Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12
Nella festa della manifestazione del Signore o Epifania la prima lettura mette al centro la città di Gerusalemme che diventa un punto di speranza fondamentale, poiché luce e luogo della rivelazione della gloria del Signore, non solo del popolo d’Israele, ma di tutti i popoli della terra che andranno verso di essa e da essa riceveranno la luce. Infatti, “tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”.
Nel Vangelo, invece, è Gesù la luce e il luogo della rivelazione della gloria del Signore. Alcuni Magi, in rappresentanza dei popoli pagani, giungono da oriente, verso Gesù che è la luce e la gloria, come aveva già detto Simeone: “i miei occhi han visto la tua salvezza che hai preparato davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,29-32).
Così come Gerusalemme è chiamata ad alzarsi, rivestirsi di luce, alzare gli occhi per guardare, così anche noi - i discepoli di Gesù - siamo invitati ad alzarci, rivestirci di luce, alzare gli occhi intorno e guardare poiché siamo noi “luce del mondo” (Mt 5,14) Gesù dirà infatti ai suoi discepoli, i credenti: "Voi siete la luce del mondo" e quindi "Risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre nei cieli" (Mt 5,16), la nostra luce deve dunque risplendere davanti agli uomini perché vedano le nostre opere buone e glorifichino il Padre.
“Tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”
Il tema della luce, nel brano odierno di Isaia, è fondamentale e attraversa tutta la narrazione. Gerusalemme è chiamata ad alzarsi per rivestirsi di luce, la vera luce che arriva dal Signore. Tale Luce risplenderà sopra Gerusalemme, brillerà sopra di essa. La città sarà radiante e potrà finalmente attrarre i popoli lontani che cammineranno verso la luce della città. Una città radiante e attraente, mentre il mondo sarà ricoperto dalle tenebre, la città risplenderà di luce ed essa stessa diventerà luce per le nazioni e centro di attrazione di tutti i popoli, poiché Dio vi è presente.
È ben chiaro che gli abitanti di Gerusalemme sono chiamati ad alzarsi ed aprirsi alla luce, per poterla accogliere, l’autore afferma di lasciarsi “rivestire di luce”. Nella tradizione biblica l’abito è simbolo dell’identità. Sono chiamati ad essere luce ad identificarsi con la luce, solo così potranno avvolgere di luce le città che sono immerse nelle tenebre. Inoltre, Gerusalemme ed i suoi abitanti sono chiamati ad alzare lo sguardo: “alza gli occhi intorno e guarda”. Gerusalemme abituata ad essere ripiegata su se stessa e anche chiusa nella sua dimensione, è chiamata ad alzare gli occhi e guardare il popolo che vive in lei. Un popolo che vive nelle tenebre e nell’oscurità, il quale alzando gli occhi, volgendo verso l’alto lo sguardo potrà rendersi conto della sua missione e vocazione: essere luce che illumina l’umanità intera: un piccolo popolo che diventa faro di luce in grado di attrarre l’umanità intera.
Nel Vangelo di Matteo, Gesù viene presentato come luce e luogo della rivelazione della gloria del Signore, è la realizzazione della profezia di Isaia: “E tu, Betlemme, … da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele». I Magi rappresentano il mondo pagano, il mondo che vive nelle tenebre e nell’oscurità e che va all’incontro della luce. Si lasciano trascinare dalla luce che è Gesù: “nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2,1-2). I Magi hanno visto “sorgere la stella”, l’hanno collegata alla nascita di Cristo e si sono messi in cammino verso Gerusalemme, radiante di luce, una città verso cui convergono in pellegrinaggio tutti i popoli secondo il profeta Isaia. “Gesù diventa radianti di luce per i pastori prima, per i magi e per tutti noi”. I Magi si alzano e si mettono in cammino attratti dalla luce, anche noi dobbiamo camminare rischiararti dalla luce della stella che è il Vangelo: “La tua parola è luce sul mio cammino”, come dice il salmista.
Dopo una lettura della mia bozza, una carissima amica mi fa notare che “sappiamo che la luce si propaga anche nel vuoto…, e che è un’onda elettromagnetica che interagisce con la materia. Gesù che è luce raggiunge anche il vuoto, porta movimento e per sua natura interagisce. Infatti, chi ne è toccato non è più quello di prima…. Ecco perché i Magi prendono una nuova strada”
Il discepolo missionario, si lascia trascinare e muovere dalla luce come i Re Magi, come ha ben sottolineato Papa Francesco: “una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. È la santa furbizia, quella degli stessi Magi, che ci guida nel cammino della fede, che non ci fa cadere nelle insidie delle tenebre e che ci insegna come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita. In questo tempo è tanto importante questo: custodire la fede. Bisogna andare oltre, oltre il buio, oltre il fascino delle Sirene, oltre la mondanità, oltre tante modernità che oggi ci sono, andare verso Betlemme, là dove, nella semplicità di una casa di periferia, tra una mamma e un papà pieni d’amore e di fede, risplende il Sole sorto dall’alto, il Re dell’universo.”
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
1Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
Quando leggiamo il vangelo occorre sempre distinguere quello che l’evangelista ci vuol dire, e questa è la parola di Dio che è valida per sempre, da come lo dice, usando gli schemi teologici e letterari della sua cultura e del suo tempo.
Questo a maggior ragione nel brano che la Chiesa, la liturgia, ci presenta per la festa della Santa Famiglia perché, se vediamo questo episodio dal punto di vista letterale, più che una santa famiglia sembra una famiglia veramente sconclusionata. Un figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire i genitori, i genitori che si accorgono dell’assenza del figlio soltanto dopo una giornata e il figlio addirittura che rimprovera i genitori. Vediamo allora cos’è che l’evangelista ci vuole trasmettere ricordando come iniziato questo vangelo.
Quando l’angelo ha annunciato a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni Battista aveva detto che veniva per “portare il cuore dei padri verso i figli”. Era una citazione della profezia del profeta Malachia che però continuava “e il cuore di figli verso i padri”. Ebbene Luca non è d’accordo. Non è il nuovo che deve accogliere il vecchio, ma è il vecchio che deve sforzarsi per accogliere il nuovo, è quello che farà Gesù. Gesù non cammina, non segue le orme dei padri, ma sono i padri che devono accogliere la sua novità.
I fatti sono risaputi, è la festa della Pasqua, è una delle tre grandi feste annuali per le quali gli ebrei si recavano a Gerusalemme, ci portano anche Gesù e Gesù rimane a Gerusalemme senza avvertire i genitori. I genitori se ne accorgono soltanto dopo un giorno di cammino ed ecco che arriva l’incidente.
Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio in mezzo, l’evangelista presenza Gesù come immagine della sapienza divina che siede in mezzo, ai maestri che li ascoltava e li interrogava e tutti sono stupefatti, sconvolti per la sua intelligenza e per le sue risposte. Ed ecco il punto centrale di questo episodio, l’incidente, al vederlo restarono stupiti, non si aspettavano i genitori di trovarlo lì, e sua madre gli disse, e qui la madre l’evangelista non parla mai di Maria, non la nomina mai. Quando i personaggi non sono presentati con il loro nome, ma sono anonimi significa che sono personaggi rappresentativi.
Pertanto, nella figura della madre l’evangelista vuole raffigurare l’attesa frustrata del popolo di Israele che non si riconosce in questo messia che si apre al nuovo.
Gli disse: Figlio”, e il termine greco indica significa bambino mio, uno sul quale io ho diritto, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo. Ebbene Gesù anziché scusarsi passa al contrattacco e la prima e unica volta in questo vangelo in cui Gesù si rivolge alla madre è per parole di aspro, severo rimprovero.
Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate?”, sta dando loro degli ignoranti e infatti dice non sapevate, qualcosa che dovevano sapere, che io devo, il verbo dovere adoperato dall’evangelista indica che è espressione della volontà divina, occuparmi delle cose del Padre mio? La madre ha detto a Gesù Ecco, tuo padre e io, Gesù le ricorda che suo padre non è Giuseppe, suo padre è un altro e lui deve stare nelle cose del Padre suo.
Ebbene scrive l’evangelista, commenta, che essi non compresero, è troppo grande questa novità, ciò che aveva detto loro, ma, ecco qui incomincia a svilupparsi e a crescere la figura della madre di Gesù che arriverà al punto di diventare poi la discepola del figlio, sua madre custodiva tutte queste cose, cioè ci rifletteva.
È una grande novità, è qualcosa che la sconcerta, ma la madre di Gesù è grande perché non rifiuta il nuovo, ci pensa, ci riflette, e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini.
Qui il riferimento dell’evangelista è uno dei più grandi profeti della storia di Israele, il profeta Samuele, che anche lui cresceva davanti a Dio e agli uomini con la grazia. Quindi è una novità grande quella che l’evangelista ci presenta ed è un invito a lasciare il passato per aprirsi al nuovo. Soltanto che si apre al nuovo cammina con Gesù e va verso il Padre.
* Padre Alberto Maggi, OSM, Centro Studi Biblici G. Vannucci, a Montefano (Mc).
Lc 2,15-20
Dopo la narrazione di come avvenne la nascita di Gesù a Betlemme e come tale nascita fu annunciata ai poveri pastori che vegliavano sulle loro greggi (Lc 2,1-14), la pagina del Vangelo che ci è proposta nella messa dell’Aurora, fa seguito alla narrazione della nascita, raccontando, con gran movimento, come i pastori reagiscono alla notizia.
Nel tempo in cui nacque Gesù, pur essendo i pastori dei disgraziati, la feccia della società, degli emarginati, essi (però) diventano i primi destinatari privilegiati dell’evento della nascita del Salvatore del mondo e furono, nel contempo, i protagonisti, i primi a rendere omaggio al Salvatore. Le caratteristiche dei pastori e di tutti coloro che vogliono vedere il bambino Gesù sono l’umiltà e la curiosità ed avere Dio come massima priorità.
Da persone umili, semplici curiose, essi si mettono in movimento per andare e per tornare: andare per vedere e tornare “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”. Sottolineiamo dunque alcune delle reazioni dei pastori.
La prima è quella di aver bisogno di vedere perciò i pastori vanno a vedere per verificare l’accaduto: “andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andare per vedere: i pastori non rimangono nel torpore e nell’indifferenza della vita quotidiana davanti al grande annuncio ma sentono il bisogno di mettersi in cammino per il luogo dove è avvenuta la nascita del Salvatore. Nulla impedisce loro di mettersi in cammino: né la notte, né la paura dell’ignoto: essi vanno senza indugio.
La seconda reazione è “mettersi in cammino”. Non si tratta di un semplice aver bisogno di andare, un mero desiderio ma questo desiderio deve diventare realtà. Essi, lasciando il gregge, si mettono subito in cammino. L’evangelista sottolinea che essi sono andati subito senza indugio cioè un andare senza troppi calcoli, dando tutto per scontato o per abitudine, muri alzati, amarezze, egoismi, rancori, pettegolezzi. Si liberano di tutti questi ostacoli per passare dal desiderio all’esecuzione. Compiono questo gesto perché la notizia della nascita del bambino Gesù ha la massima priorità.
In una società come la nostra dove “nell’elenco delle priorità Dio si trova all’ultimo posto”, come l’aveva detto Papa Benedetto XVI, occorre smuoversi e seguire l’esempio dei pastori che mettono al primo posto Dio e la salvezza che ne deriva. Il nostro mondo può mettersi in cammino senza indugio solo se è capace di cambiare l’ordine dei valori, eliminando tutte le cose che sembrano urgentissime e quindi occupano il primo posto. Invece, bisogna vedere l’importanza di Dio e lasciarsi innamorare di lui.
Solo se ci smuoviamo avremo la possibilità di trovare Maria, Giuseppe e il Bambino, come fecero i pastori. Avendolo trovato possono testimoniare ciò che del Bambino è stato detto loro. Loro non parlano di se stessi, dei loro sentimenti, di quello che sanno ma parlano di Dio, danno testimonianza.
La terza reazione dei pastori è quella di glorificare e lodare Dio. Infatti, essi “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Mentre davanti a Maria e Giuseppe i pastori testimoniano tutto ciò che avevano udito, ritornando glorificano e lodano Dio.
Il discepolo missionario è colui che si muove davanti alla novità della nascita come fecero i pastori. Infatti, come ha sottolineato il Santo Padre, essi si muovono: “Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio. E dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo, tanto che «tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (v. 18)”.
“Mettiamoci in cammino senza paura.
Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui,
il bandolo della nostra esistenza redenta,
la festa di vivere, il gusto dell’ essenziale….
Allora finalmente non solo il cielo dei nostri presepi,
sarà libero di smog, privo di segni di morte
e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni,
strariperà la speranza” (Don Tonino Bello).
Buon Santo Natale
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Mi 5, 1-4; Sal 79; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48
Le letture di questa domenica ci permettono di contemplare segni piccoli e semplici, persone e realtà umili attraverso le quali, Dio compie le sue grandi opere di salvezza. A Betlemme, un piccolo ed insignificante paese, secondo il profeta Michea, sarebbe nato il Messia, da Maria, che riconoscendo la sua piccolezza, si mette, in fretta, al servizio di Elisabetta e Zaccaria. Betlemme e Maria sono modelli dell’umiltà e disponibilità dell’accoglienza: in questo caso del Messia.
La prima Lettura non solo sottolinea la piccolezza e l'insignificanza di Betlemme, ma anche e soprattutto, viene messo in risalto che Dio, da questa piccolezza, farà nascere il Salvatore, colui che sarà grande fino agli estremi confini della terra e che sarà Egli stesso la pace. Betlemme, “casa del pane”, non è solo il villaggio più piccolo fra i villaggi di Giuda ma anche uno degli ultimi. Infatti, l'autore pone l'attenzione su Betlemme che egli riconosce tanto piccolo, di ben poca importanza, pur essendo tra i capoluoghi di Giuda. Ma da questa piccola realtà nascerà colui che porterà la speranza e la pace, colui che pascerà con la forza del Signore, colui che darà sicurezza e pace al popolo, “sarà grande fino agli estremi confini della terra” (v. 3). Da un popolo umiliato a causa della dominazione straniera, nascerà il dominatore di tutta Israele e sarà Lui che si leverà e pascerà con la forza dell’Altissimo.
È un messaggio di speranza non solo per il piccolo resto d'Israele ma anche per tutti fino agli estremi confini della terra. È allo stesso tempo un messaggio di pace poiché da questa piccola realtà nascerà quello che viene chiamato la pace per l’umanità. Dall'umiltà, dalla piccolezza nasce la vera speranza e pace. È quest’umiltà e questa piccolezza – Betlemme - che accoglie la speranza e la pace di tutto un popolo. Dalla nostra piccolezza Dio può far nascere la pace e la speranza. Mettiamoci alla sua disposizione.
Subito dopo l'annunciazione, Maria si alza e si mette in viaggio “in fretta”, con zelo e slancio, senza frapporre indugi, per recarsi presso una sua parente che abita nella regione montuosa. Maria, giovane ed umile vergine, quella che non conosce uomo, alla quale l'angelo ha rivelato un grande progetto, va a visitare la sua parente molto più vecchia di lei. La strada verso la regione montuosa che Maria percorre corrisponde a tre, quattro giornate di cammino. Questa umile e insignificante ragazza agli occhi degli uomini ma che per Dio è “piena di grazia” quella che per eccellenza è oggetto dell'amore e della grazia di Dio. È lei che si dichiarerà “l’umile serva del Signore” annoverandosi dunque tra i piccoli, i poveri e si proclama lei stessa “umile”. Perché questa giovane ragazza si mette in viaggio per andare da Elisabetta se non è stata da lei chiamata?
È vero che Maria, non poteva tenere dentro di sé e con sé, la bella notizia che aveva appena ricevuto, di essere la madre del Salvatore e dunque aveva il desiderio di con-dividere. Avrebbe potuto con-dividere con i suoi genitori oppure con le persone che le erano accanto senza avere bisogno di andare nella regione montuosa e fare tre o quattro giornate di cammino, ma l'angelo le aveva anche comunicato che la sua parente Elisabetta, sterile, era al sesto mese di gravidanza, grazie all'azione dello Spirito di Dio. Maria avendo capito che la situazione di Elisabetta comportava una fatica e un impegno più grandi del normale va da lei ad aiutarla.
Maria è dunque mossa dal desiderio di fare un gesto di carità, di generosità e di amore, non vede se stessa, ma pensa all’altra persona, al suo bisogno mettendosi a sua disposizione. Avrebbe potuto pensare, sono incinta e voglio avere tutti i riguardi, invece ha pensato alla sua parente, in età avanzata, che avrebbe avuto sicuramente più bisogno. Non pensa a se stessa, al compito che le è stato affidato. Questa è la volontà del Padre: è necessario vivere e manifestare l'amore reciproco. “Per portare la vita non serve essere donne…. In questo vangelo Maria è feconda e genera azione solo con un saluto… ognuno di noi con piccoli gesti può essere generativo. Le due donne hanno età diverse, ma quello che le unisce è la generatività”.
La carità e la generosità di Maria divengono una grazia per tutti, non solo per Elisabetta ma anche per Giovanni. Grazie alla carità premurosa di Maria, Giovanni sussulta nel grembo di sua Madre la quale è colmata dello Spirito Santo. Maria è Madre del Messia, nel suo grembo porta il Santo, colui che è fonte di ogni benedizione e sorgente di gioia messianica. Questa benedizione e gioia sono propagate da Maria.
Il discepolo missionario si prepara, come Maria, a vivere un Natale estroverso, come afferma Papa Francesco, cioè un Natale dove al centro non ci sia il nostro “io”, ma il Tu di Gesù e il tu dei fratelli, specialmente di quelli che hanno bisogno di aiuto. Il discepolo missionario allora lascerà spazio all’Amore che, anche oggi, vuole farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi.
Buon cammino verso la meta agognata con le parole di don Primo Mazzolari: “Sei venuto per tutti: per coloro che credono e per coloro che dicono di non credere. Gli uni e gli altri, a volte questi più di quelli lavorano. Soffrono. Sperano perché il mondo vada un po’ meglio … Sei il Salvatore degli orientali e degli occidentali, sei con tutti, non per dare ragione a tutti, ma per amare tutti”
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).
Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38
La festa dell’Immacolata Concezione ci fa contemplare il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo del Padre dalla prospettiva della Vergine Madre, colei che ha saputo e potuto spalancare le porte al desiderio di salvezza di Dio per ogni uomo.
La particolare condizione di Maria, fin dal suo concepimento, non è un dato teologico contenuto esplicitamente nelle Scritture, ma il frutto di una riflessione maturata senza soluzione di continuità lungo i secoli nell’intelligenza credente del popolo di Dio.
La concezione senza peccato di Maria va compresa come una libera iniziativa di Dio Padre in relazione al dono del suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo. Nella vergine di Nazaret possiamo contemplare con un largo anticipo, nella carne di una creatura umana, gli effetti della redenzione di Cristo che si sarebbero manifestati pienamente nella sua Pasqua eterna. Per cogliere tutto lo spessore di questa mirabile iniziativa divina, occorre partire da quel momento drammatico che la nostra tradizione ha definito “peccato originale”, cioè quando l’uomo ha cominciato a nutrire paura nei confronti del suo Creatore: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10).
Per salvare l’essere umano precipitato nell’abisso del sospetto, Dio ha dovuto fare i conti con la necessità di dialogare con un cuore semplice, in cui la sua parola avrebbe potuto trovare ascolto e dimora. È molto importante cogliere questa premessa, perché la condizione di Maria non sia compresa all’insegna del privilegio, ma della piena solidarietà con l’Adamo decaduto dall’amicizia con Dio a causa del peccato: «O Padre, che nell’Immacolata concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato [...]» (cf. Colletta).
Dio, quindi, non ha concesso uno speciale favore a Maria creandola senza peccato, ma ha cominciato a fare con lei quanto desidera operare con tutti: elargire gratuitamente il suo sommo bene, per far conoscere al nostro cuore spaventato e smarrito la grandezza del suo amore, che strappa la nostra vita dalla solitudine e dal peccato. D’altra parte, se è vero che solo Maria è stata scelta per essere la Madre del Signore, è altrettanto vero che tutti siamo stati «scelti» da Dio «prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4).
Dal vangelo di Luca possiamo intuire come la tenebra cancellata dal cuore di Maria sia, in fondo, la più velenosa e nascosta delle paure: il timore di non essere in grado di ascoltare e fare la volontà di Dio. Nel percorso dell’Annunciazione, Maria si rivela una creatura segnata dal timore di fronte all’Altro, eppure serenamente aperta e capace di lasciarsi condurre oltre se stessa: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).
La proposta di Dio è immensa, audace. Eppure, il cuore della Vergine scopre di poter restare in piedi di fronte all’angoscia della morte, sentendosi al sicuro nel disegno di amore dell’Altissimo, al riparo della «sua ombra» (1,35). Per questo non può che concludere il suo dialogo con la volontà del Padre abbracciando con gioia ed entusiasmo quanto le è stato appena proposto:«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Il cuore immacolato di Maria non si rivela solo nella capacità di aderire all’inaudito progetto di Dio, ma anche nella libertà di non esigere da Dio altro se non il rispetto della propria partecipazione all’universale disegno della salvezza: «E l’angelo partì da lei» (1,38). Dopo l’Annunciazione, la «piena di grazia» diventa vuota di privilegi, umile custode del grande destino di ogni essere umano: «il Signore è con te» (1,28).
Per sua intercessione, ogni discepolo di Cristo può tornare a desiderare la liberazione «da ogni colpa» (preghiera sulle offerte). Soprattutto la guarigione del cuore che si ostina a temere e a tremare, anziché consegnarsi alla realtà della vita nuova in Cristo, nella speranza che «nessuna parola da parte di Dio sarà impossibile» (cf. Lc 1,37).
* Roberto Pasolini è Frate minore cappuccino. Originalmente pubblicato in: www.nellaparola.it