Con quasi 10 milioni di ettari, la riserva indigena dello stato del Roraima, con una popolazione di poco superiore ai 25 mila abitanti, sta vivendo una crisi senza precedenti, come ci raccontano quelle persone che da anni vivono e lavorano per la difesa dei diritti dei Popoli e della foresta pluviale che è la loro casa. In tutto questo dramma è molto evidente la colpevole negligenza dell'ultimo governo federale presieduto dal ex presidente Jair Bolsonaro (2019 al 2022).

L'estrazione dell'oro dal suolo o dai sedimenti dei corsi d'acqua, effettuata con tecniche manuali o con macchinari pesanti, è favorita da vere e proprie organizzazioni criminali ed è stata la causa principale della crisi umanitaria che ha svigorito le comunità Yanomami.

Uno studio condotto dalla University of South Alabama degli Stati Uniti rivela che la quasi totalità delle miniere illegali ( ben il 95%) si concentra in tre territori indigeni: Kayapó, Munduruku e Yanomami, che sono le zone più colpite da questa attività. 

Non è complicato capire che, se queste riserve sono abbandonate a se stesse, com’è successo in questi ultimi anni, si impone chi ha più risorse, appoggi e forze. 

L’abbondanza dei giacimenti di tutta la conca amazzonica ha quindi investito le popolazioni più deboli: favorita dai poteri economici, dalle élite locali e dall'aumento del prezzo dell'oro sul mercato internazionale l’estrazione illegale (garimpo) ha avuto la meglio. Grazie all’appoggio del precedente governo è stato perfino presentato in Parlamento un progetto di legge, poi dichiarato incostituzionale, per regolamentare e promuovere l'estrazione mineraria nei territori indigeni.

La strada di 10 km che conduce al territorio Yanomami appare oggi come una ferita aperta nel cuore della foresta. La deforestazione, l'inquinamento senza precedenti e gli enormi crateri aperti che squarciano la terra hanno conseguenze drastiche sulla vita, la cultura, la spiritualità e la salute fisica delle popolazioni autoctone. 

In un'intervista, padre Corrado Dalmonego IMC, che sta conducendo una ricerca di dottorato sull'impatto dell'attività estrattiva nel territorio indigena, ha dichiarato: "I centri sanitari hanno esaurito i medicinali di base come il diprone, il paracetamolo e i farmaci per il trattamento della malaria. Di conseguenza, più di 500 bambini sono morti per malattie curabili. A questo si aggiunge che il garimpo illegale non solo ha danneggiato la salute degli indigeni ma ha anche sconvolto la vita familiare, spingendo molte donne alla prostituzione o i giovani alla migrazione verso le periferie povere della città dove sono spesso vittime della tossicodipendenza e della miseria”.

Non c’è dubbio. Coloro che si addentrano nella foresta hanno atteggiamenti predatori nei confronti delle ricchezze naturali; i facili guadagni sono sempre realizzati a spese della vita della foresta e delle persone che la abitano e sanno vivere in armonia con essa. 

 

Le altre vittime

Per padre Bob Mulega, 34 anni, missionario della Consolata di origine ugandese e nel Catrimani dal 2019, anche le manovalanze minerarie sono a loro volta vittime di un sistema di sfruttamento: "noi sappiamo che nelle miniere le condizioni di vita sono terribili e coloro che vi lavorano sono i più poveri, senza terra e senza altre opportunità”. Gli fa eco Gilmara Fernandes, leader cattolica e membro del Consiglio indigeno missionario di Roraima (Cimi) che dice: "i veri responsabili della tragedia mineraria non sono coloro che stanno nelle miniere ma quelli che forniscono logistica, manutenzione, cibo e finanziamenti senza i quali il garimpo diventa una impresa impossibile. I lavoratori delle miniere sono solo la punta di un iceberg che va molto più in profondità; sono i poteri occulti, spesso vere e proprie imprese criminali sostenute da politici conniventi, quelle che devono essere ritenute responsabili e assicurate alla giustizia”.

Quando nel 1993, quasi trent’anni fa, è stata espulsa dalle terre indigene una prima ondata di garimpeiros questi hanno potuto diventare agricoltori, ottenendo l'accesso alla terra e partecipando a progetti di riforma agraria. Oggi è tutto più difficile continua Gilmara: “con l'arrivo della soia, il valore della terra è aumentato considerevolmente e la maggior parte della terra in Roraima è concentrata nelle mani di politici, uomini d'affari, grandi produttori di soia, e diventa impossibile comprarla. Come potranno questi lavoratori illegali mantenere le loro famiglie? Se il governo non pensa a soluzioni per loro... saranno probabilmente riciclati in altre attività illecite o in nuove frontiere del garimpo”.

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Suor Mery Agnes, MC, visita una comunità Yanomami.

Dietro le quinte

I missionari della Consolata che vivono con gli Yanomami nella regione del Catrimani da più di 50 anni conoscono quello che le telecamere non possono vedere e ciò che si muove dietro le quinte. Per padre Mulega, gli Yanomami sono una società strutturata e fortemente ancorata alle loro credenze e alla loro forma di concepire la vita e la creazione. Tutto è ben costruito: l'ora di mangiare, le regole per vivere bene in società, la cura della natura, il posto delle donne e dei bambini, il ruolo degli uomini... questo mondo merita il massimo rispetto.

Il padre Mulega si appella alla società affinché non veda gli indigeni come dei poveri disgraziati ma come un popolo originario che condivide con tutti diritti, doveri, dignità e bisogni. "Non dimentichiamoci che loro sono persone degne, e non una popolazione che vive rinchiusa in una riserva ed è oggetto di studi. A loro bisogna offrire politiche di salute pubblica ed educazione basate sulla loro lingua. Difendere la selva è difenderne la vita, la casa e luogo sacro per tutti loro".

In questo contesto, appare fondamentale una conversione dello sguardo e del cuore che permette un incontro autentico con la popolazione indigena. Un rapporto di colonizzazione, da qualsiasi parte provenga –dal governo, dai proprietari terrieri o perfino da organizzazioni che sono al servizio delle comunità indigene–, non farà altro che aumentare i danni. Il genocidio e l'etnocidio, che oggi è alla luce del sole, continueranno.

* Rosinha Martins è Missionaria scalabriniana e giornalista. FONTE

Il Cardinale Leonardo Steiner, vescovo di Manaus, è arrivato a Boa Vista, capitale dello Stato di Roraima, per esprimere, a nome di Papa Francesco e della Presidenza della Conferenza Episcopale Nazionale del Brasile (CNBB), la solidarietà con il popolo Yanomami gravemente aggredito.

Dialogo, ascolto e visione di come essere presenti come chiesa

Il cardinale di Manaus, che era accompagnato da padre Lucio Nicoletto, amministratore diocesano di Roraima e da padre Corrado Dalmonego IMC, uno dei grandi esperti del mondo Yanomami, ha detto di essere venuto a Boa Vista "per incontrare i leader indigeni con l’intenzione di dialogare, ascoltare, essere ancora più presenti come Chiesa".

Dopo aver visitato i pazienti del Centro di Salute Indigeno Yanomami di Boa Vista, l'arcivescovo di Manaus ha ricordato che la Chiesa cattolica è sempre stata molto presente con i popoli indigeni, e “in questo momento di difficoltà vogliamo marcare questa presenza. Ho potuto costatare che davvero la situazione di malnutrizione è grande e preoccupante”. 

Secondo il cardinale Steiner, "tutti conosciamo le ragioni della malnutrizione, ma nel dialogo con alcuni leader abbiamo visto che ci sono diversi elementi in cui possiamo dare il nostro contributo, il nostro aiuto. Come chiesa cattolica vogliamo mostrare la nostra solidarietà alla comunità Yanomami che è stata trascurata dal governo; loro sono figli e figlie di Dio, sono persone che vivono in regioni lontane, e sappiamo anche che questa situazione drammatica che stiamo vedendo non è nuova. Vogliamo vedere con i governi cosa possiamo fare perché questi popoli possano continuare a vivere, ma soprattutto possano vivere bene”.

Mons. Leonardo Steiner ha sottolineato il lavoro di denuncia svolto dalla Chiesa negli ultimi anni, soprattutto attraverso il Consiglio Missionario Indigeno (Cimi), che "da molto tempo denuncia, parla e pubblica rapporti” e ha informato del sostegno della Presidenza della Conferenza episcopale nazionale del Brasile e di Papa Francesco, al quale invierà un resoconto della sua visita.

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Il cardinale Leonardo con padre Lucio, amministratore diocesano di Roraima.

L'attività mineraria è bagnata di sangue

La visita del cardinale Steiner a Boa Vista è proseguita con un incontro con i leader indigeni presso la sede del Consiglio indigeno di Roraima dove gli è stato ufficialmente consegnato il rapporto "Yanomami sotto attacco", documento ricevuto dalle autorità Brasiliane nel mese di Aprile de 2022, nel quale sono raccolte testimonianze e dati che mostrano gli effetti devastanti dell'estrazione mineraria illegale nella terra indigena Yanomami.

Le autorità indigene hanno riassunto la attuale situazione come conseguenza di tre emergenze ancora attuali: l’estrazione mineraria illegale; la malnutrizione e l’inefficienza del sistema sanitario nel territorio indigena dove imperversa una epidemia di malaria. 

Secondo le organizzazioni indigene, gran parte del popolo Yanomami è spiritualmente morto a causa della distruzione della foresta che è la loro casa comune. L’estrazione mineraria illegale, ha portato 120 comunità Yanomami a una situazione di grave calamità con aggressioni di ogni genere: stupri, furti di bambini, omicidi e suicidi. Questa attività economica illegale è bagnata dal sangue di innocenti tanto nel territorio indigeno come nella città; e tutto questo sta accadendo sotto gli occhi di tutti.

La richiesta è quella di ritirare urgentemente i minatori illegali, la protezione del territorio e la tutela delle autorità indigene. Si tratta di una sfida a lungo termine che può causare molto dolore e che deve iniziare con l'identificazione e la punizione dei veri colpevoli, compresi i membri dei vari poteri e delle reti criminali che sostengono e finanziano l'attività estrattiva.

Chi parla viene minacciato e sono sempre di più i giovani Yanomami che sono coinvolti in queste attività illecite e criminali. È evidente il tentativo dei media nazionali di nascondere la realtà ma loro continueranno a difendere la vita del loro popolo.

I leader indigeni hanno ringraziato il cardinale Steiner per la sua presenza nella regione in un momento molto difficile per tutte le popolazioni indigene dello stato del Roraima; riconoscono il sostegno storico della Chiesa di Roraima e chiedono alla chiesa di continuare a camminare al fianco dei popoli indigeni della regione.

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Visita al DSEI Yanomami, del Segretariato speciale per la salute indigena.

Un evento senza precedenti in Brasile: Sonia Guajajara è la prima donna indigena ad essere nominata ministro nella storia del Paese. Assume la direzione del "Ministero dei popoli indigeni", recentemente creato da Lula, l'attuale presidente del Brasile.

Realizzazione collettiva dei popoli indigeni

In occasione del traguardo della sua nomina, avvenuta nel dicembre 2022, Sonia ha espresso sul suo account Twitter il significato della sua nomina in un paese come il Brasile: "sono molto onorata e felice della nomina a Ministro. Più che di un risultato personale, si tratta di un risultato collettivo dei popoli indigeni, un momento storico del principio di riparazione in Brasile. La creazione del Ministero è la conferma dell'impegno di Lula nei nostri confronti".

Nel suo discorso di insediamento Sonia Guajajara ha ringraziato Lula "per il coraggio e l'audacia nel riconoscere la forza e il ruolo dei popoli indigeni, in questo momento in cui è così importante il loro protagonismo nella conservazione dell'ambiente e nella giustizia climatica".

Costruiremo il Brasile del futuro

Ricordando i 500 anni di resistenza dei popoli indigeni a situazioni di violenza, attacchi e violazioni dei loro diritti, e a partire dalla propria storia di vita, la nuova ministra dei Popoli indigeni, eletta deputata federale nelle elezioni dell'ottobre 2022, esprime il desiderio di "contribuire alla ricostruzione della democrazia del Paese".

“Noi indigeni –ha detto la ministra– siamo nelle città, nelle campagne, nella giungla, nelle professioni più diverse. Viviamo nello stesso tempo e nello stesso spazio di tutti voi, siamo contemporanei di questo presente e costruiremo il Brasile del futuro, perché il futuro del pianeta è ancestrale!".

Per quanto riguarda le sfide che i popoli indigeni devono affrontare in Brasile, ha parlato della necessità di pensare a politiche per la salute, i servizi igienici, l'istruzione, la sicurezza e la lotta contro le invasioni, l'inquinamento e la deforestazione delle riserve e dei territori ancestrali da parte degli accaparratori di terre e dei garimpeiros (raccoglitori illegali d’oro). "Le terre indigene, territori abitati da comunità tradizionali e altri popoli sono essenziali per fermare la deforestazione in Brasile e combattere l'emergenza climatica che tutta l'umanità deve affrontare", ha sottolineato in uno dei punti del suo discorso.

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Le autorità indigene celebrano il nuovo ministro

Ministero delle popolazioni indigene

"Oggi, con questo Ministero dei Popoli Indigeni, state assistendo a un passo ancora più grande e speriamo, con questo, di affermare la nostra esistenza e il nostro protagonismo. Il Brasile del futuro ha bisogno dei popoli indigeni. Tutto ciò che tradizionalmente viene chiamato cultura tra i brasiliani, per noi significa tutto ciò che siamo", ha detto Guajajara, riferendosi al fatto che questo ministero "appartiene a tutti i popoli indigeni del Brasile che sono un patrimonio del popolo brasiliano, perché ogni indigena vivente rappresenta un guardiano del clima e della Madre Terra".

Il nuovo ministro ha annunciato la creazione del Consiglio Nazionale della Politica Indigena, che garantirà la partecipazione paritaria delle rappresentanze indigene nazionali e gli enti del governo federale. Questo Consiglio includerà anche la Funai (Fondazione Nazionale dei Popoli Indigeni) che era stata creata nel 1967 per promuovere la salute, la protezione e lo studio delle comunità indigene del Brasile.

Concludendo il suo intervento Sonia Guajajara ha affermato che “non sarà facile superare 522 anni in solo quattro. Ma siamo pronti a riportare la forza ancestrale delle comunità indigene al centro dello spirito nazionale brasiliano. “Mai più un Brasile senza di noi!”.

Nello stato brasiliano del Maranhão noi missionari possiamo testimoniare l’esperienza di una comunità che ha combattuto per ben quindici anni una lunga battaglia legale contro una impresa mineraria, la Vale, una delle più grandi del Brasile, che sfruttava un immenso giacimento di ferro e aveva costruito un complesso siderurgico quasi sulla loro porta di casa senza che nessuno fosse consultato.

Per capire gli interessi che c’erano in gioco è sufficiente dire che ogni giorno passava, sulla testa della nostra gente che viveva con 5 dollari al giorno, l’equivalente di 60 milioni di dollari di minerale.

Quando noi missionari comboniani siamo arrivati, l’impresa siderurgiche era li da più di vent’anni; la foresta era scomparsa; perfino il clima era cambiato e la stagione delle piogge si era ridotta di un mese; molte persone si ammalavano e tante sono morte. Eppure abbiamo trovato delle comunità che stavano strenuamente opponendosi a questa situazione e sono stati loro a coinvolgerci nella battaglia che stavano combattendo. Dicevano: “senza di voi non ce la facciamo, ma se creiamo una alleanza forte riusciremo a  prevalere”. 

Mi ha sempre impressionato tantissimo la forza morale, la resistenza e la tenacia di questa gente: è stata una lotta sproporzionata, ci sono voluti 15 anni, ma alla fine hanno costretto imprese e governo ad abbassare la testa davanti alla resistenza, l’orgoglio e la dignità di queste persone. Hanno ottenuto una nuova terra nella quale costruire le loro case; le alleanze costruite in modo parsimonioso hanno prodotto frutti; è stata costruita una città totalmente nuova, pulita e sicura. 

Si è lavorato a una riparazione integrale che ha tenuto presente l’onore della memoria, niente di quel che è successo deve essere dimenticato, nessuna vittima può finire nell’oblio; questa riparazione ha permesso condizioni di vita adeguate per le generazioni che verranno e la comunità non si è mai divisa; hanno costruito le loro case e il loro futuro secondo i loro propri criteri. In un processo di riparazione integrale i poveri smettono di essere semplicemente beneficiari e diventano protagonisti.

Quella è stata una gran bella vittoria ma siamo ancora lontani dalla fine della guerra perché dietro abbiamo un sistema economico fallimentare ma che ci resistiamo a cambiare. Il modello fatto di estrazione, consumo e scarto può continuare a funzionare se si sono in tanti angoli del mondo “zone di sacrificio” come quella che vi ho descritto. I danni ambientali sono irreversibili e l’estrattivismo non offre una seconde opportunità: tutto è irrimediabilmente bruciato e distrutto. Le regioni più ricche in beni comuni (che le imprese chiamano risorse) sono anche le regioni più tormentate dalla guerra, dalla violenza, dall’impoverimento e anche dalla malattia. In questa contraddizione mondiale c’è di mezzo il sistema finanziario che è quello che alimenta il tutto: l’impresa Vale per esempio non porta il suo minerale direttamente in Cina, dove è consumato; prima lo vende in Svizzera, dove paga meno tasse che in Brasile, con un risparmio grandissimo, un mancato e sostanzioso ingresso per il popolo brasiliano. 

Oggi l’Amazzonia è quasi arrivata a un punto di non ritorno. Gli scienziati calcolano che quando il disboscamento arriverà al 25% del territorio si innescherà un processo di savanizzazione; il bosco tropicale non sarà più in grado di rigenerarsi con quei cicli ecologici complessi che hanno fatto di questa regione la più biodiversa del pianeta, una ricchezza che, tra l’altro, conosciamo ancora abbastanza poco. 

Per questo il modello estrattivista così come la conosciamo non ha più senso, non è più sostenibile. Il messaggio di Papa Francesco nella Laudato si’, nel sinodo dell’Amazzonia, nella Fratelli Tutti è stato per noi una benedizione. Dietro questi interventi magistrali c’è una grande intuizione spirituale: cominciamo a capire che non siamo il centro della storia, che siamo stati creati assieme e quindi siamo davvero tutti fratelli e sorelle in un senso particolarmente universale. Grazie a questo deve cambiare tutto il nostro modo di pensare, di costruire le relazioni politiche, anche di vivere la nostra fede.

Papa Francesco ci sta animando con un progetto molto bello ed ambizioso: l’economia di Francesco. Noi in Brasile l’abbiamo chiamata l’economia di Francesco e Chiara perché questo sistema economico maschilista, patriarcale e coloniale, del quale siamo tutti vittime, ha proprio bisogno di una dimensione femminile per ripensarsi. L’economia femminile è l’economia circolare, quella dei piccoli spazi e delle relazioni, quella delle cooperative, quella che crede nei piccoli e nella loro capacità di crescere.

Nella nostra riflessione in Brasile abbiamo individuato tre grandi modelli di economia: il primo è il modello del saccheggio esplicito e del sistema neo liberale non controllato. Il secondo è il modello della ridistribuzione e dello sviluppo; era quello che lo stesso Lula aveva promosso nel suo precedente governo, il punto debole di questo modello sta nel fatto che è sempre centrato nello sfruttamento intensivo delle risorse, la ricchezza ha la stessa origine ma viene poi diversamente distribuita e a lungo termine non ha futuro. C’è allora il terzo modello che in qualche modo ci indica il magistero del papa Francesco; quando Lui invita giovani, indigeni e movimenti popolari sta indicando questo cammino: è quello dei popoli locali, delle comunità, del femminile, dei popoli indigeni, di chi ha cura dei territori.

Quando venne eletto in Brasile Bolsonaro, inizialmente tutti pensammo che avevamo a che fare con un incompetente. In realtà la cosa era molto più grave: lui stava portando avanti un progetto ben studiato che prevedeva la distruzione dei territori amazzonici e l’eliminazione culturale e forse anche fisica di tutte le minoranze etniche che difendono e sanno vivere in armonia con la selva.

In Bolsonaro c’era condensata tutta l’incapacità di pensare un mondo di convivenza e invece tutto è al servizio del capitale, dei poteri forti della finanza, del latifondo, delle monocolture. Un progetto suicida che si sostiene a colpi di interessi loschi e miopi che pensano al guadagno di oggi senza nessuna proiezione di futuro anche minimamente sostenibile: mai si pensa alle nuove generazioni. 

È tutto il contrario di quello che fanno i popoli originari. Gli indigeni del nord America, quando devono prendere decisioni di carattere ambientale importanti cercano sempre di pensare alle conseguenze fino alla settima generazione. I nostri popoli dell’Amazzonia ci insegnano come costruire relazioni non distruttive con l’ambiente amazzonico e lo fanno a partire dalle loro tecnologie, dai loro miti, dalla loro secolare convivenza con la natura. 

Questo modello ha profonde conseguenza anche per la nostra fede: l’eucaristia è il sacramento della comunità solidale, il Padre Nostro la preghiera che mette assieme il Padre e il Pane che sono di tutti. 

* Dario Bossi è il superiore dei missionari Comboniani in Brasile

Il nuovo sacerdote Inácio Cordeiro Padrão, indigeno di Baré e missionario della Consolata, è stato ordinato sacerdote dal cardinale Leonardo Steiner nella parrocchia di Santa Luzia, a Manaus.

Oltre ai numerosi familiari, hanno partecipato alla celebrazione 21 sacerdoti missionari della Consolata, religiosi e sacerdoti diocesani, religiose, missionari laici e fedeli di Manaus e della regione.

Nato a São Gabriel da Cachoeira, nell'Amazzonia brasiliana, è l'ottavo di dieci figli nati da Paulo Padrão, colombiano, e Maria Cordeiro, brasiliana del popolo indigeno Baré. Ha iniziato la sua formazione con i Missionari della Consolata nel 2009 e ha studiato in Brasile, Argentina e Kenya. La prima missione del nuovo sacerdote sarà in Mozambico.

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Padre Ignacio con la famiglia

Non dimenticare le tue origini indigene

Nella sua omelia, il vescovo Leonardo Steiner ha esortato padre Inácio, originario del popolo indigeno Baré, a mantenere e ricordare sempre le sue radici e la fonte della sua fede. "Non dimenticare le tue radici indigene, la casa del popolo da cui provieni, la fede che hai ricevuto, la forza della cultura che ti ha generato. Anche come sacerdote, continuare a bere dalla stessa fonte culturale e di fede".

"Come un vero missionario della Consolata, ha continuato l'arcivescovo di Manaus, annuncia Gesù Cristo dove non è ancora conosciuto! Lasciati ispirare dalla Consolata in tutti i momenti, le azioni e gli esercizi della tua missione e ministero. La Consolata è il modello e la guida, l'ispirazione per portare al mondo la vera Consolazione che è Gesù, seguendo lo stile del Beato Giuseppe Allamano [fondatore dei Missionari della Consolata]. Come uomo di consolazione, persevera nell'amore e sii fedele all'Eucaristia. Devoto di Maria, seguendo la tradizione che Giuseppe Allamano ha insegnato ai Missionari della Consolata, vivi unito alla chiesa e al papa, ama il lavoro e costruisci una missione unito ai tuoi fratelli in spirito di famiglia".

"Caro Fratello Ignazio, ha concluso il cardinale, Dio ti conceda la grazia di essere un fedele predicatore di Gesù Cristo; ti permetta rendere visibile il vero Consolatore essendo un custode e un samaritano dei più poveri; vegli su di te e ti conceda donare la tua vita per la vita del Regno. Amen"

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Padre Ignacio con la mamma

Sacerdote federe e misericordioso

Nato il 18 maggio 1989 nel comune di São Gabriel da Cachoeira, nello Stato di Amazonas, nell'estremo nord del Brasile, al confine con Colombia e Venezuela, Inácio Cordeiro Padrão è l'ottavo dei dieci figli di Paulo Padrão e Maria Cordeiro. Suo padre è originario della Colombia e sua madre è brasiliana del popolo Baré.

Nel 2006, dopo aver terminato la scuola primaria, Inácio è emigrato a Manaus, lasciando la sua terra, i suoi genitori, i suoi fratelli e i suoi amici, per continuare gli studi. Dopo aver terminato la scuola superiore nel 2008, ha lavorato e studiato presso una Scuola Tecnica Salesiana.

Nel 2009 è entrato nella casa di formazione dei Missionari della Consolata nella Regione Amazzonica, completando l'anno propedeutico e gli studi di Filosofia presso l'Università Salesiana Don Bosco di Manaus. Dopo un periodo trascorso in famiglia, è stato prima nella regione del Roraima, accompagnando pastoralmente gli indigeni Yanomami e Macuxi e poi, nel 2016 ha raggiunto il noviziato di Buenos Aires facendo la sua prima professione religiosa il 30 dicembre di quello stesso anno.

Gli studi teologici li ha completati in Kenya, presso l'Università Tangaza College di Nairobi, e il suo anno di servizio missionario l'ha svolto con il popolo Turkana nella parrocchia di Canpi Garba Mission. Il 12 febbraio di quest'anno è stato ordinato diacono e poi il 17 settembre, festa liturgica della missionaria e martire della Consolata la Beata Leonella Sgobarti, ordinato sacerdote dal cardinale Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus, nella parrocchia di Santa Luzia.

Il giorno dopo, il 18 settembre, ha presieduto la sua prima Messa nella comunità di Santa Maria Goretti, nella parte orientale di Manaus, dove per anni sono stati presenti i Missionari della Consolata e dove ora si trovano i Missionari di Maria Immacolata.

Come missionario della Consolata, padre Inácio Cordeiro Padrão, eserciterà il suo ministero e servizio pastorale in Mozambico, paese che raggiungerà a breve.

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