La penultima settimana del corso di formazione dei missionari con 50 anni di ordinazione ci ha portato lontano da Roma per avvicinarci alla città di Torino, la culla del nostro Istituto. Un viaggio fatto in autobus anche per permetterci muovere con maggior facilità nei luoghi che avremmo visitato. Lo stesso viaggio, con pranzo al sacco, è stato un bel momento per fraternizzare e dialogare fra noi. 

I giorni che abbiamo passato nella città di Torino sono state dense di esperienze che in diversi modi ci hanno permesso di vedere e riflettere a proposito della nostra vocazione missionaria.

Abbiamo potuto vedere in anteprima, qualche ora prima della inaugurazione officiale, il Polo culturale che è stato allestito in Casa Madre. Una esposizione, distribuita su tre piani della nostra Casa Madre, che ha valorizzato una parte degli oggetti che fanno parte della storia dell’Istituto e del suo lavoro missionario prima malamente esposti in uno spazio ridotto e di difficile accesso. Oggi questo piccolo patrimonio artistico e culturale dei Missionari della Consolata è messo a disposizione di pubblico e scolaresche in spazi immersivi e multimediali. 

Alcuni di noi sono rimasti inizialmente perplessi perché non era visibile l’orientazione religiosa e missionaria di questa esposizione ma poi abbiamo capito che per la società italiana oggi un approccio più direttamente confessionale non sempre è bene accetto, meglio avvicinarsi all’opera dei missionari per mezzo della conoscenza delle culture e società in mezzo alle quasi si sono mossi, con le quali hanno condiviso vita, valori e impegno mossi in ultimo termine da una esperia di fede che diventa comune e condivisa.

Dopo questa interessante esperienza abbiamo avuto l’opportunità –eravamo venuti a Torino per quello– di rivisitare luoghi e spazi legati alla vita del Beato Giuseppe Allamano, nostro fondatore. 

Abbiamo così visitato la casa di Rivoli dove lui ha passato lunghi periodi di riposo, ricevendo la visita di seminaristi e di missionari partenti; dove Giuseppe Allamano ha critto al suo vescovo la lettera nella quale annunciava la sua decisione di fondare la congregazione missionaria dedicata alla Consolata.

Siamo stati accolti a Castelnuovo Don Bosco dalla comunità di missionari che vive nella casa natale di Giuseppe Allamano, guidata dal padre Piero Trabucco, che ha fatto di quel luogo, così intimamente unito al nostro beato, un luogo di spiritualità e formazione. Tutto è ben conservato y visitabile, tutto ci parla di Lui e delle sue radici profonde e contadine. In questa visita abbiamo celebrato l’eucaristia al primo piano della casa paterna, nella stalla trasformata in cappella e dalla quale si accedeva, per mezzo di una ripida scala, alle stanze della casa della famiglia Allamano.

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Poi in due occasioni abbiamo visitato il Santuario della Consolata, lo spazio che conserva il ricordo più denso del lavoro, dell’impegno e della spiritualità del nostro Fondatore. In una prima occasione siamo stati ricevuti dall’attuale rettore del Santuario, Mons. Marinacci, il decimo successore di Giuseppe Allamano. Lui ha voluto farci rivisitare questi spazi con gli occhi e la mente del nostro Fondatore: gli incontri con tanti sacerdoti giovani che si formavano nel convittorio ecclesiastico che dirigeva; la vicinanza alla popolazione della città di Torino che aveva nella Consolata il suo santuario mariano e uno dei luoghi più amati dai cristiani di quella città; l’amicizia con Giacomo Camisassa, vicerettore del santuario, mano destra dell’Allamano, la persona pragmatica y preparata per mezzo della quale ha potuto realizzare tante ristrutturazioni necessarie per la conservazione e l’abbellimento di questo luogo sacro e al contempo creare quella comunità missionaria che per anni aveva sognato e pensato senza poterla realizzare perché non si era ancora presentato il momento opportuno.

Nel santuario della Consolata come sulla tomba dell’Allamano, in Casa Madre, abbiamo celebrato l’eucaristia in comunione con Lui che ci ha voluto e Lei, la Consolata, che sempre ci ha protetti.

Per finire ci sempre importante anche ricordare in modo speciale una vista, quella fatta alla comunità dei nostri missionari anziani e malati di Alpignano. Che bello ed emozionante trovare alcuni missionari con i quali abbiamo magari camminato insieme per alcuni anni, o anche hanno inspirato il nostro cammino missionario. Oggi li vediamo prostrati, molto anziani o malati ma capaci di continuare in altro modo, anche nel dolore, lo stesso impegno o la stessa passione missionaria. Un piccolo gruppo di noi ha potuto fare la stesse esperienza con le nostre sorelle Missionarie della Consolata.

Castelnuovo Don Bosco è una bella località adagiata sulle colline dell’astigiano e ha dato i natali non solo a San Giovanni Bosco, che le ha dato il nome, ma anche a San Giuseppe Cafasso e a un suo nipote, il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata. Per questo motivo è stata scelta dagli animatori giovanili della parrocchia di Maria Speranza Nostra di Torino, da qualche anno retta da una giovane comunità di Missionari della Consolata, per un momento di preghiera e spiritualità. 

Nei due giorni si è cercato di affrontare le pause che immobilizzano e scoprire, nella storia di ciascuno, i segni di una presenza discreta ma reale che ci incammina e invita alla conversione e la missione.

Il primo momento di preghiera è stato precisamente la meditazione del Salmo 8 che si chiese “che cos'è un uomo...”, “eppure l'hai fatto poco meno degli angeli!”.

Nella piazza del paese, per mezzo di un gioco chiamato "Ninja", abbiamo iniziato un percorso pedagogico e una meditazione sul senso della paura nella nostra vita. 

Ci possono essere due tipi di paure: una immaginaria e una reale. Si parla di paura immaginaria quando qualcosa non concreto ma profondamente insito in noi stessi consuma molte delle nostre energie, e poi c'è la paura reale quando vediamo qualcosa che realmente ci spaventa. Il Signore ci invita a non avere paura, perché la paura blocca, ci ferma, ci immobilizza; lui invece è colui che ci da la forza per andare avanti. In questo tempo di riflessione abbiamo percorso tre tappe: una era focalizzata sulla paura; una sui colori preferiti e l'ultima sullo stesso ricordo di noi stessi.

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Verso sera abbiamo raggiunto la casa di San Giuseppe Cafasso, dove ci aspettava la cena seguita da un altro momento di riflessione, nella piccola cappella della casa, guidata dall'ascolto di una canzone di Niccolò Fabi e da una poesia.

Il centro della nostra riflessione è stata la parola greca Tautotes che è quella che si usa per dire identità: quella parte irrinunciabile di noi stessi che non cambia e permette continuare nel tempo ad essere ciò che siamo sempre stati.

È stata l’occasione di condividere le nostre paure assieme a gusti e immagini che ci rappresentano. È stato un momento specialmente intenso; un animatore ha osservato il coraggio, la determinazione e la disponibilità dei giovani di condividere le loro più significative esperienze di vita.

Domenica mattina l'appuntamento è stato nella cappella della casa del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata, per iniziare l'esperienza del Deserto. La pedagogia del cammino della vita ha accompagnato la nostra riflessione: tutti siamo coinvolti in un processo di crescita e di sviluppo per essere persone e questo significa che in ogni fase della nostra esistenza sviluppiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere e crescere in armonia e integrità. Qui i ragazzi hanno condiviso alcune domande sui loro genitori, sulla loro nascita, sull'età da 0 a 5 anni, poi da 5 a 10, e poi dall'adolescenza fino all'età attuale. 

Il tutto si è chiuso con la festa della vita. È stato un momento molto profondo di speranza per un futuro più chiaro e migliore. Dopo l'eucaristia, nella quale abbiamo ringraziato per quella parte di vita che abbiamo già percorso, siamo tornati a casa pieni di speranza per iniziare un nuovo anno di cammino insieme per il regno di Dio nell'oratorio di Maria Speranza Nostra.

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