Diversi rappresentanti di vari Paesi della regione Pan-amazzonica si sono radunati dal 6 all'8 novembre a Puyo, nell'Amazzonia ecuadoriana, per riflettere sulle sfide e sui progressi fatti nella regione, rinnovando il loro impegno per la giustizia socio-ambientale, la difesa dei diritti umani e la realizzazione di una Chiesa dal volto amazzonico.
“Amazzonia: fonte di vita nel cuore della Chiesa”. Questo motto ha accompagnato la Rete Ecclesiale Pan Amazzonica (REPAM) nei suoi primi dieci anni ed è l'ispirazione fondamentale del decimo Comitato Esteso della Rete radunato a Puyo.
All'Assemblea generale partecipano i rappresentanti delle Reti nazionali di Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana francese, Perù e Venezuela, oltre ai membri dei Centri tematici e delle istituzioni consorelle europee. È a Puyo che, nel 2013, è stato gettato il seme che, un anno dopo a Brasilia, avrebbe dato vita alla REPAM
“Oggi vogliamo darvi il benvenuto a Puyo. Essere qui oggi significa tornare alle origini della REPAM, tornare alle radici via via rafforzate dai diversi incontri nei nostri Paesi fratelli della regione pan-amazzonica. Siamo felici di accogliervi dove abbiamo piantato il seme che è nato dieci anni fa a Brasilia, e che abbiamo celebrato il 12 settembre di quest'anno”, ha detto il presidente della Rete e vescovo di Puyo, monsignor Rafael Cob.
Monsignor Rafael Cob, presidente della REPAM
Nel suo intervento, il vescovo Rafael ha sottolineato l'impegno della Chiesa nei confronti dell'Amazzonia e dei suoi popoli, evidenziando l'importanza di procedere verso una trasformazione integrale: “Questo incontro è un'opportunità per continuare a tessere i nostri sogni: quelli su cui abbiamo lavorato nel Sinodo per l'Amazzonia (2019) con lo spirito di conversione che Papa Francesco ci ha chiesto nella Querida Amazonia; e i sogni dei nostri popoli che dobbiamo realizzare, rispondendo al grido della terra e al grido dei popoli”.
Mons. Rafael Cob ha anche ricordato l'urgenza di alzare la voce di fronte alle ingiustizie che affliggono la regione: “Di fronte alla devastazione della nostra foresta e alla dolorosa realtà dei territori che soffrono le conseguenze dello sfruttamento, continuiamo ad alzare la nostra voce profetica contro coloro che sono responsabili di amministrare e realizzare la giustizia. La Chiesa deve essere una mano solidale e samaritana per i popoli che si muovono e vivono nell’Amazzonia”.
Suor Carmelita FMA, vicepresidente della REPAM
Suor Carmelita da Conceição, salesiana e vicepresidente del REPAM, condivide la gioia di poter nuovamente radunare i popoli amazzonici per continuare a tessere vita e speranza:
“Questo incontro è un'occasione per celebrare il dono che Dio ci ha fatto: un'istituzione che cerca l'unità, che si organizza per trovare soluzioni alle grandi sfide che i nostri popoli amazzonici devono affrontare. La REPAM è quindi un segno di vita e di speranza in mezzo alle avversità”.
“L'altro grande obiettivo di questo incontro” - ha proseguito suor Carmelita – “è sognare e pianificare il futuro. Vogliamo organizzare le nostre azioni per i prossimi cinque anni, partendo dai frutti che abbiamo raccolto in questi primi dieci anni per gettare nuovi semi che renderanno la nostra missione in Amazzonia più concreta ed efficace”.
Comitato allargato della REPAM
Fondata nel 2014, la REPAM è una rete ecclesiale al servizio della vita nei territori della regione pan-amazzonica, con l'obiettivo di rendere visibili, articolare e rafforzare i processi dei popoli e delle organizzazioni ecclesiali della regione. È una piattaforma per lo scambio di esperienze e servizi per rispondere alle esigenze degli otto Paesi che condividono i territori della regione Pan-Amazzonica: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Suriname e Venezuela.
Ogni anno la REPAM si riunisce nel suo Comitato allargato per monitorare e valutare le azioni svolte e definire le priorità nell'ambito del suo Piano d'azione pastorale. L'ordine del giorno di questa riunione prevede spazi di dialogo e riflessione sui temi dei diritti umani, azioni di confronto e proposte per continuare a consolidare la “Chiesa dal volto amazzonico”.
Padre Ferney Pereira, sacerdote indigeno Tikuna
Sarà inoltre presentato un bilancio dei tre anni del Piano pastorale e saranno affrontate le urgenze pastorali in materia di diritti umani, la ristrutturazione dei Centri tematici, la promozione della giustizia socio-ambientale e del “Buon Vivere”. Inoltre, si discuterà sulla relazione con la Conferenza Ecclesiale dell'Amazzonia – CEAMA; le articolazioni della COP16, della COP30 e di altre iniziative fondamentali per il futuro della regione. Infine, l'obiettivo è quello di rafforzare l'articolazione interna ed esterna della Rete, con proposte concrete per dare risposta alle grandi urgenze dell'Amazzonia.
* Padre Júlio Caldeira, IMC, membro dell'équipe di comunicazione della REPAM e del Consiglio di comunicazione del Celam, è missionario in Amazzonia.
Ha avuto inizio lunedì 19 agosto il quinto Incontro della Chiesa nell'Amazzonia Legale che riunisce a Manaus, fino al 22 agosto, vescovi e rappresentanti delle 58 comunità ecclesiali della regione brasiliana. "Memoria e Speranza" i cardini della riflessione di quest'anno
L'incontro, organizzato dalla Commissione episcopale speciale per l'Amazzonia e dalla Rete ecclesiale Pan-Amazzonica (REPAM-Brasile), è iniziato con una celebrazione che, secondo il cardinale Steiner, arcivescovo di Manaus e presidente della Regione Nord 1 della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB Nord 1), ha portato grande gioia alla Chiesa locale.
All'apertura dei lavori, Steiner ha dichiarato che "è sempre importante incontrarci per creare più comunione, riflettere insieme sull'evangelizzazione, rimanere fedeli allo spirito missionario della nostra Chiesa e valutare il nostro cammino". Un cammino missionario sinodale che ha "orizzonti molto significativi", ha affermato il cardinale, auspicando che l'incontro sia un'opportunità per "continuare a sognare, per essere una Chiesa profondamente incarnata, prendendo in considerazione i sogni di Papa Francesco", e quindi per "essere una Chiesa che canta veramente la libertà, e nel cantare la libertà, s'incarni nelle culture presenti, per essere veramente segno di speranza".
Da parte sua il presidente del Consiglio indigenista missionario (CIMI) ha ribadito la necessità di "includere sempre di più la vita dei popoli indigeni", menzionando le difficili condizioni ambientali in cui si trova l'Amazzonia.
Mons. Evaristo Spengler, vescovo di Roraima e presidente della REPAM-Brasile
Il cardinale Pedro Barreto, arcivescovo emerito di Huancayo (Perù) e presidente della Conferenza ecclesiale dell'Amazzonia (CEAMA), ha evidenziato la lunga storia della Chiesa in Amazzonia, sottolineando la necessità di "essere consapevoli di aver ereditato una sacra eredità dai nostri predecessori che vi hanno lavorato". Ha ringraziato per "tutto lo sforzo che si sta facendo per camminare insieme nella comunione, partecipando tutti all'unica missione di Cristo".
A nome della presidenza della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB), il vescovo ausiliare di Brasilia e segretario generale della CNBB, mons. Ricardo Hoepers, ha ricordato il cammino della Chiesa in Amazzonia, iniziato con il primo incontro inter-regionale nel 1952, e sottolineando che "la perseveranza ci insegna che vale la pena continuare con entusiasmo questo processo". Hoepers ha riflettuto sui retrocessi che avvengono ogni giorno nella regione amazzonica, come la deforestazione, e ha mostrato la preoccupazione dell'episcopato brasiliano per i popoli indigeni, "i più colpiti", denunciando "la gravità delle cose che stanno accadendo" nel Paese a cui si cerca di rispondere. Ha ricordato il tema della Campagna della Fraternità del 2025 incentrata sull'ecologia integrale, "un'opportunità per sensibilizzare tutto il Brasile".
Suor Carmelita Conceição, vicepresidente della Rete ecclesiale Pan-amazzonica (REPAM), che compie 10 anni, ha citato la realtà della siccità che sfida a "dar segni di vita e speranza nell'Amazzonia", vedendo l'incontro come un aiuto per "capire cosa fare e come posizionarci di fronte a così tante sfide".
Kenarik Boujikian, rappresentante del governo brasiliano in qualità di segretaria nazionale per i dialoghi sociali e l'articolazione delle politiche pubbliche della presidenza della Repubblica, ha sottolineato il ruolo della sua istituzione nel mantenere il dialogo tra il governo e la società civile e i movimenti sociali, ricordando la centralità dei movimenti popolari per Papa Francesco. Ha evidenziato l'importanza dei "quaderni di risposte" presentati in risposta alle richieste della Chiesa brasiliana, affermando che non intendono fornire soluzioni definitive ma sono uno strumento di lavoro, suddiviso in quattro assi: emergenza climatica; diritti dei popoli delle acque, della campagna e delle foreste; regolarizzazione fondiaria; denunce e violazioni dei diritti nei territori.
Mons. Gilberto Pastana, arcivescovo di São Luis e presidente della Commissione episcopale speciale per l'Amazzonia
In questo contesto, "la REPAM-Brasile vuole essere un servizio ecclesiale, articolato con molti movimenti e organizzazioni della società civile - ha affermato il suo presidente, il vescovo di Roraima, dom Evaristo Spengler -, con l'obiettivo di preservare i diritti dei nostri popoli e dei nostri territori". Rispondendo ai "quaderni", il vescovo ha affermato che "le nostre azioni supportano e danno visibilità alle iniziative pastorali delle comunità e organizzazioni ecclesiali, basate su una spiritualità incarnata, nella difesa della vita dei popoli e della biodiversità amazzonica per costruire il buon vivere". Dom Spengler ha ricordato le visite effettuate a 13 ministeri e altre entità per portare al governo i risultati dell'ascolto ai popoli, e che ha portato alla formulazione dei "quaderni di risposte".
L'arcivescovo di São Luis e presidente della Commissione episcopale speciale per l'Amazzonia, Gilberto Pastana, ha riaffermato la volontà "di essere fedeli alle sfide del Signore”, invitando a “dare continuità a tutta questa ricchezza raccolta e osservata nei progressi e nelle difficoltà della nostra azione evangelizzatrice”. Monsignor Pastana ha anche chiesto di rafforzare l'impegno missionario e di “individuare i passi concreti che lo Spirito Santo sta rivelando alla Chiesa in Amazzonia per realizzare e far crescere la comunione, la missione e la partecipazione”.
* Originalmente pubblicato in www.vaticannews.va.www.vaticannews.va. Con informazione di Luis Miguel Modino, comunicazione CNBB Nord1
Il miracolo compiuto per intercessione del Beato Giuseppe Allamano conferma il carisma lasciato in eredità ai suoi missionari inviati ad gentes.
Abbiamo ricevuto con gratitudine la notizia che il Fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, il Beato Giuseppe Allamano, sarà canonizzato il 20 ottobre 2024 a Roma, proprio nella Giornata Missionaria Mondiale. Secondo le procedure canoniche, la dichiarazione di santità dell'Allamano richiedeva il riconoscimento di un miracolo compiuto da Dio per sua intercessione. Questo è accaduto, nella foresta amazzonica, con Sorino Yanomami, che era stato aggredito e gravemente ferito da un giaguaro il 7 febbraio 1996 e recuperò completamente la salute grazie all'intercessione di Giuseppe Allamano.
Se il Fondatore aveva detto, con un certo tono di rimprovero, che avrebbe mandato dei fulmini dal cielo per far sentire la sua voce, nel caso in cui i missionari avessero agito senza carità, oggi possiamo consolarci nel sapere che il miracolo che lo porta agli altari è una chiara conferma della missione ad gentes che ha affidato ai suoi figli e figlie attraverso il carisma, dono dello Spirito Santo, che permette la partecipazione alla missione affidata alla Chiesa e guidata dallo stesso Spirito. Possiamo dire che il Fondatore ha voluto ripetere una sua conosciuta espressione esortativa: “così vi voglio!”.
Cosa potrebbe significare questo miracolo? Sono convinto che questo fatto confermi l'attualità degli insegnamenti di Giuseppe Allamano e il cammino missionario che la Chiesa sta seguendo. Nelle Costituzioni dell'Istituto Missioni Consolata (nn. 4 e 5) è chiaramente espresso lo scopo che ci caratterizza nella Chiesa: l'evangelizzazione dei popoli e la missione ad gentes. Sotto l'impulso dello Spirito, l'Allamano forma i primi missionari e missionarie per una missione incarnata nella realtà. Con questo miracolo il Fondatore dimostra di accompagnare i missionari e la Chiesa in uno stile di missione universale, audace e prudente, aperta all'incontro e al dialogo con le culture e i popoli. In questo senso vorrei segnalare tre elementi di riflessione.
Il Sinodo per l’Amazzonia (2019) ha riflettuto su nuovi cammini di evangelizzazione che possono essere tracciati con atteggiamenti ispirati alla “cultura dell’incontro” (DF 60), stabilendo ponti con le visioni del mondo dei popoli amazzonici. Papa Francesco ha ribadito che “la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua saggezza ancestrale, […] riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli” (QA 70). Quest’attenzione che mira a “stabilire ponti” con la saggezza ancestrale è motivata dalla consapevolezza che è lo Spirito Santo “che suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae” (EG 117), poiché “non renderebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (EG 117).
(La guarigione sciamanica di Sorino. Disegno: Trento Yanomami)
Il miracolo avvenuto nella foresta amazzonica ci permette di stabilire un dialogo tra la nostra prospettiva cristiana e altre prospettive. Le suore missionarie, recitando la novena al Padre Fondatore, chiesero la sua intercessione presso Dio per la guarigione dell'indigeno Sorino, cura che permettesse anche di ristabilire la pace e calmare l'angoscia. Da parte loro, gli sciamani Yanomami – mentre il paziente era in ospedale e quando era tornato alla sua comunità – hanno eseguito rituali affrontando l’immagine spirituale del giaguaro che continuava ad attaccare il parente, mettendo a rischio il ripristino della sua salute. Il dialogo tra queste diverse prospettive, lungi dall'essere un relativismo semplicistico, un sincretismo forzato o una ricerca di uniformità che, nella maggior parte dei casi, implica l'imposizione del punto di vista del più forte, esige rispetto e apprezzamento per le diverse tradizioni spirituali. Quest’apertura ci permette di apprezzare valori e segni di grazia che sbocciano nei diversi contesti culturali e davanti ai quali ci lasciamo evangelizzare.
Nel pensiero del Fondatore e dei primi missionari era chiaro che l'evangelizzazione non poteva essere dissociata dalla “formazione dell'ambiente”. Un termine che oggi può essere sostituito dal concetto di “ecologia integrale”, a cui Papa Francesco fa spesso riferimento e che spiega dettagliatamente nell'Enciclica Laudato sì', come l’unica via corretta e possibile per stabilire relazioni e prendersi cura della Casa Comune con i suoi abitanti. Dopo alcuni anni di lavoro apostolico in Kenya, il decreto di lode concesso dalla Sacra Congregazione dei Religiosi (28/12/1909) – una prima approvazione pontificia – evidenziava come i missionari dell'Istituto si distinguessero per il loro impegno nella vita della gente (Lettera V, p. 304f). Quel decreto diede grande gioia e soddisfazione al Fondatore, che vi lesse l'approvazione del metodo missionario studiato e attuato insieme ai suoi figli, che oltre ad offrire alla gente le promesse di un'altra vita, la rendeva più felice sulla terra.
(La guarigione sciamanica di Sorino. Disegno: Trento Yanomami)
Il miracolo compiuto per intercessione del Beato Allamano, con l'inspiegabile guarigione di un paziente che era stato soccorso presso l'ambulatorio della Missione Catrimani e successivamente trasferito a Boa Vista dove era stato sottoposto ad interventi chirurgici, è, ancora una volta, la conferma della validità di una presenza missionaria tra le popolazioni indigene, ispirata al servizio di una Chiesa diaconale che valorizza la difesa della vita in tutte le sue dimensioni.
La missione della Chiesa, pur sviluppandosi in modi diversi nei diversi contesti, è rivolta a tutti gli uomini perché “Dio non fa differenze di persone” (Rm 2,11) e Cristo “ha abbattuto il muro di separazione” (Ef 2: 14) che è l'inimicizia tra le genti.
Il miracolo della guarigione del signor Sorino, indigeno Yanomami che vive nella sua comunità nella foresta amazzonica, raccogliendo insieme ai suoi parenti le risorse di questa terra, raccontando e ascoltando le storie dei suoi antenati, e celebrando riti e feste che offrono significato alla riproduzione della vita, ci conferma come Dio guarda con cura a tutti i popoli. L’Allamano, Fondatore di una famiglia missionaria ad gentes, non poteva non fare suo questo sguardo di Dio e lo vuole infondere nei suoi discepoli: guardare al popolo Yanomami, perché possa avere una vita piena.
Quest’ultimo elemento ci apre ad una riflessione urgente e importante. Dio, attraverso il miracolo compiuto per intercessione dell'Allamano che suscita oggi tanta curiosità, ci indica la via del prendersi cura, del rispetto e della tutela della vita. Non possiamo quindi ignorare che il popolo Yanomami subisce ancora oggi violenze atroci nelle proprie comunità, con l’invasione del suo territorio da parte di attività minerarie illegali, traffico di armi, droga e persone, controllati da fazioni criminali. Ciò, insieme alle difficoltà dell’assistenza sanitaria, sta generando una catastrofica crisi umanitaria e sanitaria. Le risposte date dalle autorità richiedono tempo per stabilire la difesa del territorio e la protezione della popolazione, mentre le leggi proposte minano la garanzia dei diritti di queste persone così come di altri popoli indigeni del Brasile.
Dobbiamo invocare l'Allamano perché interceda per un altro miracolo?
* Padre Corrado Dalmonego, IMC, missionario a Roraima.
Casa e foresta: abitazione colletiva Yanomami lungo il fiume Catrimani. Foto: Corrado Dalmonego, 2011
Il fiume Catrimani nella Terra Yanomami a Roraima nell'Amazzonia brasiliana. Foto: Jaime C. Patias
Dopo 6 ore di attesa a causa del maltempo, il piccolo aereo a quattro posti è partito da Boa Vista verso la Missione di Catrimani (in linea retta circa 150 chilometri), un'area all'interno dello Stato di Roraima, nella terra degli indigeni Yanomami che fa parte della grande Amazzonia brasiliana.
In questa regione i missionari della Consolata Italiani, Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi fondarono, nel 1965, una missione molto speciale sulle rive del fiume Catrimani. Ed è lì che i missionari della Consolata sono presenti tra gli indigeni Yanomami da quasi 60 anni, accompagnando alcune comunità di questa etnia, vivendo in semplicità e vicinanza l'inevitabile incontro tra una cultura basata sulle tradizioni secolari che vive in armonia con un ambiente impegnativo come la foresta amazzonica e una cultura occidentalizzata basata sul consumo e sullo sfruttamento di tutto ciò che può generare profitto e guadagno economico.
Pochi giorni di visita non sono ovviamente sufficienti per comprendere tutte le dinamiche che i missionari hanno sviluppato in tutti questi anni nel territorio, ma ci danno alcuni elementi che illuminano la scelta di questa équipe missionaria di essere presente tra gli Yanomami in semplicità, quasi in silenzio, e senza grandi pretese a livello di successi pastorali (intesi come numero di battesimi nell’anno o nella costruzione di cappelle e centri di culto, etc.).
Oltre a essere presenti sul territorio in un atteggiamento di dialogo e fornendo alcuni servizi come l'assistenza sanitaria o risolvendo alcune delle necessità quotidiane di base, il loro l'obiettivo è quello di aiutare a rafforzare e preservare le loro tradizioni con incontri di formazione su temi specifici che riguardano la comunità, soprattutto con giovani e donne, affinché possano affrontare le sfide che provengono dall'invasione dei "garimpeiros" illegali che causano la distruzione dell’ambiente, l'inquinamento dei fiumi e minacciano la vita stessa delle comunità Yanomami. Tutto ciò, assieme alle difficoltà di fornire assistenza sanitaria, sta creando una disastrosa crisi umanitaria.
Senza dubbio, chi beneficia maggiormente in questo incontro e dialogo di vita è certamente l'équipe missionaria stessa, e i nostri due Istituti, perché arricchisce il nostro carisma ad gentes in un dialogo di spiritualità con un popolo che, pur non avendo la parola "religione", né strutture religiose e liturgiche in senso stretto come le nostre, ha una cosmologia che definisce l'essere umano come colui che porta in sé un tesoro immortale. Gli Yanomami credono che il Trascendente, l'Artigiano (Omama) che ha creato il mondo e tutto ciò che vi coesiste, sia anche il mentore di una vita dignitosa e infinita.
Un grande grazie all'Equipe Missionaria Catrimani (P. Bob Mulega, P. Filbert Nkanga e Fr. Ayres Osmarin; Sr. Mary Agnes, Sr. Suzana Kihoo e Sr. Argentina Paulo) per l'accoglienza e la fraternità che abbiamo sperimentato in questi giorni; anche perché ci incoraggiano a continuare a credere profondamente che il nostro carisma missionario e la spiritualità della consolazione, ereditati dal nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, che verrà proclamato santo il 20 ottobre, sono ancora validi e attuali per il mondo di oggi. Qui si impara ad accogliere il bene e a riconoscerlo in tutti e in tutto; ma allo stesso tempo a individuare il male attraverso il grido del popolo e della terra, nostra "Casa Comune", perché, come dice Papa Francesco, “tutto è interconnesso”, il mondo visibile e quello invisibile o spirituale.
* Padre Juan Pablo De Los Ríos, IMC, Consigliere generale per l'America.
Visita a Sorino Yanomami che ha ricevuto la grazia della guarigione per intercessione del Beato Allamano
I rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, insieme ai missionari, si sono riuniti nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi, che si propone rafforzare il dialogo interculturale con il fine di camminare insieme verso la monifue (“la vita piena”) e costruire una Chiesa più vicina alla realtà dei popoli indigeni.
Nell’Amazzonia peruviana vivono 51 popoli nativi, di cui nove si trovano nel Vicariato di San José del Amazonas; una Chiesa particolare che nel corso dei suoi anni ha camminato e navigato a fianco delle popolazioni indigene, come nel caso di Juan Marcos Coquinche Mercier, che da anni vive inserito nella cultura “Naporuna” (indigena Kichwa della regione prossima al fiume Napo).
Il Sinodo per l'Amazzonia, che è stato celebrato nell’ottobre del 2019, proponeva nuove modalità nelle relazioni fra Chiesa cattolica e territorio, culture e vita ancestrale. Si tratta di camminare con i criteri di Papa Francesco che, a Puerto Maldonado, aveva detto alle popolazioni indigene “aiutate i vostri missionari a diventare una cosa sola con voi”.
Tutto è una sfida rivolta alle Chiese locali che dovranno riflettere quotidianamente e concretamente su come camminare insieme a questi popoli nel qui e ora.
Con la consapevolezza che il piano pastorale del Vicariato Apostolico di San José del Amazonas non è all'altezza dell'opzione indigena, i rappresentanti di sei missioni che convivono direttamente con i popoli indigeni, assieme ad alcuni membri del personale amministrativo, si sono incontrati per condividere le comuni preoccupazioni ed esperienze su come dare passi concreti verso una opzione preferenziale per i popoli indigeni. Con rispetto a questo tutti siamo consapevoli che ciò richiede una conversione nelle forme, metodi, tempi, ritmi, lingua e spiritualità.
Si è quindi consolidata la proposta di tenere una prima Assemblea dei Popoli Indigeni con i missionari che liberamente desideravano far parte di questo processo: sentire, imparare, camminare con loro, insieme nella costruzione della monifue, quella pienezza di vita che nel nostro caso si basa sulla gratuità e l'interculturalità.
Padre Fernando Flórez è accolto dalla comunità indigena Murui di Puerto Refugio sulle rive del fiume Putumayo, Perù
A questo processo si è unito anche il Vicariato come istituzione - si unisce, consigliato dai nonni e dalle nonne del territorio. Così, nel villaggio di Angoteros, dal 27 di giugno al primo di luglio 2024, si sono incontrati i rappresentanti dei popoli Tikuna, Arabela, Murui-Uitoto, Yagua, Secoya, Bora, Maijuna, Okaina, Kichwa, nonché missionari, missionarie e alcune istituzioni che desiderano tenere pronti i propri remi per meglio navigare con questi popoli.
L'obiettivo non era altro che quello di offrire uno spazio di dialogo tra culture che permettesse conoscersi, valorizzarsi e camminare insieme e seminare la parola di vita dalla loro saggezza.
Per i popoli indigeni il termine monifue significa abbondanza e questa prima assemblea rappresenta proprio questo: il raccolto di questa grande chagra (campo) seminata nella diversità che non ha mai rappresentato una minaccia ma una promessa. Il monifue si può vedere riflesso, tra le altre cose, in questi quattro aspetti che possiamo mettere in evidenza.
* Padre José Fernando Flórez Arias, IMC, missionario nel Vicariato di San José del Amazonas, Perù.
Missionari e missionarie della Consolata in visita alla Missione Putumayo a Suplin Vargas, Perù, nel febbraio 2022. Foto: Jaime C. Patias