“Lodo, benedico e glorifico Dio per questo importante momento che stiamo vivendo nella Chiesa con il riconoscimento dei nuovi santi, e in modo molto particolare di San Giuseppe Allamano”, dice monsignor Roque Paloschi, arcivescovo di Porto Velho, Stato di Rondônia, nell'Amazzonia brasiliana.
Originario di Lajeado nel Rio Grande do Sul, il vescovo si è sempre identificato con il carisma trasmesso da San Giuseppe Allamano e come sacerdote diocesano è partito in missione in Mozambico (Africa) e a Roraima, diocesi dove è stato vescovo negli anni 2005 a 2015. In questo video prodotto dall’Ufficio per la Comunicazione a Roma, mons. Roque evidenzia le principali caratteristiche del nuovo santo.
“Per questa consapevolezza che il Vangelo doveva essere conosciuto da tutti i popoli e da tutte le nazioni (Allamano) ha creato gli istituti missionari della Consolata, maschile e femminile, e ha inviato missionari e missionarie ai popoli ad gentes, ed è stato anche per noi, in Brasile, in modo molto particolare a Roraima dove ho lavorato, questa presenza profetica con i popoli originari, con i popoli indigeni. L'amore di Dio, la grazia di Dio si manifesta in ogni modo e crediamo anche, come ha sottolineato il Sinodo per l'Amazzonia, che l'Amazzonia sia il luogo della manifestazione di Dio”, ricorda il vescovo. “Il riconoscimento del miracolo avvenuto all'allora giovane Sorino del popolo Yanomami in mezzo alla foresta è la manifestazione della tenerezza e della bontà di Dio che è stata resa presente anche dalla cura e dallo zelo dei missionari verso questi popoli spesso sfruttati, disprezzati e maltrattati”.
Mons. Roque con i leader indigeni durante il Sinodo per l'Amazzonia a Roma, nell'ottobre 2019. Foto: Guilherme Cavalli
Mons. Roque Paloschi è impegnato da molti anni nella difesa dell'ambiente e dei diritti dei popoli indigeni. Tra il 2015 e il 2023 è stato presidente del Consiglio Indigeno Missionario (CIMI), organismo della Chiesa cattolica in Brasile. In molte occasioni il vescovo ha unito la sua voce alla voce dei diversi leaders, come Davi Kopenawa, Raoni Metuktire, Júlio Ye'Kwana, Sonia Guajajara, Joênia Whapichana, tra altri, per denunciare le violazioni dei diritti, l'invasione dei territori e le persecuzioni, che questi popoli stanno subito da parte degli allevatori di bestiame e ricercatori d’oro (garimpeiros). Nel 2022, il vescovo ha ricevuto minacce e vari attacchi come ritorsione per le sue denunce.
“Che Dio sia lodato e che la testimonianza di San Giuseppe Allamano ci aiuti ad allargare i nostri cuori e a vivere soprattutto la gioia di una Chiesa in uscita, di una Chiesa accogliente, di una Chiesa che serve, di una Chiesa impegnata a prendersi cura di tutto il creato”, ha concluso il vescovo.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione, Roma.
Mons. Roque Paloschi consegna a Papa Francesco il Rapporto sulla violenza contro i popoli indigeni in Brasile. Foto: REPAM
Più di 600 amici dei Missionari e delle Missionarie della Consolata si sono riuniti nel Collegio Giuseppe Allamano di Bogotà, il 16 novembre 2024, per esprimere pubblicamente la loro gratitudine al Dio della Missione, fonte di ogni consolazione, per tanti doni ricevuti.
In primo luogo, ringraziamo Dio per il dono di suo Figlio, missionario inviato e incarnato, ucciso e risorto, vera consolazione da condividere con tutti i popoli della terra, specialmente quelli che camminano nelle tenebre della morte e cercano la pace.
In secondo luogo, ringraziamo per Giuseppe Allamano, per la sua vita, vissuta in ordinaria semplicità, ma in modo straordinario. Riconosciuta dalla Chiesa cattolica come una vita in santità e proposta alla Chiesa e a tutta l'umanità come spirito, stile e metodo per diventare santi.
Nunzio Apostolico, Presidente della Conferenza Episcopale, Superiore Regionale IMC Colombia, tutti al ritmo afro.
Allo stesso tempo, ci ringraziamo a vicenda, incontrandoci di nuovo, nel Collegio Giuseppe Allamano, guardandoci negli occhi, abbracciandoci, ricordando i tempi passati e vivendo il momento presente, come memoriale di amicizia e gratitudine.
Tutta questa gratitudine è stata celebrata alla mensa dell’Eucaristica, presieduta dal Nunzio Apostolico in Colombia, mons. Paolo Rudelli, dal Presidente della Conferenza Episcopale Colombiana, mons. Francisco Múnera, dal Superiore Regionale IMC, dal Vicario Apostolico della zona ecclesiastica e condivisa con molti altri, ministri ordinati, religiosi e laici, tutti impregnati nella missione con spirito “allamaniano”, e sccessivamente seduti a tavola per il brindisi e per la cena condivisa.
Tutto il Creato e, con esso, tutti i popoli con le loro culture e spiritualità messi insieme per la celebrazione: la “madre terra” con le sue piante verdi e i suoi bei fiori, con il pane e il vino dell'Eucaristia, la torta e il vino per il brindisi, la cena ricca e semplice con i suoi dolci e le sue bevande. Una festa di varia e integrale abbondanza, servita con un sorriso condiviso tra i ministri ordinati e i servitori della festa, con gli ospiti gioiosi e riconoscenti di ogni età, categoria, cultura e colore, espressione del legame vitale, della “comunità di vita” e della “fratellanza universale”. Tutti e tutte serviti tra reciproci gesti di “ringraziamento” per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano, patrono e protettore del luogo.
Durante il memoriale principale, l'Eucaristia, abbiamo ricordato il Fratello maggiore, Gesù, i fratelli e le sorelle in successione, gli antenati in cielo, loro già in uno stato di piena consolazione. Il vescovo Francisco Javier Múnera, IMC, li ha chiamati alla celebrazione con le parole di Cecilia Castro, giunta per l'occasione dagli Stati Uniti:
“Carissima Famiglia Missionaria della Consolata
è con grande gioia e gratitudine che invio le mie più sentite congratulazioni a questa grande famiglia in occasione della canonizzazione di Giuseppe Allamano, ora San Giuseppe Allamano. La Chiesa, nella sua saggezza, ha riconosciuto le sue virtù esemplari e la sua immensa opera di formatore di santi missionari. “Prima santi, poi missionari”, era solito dire. Così, ora che il Padre e Maestro dei missionari è arrivato agli altari, è bene seguire l'esempio delle sue virtù. Prendendo spunto dalla biografia intitolata Padre y Maestro de Misioneros, scritta da monsignor Luis Augusto Castro Quiroga,IMC, (edizione Missioni Consolata, Torino, 1986), la prima biografia di Giuseppe Allamano in lingua spagnola.
Innanzitutto, è importante sottolineare le virtù di San Giuseppe Allamano. La sua bontà, la sua dolcezza e la sua prudenza spiccano in tutto ciò che fece. “La bontà di cuore era alla base della sua fondazione missionaria” (185). Così diceva ai suoi missionari: “Desidero il meglio per tutti voi, per i quali solo vivo in questo mondo” (206).
Per lui il primato della pedagogia missionaria è “l'amore, lo spirito di universalità e la qualità del lavoro. La qualità non è la quantità”. Ricordando sempre che “il bene deve essere fatto bene”. Questo significa con una forte motivazione, con una mistica, con una passione evangelica, in una parola, con spirito”. (210).
“Voglio che crescano con uno spirito di lavoro. Faremo le vacanze in Paradiso” (211).
Il suo obiettivo è la santità, formare missionari santi: “Il missionario è chiamato a crescere globalmente fino a raggiungere la statura stessa di Cristo” (209).
“Aumentare il numero dei missionari, sì, ma soprattutto aumentare la virtù. Solo la virtù sostiene la comunità” (217).
I miei più fervidi auguri per un'evangelizzazione alla maniera del nostro San Giuseppe Allamano. Non posso non ricordare monsignor Luis Augusto, il nostro caro fratello che amiamo e che fu missionario sull'esempio del suo Padre e Maestro, Giuseppe Allamano” (Cecilia Castro Lee).
La participazione della Pastorale Afro
Rinnoviamo così la nostra alleanza con Dio e tra di noi, impegnandoci a continuare a servire la sua Missione ispirati dal Santo Fondatore e chiedendo al “Signore della messe” di inviare nuovi operai per continuare a seminare il Suo Regno nei sei continenti, compreso quello digitale.
* Padre Salvador Medina, IMC, Comunicazione Regione Colombia.
Il Nunzio Apostolico in Colombia, sua Ecc.za mons. Paolo Rudelli
Il Presidente della Conferenza Episcopale Colombiana, mons. Francisco Múnera, IMC, arcivescovo di Cartagena
Siamo in Kenya dove, dopo alcuni giorni di pioggia, anche il cielo ha diradato le sue nubi, per illuminare il sabato, 9 novembre 2024, giorno in cui si è voluto innalzare il ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano con un’Eucarestia celebrata presso il Campus Universitario di Nairobi.
Dopo la sua canonizzazione, avvenuta a Roma il 20 ottobre e le diverse celebrazioni in Italia, era d’obbligo una grande celebrazione di azione di grazie nella terra in cui l’Allamano non è mai arrivato fisicamente, ma vi è però arrivato con la mente, il cuore e tutte le sue forze mediante i suoi missionari e missionarie. Terra da lui sognata, conosciuta e amata, terra nella quale sapeva che il seme piantato dai primi quattro missionari, partiti nel 1902, avrebbe dato frutti abbondanti. È così è stato.
La sua santità, proclamata ora ufficialmente dalla Chiesa, si era manifestata qui fan dall’inizio. È stata seminata giorno per giorno dalla dedicazione, zelo, lavoro e passione dei suoi figli e figlie. “Bene fatto bene, senza fare rumore”, come dice lo slogan e parola carismatica per questo giorno stampato su capulane e sciarpe colorate. Ma, ad un certo punto, il bene silenzioso non può rimanere nascosto, ma appare, deve essere proclamato e annunciato come motivo di gloria tra i popoli.
Messa di ringraziamento nel Campus Universitario di Nairobi. Foto: Francisco Martínez
Ed oggi si è celebrato questo bene, questa “gloria” dai tanti frutti e colori della nostra missione in Kenya. Ogni incontro, ogni gesto, ogni parola detta, ogni sguardo, ogni persona non era che l’espressione di una stagione matura con tutti i suoi frutti e non si poteva non rendere grazie al Dio e a colui che in qualche modo ne è stato lo strumento, come buon seminatore, come buon padre e pastore, San Giuseppe Allamano.
Fin dal mattino nella Casa Regionale di Nairobi arrivano giovani missionari, novizi, studenti professi, diaconi, sacerdoti, fratelli, suore e laici. C’è un clima di festa e di gioia, c’è chi si rivede dopo tanti anni, chi ha fatto insieme la formazione in seminario o coloro con cui si è lavorato in altre terre di missione lontane. Come ha ricordato il Superiore Generale, padre James Lengarin, nelle sue parole alla fine della celebrazione, questi sono i frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo, tanti missionari che continuano a rendere vivo il sogno e carisma di San Giuseppe Allamano di annunciare il vangelo, di fare conoscere Gesù ed il suo amore.
Si arriva poi al Campus Universitario di Nairobi dove tutto è stato preparato con molto lavoro per la celebrazione dell’Eucarestia di ringraziamento. C’è aria di festa, si preparano le danze, i canti, gli ultimi dettagli affinché tutto riesca al meglio, ben fatto, come desiderava l’Allamano.
Alla 10.00 in punto la processione con oltre cento sacerdoti, la presenza della nostra Direzione Generale, quasi tutti nostri vescovi del Kenya delle diocesi di Marsabit, Mararal, Isiolo, il vescovo di Muranga, di Meru, l’arcivescovo di Nyeri ed il Nunzio Apostolico, si dirigono verso l’altare dove nove anni fa, nel 2015, celebrò l’Eucarestia papa Francesco quando fece visita al Kenya. I nostri studenti e diaconi fanno il servizio all’altare in questo giorno e celebrazione che rimarrà a tutti nel cuore.
Ha presieduto la Messa, mons. Hubertus Matheus van Megen, Nunzio Apostolico in Kenya e in Sud Sudan. Foto: Daniel Mkado
Viene proclamato il Vangelo di Marco (Mc 16,15-18) con il mandato di Gesù. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. Con queste parole, dal Santuario della Consolata di Torino, l’Allamano mandava i suoi missionari. Ne sono partiti tanti e tante, ne sono nate comunità cristiane, parrocchie, diocesi, vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, vescovi e laici testimoni di questo vangelo creduto, vissuto ed annunciato in tante lingue e nazioni. Ne ha dato prova la preghiera dei fedeli pronunciata in lingua swahili, kikuyu, meru, samburu…lingue di popoli nei quali il Vangelo si è inculturato portando vita e consolazione.
Alla fine della celebrazione le testimonianze e parole di ringraziamento di laici, suore, superiori e vescovi. Ma una di essa è andata in particolare al cuore di tutti: quella di Suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata keniana, che lavorando nella missione del Catrimani nella foresta amazzonica quasi trent’anni fa, ha prestato le prime cure a Sorino Yanomami, guarito in modo miracoloso per intercessione del Beato Giuseppe Allamano, che grazie anche a questa guarigione, è stato proclamato santo.
Missionarie della Consolata presenti alla celebrazione. Foto: Francisco Martínez
Suor Felicita ha parlato di quel 7 febbraio 1996 nel quale ha trovato Sorino con il cranio divelto da un giaguaro, le prime cure che gli ha prestato e la ferma decisone di inviarlo all’ospedale di Boa Vista perché si tentasse l’impossibile, nonostante avesse attorno a lei più di 200 indigeni contrari a questa sua decisione. Sorino gli aveva sussurrato che non voleva morire e che voleva vivere ed allora prende quella decisione avventata, ma certamente ispirata da Colui che promise ai suoi discepoli che, se avessero avuto fede avrebbero potuto fare opere anche più grandi di quelle da Lui compiute. È così è stato, ma la fede di Suor Felicita viene fuori quando si rifugia nella cappella della missione e fa al Signore, per intercessione del suo Fondatore, una preghiera accorata e imperativa:
“Sorino deve guarire, deve ritornare in piena salute per potere vivere e sopravvivere nella foresta, tra la sua gente, per poter cacciare e pescare e perché anche la vita dei missionari sia preservata”.
Il seme gettato in Kenya ha prodotto abbondanti frutti di evangelizzazione. Foto: Daniel Mkado
È così è stato, e ancora dopo 28 anni, Sorino vive la sua vita nella foresta con le forze e la salute di un anziano. Suor Felicita continua dicendo che il miracolo di Sorino è un miracolo che ha visto, oltre l’intercessione di San Giuseppe Allamano, anche l’impegno e la collaborazione delle sue consorelle di diverse nazioni, dei medici e delle persone che gli sono state accanto. Un miracolo che è espressione di una missione benedetta dal Signore, un miracolo che oggi contempliamo anche nelle missioni del Kenya e di tanti altri paesi nei quali lavoriamo. Una missione comune che quando è fatta con fede, in unità di intenti e a favore dei più bisognosi diventa grazia, vita e consolazione in tante opere a servizio dell’educazione, della salute, del dialogo, della marginalità, dell’accoglienza, della giustizia e della pace.
Al termine della celebrazione un grande convivio fraterno, un banchetto preparato e servito con amore e gentilezza per tutti, che, con l’Eucarestia appena celebrata, è preludio di quello del cielo. San Giuseppe Allamano era con noi: nel volto, nel cuore, nei gesti di servizio e nella vita di tutti coloro che oggi hanno voluto dire a Dio e a lui grazie. Grazie per una missione che non è finita, ma che continua nella vita di chi poi, subito dopo, è ripartito per le sue case e comunità con nel cuore il desiderio di annunciare il Vangelo e camminare sulla via della santità illuminati dal carisma di San Giuseppe Allamano.
Padre James Lengarin, Superiore Generale, parla dei frutti che il Kenya ha dato e continua a dare alla Chiesa e al mondo. Foto: Daniel Mkado
Kenya, terra fecondata anche dalla santità delle Beate Irene Stefani, Leonella Sgorbati e Carola Cecchin, come ha ricordato l’arcivescovo di Nyeri. Alla loro intercessione, a quella di San Giuseppe Allamano e della Vergine Consolata affidiamo ogni nostra comunità, ogni missionario e missionaria, il “bene fatto bene” che si è fatto e che ancora si farà per continuare ad essere semi e segni di consolazione.
* Padre Michelangelo Piovano, IMC, Vice Superiore Generale. Nairobi, 9 novembre 2024.
Torino, 25 ottobre. È una mattina piovosa, ma il cortile della Casa Madre si sta già animando con i primi gruppi di pellegrini, reduci delle tre giornate di Roma e delle due piemontesi. Oggi il ritrovo è il santuario di san Giuseppe Allamano a «casa sua», in corso Ferrucci. Nella chiesa fervono i preparativi.
Incontriamo il gruppo giunto da Oujda, in Marocco, quello della Costa d’Avorio, del Congo Rd, i mozambicani, i laici del Brasile e della Colombia. Ma anche padre Jasper, kenyano arrivato da Taiwan, padre Dieudonné, congolese dalla Mongolia, e la signora Lina, dal Kazakistan insieme a una suora che lavora nel paese dell’Asia centrale. Solo per citarne alcuni. Poi gli europei, e molti amici dei missionari e delle missionarie di Torino e del quartiere. Tutto il mondo è qui.
Padre Antonio e padre Sandro, i responsabili dell’organizzazione di accoglienza dei pellegrini a Roma e Piemonte, corrono indaffarati per gli ultimi dettagli.
Allo scoccare delle 10,30 fanno il loro ingresso nella chiesa affollata le danzatrici: sono le novizie delle suore, vestite con abiti africani a dominante verde intenso. Danzano e cantano fino all’altare seguite dai cinque vescovi e dai sacerdoti che celebreranno la messa. Alle ali dell’altare siedono almeno un centinaio di preti nei loro abiti bianchi, la maggior parte missionari della Consolata. Altrettante sono le missionarie o forse di più.
Padre Gianni Treglia prende la parola ed esordisce arringando i presenti: «Allamano!». E tutti rispondono:«Viva!». E ancora padre Gianni «Viva!» e tutti «Allamano!». E poi, tutti insieme: «Grazie per averci dato Giuseppe Allamano!».
Il superiore della Regione Europa ringrazia il Signore per il dono di san Giuseppe Allamano: «Questo è anche il luogo del suo sogno missionario che, non potendolo realizzare personalmente lo ha realizzato con la fondazione di due istituti missionari. [...] Il sogno stesso di Dio che vuole che tutta l'umanità abbia la salvezza. Giuseppe Allamano l’ha affidato a noi, suoi figli e figlie missionari».
La celebrazione è presieduta da monsignor Francisco Múnera Correa, IMC, arcivescovo di Cartagena e presidente della Conferenza episcopale colombiana.
Le letture vengono fatte in italiano e kiswahili.
È poi monsignor Osório Citora Afonso, mozambicano e neo vescovo ausiliario della capitale Maputo, che affronta l’omelia: «Dopo i fasti di piazza san Pietro […] ci siamo recati nei paesi che videro la vita quotidiana di san Giuseppe Allamano, prima a Castelnuovo don Bosco, quindi al santuario della Consolata, e oggi qui in Casa Madre, dove si trova il suo sepolcro. È un luogo che ci invita a sostare, in preghiera, in meditazione. Un luogo che è anche un’oasi di relazione. È una casa. È la sua dimora dalla quale continua a spandere benedizione, incoraggiamento e consolazione».
Riferendosi al Vangelo appena letto (Marco 16,14) monsignor Osorio dice: «Gesù, l’ultimo gesto, quello del mandato missionario, lo fa in una casa, un luogo di relazione, così non è casuale che anche noi veniamo nella casa di Allamano per riascoltare il mandato missionario. È in questa casa che si sente ancora: “Andate e predicate”».
«Perché una casa è un luogo di vita, di incontri, dove i religiosi e i laici cercano di vivere e testimoniare la passione per la missione. Parlando dello spirito di famiglia, Allamano parlava della casa dove si sta insieme, dove si vive il quotidiano. Casa come luogo di invio missionario: è da casa che si parte. […]».
Ritorna poi su una famosa frase del santo: «Allamano diceva: “Siate straordinari nell’ordinario”.
Per vivere questa santità, ripartiamo dalle nostre case, ripartiamo dalle relazioni, dalle piccole cose.
Sono partiti da Torino tanti anni fa, erano quasi tutti piemontesi, e per questo motivo adesso siamo qua in tanti, e veniamo da molte parti del mondo».
E per evidenziare questa «mondialità» chiede: «Dove è avvenuto il miracolo? Non a Torino, Roma, o in una grande città, ma tra il popolo dell’Amazzonia».
Un aspetto del popolo di Giuseppe Allamano che ci ricorda anche la preghiera dei fedeli, letta in tante lingue: inglese, portoghese, francese, kiswahili, italiano e spagnolo.
La celebrazione continua, si canta seguendo il coro italiano diretto da padre Sergio. L’atmosfera è quella delle grandi feste. C’è gioia, c’è voglia di viverla tutti insieme, provenienti da tante nazioni e da popoli dei quattro continenti, ma in sintonia.
Suor Lucia Bortolomasi, madre generale delle missionarie dalla Consolata, prende infine la parola, con la sua voce dolce, ma ferma: «È qui che vogliamo esprimere il nostro grazie a Dio e alla Consolata, per questo immenso dono, che è san Giuseppe Allamano. Vogliamo ringraziare tutti voi, amiche e amici, perché ci siete stati vicino in questi giorni di festa, e anche perché, in diversi modi, ci accompagnate nella nostra missione. Un grazie tutto speciale alle nostre missionarie e missionari e alle persone che sono ammalate, ma che ogni giorno offrono la loro preghiera e la loro sofferenza a Dio per l’annuncio del Vangelo, e per sostenerci. Ci danno forza».
Poi aggiunge: «Vogliamo fare un regalo speciale a san Giuseppe Allamano. Vogliamo regalargli il nostro impegno di vivere quella santità che lui ci ha sempre indicato. Essere presenze umili, semplici di consolazione, nella vita di tutti i giorni».
Padre James Lengarin, superiore generale dei missionari, visibilmente contento, quasi euforico, esprime il suo ringraziamento: «Sono qui per dire grazie a tutte le persone che hanno fatto partire questa macchina organizzativa. Tutto è andato bene vero?». E parte un applauso alla commissione organizzatrice.
«Tutti i 35 paesi del mondo in cui siamo presenti, erano rappresentati in questo momento speciale. Siamo una famiglia grande, che si vuole bene».
Ringrazia l’arcidiocesi di Torino, «dove siamo nati e da dove siamo partiti. E anche per gli aiuti concreti che sono arrivati da qui» alle missioni.
Ricorda poi i missionari e le missionarie defunte: «Fanno parte di questa grande famiglia. Loro ci hanno aiutato a essere ciò che siamo oggi. Anche in cielo sono tutti in festa».
Ringrazia la Regione Europa e la Casa Madre e tutti «fratelli vescovi che hanno partecipato».
Conclude con un grazie caloroso «a tutti i pellegrini che sono venuti. Siamo tutti membri di questa famiglia. Ripartiamo da questo santo. Portiamo la consolazione nel mondo e siamo seminatori di speranza».
Con le parole di padre James, si chiude la celebrazione, ma la festa continua, e i pellegrini si accalcano presso la tomba di san Giuseppe Allamano, per un saluto, una preghiera, ma anche per portare a casa una foto con lui, perché da oggi c’è un santo in famiglia.
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.
La varietà e la bellezza della missione di Dio adorna il santuario della Consolata
Con il cuore pieno di gratitudine e di gioia, oggi 24 ottobre i pellegrini di San Giuseppe Allamano hanno riempito il Santuario della Consolata di Torino dove il nuovo santo ha lavorato per 46 anni e ha fondato due congregazioni al servizio della missione ad gentes.
Il rettore del Santuario, canonico Giacomo Martinacci, ha dato il benvenuto ai presenti sottolineando una delle virtù di San Giuseppe Allamano da mettere in pratica nella nostra vita e nella vita della Chiesa: la “fiducia” in Dio e nella Consolata a cui ha consegnato tutto il suo lavoro.
Gli spazi del santuario erano ricolmi di fervore e preghiera ma anche di festa, colori e musicalità, quella del coro che provava i suoi canti. Una chiesa proveniente da tutto il mondo lo abbelliva e accoglieva anche quelle persone che da lontano ci seguivano grazie alla connessione in Streaming che ha accompagnato tutte le celebrazioni di questi giorni festivi.
Da questa casa della Consolata San Giuseppe Allamano inviò i suoi primi missionari nel mondo e oggi questa stessa casa riceve i frutti abbondanti della diversità culturale rappresentanti da missionari, fedeli e pellegrini provenienti dai più diversi contesti geografici. Il Santuario, luogo di partenza per i missionari e le missionarie della Consolata, si è riempito della bellezza della missione di Dio.
Prende la parola padre Gianni Treglia, superiore della Regione Europa e in diverse lingue introduce la celebrazione: “In questo Santuario, Giuseppe Allamano ha speso tutta la sua vita e da questo Santuario è stato lampada che fa luce per molti: sacerdoti, religiosi, laici, ricchi e poveri. Giuseppe Allamano è stato un sacerdote pieno di zelo: sempre pronto a donare a ciascuno una giusta parola, un sorriso di conforto o uno sguardo pieno di tenerezza. Due amori hanno rapito e plasmato la sua vita – sottolinea padre Treglia – l'amore per Gesù Eucaristia e l'amore per la Vergine Maria con il titolo di Consolata nostre Madre tenerissima. Oggi noi lo possiamo nominare santo tra i santi e per questo ringraziamo il Signore”.
I canti in diverse lingue, animati dallo splendido coro di missionari e missionarie della Consolata, armonizza la celebrazione presieduta da mons. Alessandro Giraudo, vescovo ausiliare di Torino. Nella sua omelia invita a seguire l’esempio di San Giuseppe Allamano nell’ascolto della Parola de Dio e nel mettere Cristo al centro della nostra vita e missione. “Lui –ci ricorda il vescovo– continua a indicarci di non smarrire la consapevolezza che se il Signore non è il protagonista allora la nostra vita finisce per riempirsi di tante cose, magari anche opere buone e zelo apostolico, ma rischiamo disperdici. La santità di Giuseppe Allamano risplende perché è rimasto profondamente unito a Cristo e ha vissuto sempre fidandosi di Dio; ha desiderato che altri potessero conoscere il Vangelo e innamorarsi della sua parola di vita; ha sperimentato la dolcezza della consolazione di Maria e con Lei ci invia all’incontro della vita e del cuore delle persone vicine e lontane”.
Mons. Alessandro ha spiegato che “il Vangelo continua a compiersi ogni volta che diventiamo anche noi strumenti nelle mani di Cristo; siamo portatori della sua parola e della sua presenza; usciamo da noi stessi per entrare nella vita di coloro che Dio ci mette sul cammino”. Secondo il vescovo, “San Giuseppe Allamano ha saputo far partire gli altri ed essere padre senza sostituirsi o confondersi con i figli e le figlie”.
Per continuare a portare la luce del Vangelo al mondo dobbiamo far tesoro e moltiplicare il suo insegnamento. Il miracolo che la Chiesa ha riconosciuto come segno di santità, la prodigiosa guarigione di Sorino Yanomami, è il miracolo che avviene quando, lasciandoci condurre da Dio, impariamo a prenderci cura degli altri.
In san Giuseppe Allamano la Chiesa di Torino riceve ancora un grandissimo dono: un concreto cammino di santità offerto a tutti e alla portata di ciascuno. Questo dono, per mezzo dei suoi figli e delle sue figlie, raggiunge anche i popoli di ogni parte del mondo.
Il canto finale esprime appropriatamente il momento di festa e l’impegno che scaturisce da questa celebrazione: “la tua luce, oh Consolata, illumini il nostro lungo cammino, vogliamo seguire le tue orme… Regina caeli laetare”. Ai piedi della Consolata, nutriti dalla Parola e dell’eucaristia, anche noi come pellegrini, animati dalla santità di Giuseppe Allamano, ripartiamo alla volta del mondo per mostrare la luce del Vangelo fino agli estremi confini della terra.
Dopo la celebrazione, tutti si sono riuniti nel cortile del Santuario dove hanno potuto vedere una Mostra sulla vita di San Giuseppe Allamano. Poi, organizzati in gruppi linguistici, si sono recati all'Ospiteria del Servizio Missionario Giovani (SERMIG) per pranzo e una visita alle strutture.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Comunicazione Generale.
Gruppo di pellegrini provenienti da Roraima nel Brasile.