Introducendo la liturgia con la seguente antifona d'ingresso: “rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l'amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione” (cf. Is 66,10-11), ci troviamo nell’ambiente della gioia che è elemento caratteristico della IV domenica di Quaresima, appunto domenica della gioia. Gioire perché Dio è amore e ricco di misericordia, il suo amore verso di noi è la sorgente della nostra gioia. La chiave di lettura è dunque la significativa affermazione di Gesù: “Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”
Il brano biblico tratto dal libro delle Cronache ci narra la storia drammatica del popolo di Israele che consiste nella distruzione del tempio e la deportazione del popolo di Israele verso Babilonia, terra di schiavitù. Viene sottolineata l’infedeltà da parte del popolo di Israele per avere dimenticato tutto quanto Dio è stato per loro a lungo la loro storia più antica a quella più recente. L’infedeltà del popolo è la causa della rottura relazionale tra Dio e il suo popolo, il quale moltiplica la sua infedeltà imitando gli abomini di quelli che non conoscono Dio. Il male, dunque, consiste nell’imitare gli altri che si sono creati delle divinità di comodo, fatte su misura d’uomo, quello che funziona a chiamata, fa da tappabuchi e viene invocato e utilizzato in base alle necessità. Questo è anche il male che colpisce la nostra società che si allontana del Dio vero per imitare altre genti che si sono create divinità di comodo.
Dall’altra parte, invece, ci troviamo davanti un Dio che non si arrende mai: la sua essenza è amore e misericordia. Ed è a motivo del suo amore che si ricorda del suo popolo e suscita, in mezzo a esso, degli istrumenti salvifici. Infatti, “il ricordo del Signore, è la gioia per il suo popolo”. Dio che è amore e misericordia, rimane fedele alla sua promessa e si ricorda sempre del suo amore. Manda dei profeti, ma il popolo, infedele, indurisce il cuore ed è resistente a tutti i richiami. Sono stati capaci di beffare i messaggeri di Dio, disprezzare le loro parole e schernirli. Per tale motivo hanno una vita disperata e triste perché schiavi delle loro divinità di comodo. È impressionante che mentre il Suo popolo si dedica ad imitare altri popoli, causa della loro rovina, Dio è colui che si ricorda della sua essenza e questo ricordare Lo fa agire con amore e misericordia andando incontro al Suo popolo. Paolo afferma “Dio è ricco di misericordia” e ci ha fatto rivivere con Cristo, da morti che eravamo per le nostre colpe. La bontà e la gratuità di Dio è fonte della nostra gioia e salvezza.
Parlando del serpente, Gesù fa riferimento alla narrazione di Nm 21,4-9, il popolo si trovò davanti ai serpenti velenosi, inviati da Dio a causa della loro infedeltà. In questa situazione, il popolo chiese al Signore di allontanare i serpenti. Allora, il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. Quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita. Così, il popolo che era accecato e che guardava solo in basso e alle cose materiali che li distraevano da Dio e causato infedeltà, era chiamata ora ad alzare lo sguardo verso alto, verso Dio che è vita e fonte di vita. Il popolo era chiamato ad avere l’atteggiamento del salmista che afferma: “alzo gli occhi verso il Signore (i monti), perché Egli è il nostro aiuto e la nostra salvezza ed è Lui che ha fatto il cielo e la terra.”
Gesù parlando della sua passione, fa riferimento a questo episodio per dire che bisogna che Egli sia innalzato in croce per essere messo in un punto verso cui tutti devono alzare lo sguardo per avere la vita. È guardando Gesù in croce che scopriamo il vero senso della sua vita: dare la vita per gli altri: morire per gli altri. La croce è segno dell’amore di Dio verso l’umanità, occupata a guardare in basso e alle cose materiali, ma che è invitata a guardare la croce per avere la vita e la gioia. Dev’essere uno sguardo di fede, dobbiamo credere in lui poiché chi crede ha la vita eterna, non viene condannato ma salvato ed ha la vita. Questa è la vera gioia. Contemplare la misericordia e l’amore di Dio.
Il discepolo missionario è colui che è capace di alzare lo sguardo sulla croce di Gesù per imparare e vivere ciò che essa significa, come ha ben detto Papa Francesco: “Bisogna sempre «guardare la croce di Gesù, ma non quelle croci artistiche, ben dipinte»: guardare invece «la realtà, cosa era la croce in quel tempo». E «guardare il suo percorso», ricordando che «annientò se stesso, si abbassò per salvarci». Anche questa è la strada del cristiano. Infatti, se un cristiano vuole andare avanti sulla strada della vita cristiana deve abbassarsi, come si è abbassato Gesù: è la strada dell’umiltà che prevede di portare su di sé le umiliazioni, come le ha portate Gesù.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.
“Non voglio utilizzare le mie parole, ma voglio fare cantare soltanto la Parola di Dio”. Con questa motivazione, il biblista e professore, padre Antonio Magnante, IMC, ha iniziato la sua meditazione nel ritiro quaresimale predicato alla comunità della Casa Generalizia IMC questo sabato, 02 marzo a Roma. Le sue riflessioni dimostrano una raffinata e sistematica conoscenza biblica, e una profonda capacità di meditazione, radicata nella Parola di Dio, frutto di molti anni di studi e di esperienza di insegnamento nelle facoltà teologiche di Londra e Nairobi.
“Uno dei momenti cosiddetti «forti» dell’anno liturgico è certamente la Quaresima. Un lungo periodo in cui siamo chiamati a impegnarci seriamente per penetrare il significato del grande mistero della croce, che è stato e lo è ancora «uno scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23). Va subito rilevato, tuttavia, che per Paolo, la cui Teologia si può definire una «soteriologia cristocentrica» (salvezza incentrata su Cristo), la croce diventa il punto di partenza della sua riflessione cristologica e teologica”, sottolinea padre Magnate nell'introduzione alla sua meditazione.
“La Quaresima va considerata non a sé stante, ma in una visione diacronica dei due Testamenti. Infatti, la croce e la sofferenza del Messia trovano il loro antefatto nella prima economia. La sofferenza del Messia-Cristo è prefigurata nell’Antico Testamento soprattutto dalla figura del Servo Sofferente. Nel Nuovo Testamento tale sofferenza diventa un dato di fatto e cioè un evento sconvolgente della storia umana. Un evento tragico che si consuma sul legno della croce. Nello scorrere delle generazioni la croce diventa poi memoriale salvifico per coloro che credono e modellano la loro vita sullo scandalo della croce stessa. Dunque, noi ci soffermeremo sulla croce e ne vedremo la sua prefigurazione, e poi la considereremo come evento salvifico e come memoriale”.
Di seguito, pubblichiamo il testo integrale della meditazione di padre Antonio Magnante che ringraziamo per averla messa a disposizione di tutti.
Gen 22, 1-2.9.10-13.15-18
Sal 115
Rm 8, 31-34
Mc 9, 2-10
Al centro della pericope, comunemente chiamata “sacrificio di Isacco”, si trova la parola “eccomi” pronunciata due volte da Abramo: una volta rivolta a Dio e l’altra rivolta all’angelo. La risposta di Abramo “hinnenî” cioè “eccomi”, o meglio ancora “ecco me” è una espressione biblica indicante una vera sottomissione, una prontezza a far accadere qualcosa nella vita di una persona. Infatti, Abramo, appena ha sentito il progetto per il quale Dio l’ha chiamato, non fa nient’altro che eseguire: si alza di buon mattino, sella l'asino, prende con sé due servi e il figlio Isacco, spacca la legna per l'olocausto e si mette in viaggio verso il luogo che Dio gli ha indicato.
Abramo ascolta Dio che parla nel suo cuore e si mette subito al servizio di Dio: il suo “hinnenî” è davvero non solo sottomissione, ma anche prontezza a realizzare. Questo suo “hinnenî” è anche la sua fede, la sua obbedienza. Infatti, come dirà l’autore della Lettera agli Ebrei “Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: in Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome” (Eb 11,17-18)”.
Abramo risponde con “hinnenî” quando è chiamato e poi esegue anche quando gli si è stato chiesto qualcosa di umanamente assurdo: “prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami” Come mai Dio può chiedere a un padre di offrire un figlio in sacrificio? Non si tratta soltanto di un figlio ma “tuo figlio”, il tuo unigenito” soprattutto quello che “tu ami”.
Ad Abramo viene chiesto di sacrificare il proprio futuro, il futuro che egli ama e che rischia di rimanere senza discendenza e sparire dal mondo senza lasciare traccia alcuna. Ma anche in quella situazione Abramo è conseguente con il suo “eccomi”, esegue con obbedienza e fede. Obbedisce anche all’angelo che lo chiama e risponde “eccomi” e davanti al progetto di Dio, egli esegue, ma è impressionante la conclusione: “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito” ma l’autore aveva già avvertito al v. 1 che si trattava di una prova: “in quei giorni, Dio mise alla prova Abramo”. Dio voleva sapere se Abramo provava timore di Lui, ne mette alla prova la fedeltà e la fiducia.
Anche al centro della nostra vita dovrebbe esserci la parola “hinnenî”, dovrebbe esserci l’obbedienza, parola che deriva dal latino ob-audire = ascoltare. L’ascolto della voce di Dio e del suo messaggio è alla base dell’obbedienza di Abramo e dovrebbe esserlo anche della nostra. Abramo non discute con Dio, accetta senza condizioni, non capisce, non sa, ma si fida. È una fede quella che richiede la fiducia e l’abbandono. Ma, come abbiamo detto, richiede anche “ascolto”. Ed ecco che nel racconto della Trasfigurazione, la voce dice: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!”
E’ l’esperienza della trasfigurazione. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, li porta su un alto monte dove è trasfigurato: “il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”. Ad un certo momento una voce si fa sentire: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!” Ricordiamo però che sono due soltanto i momenti in cui Dio parla nei Vangeli: nel momento del battesimo e in quello della trasfigurazione: “Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mc 1,11) e “Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (Mc 9,7). In Mc 9,7 si aggiunge una parola definitiva che non c’è nel battesimo: “ascoltate lui”.
È Dio stesso ad avvolgere Pietro, Giacomo e Giovanni con la sua nube e ad indicare loro che cosa devono fare: “ascoltatelo!” Tutto questo ci fa pensare anche all’imperativo dell’ascolto che contraddistingue l’Antico Testamento: “Ascolta, Israele”. L’ imperativo «Ascolta!», in ebraico Shemà, la Bibbia esalta questo verbo, in essa il verbo «ascoltare» non significa soltanto “udire”, ma equivale spesso a “obbedire”. Si tratta, quindi, di un’adesione intima e non di un mero sentire esterno, è necessario un orecchio libero dalle “ortiche” delle chiacchiere, è il non essere «ascoltatore smemorato ma colui che mette in pratica», come scrive san Giacomo.
Il Padre dice: “ascoltatelo!” cioè, ubbidite a lui e seguitelo, dategli ascolto, fidatevi di lui: io stesso, Vostro Dio, ve lo confermo poiché sono io che lo sto guidando in questo cammino che lo porterà presto a dare la vita a Gerusalemme. È lì che dovrete seguirlo senza scoraggiarvi di fronte all’apparente fallimento che vi sembrerà di vivere. Il principio è dunque ascoltare Gesù, la trasfigurazione comincia quando inizio ad ascoltare lui invece di me stesso. Quando la mia vita è veramente centrata sull’ascolto, credo alla sua parola, quando è giocata su di lui ed è proprio l’ascolto progressivo che mi trasforma.
Siamo dunque invitati a seguire Gesù verso Gerusalemme, verso la sua passione e ad essere obbedienti anche quando ci viene richiesta qualcosa che umanamente ci sembra assurda. In questo senso la prova di Abramo è la nostra povera e travagliata vita umana che ci può condurre in situazioni di prova – è quella in cui ogni uomo può imbattersi: prima o poi il credente sperimenta che occorre rinunciare a ciò che ha di più caro e su cui ha fondato la propria vita, per offrirlo puntualmente a Dio. In caso contrario, egli entra in una logica idolatrica, in base alla quale ripone la speranza non in Dio, ma nel suo dono, che finisce per diventare un inciampo… Sì, il credente impara, con fatica, a rinunciare liberamente a ogni persona, a ogni relazione, a ogni cosa, perché nulla gli appartiene: Dio dona tutto, ma tutto a lui appartiene. Dirà Paolo: «Ogni cosa appartiene a voi, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22-23). (Enzo Bianchi).
Con l’ “Ascoltatelo”, per Papa Francesco, i discepoli missionari “sono chiamati a seguire il Maestro con fiducia, con speranza, nonostante la sua morte; la divinità di Gesù deve manifestarsi proprio sulla croce, proprio nel suo morire “in quel modo”, tanto che l’evangelista Marco pone sulla bocca del centurione la professione di fede: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»” e come Dio ha richiamato dai morti Gesù Cristo, «il primogenito di una moltitudine di fratelli» (Rm 8,29), così richiamerà ciascuno di noi dalla morte alla vita eterna nel suo Regno.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.
Gen 9,8-15;
Sal 24;
1Pt 3,18-22;
Mc 1,12-15.
Il tema dell'alleanza permea le tre letture di questa prima domenica di Quaresima. Con il diluvio, il peccato dell'umanità fu annegato e da quelle acque nacque una nuova umanità, simboleggiata da Noè e dalla sua famiglia. Con questa umanità, Dio stabilì un'alleanza frutto del suo amore incondizionato, della sua misericordia e della sua generosità, ma anche frutto della sua pazienza, come dice Pietro nella seconda lettura: “Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca”. Il nostro Dio è un Dio d’amore che aspetta pazientemente la nostra conversione. È lui che stringe l'alleanza con tutti gli esseri viventi. Quanto è grande l'amore misericordioso di Dio! Com'è bello sentire le parole: “non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra”! Quali parole confortanti pronunciate solennemente da Dio dopo la punizione del diluvio.
Nel Vangelo ascoltiamo le prime solenni parole di Gesù, il mediatore della nuova alleanza: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Come dice l'autore della Lettera agli Ebrei, Cristo è sommo sacerdote e mediatore della nuova alleanza, all'inizio del suo ministero pubblico, come si legge nel Vangelo, comunica che con Lui, nella sua persona, si sta compiendo, il tempo delle promesse messianiche. Il regno di Dio è vicino, si è avvicinato: è qui ... è Lui stesso in persona. Come Dio stipula la sua alleanza con la nuova umanità, dopo un diluvio, così Gesù, dopo un momento di smarrimento nel deserto, pronuncia le parole che inaugurano, non solo la sua vita pubblica, ma solennemente anche "il regno di Dio" per la nuova umanità dove Lui stesso è il mediatore della nuova alleanza. Sarà un Regno di amore e di pace, un Regno in armonia con Dio, con gli uomini e con la natura dove si potrà anche “convivere con animali selvatici”, come all'inizio della creazione, quando Adamo fu posto tra gli animali. Attraverso la persona di Gesù, il regno di Dio viene concretizzato, e diventa il criterio di vita per la nuova umanità.
Colpisce che Gesù non inauguri il regno di Dio subito dopo il battesimo, ma dopo quaranta giorni nel deserto. Un luogo scelto non di sua libera iniziativa, ma per opera dello Spirito Santo ... anzi è stato trascinato come sottolinea la sfumatura del verbo greco: "lo Spirito sospinse Gesù nel deserto".
Marco vuole sottolineare che il passaggio nel deserto non è stato accidentale, ma è opera dello Spirito Santo. Gesù va nel deserto perché lo Spirito Santo vuole che vada lì per essere tentato, come ogni uomo è soggetto alla tentazione. Gesù, come Noè, con la fede sconfigge le tentazioni e proclama la sua vittoria: l'istituzione del regno di Dio. Pertanto, non si può essere membri di questa nuova famiglia, nuova umanità, se non si superano con fede le tentazioni nei nostri deserti quotidiani, dobbiamo attraversare il deserto ogni giorno per purificarci. Questo è il tempo della Quaresima: un tempo di deserto, dove affrontiamo "animali selvaggi" come un luogo in cui non solo identifichiamo le nostre tentazioni ma siamo in grado di affrontarle e purificarle per vincere ed entrare in relazione con il regno di Dio
A tal fine, Gesù indica due vie: la prima è quella della conversione e la seconda è quella del credere al Vangelo. Infatti, dice "convertitevi e credete nel Vangelo". La prima via da percorrere è quella della conversione, metanoia, cioè, cambiare stile di vita, è una svolta decisiva che consiste nell'allontanarsi dal passato per iniziare un nuovo cammino orientato verso Cristo, la Buona Novella della salvezza. La seconda via da imboccare è vivere e credere al Vangelo, aderire pienamente al Regno di Dio, che si manifesta in Gesù. Credere è aprirsi e avere piena fiducia in questo nuovo progetto del Regno, è quindi seguire Gesù. Gesù dice che è giunto il momento perché il Regno di Dio è presente, attraverso la sua persona, e dobbiamo, conseguentemente, comportarci in modo nuovo: convertirci per camminare verso il Regno, credendo al Vangelo.
La Quaresima è un percorso necessario per la nuova umanità che deve, come Cristo, fare propria la presenza del Regno di Dio nella vita quotidiana. Dovremmo essere noi stessi il Regno di Dio in mezzo alla società. Per questo è imperativo convertirsi, pentirsi e credere nel Vangelo.
Il Discepolo missionario è invitato a seguire Gesù poiché la “conversione è seguire il modello di Dio” che è amare. “L’amore è sempre libero ed essendo libero richiede una risposta libera: cioè richiede la nostra conversione. Si tratta, cioè di cambiare mentalità – questa è la conversione, cambiare mentalità - cambiare vita: non seguire più il modello del mondo, ma quello di Dio, che è Gesù. Seguire Gesù, come aveva fatto Gesù e come ci ha insegnato Gesù”.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.
Dt 18,15-20
Sal 94
1Cor 7,32-35
Mc 1-21-28
Nel vangelo di Marco Gesù per tre volte entra in una sinagoga e ogni volta sarà occasione di conflitto. Il numero tre, secondo il linguaggio simbolico della Bibbia, significa quello che è completo. L’evangelista intende segnalare la completa opposizione tra Gesù, il figlio di Dio che è venuto a liberare il popolo, e un’istituzione che pretende di dominare Dio, ma che in realtà domina il popolo.
La prima volta, come vedremo nel brano che adesso esaminiamo, Gesù viene interrotto; la seconda volta i farisei con gli erodiani decidono di farlo morire, perché ha trasgredito pubblicamente al comandamento del sabato, e la terza volta addirittura nel suo paese, a Nazareth, lo prendono per uno stregone. E Gesù si meraviglia della loro incredulità.
Vediamo cosa ci scrive l’evangelista. “Giunsero a Cafarnao e subito, Gesù entrato di sabato nella sinagoga”, il sabato è il giorno del culto, “insegnava”. L’evangelista non segnala che Gesù partecipa al culto della sinagoga, ma entra nella sinagoga e immediatamente si mette a insegnare. “Ed erano stupiti del suo insegnamento”, l’insegnamento di Gesù stupisce.
“Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”. Gli scribi erano laici e, dopo tutta una vita dedicata allo studio, all’approfondimento della Sacra Scrittura, ricevevano, attraverso l’imposizione delle mani, la trasmissione dello Spirito di Mosè, dello Spirito dei profeti. Da quel momento diventavano i teologi ufficiali del sinedrio e la loro autorità era più grande di quella del sommo sacerdote e dello stesso re.
Dice il Talmud, il libro sacro degli ebrei, che le decisioni e le parole degli scribi sono superiori alla Torah. Erano pertanto il magistero infallibile dell’epoca. L’insegnamento degli scribi era la stessa parola di Dio, anzi era superiore perché in caso di controversia bisognava credere agli scribi. Ebbene, mentre Gesù arriva a Cafarnao e si mette a insegnare, la gente è stupita, sente un insegnamento diverso.
Il messaggio di Gesù è la risposta di Dio al desiderio di pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro. Il messaggio degli scribi, che poi Gesù denuncerà, in realtà erano precetti d’uomini. Contrabbandavano come insegnamento divino quella che invece era la loro volontà, i loro precetti per dominare il popolo.
Già Geremia riporta la denuncia del Signore che dice, rivolto a questi scribi: “Come potete dire ‘noi siamo saggi perché abbiamo la legge del Signore?’ A menzogna l’ha ridotta lo stilo menzognero degli scribi”.
Quindi gli scribi per il proprio potere, per il proprio dominio, per la propria convenienza, hanno deturpato la legge di Dio. E, come Gesù denuncerà, insegnano precetti di uomini annullando la parola di Dio. Ebbene, di fronte a questa novità dell’insegnamento di Gesù, che viene accolto con stupore e con meraviglia perché è qualcosa di nuovo, “Ecco”, letteralmente “subito, immediatamente”. E’ la stessa espressione che l’evangelista ha indicato nel momento in cui Gesù entra a Cafarnao e si mette ad insegnare.
Quindi appena Gesù si mette a insegnare, subito, “nella loro sinagoga”; l’evangelista prende le distanze. La sinagoga non appartiene più alla comunità cristiana. “Vi era un uomo”, quindi un singolo individuo, “posseduto da uno spirito impuro”. Cosa significa “spirito impuro”? Spirito significa forza, energia. Quando questa forza proviene da Dio si chiama “santo”, non soltanto per la qualità, ma per l’attività, di santificare, cioè separare l’uomo dalla sfera e attirarlo in quella del bene.
Dalla sfera delle tenebre a quella della luce. Quindi lo spirito, quando proviene da Dio, attrae l’uomo dentro la dimensione divina dell’amore. Quando questo spirito proviene da forze contrarie a Dio si chiama impuro perché mantiene l’uomo nella cappa delle tenebre e quindi della morte.
Quindi c’è un uomo che è posseduto da uno spirito impuro. Essere posseduti da uno spirito impuro significa aver dato adesione a una ideologia, a una dottrina che rende incompatibili con l’insegnamento di Gesù, come vedremo qui.
“Cominciò a gridare”, quindi appena Gesù inizia ad insegnare, subito c’è uno che incomincia a gridare. “Dicendo: «Che vuoi da noi?»” E’ strano, è una persona singola eppure parla al plurale. E lo chiama “Gesù Nazareno”, cioè ricorda la sua origine. Nazareth infatti era il covo dei bellicosi nazionalisti.
“«Sei venuto a rovinarci?»” Ma chi è che Gesù sta rovinando? Chi è che si sente minacciato dall’insegnamento di Gesù? Non certo i presenti che anzi sono stupiti favorevolmente da questo insegnamento, che sentono come la risposta di Dio al loro desiderio di pienezza di vita. Chi è che Gesù sta rovinando con il suo insegnamento? Sta rovinando l’autorità degli scribi, quelli che pretendevano di parlare in nome di Dio. E’ questa la classe che si sente minacciata. E dice: “«Io so chi tu sei: il santo di Dio!»”
Il “santo di Dio” è un’espressione che indica il messia che doveva osservare la legge e imporre l’osservanza di questa legge. Quindi richiama Gesù a quello che è il suo compito, alla tradizione, alla legge. Gesù non entra in dialogo, “gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!»” Nel conflitto tra lo spirito di Dio e lo spirito impuro è il primo ad avere la meglio. “E lo spirito impuro straziandolo…” Perché “straziandolo”?
Dover riconoscere a un certo punto della propria esistenza che l’insegnamento religioso al quale si è aderito non proveniva da Dio, ma addirittura allontanava da lui, ecco tutto questo causa una profonda lacerazione nell’individuo. Ci hanno insegnato da sempre che certe cose erano sacre e scoprire che, non solo non erano sacre, ma addirittura allontanavano da Dio, questo è lo strazio, la lacerazione profonda.
“E, gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi …”, qui la traduzione CEI traduce con “timore”, ma non è timore, è stupore, meraviglia. Non è paura, è una piacevole sorpresa; “tanto che si chiedevano a vicenda: «Chi è mai questo? Un insegnamento nuovo»”. Non è un nuovo insegnamento, che si va ad aggiungere a quello degli scribi, ma un insegnamento nuovo. Il termine adoperato dall’evangelista per “nuovo”, indica una qualità migliore superiore.
Quindi la gente sente nel messaggio di Gesù un’eco nuova, sente nel messaggio di Gesù la parola di Dio che arriva al cuore delle persone. L’insegnamento degli scribi era un insegnamento ripetitivo, teso soprattutto ad inculcare sempre il senso di colpa, l’indegnità delle persone. L’insegnamento di Gesù è l’eco della parola di Dio, una parola che, se accolta, trasforma la vita delle persone.
“«Un insegnamento nuovo dato con autorità»”. La gente riconosce che il mandato divino di annunciare la parola non è degli scribi, ma è di Gesù. Ecco perché l’uomo che aveva aderito alla dottrina degli scribi si sente minacciato e con lui sente minacciata tutta la categoria di questi teologi, e per questo ha detto “sei venuto a rovinarci”.
Ecco la rovina. La gente riconosce che nell’insegnamento di Gesù c’è l’autorità divina, c’è il mandato divino. La gente ha capito che Dio non si manifesta nella dottrina imposta dagli scribi, ma nell’attività liberatrice di Gesù. “«Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!»” L’evangelista indica che la liberazione dalla dottrina degli scribi è ormai iniziata e infatti “La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea”.
Quindi l’annunzio di Gesù ormai dilaga. Questa proposta di pienezza di vita viene fatta propria dalle persone che l’attendevano con ansia.
* Padre Alberto Maggi, OSM, Centro Studi Biblici G. Vannucci, a Montefano (Mc).