù dà un insegnamento che provoca stupore nella gente: Asco1tatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo  che, entrando in lui, possa contaminarlo: sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Secondo le tradizioni dei farisei, i cibi ritualmente impuri contaminavano l'uomo; si doveva essere molto attenti a rispettare tutte le regole di purità rituale, per non essere contaminati dai cibi. Per Gesù, invece, non è così; l'impurità più importante non è questa, ma «sono le cose che escono dall'uomo a contaminarlo".

Gesù spiega questa sua affermazione, che a prima vista può sembrare strana, dicendo che il cibo penetra non nel cuore, ma nel ventre e poi viene eliminato, e non contamina l'uomo. Invece, dal cuore degli uomini escono le cose cattive: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi. adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo». La vera impurità è quella del cuore, che provoca i peccati più gravi.

Perciò Gesù esige da noi una religione del cuore, una religione che sia attenta non alla purezza esterna, rituale, ma alla purezza del cuore. Gesù è venuto proprio per renderci possibile questa religione del cuore, che è la religione vera. «Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre - dice Giacomo - è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.

Il discepolo missionario è quello che desidera di ricevere sempre meglio il Cuore nuovo che Dio ci ha preparato nel mistero pasquale di Cristo; di ricevere lo spirito nuovo, che è lo Spirito stesso di Dio, lo spirito di amore, che il Signore ci Comunica attraverso i sacramenti. È colui che sa vivere non una religione superficiale, fatta di osservanze esterne, ma una religione veramente profonda. Anche la nostra partecipazione alla Messa, se è intesa come un'osservanza esterna, non vale molto davanti a Dio.

* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.

Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69

L’evangelista Giovanni registra con amarezza come il lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, tutto incentrato sull’Eucaristia, sia stato un gran fallimento. Ridicolizzato dai capi religiosi che non capiscono come quest’uomo parli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, Gesù non viene compreso neanche dai suoi discepoli.

Scrive l’evangelista che “molti dei suoi discepoli dopo aver ascoltato dissero ‘questa parola è dura’”. Il termine tradotto qui con ‘duro’ è il greco ‘skleros’, che significa, cioè, quello che è insolente, quello che è offensivo. Cos’è questa parola dura?

Anzitutto il distacco che Gesù ha preso dalla tradizione dei padri, mentre i discepoli seguono i padri di Israele, Gesù invita a seguire il Padre, ma poi soprattutto hanno capito, loro che seguono Gesù per ambizione –ricordiamo che lo seguono perché vogliono che Gesù diventi il re del popolo –hanno capito che, se vogliono seguire Gesù, come lui devono farsi dono, devono farsi pane per gli altri. Questo ‘duro’ significa inaccettabile.

E quindi mormorano contro di lui. Hanno mormorato i giudei, mormora la folla e anche i discepoli mormorano contro Gesù.

Allora Gesù dichiara “questo vi scandalizza?” Lo scandalo è la morte del Messia. Non possono accettare un Messia che vada incontro alla morte e dice Gesù “se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?”. La morte era considerata una discesa nel regno dei morti e la risurrezione una salita.

Ma per salire bisogna passare attraverso la morte, Gesù passerà attraverso la morte più scandalosa, più infamante, la crocifissione, riservata ai maledetti da Dio. Ed ecco l’indicazione importante e preziosa che Gesù dà, e l’evangelista ci sottolinea, sul significato dell’Eucaristia.

“E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. Cosa vuol dire Gesù? Mangiare il pane, è il significato dell’Eucaristia, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla. Una partecipazione all’Eucaristia nella quale l’amore che viene ricevuto non si trasformi anche in amore comunicato, non serve assolutamente a nulla. Ma Gesù garantisce “le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita”.

Chi accoglie questo pane e si fa pane per gli altri, scopre dentro di sé la potenza generatrice di queste parole che sprigionano energie vitali. “Ma tra di voi” aggiunge Gesù “vi sono alcuni che non credono”.

È il fallimento di Gesù, molti replicano che il suo discorso è duro, molti non credono, addirittura aggiunge “tra di voi c’è addirittura uno che mi avrebbe tradito”. Il fallimento totale di Gesù. Ma Gesù non intende cambiare il programma, anzi provoca i suoi discepoli “che da quel momento”, sottolinea l’evangelista, “tornarono indietro e non andavano più con lui”, Gesù non li rincorre.

Gesù è disposto a rimanere solo pur di non cambiare il programma, ma li provoca e dice ai Dodici “volete andare via anche voi?” Loro seguono Gesù per la propria convenienza, per la propria necessità e non hanno capito che invece per seguire Gesù bisogna proiettare la propria vita per il bene e la necessità degli altri. “Gli risponde Simon Pietro” – ricordiamo che questo discepolo si chiama Simone, ha un soprannome negativo, Pietro, che gli evangelisti indicano quando è in opposizione a Gesù.

Quando viene presentato con il nome e il soprannome significa che questo discepolo da una parte è d’accordo con Gesù e dall’altra no – “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”.

Ecco Pietro, Simone ha compreso che le parole di Gesù che si sono fatte carne in lui sono quelle che comunicano la vita capace di superare la morte. Ma, ecco la parte negativa “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.

Il Santo di Dio è un’espressione che indica il Messia della tradizione che è apparso altre volte nei vangeli sempre in un contesto negativo, in Marco e in Luca, in bocca agli spiriti impuri o ai demòni e al Messia dell’aspettativa popolare, cioè quello che avrebbe dovuto restaurare la monarchia, quello che avrebbe dovuto dominare i pagani e soprattutto quello che avrebbe dovuto rispettare e imporre la legge. Questo è il Messia che Pietro desidera e questo sarà il motivo che lo porterà al suo tradimento.

* Padre Alberto Maggi, OSM, Centro Studi Biblici G. Vannucci, a Montefano (Mc).

Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

Mentre, nella prima lettura, l’autore del libro del Proverbio ci parla della Sapienza che offre e invita a mangiare il pane e da bere il vino, “venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato”,  la pagina evangelica è la continuazione del discorso di Gesù sul pane della vita eterna ove Gesù afferma: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Questo è il pane vivo e vivificante, che comunica la vita stessa di Dio. Non si tratta di un pane materiale, che dà solo ciò che è necessario alla vita fisica, ma di un pane che dà la vita eterna.

Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato

Il protagonista della pagina del libro di Proverbio è la Signora Sapienza. La sapienza è personificata, è una donna che progetta ed agisce secondo una gerarchia di valore e con un obiettivo molto chiaro. È lei che si è costruita una casa; ha scolpito, le sette colonne; ha macellato il bestiame, ha mescolato; ha imbandito la tavola, ha mandato le ancelle e ha mandato a proclamare oppure ad invitare a mangiare e a bere. Lei ha preparato tutto ed ora invia le ancelle ad invitare tutti perche si preoccupa per loro, per il loro cammino e per il loro destino. Donna Sapienza ha di che preoccuparsi, perché in città si trova anche un'altra maestra, Donna Follia, che pure invita gli alunni alla sua anti-scuola, dove insegna il gusto del proibito e il fascino dell'insensato e, così facendo, conduce alla morte (9,13-18). L'invito della donna Sapienza è rivolto a tutti: degli ingenui e  degli inesperti: "Chi è inesperto e chi è privo di senno. Vuole significare che l’invito è rivolta alle persone che sono lontane dall’arroganza e di coloro che si illudono di sapere tutto. Questi devono prima essere disposti a lasciare la stoltezza e a seguire la “via della prudenza”. I “semplici” equivalgono ai “poveri” della letteratura biblica: sono i piccoli, gli umili, coloro che non vivono in schemi di orgoglio e autosufficienza e hanno sempre un cuore aperto a Dio e alle sue proposte."Chi è inesperto accorra qui!". A chi è privo di senno ella dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato"». Si tratta del vino della Sapienza, che indica una via giusta per vivere in unione con Dio e per riuscire pienamente nella vita.

Egli, Cristo, vive in noi; egli si è ”costruita la sua casa”, cioè la Chiesa; casa che ha sette colonne, cioè i Sacramenti. Egli, nato sotto la Legge, ha celebrato l'antica Pasqua con banchetto di carni di agnello, mescendo vino, ma poi ha istituito una nuova celebrazione pasquale e ha mandato “le sue ancelle” a invitare tutti gli uomini: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato”. Tutti siamo invitati a mangiare un pane, che non è più pane, ma il suo Corpo, e a bere un vino, che non è più vino, ma il suo Sangue; ma per accedere a tale banchetto di vita bisogna abbandonare “l'inesperienza”, che nasce dalla volontà di essere lontani da Dio, per lasciarsi guidare dalla sua Sapienza, che dona l'esperienza della fedeltà, dell'amore di Dio: “Abbandonate l’inesperienza e vivrete”.

Chi mangia questo pane vivrà in eterno

Nel brano del Vangelo di oggi Gesù si presenta come il pane vivo disceso dal cielo, e afferma: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Questo è il pane vivo e vivificante, che comunica la vita stessa di Dio. Non si tratta di un pane materiale, che dà solo ciò che è necessario alla vita fisica, ma di un pane che dà la vita eterna. Tutti noi desideriamo avere la vita eterna, superare la morte e raggiungere la felicità eterna nell'unione con Dio. Perciò abbiamo un bisogno assoluto di questo pane vivo e vivificante che è Gesù stesso. Non si tratta soltanto di mangiare la sua carne ma anche di bere il suo sangue: “ Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda ”. Gesu al fare riferimento alla sua carne vuole esprimere il suo essere umano che, facendosi carne, facendosi uno di noi, è venuto d darci esempio di come vivere: vedendolo concretamente attraverso dei suoi gesti concreti, le sue parole ed il suo modo concreto e reale di vivere, noi siamo invitati a prenderlo come modello. Il suo “sangue” invece fa riferimento alla sua passione e morte e ci porta a contemplare quel momento supremo in cui egli si è consegnato, fino all'ultima goccia di sangue, per amore. “Carne” e ‘sangue’ riassumono una vita vissuta nel dono di sé, dell'amore fino all'estremo; mostrano la realtà della sua incarnazione. Ora, è questa realtà che si è manifestata in ogni passo della vita di Gesù e, in modo radicale, sulla croce, che egli ci invita a “mangiare” e “bere”, cioè a “interiorizzare”, ad “assimilare” il suo modo di vivere. Egli non si presenta a noi come uno spirito che non ha carne e ossa, ma come il Verbo di Dio incarnato, che si è fatto nostro fratello, ha assunto la nostra natura umana, per trasformarla in mezzo per comunicare la vita eterna.

Gesù poi dice: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”. Qui ci viene presentato l'aspetto dinamico dell'Eucaristia. Essa non è soltanto una relazione molto profonda con Gesù, ma una relazione che orienta tutta la nostra vita. Tutta la vita di Gesù era orientata verso il Padre. Egli ha vissuto veramente per il Padre. Non ha cercato la propria gloria, ma la gloria del Padre: non ha voluto fare la propria volontà, ma la volontà del Padre. Allo stesso modo, chi riceve l'Eucaristia ha una vita orientata verso Gesù. È una vita che cerca di compiere l'opera di Gesù, cerca di glorificare Gesù e, per mezzo suo, il Padre.

Il discepoli missionario, come l’ha ben detto Papa Francesco, è quello che si nutri del Vangelo e dell’amore dei fratelli. Infatti, “dinanzi all’invito di Gesù a nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, potremmo avvertire la necessità di discutere e di resistere, come hanno fatto gli ascoltatori di cui ha parlato il Vangelo di oggi. Questo avviene quando facciamo fatica a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù, ad agire secondo i suoi criteri e non secondo i criteri del mondo. Nutrendoci di questo cibo possiamo entrare in piena sintonia con Cristo, con i suoi sentimenti, con i suoi comportamenti. Questo è tanto importante: andare a Messa e comunicarsi, perché ricevere la comunione è ricevere questo Cristo vivo, che ci trasforma dentro e ci prepara per il cielo”.

* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.

1 Re 19, 4-8; Sal 33; Ef 4, 30 - 5, 2; Gv 6, 41-51

Nel cammino della vita di Elia, Dio di bontà e di amore, il Dio che ha la sollecitudine per i suoi figli in cammino, ristora le forze del profeta Elia con “una focaccia, cotta su pietre roventi ” e “orcio d'acqua ”. Elia che era ormai in grave difficoltà e scoraggiato si sente incoraggiato e riprende il suo cammino.

Infatti, “con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb”. Gesù è il “pane” vivo, disceso dal cielo per dare vita al mondo. Perché questo “pane” soddisfi definitivamente la fame di vita che risiede nel cuore di ogni uomo o donna, è necessario “credere”, cioè, aderire a Gesù, accogliere le sue proposte, accettare il suo progetto, seguirlo nel “sì” a Dio e nell'amore dei fratelli.

Non mormorate

Questa pagina del Vangelo è in continuità con il vangelo della scorsa domenica. Mentre questa concludeva con la grande affermazione di Gesù “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”, il vangelo di questa domenica inizia, presentandoci la reazione della folla, dinanzi tale affermazione di Gesù.

I giudei erano nell’incapacità non solo di comprendere l’affermazione di Gesù che Egli sia “pane della vita” ma anche e soprattutto non riuscivano a fare un passaggio dal segno del pane alla persona di Gesù che è un vero segno. Infatti, essi mormoravano contro Gesù perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. Mormorare è un verbo che nel testo greco significa letteralmente “latrare”, anticamera della ribellione nei confronti di Dio. È un atteggiamento ostile a Dio e, nel nostro testo, a Gesù. Mormorare non è mai stata un atteggiamento gradito a Dio.

L’essere umano, nonostante abbia una esperienza dell’intervento di Dio nella loro vita, alla prima difficoltà si lamenta e usa un linguaggio naturale, proprio come fece il popolo d’Israele. Hanno indurito il loro cuore e rifiutato la persona di Gesù. Loro rifiutano di credere in Gesù e questo significa rifiutare di aderire al disegno di Dio stesso. La causa di questo rifiuto è il fatto di conoscere le sue origini umane: egli è figlio di Giuseppe. Non riconoscono le sue origini divine e soprannaturale, solo perché è figlio di Giuseppe e conoscono i fratelli e la mamma.

Nei nostri giorni ci sono delle persone che non credono nella divinità di Gesù e pongono dei limiti a Dio. Invece, dobbiamo sapere che Dio non va secondo i nostri schemi mentali, perciò siamo chiamati a credere in Lui e nella Sua onnipotenza, che va al di là di ciò che vediamo con i nostri occhi naturali, e a smettere di mormorare.

Gesù invita i giudei a non mormorare perché quelle sue parole devono essere accolte non con la ragione umana, non la fiducia delle proprie facoltà, capacità, intelligenza, ma devono essere accolto come un dono di Dio e grazia all’azione di Dio: Dio attira verso di lui chi è fiducia in Lui. Lasciarsi attirare da Dio. Occorre dunque la fede, accettare questo Segno che è Cristo; accogliere e aderire al suo messaggio di salvezza; è ubbidire alla sua parola.

Ma credete per avere la vita eterna

Dopo l’invito a non mormorare, Gesù propone l’atto di credere come l’unica via per avere la vita eterna. Il discepolo deve credere che egli è non soltanto “il pane della vita” ma anche “il pane vivo, disceso dal cielo”. Egli sottolinea che il pane – Cristo -  è vita e trasmette la vita a chiunque ne riceve. Gesù non cessa di ripetere e ne aggiunge: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Il pane sceso dal cielo è posto in rapporto con la manna che nutrì i padri senza preservarli dalla morte. Gesù, invece, è il solo pane che dà la vita senza fine e proviene dall'alto: è il Verbo incarnato di Dio. Il vangelo non dice “avrà” ma “ha” la vita eterna fin da ora, ossia riceve in dono la vita che non finisce. Colui che mangia la sua carne, è unito e legato a Lui, diventa una cosa sola con lui, per potere vivere una vita divina. Perciò Gesù tratteggia, per il discepolo missionario, alcuni elementi indispensabili:

Prima e anzitutto deve lasciarsi attirare dal Padre, infatti Gesù afferma che “nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Si tratta dell’attrazione divina come Dio l’aveva detto attraverso di Profeta Osea “li attiravo a me con legami di bontà, con vincoli di misericordia” (Os 2,16 ) oppure attraverso del profeta Geremia “ti ho amato di amore eterno; perciò, ti attirai alla misericordia” (Ger 31, 3). Dio attira, attrae con la sua bontà e misericordia e non costringendo. Il discepolo deve soltanto lasciarsi attirare, trascinare dalla sua bontà e dal suo amore.

Infine, egli deve lasciarsi istruire dal Padre. Già nei libri profetici era ben presente che Dio, nella sua bontà e misericordia, ammaestrava il suo popolo e tale ammaestramento portava alla fede. Il Discepolo missionario è chiamato a lasciarsi ammaestrare ascoltando e accogliendo il messaggio del padre, ciò vuole dire, lasciarsi guidare dal Padre.

* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.

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