Mancano ormai due mesi all’evento tanto atteso della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e Missionarie della Consolata.
Per l’occasione è stato ideato un logo in varie lingue, che con linee e colori vuole comunicare la Santità del Canonico Allamano e il suo significato per la Chiesa di oggi. Il logo è stato realizzato da Suor Luz Mary, MC, a partire di diverse idee raccolte e messe insieme.
Il volto di Giuseppe Allamano, sulla sinistra, è tratto da una foto celebre del sacerdote.
Al suo fianco, stilizzato, il Santuario della Consolata, da cui tutto è partito: l’ispirazione della fondazione dei due Istituti, i valori fondanti del Carisma, la protezione e benedizione della Madonna Consolata; l’Allamano affermava: “Lei è la Fondatrice!”
In alto, a destra: cinque persone stilizzate, unite in una danza: sono di diversi colori per rappresentare tutti i popoli che hanno accolto il Vangelo e quelli che ancora attendono l’annuncio della Buona Nuova.
Il tutto è abbracciato da una striscia verde, che rappresenta la vita, in particolare la vita rigogliosa dell’Amazzonia, luogo in cui è avvenuto il miracolo attribuito all’Allamano, a favore di Sorino Yanomami.
Infine, la frase: “Prima Santi, poi Missionari”, che era ripetuta da Giuseppe Allamano ai suoi giovani figli e figlie: non si può convertire le persone, diceva il Fondatore, se prima non si arde d’amore per Dio: non possiamo dare ciò che non abbiamo. Non possiamo parlare di Dio, se con Lui non abbiamo una relazione profonda e autentica.
Equipe Comunicazione per la Canonizzazione
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Il miracolo compiuto per intercessione del Beato Giuseppe Allamano conferma il carisma lasciato in eredità ai suoi missionari inviati ad gentes.
Abbiamo ricevuto con gratitudine la notizia che il Fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, il Beato Giuseppe Allamano, sarà canonizzato il 20 ottobre 2024 a Roma, proprio nella Giornata Missionaria Mondiale. Secondo le procedure canoniche, la dichiarazione di santità dell'Allamano richiedeva il riconoscimento di un miracolo compiuto da Dio per sua intercessione. Questo è accaduto, nella foresta amazzonica, con Sorino Yanomami, che era stato aggredito e gravemente ferito da un giaguaro il 7 febbraio 1996 e recuperò completamente la salute grazie all'intercessione di Giuseppe Allamano.
Se il Fondatore aveva detto, con un certo tono di rimprovero, che avrebbe mandato dei fulmini dal cielo per far sentire la sua voce, nel caso in cui i missionari avessero agito senza carità, oggi possiamo consolarci nel sapere che il miracolo che lo porta agli altari è una chiara conferma della missione ad gentes che ha affidato ai suoi figli e figlie attraverso il carisma, dono dello Spirito Santo, che permette la partecipazione alla missione affidata alla Chiesa e guidata dallo stesso Spirito. Possiamo dire che il Fondatore ha voluto ripetere una sua conosciuta espressione esortativa: “così vi voglio!”.
Cosa potrebbe significare questo miracolo? Sono convinto che questo fatto confermi l'attualità degli insegnamenti di Giuseppe Allamano e il cammino missionario che la Chiesa sta seguendo. Nelle Costituzioni dell'Istituto Missioni Consolata (nn. 4 e 5) è chiaramente espresso lo scopo che ci caratterizza nella Chiesa: l'evangelizzazione dei popoli e la missione ad gentes. Sotto l'impulso dello Spirito, l'Allamano forma i primi missionari e missionarie per una missione incarnata nella realtà. Con questo miracolo il Fondatore dimostra di accompagnare i missionari e la Chiesa in uno stile di missione universale, audace e prudente, aperta all'incontro e al dialogo con le culture e i popoli. In questo senso vorrei segnalare tre elementi di riflessione.
Il Sinodo per l’Amazzonia (2019) ha riflettuto su nuovi cammini di evangelizzazione che possono essere tracciati con atteggiamenti ispirati alla “cultura dell’incontro” (DF 60), stabilendo ponti con le visioni del mondo dei popoli amazzonici. Papa Francesco ha ribadito che “la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua saggezza ancestrale, […] riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli” (QA 70). Quest’attenzione che mira a “stabilire ponti” con la saggezza ancestrale è motivata dalla consapevolezza che è lo Spirito Santo “che suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae” (EG 117), poiché “non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (EG 117).
(La guarigione sciamanica di Sorino. Disegno: Trento Yanomami)
Il miracolo avvenuto nella foresta amazzonica ci permette di stabilire un dialogo tra la nostra prospettiva cristiana e altre prospettive. Le suore missionarie, recitando la novena al Padre Fondatore, chiesero la sua intercessione presso Dio per la guarigione dell'indigeno Sorino, cura che permettesse anche di ristabilire la pace e calmare l'angoscia. Da parte loro, gli sciamani Yanomami – mentre il paziente era in ospedale e quando era tornato alla sua comunità – hanno eseguito rituali affrontando l’immagine spirituale del giaguaro che continuava ad attaccare il parente, mettendo a rischio il ripristino della sua salute. Il dialogo tra queste diverse prospettive, lungi dall'essere un relativismo semplicistico, un sincretismo forzato o una ricerca di uniformità che, nella maggior parte dei casi, implica l'imposizione del punto di vista del più forte, esige rispetto e apprezzamento per le diverse tradizioni spirituali. Quest’apertura ci permette di apprezzare valori e segni di grazia che sbocciano nei diversi contesti culturali e davanti ai quali ci lasciamo evangelizzare.
Nel pensiero del Fondatore e dei primi missionari era chiaro che l'evangelizzazione non poteva essere dissociata dalla “formazione dell'ambiente”. Un termine che oggi può essere sostituito dal concetto di “ecologia integrale”, a cui Papa Francesco fa spesso riferimento e che spiega dettagliatamente nell'Enciclica Laudato sì', come l’unica via corretta e possibile per stabilire relazioni e prendersi cura della Casa Comune con i suoi abitanti. Dopo alcuni anni di lavoro apostolico in Kenya, il decreto di lode concesso dalla Sacra Congregazione dei Religiosi (28/12/1909) – una prima approvazione pontificia – evidenziava come i missionari dell'Istituto si distinguessero per il loro impegno nella vita della gente (Lettera V, p. 304f). Quel decreto diede grande gioia e soddisfazione al Fondatore, che vi lesse l'approvazione del metodo missionario studiato e attuato insieme ai suoi figli, che oltre ad offrire alla gente le promesse di un'altra vita, la rendeva più felice sulla terra.
(La guarigione sciamanica di Sorino. Disegno: Trento Yanomami)
Il miracolo compiuto per intercessione del Beato Allamano, con l'inspiegabile guarigione di un paziente che era stato soccorso presso l'ambulatorio della Missione Catrimani e successivamente trasferito a Boa Vista dove era stato sottoposto ad interventi chirurgici, è, ancora una volta, la conferma della validità di una presenza missionaria tra le popolazioni indigene, ispirata al servizio di una Chiesa diaconale che valorizza la difesa della vita in tutte le sue dimensioni.
La missione della Chiesa, pur sviluppandosi in modi diversi nei diversi contesti, è rivolta a tutti gli uomini perché “Dio non fa differenze di persone” (Rm 2,11) e Cristo “ha abbattuto il muro di separazione” (Ef 2: 14) che è l'inimicizia tra le genti.
Il miracolo della guarigione del signor Sorino, indigeno Yanomami che vive nella sua comunità nella foresta amazzonica, raccogliendo insieme ai suoi parenti le risorse di questa terra, raccontando e ascoltando le storie dei suoi antenati, e celebrando riti e feste che offrono significato alla riproduzione della vita, ci conferma come Dio guarda con cura a tutti i popoli. L’Allamano, Fondatore di una famiglia missionaria ad gentes, non poteva non fare suo questo sguardo di Dio e lo vuole infondere nei suoi discepoli: guardare al popolo Yanomami, perché possa avere una vita piena.
Quest’ultimo elemento ci apre ad una riflessione urgente e importante. Dio, attraverso il miracolo compiuto per intercessione dell'Allamano che suscita oggi tanta curiosità, ci indica la via del prendersi cura, del rispetto e della tutela della vita. Non possiamo quindi ignorare che il popolo Yanomami subisce ancora oggi violenze atroci nelle proprie comunità, con l’invasione del suo territorio da parte di attività minerarie illegali, traffico di armi, droga e persone, controllati da fazioni criminali. Ciò, insieme alle difficoltà dell’assistenza sanitaria, sta generando una catastrofica crisi umanitaria e sanitaria. Le risposte date dalle autorità richiedono tempo per stabilire la difesa del territorio e la protezione della popolazione, mentre le leggi proposte minano la garanzia dei diritti di queste persone così come di altri popoli indigeni del Brasile.
Dobbiamo invocare l'Allamano perché interceda per un altro miracolo?
* Padre Corrado Dalmonego, IMC, missionario a Roraima.
Casa e foresta: abitazione colletiva Yanomami lungo il fiume Catrimani. Foto: Corrado Dalmonego, 2011
Il fiume Catrimani nella Terra Yanomami a Roraima nell'Amazzonia brasiliana. Foto: Jaime C. Patias
“Il Beato Giuseppe Allamano è santo da molto tempo; ora la Chiesa lo riconosce ufficialmente”, ha detto padre Paulo Mzé in una intervista alla TV Aparecida (Brasile).
La stazione televisiva TV Aparecida del Santuario della Madonna di Aparecida a San Paolo ha invitato il 31 luglio il Superiore Regionale dei Missionari della Consolata in Brasile, padre Paulo Mzé e Suor Benildes Capelotto, missionaria della Consolata, per un'intervista sulla canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, che si terrà il 20 Ottobre prossimo, Giornata Missionaria Mondiale, a Roma.
“Per noi è una gioia immensa. In effetti, per noi, il Beato Giuseppe Allamano è santo da molto tempo; ora la Chiesa lo riconosce ufficialmente”, ha sottolineato padre Paulo Mzé ricordando che il Fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata è stato beatificato il 7 ottobre 1990. “Il miracolo che ha permesso la canonizzazione, è avvenuto proprio in Brasile, nella terra indigena Yanomami presso la Missione Catrimani, dove lavoriamo da quasi 60 anni”, ha aggiunto il padre evidenziando l'importanza di questo momento storico. “Vogliamo celebrare con tutta la Chiesa”.
Suor Benildes Capelotto ha condiviso sull'origine e il carisma delle due congregazioni fondate a Torino, quando il Beato Giuseppe Allamano era rettore del Santuario della Consolata, un centro di devozione mariana per Torino e tutto il Piemonte. “La missione specifica dei due istituti è la prima evangelizzazione e la Consolazione, con un’attenzione particolare verso i più poveri e vulnerabili. Il nostro Carisma è la missione ad gentes per portare al mondo la Consolazione”.
I missionari e le missionarie della Consolata nati rispettivamente nel 1901 e 1910, oggi sono presenti in 30 Paesi dell’Europa, Africa, Asia e Americhe.
Padre Paulo ha ricordato che il Beato Allamano, fin da quando era un giovane sacerdote, sentiva raccontare molte storie sulle missioni in Africa. “A causa della sua salute fragile non poté andare in missione, nonostante il suo cuore missionario. Però riuscì a radunare diversi sacerdoti dell’archidiocesi di Torino e del Piemonte che erano desiderosi di andare in missione in Africa. Il nostro carisma è la missione ad gentes, consacrati a portare la Consolazione nel mondo. Siamo “Consolata” di nome e di cognome, la nostra ispirazione e motto è: «Annunceranno la mia gloria alle genti» (Isaia 66,19)”
I missionari della Consolata arrivarono in Brasile nel lontano 1937 a San Manuel, San Paolo, mentre le missionarie arrivarono qualche anno più tardi, nel 1946, “quando un gruppo di suore, espulse dall'Etiopia durante la Seconda guerra mondiale, iniziarono una prima presenza a Rio do Oeste, nello Stato di Santa Catarina”, ha ricordato Suor Benildes. In seguito furono aperte altre comunità in diverse parti del Paese, in particolare nell’Amazzonia. “Il nostro carisma è portare la Consolazione nei luoghi dove nessuno vuole andare, ai più poveri, ai più vulnerabili e a coloro che soffrono”.
Qui sotto il link dell’intervista a padre Paulo Mzé e a Suor Benildes Capelotto - TV Aparecida (Portoghese)
Uno dei momenti più toccanti dell'intervista è stato il racconto del miracolo che ha portato alla canonizzazione di Giuseppe Allamano. Suor Benildes ha raccontato la storia di Sorino, un indigeno Yanomami assalito e gravemente ferito alla testa da un giaguaro. “Altri indigeni e una suora lo trovarono insanguinato e riposero la parte della massa celebrale fuoruscita nella scatola cranica fasciandola con una maglietta e allo stesso tempo chiamarono un aereo per portarlo a Boa Vista per un intervento chirurgico. Questo avvenne il 7 febbraio 1996, all'inizio della novena in preparazione alla festa del nostro Fondatore. Tutti i missionari pregarono per la guarigione di Sorino. I medici, che inizialmente erano scettici sulla sopravvivenza di Sorino, assistettero alla sua completa guarigione, che fu riconosciuta come un miracolo dalla Santa Sede”.
“Stiamo preparando e sensibilizzando tutta la Chiesa. In Brasile ci sono 22 comunità, tra parrocchie, seminari e case, che si stanno preparando a celebrare il nuovo Santo", ha spiegato padre Paulo Mzé sottolineando l'importanza di celebrare questo momento storico. “L'ideale sarebbe che tutti andassero a Roma, ma ognuno celebrerà nella propria comunità. Il miracolo avvenuto in Amazzonia conferma l'importanza di questa regione per la missione della Chiesa”.
Al termine dell'intervista, padre Paulo Mzé ha rivolto un invito speciale a quei giovani interessati a conoscere meglio l’Allamano o diventare missionari della Consolata, incoraggiandoli a scoprire la loro vocazione e a unirsi alla missione aggiungendo: “Siamo presenti in internet e nei social media: www.consolata.org.br Twitter, YouTube, Consolata Brasil”.
* Redazione IMC Brasile con informazioni della TV Aparecida
Il miracolo riguarda la guarigione di Sorino Yanomami, assalito e gravemente ferito da un giaguaro, nella foresta amazzonica brasiliana, il 7 febbraio 1996. Sorino è guarito e ha recuperato completamente la salute grazie all'intercessione del Beato Giuseppe Allamano.
DESCRIZIONE DELL’EVENTO
Sorino Yanomami è un indigeno di etnia Yanomami, nato nella comunità di Maimasik (Roraima-Brasile), presumibilmente nel 1955 (giorno e mese non sono registrati). Residente nella comunità di Yaropi (nella regione del medio corso del fiume Catrimani), è sposato con Helena Yanomami, ma senza figli. L’ambiente in cui è inserita la sua comunità è l’immensa foresta amazzonica, da cui, come gli altri membri del suo popolo, può ottenere ciò che è fondamentale per vivere, tramite la raccolta, la caccia, la pesca e la coltivazione di grandi orti.
La sua maloca (abitazione indigena, usando un termine tupi entrato nel vocabolario del portoghese brasiliano) è, tuttora, nei pressi di una “comunità missionaria della Consolata”, lì presente dal 1965 e costituita da religiosi (padri e fratelli coadiutori) e da suore missionarie.
Il superiore di allora, Guglielmo Damioli, così ricorda Sorino: «Lungo gli anni, già sposato, col suo gruppo familiare, Sorino era venuto a costruire la sua maloca all’inizio della pista di atterraggio della missione. Appariva frequentemente alla missione, sempre accompagnato dalla sua giovane sposa. Uomo comune, semplice, con un sorriso perenne sul volto. Buon cacciatore, in foresta, sulla fragile canoa, gran lavoratore nella piantagione per contribuire col gruppo e sostenere la sua famiglia».
Proprio nel cuore della foresta, quella mattina del 7 febbraio 1996, Sorino Yanomami subisce l’assalto di una femmina di giaguaro (onça pintada).
Suor Florença Lindey con Sorino e la moglie nella casa di cura per gli indigeni, Hekura Yano a Boa Vista
Sempre Gugliemo Damioli, così racconta: «Il giaguaro, come di consueto, ha attaccato Sorino di sorpresa, alle spalle. Con una zampata, gli ha fratturato la scatola cranica. Sul posto, per terra, furono trovati dagli indigeni pezzi di osso e parte di massa encefalica. Nonostante la gravità estrema delle ferite, Sorino non perse i sensi; riuscì a svincolarsi, ad alzarsi e a usare l’arco come una lancia per tenere il giaguaro a una certa distanza, mentre gridava, chiedendo aiuto. In pochi minuti, con le grida e l’arrivo degli indigeni armati di archi e frecce, il giaguaro fuggiva».
Il cognato di Sorino, B. (non riportiamo il nome, per rispetto delle usanze Yanomami che non pronunciano più il nome di una persona già morta), corre al piccolo dispensario della missione a cercare soccorso e l’infermiera titolare, suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata kenyana, si precipita sul luogo dell’incidente per rendersi conto della situazione e prestare le prime cure.
Così, la suora ricorda quei primi momenti: «Ho visto Sorino per terra, in un bagno di sangue, sono rimasta impietrita, bloccata e tremante, non sapendo cosa fare. Ho chiamato sua madre e ho chiesto dell’acqua; poi ho capito che il cuoio capelluto sporgeva e che Sorino stava anche sanguinando molto; c’era molta sabbia, sporcizia e parte del cervello era fuoriuscito. Ho spinto dentro il cervello e poi ho preso il cuoio capelluto e l’ho rimesso a posto, ma continuava a sanguinare; era vivo, ma non parlava. Siccome non avevo portato niente con me, ho preso l’unica cosa che avevo, la maglietta che indossavo: me la sono tolta e l’ho avvolta alla testa di Sorino, per premere meglio e fermare un po’ l’emorragia.
Ho poi mandato qualcuno a cercare la Toyota, in servizio alla nostra missione. Con dona Creuza, nostra aiutante, lo abbiamo messo in un’amaca e poi sistemato nella Toyota arrivata nel frattempo con fratel Antonio Costardi che si trovava anche nella missione. Sono rimasta con lui seduta nella parte posteriore, tenendogli la testa e ci siamo diretti al piccolo dispensario della missione».
Suore missionarie della Consolata di ritorno dalle visite alle comunità lungo il fiume Catrimani
Riferisce ancora suor Felicita: «Ho guardato le sue mani, ma le vene non erano più visibili. Avevo del plasma e l’ho messo in un piede e, all’altro piede, una flebo di glucosio con un forte analgesico».
Vista la situazione di estremo pericolo, suor Felicita chiede che Sorino venga trasportato all’ospedale di Boa Vista, capoluogo dello stato di Roraima. Riesce a contattare la CCPY (Commissione Pro Yanomami) e le viene assicurato un posto sul piccolo aereo che fa servizio nella vasta area indigena, anche se dovrà aspettare un po’, perché le richieste di aiuto sono numerose.
Ma i compagni di Sorino si oppongono alla proposta di trasferire il paziente a Boa Vista. Come è frequente nella retorica che accompagna situazioni di tensione e preoccupazione, arrivano anche a proferire minacce; per loro, infatti, è inconcepibile che uno Yanomami possa morire fuori dal suo villaggio, senza l’accompagnamento dei parenti e di uno sciamano. Lo spirito di Sorino era pronto a fare il suo viaggio. Gridano: «No! Sorino resterà qui! Lo sciamano ha già detto che, quando il sole tramonterà, lui entrerà nella casa degli spiriti e salirà in alto».
Alla fine, cedono alla richiesta di suor Felicita, ma con una minaccia terribile: se il loro compagno dovesse morire in città, lontano dalla foresta e tra “i bianchi”, uccideranno, con le loro frecce, i missionari presenti al Catrimani.
Mentre si attende l’arrivo dell’aereo, un ragazzo porta una foglia di banano arrotolata, con dentro un frammento di osso della testa di Sorino, rinvenuto nel luogo dell’incidente, e formula una sua “diagnosi”: «Noi abbiamo visto bene quando Sorino è arrivato. Abbiamo visto il cervello, abbiamo visto l’osso, l’abbiamo tirato fuori e arrotolato e poi abbiamo parlato con gli xapuri, gli spiriti della foresta: Sorino non può vivere, perché il cervello è fuoriuscito!».
Verso le 14,00, con l’arrivo dell’aereo, Sorino viene imbarcato, accompagnato dal tuxaua (capo del villaggio) C. Dopo circa un’ora di volo, all’aeroporto di Boa Vista, viene accolto da Suor Rosa Aurea e Suor Lisadele, che lo trasportano immediatamente all’Ospedale Generale.
Ricordava il dott. José Nunes da Rocha, un medico che ha avuto in cura Sorino: «Quella di Sorino era una situazione molto grave e il paziente respirava con affanno, esalava miasma e non credevamo molto nella guarigione, perché il modo in cui era infetto, putrido e in un posto “nobile” come il cervello, avrebbe causato encefalite e meningite. Quindi, non avevamo davvero molte speranze, ma lui era arrivato vivo e dovevamo curarlo, facendo tutto il possibile».
Sorino giunge, dunque, al Pronto Soccorso dell’Ospedale Generale in stato di coma, in shock ipovolemico, con una vasta ferita al cranio (perdita di cute, osso, dura madre, estesa lesione fronto-temporo-parietale con perdita di sostanza cerebrale).
In anestesia generale, viene effettuato il lavaggio della ferita, che è contaminata da terra, frammenti ossei e sangue coagulato. Il paziente tollera la procedura senza problemi, ma a causa della perdita significativa di tessuto e dell’elevato rischio di infezione, la ferita viene lasciata aperta.
L'interno di una maloca - abitazione Yanomami. Foto: Jaime C. Patias
Sulle condizioni del paziente abbiamo la testimonianza di suor Florença Lindey, religiosa che aveva lavorato al Catrimani e che conosceva bene Sorino e la sua famiglia: «Quando sono tornata a Boa Vista e i medici hanno saputo che ero arrivata, mi hanno chiamata per andare in ospedale. Sorino era stato ricoverato in terapia intensiva, non parlava e non mangiava. Quando sono entrata nella stanza, è rimasto sorpreso di vedermi, voleva abbracciarmi e parlare. Dopo alcuni giorni, è stato dimesso dalla terapia intensiva e trasferito in infermeria. Stava migliorando sempre di più, specialmente nell’umore, quando qualcuno che conosceva era con lui. Ad un certo punto del ricovero, è stato necessario eseguire un secondo intervento chirurgico, ma lui era contrario. Non è stato facile convincerlo, era molto determinato, aveva un carattere forte. Ho parlato con i medici e mi hanno permesso di accompagnarlo in sala operatoria; gli hanno spiegato e gli hanno assicurato che non avrebbe sentito dolore; quindi, ha accettato di sottoporsi all’intervento. Sono stata nella stanza per tutto il tempo dell’intervento. Quando è stato dimesso dal reparto di chirurgia, era ancora ricoverato in ospedale e sono sempre rimasta con lui, fino a quando non è stato trasferito alla casa di cura per gli indigeni, Hekura Yano», per la convalescenza.
Dal Diario della missione Catrimani, sappiamo che Sorino rientra al suo villaggio l’8 maggio, accolto dallo stupore e dalla gioia della sua famiglia, dei missionari e dai membri della sua comunità: è quasi perfettamente guarito, ma con l’obbligo di essere ancora seguito dal dispensario del Catrimani, presentandosi, ogni 15-20 giorni, per il controllo e le medicazioni.
Sull’aereo che lo riporta a casa, c’è anche suor Lisadele, la quale annota: «Sorino stava rientrando per la prima volta al Catrimani… ho visto la sua gioia di tornare. Ogni maloca lo stava aspettando, fu molto bello. La ferita era ancora semiaperta, quindi ho avuto l’opportunità di applicargli le medicazioni; lo lavavo con acqua ossigenata, lo pulivo con una garza e poi gli mettevo in testa il mio cappello, ma solo per proteggerlo dal sole».
Sorino riprende, così, la sua vita normale di “abitante della foresta” nelle sue attività di cacciatore, pescatore, agricoltore, anche se più debole per gli acciacchi dell’età che avanza, le anemie causate dalla malaria (endemica in quei luoghi) … mentre le sue condizioni di salute, al di là di ogni previsione, rimangono buone e senza alcuna conseguenza negativa dell’incidente.
Lui stesso, così si descrive, durante l’Inchiesta diocesana (2021): «Quando sono tornato dall’ospedale, facevo come gli altri Yanomami: lavoravo, coltivavo i campi, solo che ora non posso più lavorare, perché sono vecchio. Lavoro solo la mattina presto e, quando il sole diventa alto, torno a casa. Ma mi sento bene».
Interessante la testimonianza della dott.ssa Roberta Barbaro: «In data 4 marzo 2019 (dunque, ben 23 anni dopo l’assalto del giaguaro mi sono recata presso la missione Catrimani, ho incontrato Sorino Yanomami, avendo modo di osservarlo nella sua quotidianità. Sorino ha fornito un racconto dettagliato dell’incidente accorso nel 1996. Ha riferito di condurre una vita normale, continuando a svolgere le sue attività di caccia e pesca, senza problemi».
E conclude: «Il paziente presenta oggi completa ripresa funzionale e senza postumi alcuni, duratura nel tempo, che alla luce delle estese lesioni cerebrali riportate in seguito al trauma con perdita di sostanza, risulta scientificamente inspiegabile».
Mons. Mário Antonio con la Commissione durante il processo diocesano per la canonizzazione del Beato Allamano. Foto: Diocesi di Boa Vista
La vicenda “umana e sanitaria” dell’indigeno Sorino Yanomami ha come sfondo un intenso movimento di fede e invocazione, ad opera soprattutto delle suore missionarie, che lo hanno assistito e accompagnato in tutto il decorso della sua malattia e guarigione.
Una “coincidenza”: il giorno dell’incidente in foresta era anche il primo giorno della novena, in preparazione alla festa del Fondatore dei missionari/e della Consolata, che cade il 16 febbraio. Da ciò, le suore hanno tratto l’ispirazione di affidare Sorino all’intercessione del beato Giuseppe Allamano.
Dal 7 al 16 febbraio 1996, e anche nei mesi successivi, sia alla missione del Catrimani, come nella Casa Regionale delle missionarie, a Boa Vista, si è intensificata l’invocazione, espressa in umili gesti, come il cero acceso per tutto il tempo della novena o, subito dopo l’operazione, l’azione furtiva di suor Maria Da Silva Ferreira di infilare, sotto la stuoia di Sorino, una reliquia del Fondatore.
Un esempio dell’intensa preghiera da parte delle suore di Roraima è quella di suor Felicita Muthoni, nella missione del Catrimani, dopo la partenza di Sorino per l’ospedale della città: «Oh, mio Dio, oggi iniziamo la novena del nostro Fondatore. Ho detto: Hai fondato i tuoi missionari per i non cristiani. Per questo popolo, ti chiederò una cosa: che Sorino possa guarire completamente (perché, se guarisce e rimane storpio, non può vivere nella foresta). Guarisca completamente, per poter cacciare, coltivare, pescare… può guarire, se tu intervieni!».
Iniziava da quel momento il percorso di guarigione di Sorino Yanomami che, nonostante la prognosi infausta, «guarisce completamente, per poter cacciare, coltivare, pescare», come aveva chiesto al Fondatore, suor Felicita Muthoni.
* A cura della Postulazione a Roma.
Benvenuti a questo video dedicato a Giuseppe Allamano, una figura straordinaria nel campo della formazione. Oggi abbiamo il privilegio di essere guidati da Padre Piero Trabucco, dell’Istituto Missioni Consolata (IMC), che ci presenterà l’Allamano nel suo ruolo di formatore. Giuseppe Allamano dedicò tutta la sua vita a formare e ispirare, inizialmente i sacerdoti diocesani, e successivamente i missionari e le missionarie della Consolata.
L’Allamano trascorse la sua vita immerso nell’ambito formativo, aiutando i giovani sacerdoti a crescere nel cammino della santità. Con la stessa dedizione, preparava i suoi missionari per le sfide della vita missionaria, instillando in loro lo spirito necessario per affrontare le difficoltà che avrebbero incontrato. Diceva spesso: “Lo spirito ve lo do io”, una frase che riassume il suo impegno e la sua passione nel formare individui pronti a portare avanti la loro missione con fede e coraggio.
Prepariamoci quindi a scoprire di più su questa figura straordinaria e sul suo inestimabile contributo alla formazione religiosa e missionaria.
* Suor Stefania Raspo, MC. Originalmente pubblicato in: www.missionariedellaconsolata.org