Un sì per sempre. Sei giovani missionari della Consolata, provenienti dal Kenya, Uganda e Colombia, si apprestano a vivere due momenti fondamentali del loro cammino vocazionale. Il 6 dicembre 2024, nella chiesa di Corpus Domini a Porta Pia, emetteranno i voti perpetui, consacrando per sempre la loro vita a Dio e alla missione.

Il giorno successivo, il 7 dicembre, saranno ordinati diaconi da Monsignor Ignazio Sanna durante una celebrazione che si terrà alle ore 10:30 presso la parrocchia Natività di Maria a Roma-Bravetta. Saranno giornate di grande gioia e significato per la famiglia dei Missionari della Consolata e per l’intera Chiesa. 

I voti perpetui rappresentano uno dei momenti più solenni e significativi nella vita di un missionario. Questi sei giovani consacreranno la loro vita a Dio, abbracciando con totale dedizione i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. In particolare, nella famiglia dei Missionari della Consolata, i voti perpetui sono un atto di amore e di fiducia, un sì definitivo alla missione universale di portare il messaggio del Vangelo ai popoli di ogni cultura e nazione. Questo impegno non è solo una scelta personale, ma anche un dono alla Chiesa, che si arricchisce della testimonianza di uomini e donne pronti a vivere per gli altri, specialmente per gli ultimi e i più bisognosi.

Il diaconato: una vita di servizio

Il giorno seguente, l’ordinazione diaconale segnerà un ulteriore passo nel loro cammino vocazionale. Il diaconato, infatti, è un ministero di servizio che richiama profondamente la missione stessa di Cristo, che "non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10,45). Come diaconi, i sei missionari saranno chiamati a proclamare il Vangelo, assistere il popolo di Dio nei sacramenti e testimoniare la carità cristiana attraverso un servizio concreto alle comunità che saranno loro affidate.

Questo ministero, seppur transitorio prima dell’ordinazione sacerdotale, è un momento fondamentale per comprendere e vivere il cuore della missione. I diaconi sono chiamati a essere segni visibili di Cristo servo, impegnati nel servizio alla Parola, all’altare e alla carità.

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Una chiamata universale alla missione

La provenienza internazionale dei giovani missionari – dal Kenya, Uganda e Colombia – sottolinea la natura universale della vocazione missionaria. I Missionari della Consolata, seguendo l’eredità di San Giuseppe Allamano, loro Fondatore, si dedicano all’annuncio del Vangelo nelle periferie del mondo, superando confini culturali, geografici e linguistici. La loro testimonianza di vita è un richiamo alla bellezza di una Chiesa missionaria, chiamata a essere segno di speranza per l’umanità.

Questi momenti di grazia ci ricordano l’importanza della preghiera e del sostegno della comunità cristiana. La Chiesa si unisce in gioia per celebrare questi passi fondamentali nel cammino vocazionale di questi giovani. Possano il loro sì essere luce per il mondo e strumento di pace e amore, secondo la missione che Cristo stesso ci ha affidato.

* Fratel Adolphe Mulengezi, IMC, studia Comunicazioni Sociali a Roma.

I formatori riuniti a Roma per il corso di formazione permanente, questo martedì 10 settembre, hanno avuto l’opportunità di confrontarsi su alcune tematiche molto presenti nelle comunità religiose: la motivazione e l’affettività.

Lo studio è stato condotto dal missionario della Consolata, padre Renzo Marcolongo, psicologo, con anni di esperienza nelle missioni della RD Congo, Colombia e in Inghilterra, dove è stato formatore e professore. Attualmente fa parte dell’equipe formativa nel seminario teologico di Bravetta a Roma.

Il padre Renzo ha iniziato il suo intervento affermando che le motivazioni sono importanti per capire la nostra vocazione. “La motivazione è una forza che ci spinge ad andare avanti, a dare direzione alla vita e quando le cose vano male, ci sostiene”.

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Tredici sono i formatori che partecipano al corso che si svolge a Roma dal 2 al 17 settembre.

Poi, a mo’ di esercizio pratico ha invitato i formatori a scrivere in un foglio le motivazioni che li avevano portati a diventare missionari della Consolata e le motivazioni che oggi li fanno rimanere nella congregazione. L’esercizio aveva lo scopo di mostrare come le motivazioni iniziale cambiano con gli anni. Questo a causa degli eventi personali, politici sociali, culturali, incontri con persone diverse e studio.

In un'intervista rilasciata al Segretariato per la Comunicazione al termine della giornata, padre Renzo Marcolongo ha evidenziato i due aspetti a tema nella sua relazione: la motivazione e l’affettività.

Cosa è la motivazione?

Dal latino: “motus” = movimento. “Muoversi verso qualcosa considerato importante”, ha spiegato padre Marcolongo. “L’importanza è data dal bisogno percepito come strutturante. É sempre espressione di una necessità da soddisfare e deve produrre piacere”. Ci sono le motivazioni primarie che svolgono la funzione di soddisfare i bisogni primari quali fame, sete, sonno, ecc; poi ci sono le motivazioni secondarie apprese dal contesto e dall’ambiente di vita: il bisogno di essere connesso con qualcuno o qualcosa; il senso de trascendenza, l'autorealizzazione, e stima, appartenenza o sicurezza.

Padre Renzo ha osservato che “senza motivazione non si va da nessuna parte e senza le giuste motivazione probabilmente non inizieremo mai nulla di importante e significativo per noi, non prenderemo mai una decisione, non attueremo mai un cambiamento necessario”.

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L’affettività

Riguardo l’affettività, padre Renzo ha ricordato dal latino: “ad ficere” = un movimento verso qualcosa, qualcuno, a cui voglio connettermi o attaccarmi. “Quindi l’affettività è la capacità di percepire un’attrazione verso una cosa, una persona, un valore, un ideale, con l’intenzione di assumerlo, di farlo mio”. Secondo il relatore, “per un processo affettivo ‘normale’ è molto importante per conoscere sé stessi e sapere integrare la propria sessualità. Viverla senza ansia o grossi problemi, vivere la vita in pienezza”.

L’importanza della sessualità

Il tema della sessualità e del sesso, sono aspetti da considerare perché sempre nei processi formativi dei giovani. Padre Renzo ha rimarcato l’importanza di differenziare «sesso» e «sessualità». “Sesso si riferisce a tutte quelle caratteristiche biologiche o tratti anatomici e fisiologici che differenziano l’uomo dalla donna, il maschile dal femminile. La sua funzione è la riproduzione”.

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La sessualità, invece, “è molto di più del semplice sesso poiché le persone hanno anche una parte emotiva o psicologica e una parte sociale o relazionale. La sessualità è molto ampia e complessa. È una dimensione molto importante che si costruisce quando ogni persona interagisce con il proprio ambiente. La sessualità appartiene alla maturità emotiva e questa appartiene alla maturità umana”.

Assieme a questo tema, padre Renzo ha anche parlato dell’individualismo, della maturità umana; sessualità e genere; forme di sessualità; sesso biologico; identità sessuale; tentazione del desiderio, espressione del genere, ecc. Sono questioni che fanno parte delle tematiche in discussione nel programma del corso di formazione permanente per i formatori nelle tappe del noviziato, teologia e specializzazione.

* Padre José Martín Serna, IMC, maestro di novizi a Manaus, Brasile.

 

Il centro di spiritualità Resurrection Garden a Nairobi, in Kenya, ha riunito il venerdì 23 agosto 2024 famiglie, amici, seminaristi, sacerdoti e religiosi di varie congregazioni per l'ordinazione di sette nuovi diaconi  (cinque IMC e due Redentoristi) e di un nuovo sacerdote, il diacono Titus Gichohi, missionario della Consolata che stava prestando servizio pastorale in Polonia.

I missionari della Consolata ordinati diaconi sono stati: Antonio Isolindo, Samuel Kangiri Mwangi, Bene Baskalis Nebiyu, Joseph Bakabo Kpudu e Bernard Malich Okelo e insieme a loro anche i due seminaristi della Congregazione dei Redentoristi, Pius Juma Owino e Fredrick Omondi.

La celebrazione è stata presieduta dal nuovo vescovo coadiutore della diocesi di Isiolo, monsignor Peter Makau, IMC. Queste sono le prime ordinazioni da lui celebrate da quando è stato consacrato vescovo il 27 luglio 2024.

Nella sua omelia, il vescovo ha sottolineato che il ministero diaconale e sacerdotale conformano la nostra vita a quella di Cristo per “santificare il popolo di Dio. Noi sacerdoti siamo chiamati ad annunciare il Vangelo, ad essere pastori del popolo di Dio e a celebrare la sacra liturgia del sacrificio del Signore, l'Eucaristia”.

Mons. Peter Makau ha spiegato che attraverso il sacramento dell'Ordine riceviamo la triplice funzione di essere re per governare (servire), sacerdoti per santificare il popolo di Dio e profeti per insegnare al popolo la Parola di Dio, sull'esempio di Cristo, il buon Pastore. Anche noi siamo chiamati ad essere buoni pastori, sempre pronti a dare la nostra vita come Gesù ha dato la sua per l'umanità”.

Il vescovo coadiutore della diocesi di Isiolo ha poi richiamato l'attenzione sul fatto che “diventare re e sacerdote può essere relativamente facile, ma diventare profeta o essere una voce profetica, a volte diventa più difficile. Essere re, essere sacerdote è un privilegio, ma essere profeta è una grande sfida”.

Secondo Mons. Makau, le domande incluse nel rito dell’ordinazione  e pronunciate dal celebrante ci ricordano “la nostra identità, la nostra consacrazione. Siamo chiamati a proclamare il Vangelo, a essere pastori del popolo di Dio e ad essere profeti”.

Vedi il video della celebrazione (TV Cappuccini)

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Mons. Peter Makua durante l'ordinazione sacerdotale del diacono Titus Gichohi, IMC.

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I sette nuovi diaconi si presentano all'assemblea

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Tra preghiera, pittura e pennelli, padre Carlo Mondini, 86 anni dei quali 55 anni come sacerdote, prima di tornare in Italia parla dei 25 anni di servizio missionario in Argentina. Il suo impegno per la missione è evidente in ogni aspetto della sua vita.

Nella Casa Regionale dei Missionari della Consolata, nel quartiere di Flores, a Buenos Aires, da un quarto di secolo batte forte un cuore italiano. Padre Carlo Federico Mondini, 86 anni, bresciano di origine, ha dedicato una parte della sua vita a portare un messaggio di speranza e consolazione in Sud America.

Arrivò in Argentina il 7 luglio 1999 con la speranza di condividere la sua fede e servire i più bisognosi. Dopo un intenso periodo di studio dello spagnolo, la sua prima destinazione è stata la parrocchia di Pompeya, a Merlo, provincia di Buenos Aires. Lì, immerso nel calore della comunità di Buenos Aires, ha iniziato a costruire le basi di quella che sarebbe stata la sua missione in Argentina: il seminario di San Miguel, la pastorale di  Jujuy, a stretto contatto con le comunità indigene, e poi Mendoza.

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Padre Mondini ha lasciato la sua impronta artistica in Africa e in Argentina, dove ha dipinto immagini religiose

Una missione senza frontiere

Nella vita del padre Mondini la formazione è stato un aspetto importante; in Kenya e in Italia, prima ancora che in Argentina, ha dedicato forze e tempo all’animazione missionaria e alla formazione di giovani missionari. Con una profonda sensibilità interculturale e una solida conoscenza della spiritualità della Consolata, padre Mondini ha saputo trasmettere ai suoi studenti la passione per la missione ad gentes. La sua esperienza di animazione missionaria è stata fondamentale per rafforzare la vocazione di molti giovani.

20240826Mondini4“Nella preghiera non siamo mai da soli. Abbiamo un dialogo intimo con Dio, il nostro Padre amorevole. È in questo incontro personale che Egli ci rivela i suoi progetti e ci guida sulla strada che ha tracciato per ognuno di noi. Osate chiedergli: “Signore, cosa vuoi che faccia? Illuminami con il tuo Spirito Santo e dammi la forza di fare la tua volontà. Parlami, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” è il consiglio che padre Mondini dà ai giovani che iniziano la loro vocazione al sacerdozio.

Pennellate missionarie: la passione per la pittura

Padre Mondini ha unito la sua vocazione religiosa alla passione per la pittura. In Africa ha decorato cappelle e ha organizzato mostre d'arte con la comunità locale, i cui dipinti sono stati venduti per sostenere progetti comunitari. In Argentina, ha lasciato la sua impronta artistica a Jujuy, dove ha dipinto immagini religiose come la Vergine Consolata e il Sacro Cuore di Gesù, donando le sue opere alla comunità. Sebbene per lui la pittura sia solo un hobby, il suo talento ha contribuito a decorare gli spazi e a stabilire un contatto con le persone. Con le sue pennellate missionarie dimostra che l'arte può essere un potente strumento di evangelizzazione e di promozione dei valori umani e cristiani.

Il cuore di un missionario

Negli ultimi tre anni, padre Mondini ha fatto della spiritualità il centro della sua vita inspirandosi alla figura di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni. Ogni sua parola, ogni suo pensiero e ogni sua azione sono concepiti come un'offerta al Signore.

“Tutto ciò che faccio, ciò che dico, ciò che penso, ogni respiro della mia bocca e ogni battito del mio cuore è un'offerta al Signore”, dice padre Mondini, riflettendo la profondità della sua dedizione.  Nella sua vita consacrata il missionario cerca di unire il suo cuore a quello di Dio e quindi di intercedere per tutte le persone, soprattutto quelle più bisognose. La sua testimonianza ci invita a riflettere sull'importanza della preghiera e dell'offerta personale come mezzi per trasformare il mondo.

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Missionari della Consolata residenti nella Casa Regionale: Guillermo Pinilla, Mario Guglielmin, James Macharia, Carlos Monidini, Marcos Im Sang Hun e Nino Bigani.

Oggi padre Carlo, che ha lasciato un segno profondo e tanta gratitudine nella comunità argentina, ha deciso di tornare in Italia, sua terra d'origine. All’età di 86 anni, questo ritorno è il risultato di una maturazione personale e spirituale che si è sviluppata negli ultimi mesi. Padre Mondini sente il bisogno di riconnettersi alle sue radici, alla sua lingua, alla sua cultura e, soprattutto, ai suoi cari. In Italia lo aspettano nipoti, parenti e amici con cui condividerà questa nuova tappa.

Ad ogni modo questa sua partenza non significa la conclusione della sua vocazione missionaria: porterà con sé il fuoco dell'apostolato che ha acceso in tanti cuori. Dalla sua patria, continuerà a dedicarsi alla preghiera e alle offerte per le necessità del mondo, ispirando altri a seguire le sue orme.

* Padre Guillermo Pinilla, IMC, superiore della Casa Regionale di Buenos Aires e Celina Atencio, insegnante a Mendoza.

La situazione attuale dell’Istituto e del mondo ci invita a ritornare alle nostre radici, al nostro carisma. Da lì potremo ricevere quella linfa che alimenta e rivitalizza davvero il nostro essere missionari, il nostro modo di vivere la vita religiosa e la fraternità, per arrivare poi al nostro “modo di fare missione” oggi, in comunità multiculturali (XIV CG 21).

Condivido la mia esperienza delle due settimane trascorse in Messico, come messicano, come amuzgo (indigeno) e come guadalupano. Ordinato sacerdote nel 2021, lavoro nella parrocchia Maria Speranza Nostra nel quartiere Barriera di Milano a Torino dove abbiamo anche una Comunità Apostolica Formativa (CAF) con cinque studenti di teologia provenienti da diversi Paesi. Siamo tre sacerdoti.

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Una cena messicana nella Comunità Apostolica Formativa di Torino.

Come messicano

“Ritorno alle radici”. I primi frutti della Missione in Messico.

Credo che questo sia ciò che dà vita a un albero: se perde le radici, muore e cade, perché non è nutrito per stare in piedi e continuare a fare ombra. I rami non saranno abbastanza forti perché gli uccelli possano fare il loro nido. Penso che ogni volta che viene scelto un Paese in cui radicarci ci siano dei missionari che hanno preso quella decisione secondo criteri legati alla missione ad gentes. I missionari della Consolata sono arrivati in Messico nel 2008 e si sono stabiliti a Tuxtla Gutiérrez in Chiapas e a San Antonio Juanacaxtle a Guadalajara.

Nel mio recente viaggio in Messico sono stato invitato a partecipare alla Conferenza della Delegazione Nord America che ci unisce ai confratelli del Canada e degli Stati Uniti. La riunione si è tenuta dall'otto al 13 aprile e ho appreso che l'Istituto è venuto nel mio Paese per cercare vocazioni e risorse per la missione. Ritengo che questo punto sia stato raggiunto con me che sono il primo sacerdote messicano della Consolata. Abbiamo anche padre Camacho Cruz Ansoni (missionario a Wamba, Kenya) e lo studente di filosofia Neftalí, presentato al Padre Superiore come postulante del Noviziato.

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Padre Elmer con i partecipanti alla Conferenza DCMS, Santuario di Guadalupe. Foto: Archivio DCMS

Questo significa che è importante tornare alla radice del motivo per cui siamo venuti in Messico e lavorare per le vocazioni. Come preoccupazione, la Conferenza ha chiesto un missionario a tempo pieno che si dedichi all'animazione vocazionale, dato che a volte ci capita di essere distratti da altre attività pastorali.

Come amuzgo

Tornando alle nostre origini, l'identità di ciascuno di noi è importante, perché ognuno di noi porta con se una ricchezza culturale che rende la nostra famiglia della Consolata più aperta all'universalità. La ricchezza di essere Amuzgo è qualcosa che mi ha aiutato a vivere la mia vocazione.

Qui, nella CAF di Torino e nella parrocchia di Maria Speranza Nostra, tutti noi parliamo più di tre lingue, ognuno ha la sua cultura, e insieme camminiamo alla ricerca di ciò che possiamo contribuire alla consolazione del mondo. Sto preparando un pranzo messicano e mi sono portato molte cose per far conoscere le usanze gastronomiche messicane. La Conferenza lascia una sfida: continuare a lavorare in unità di intenti e creare legami che formino uno spirito di famiglia come sognava il Beato Giuseppe Allamano.

Imparando dal padre Ezio Roatino Guadalupe, morto poco tempo fa, ho potuto celebrare la messa nella lingua locale, l'amuzgo, con una chiesa parrocchiale gremita. Molti sono dovuti rimanere fuori per ascoltare la messa nella loro lingua. L'esperienza è stata molto significativa e la gente ha dimostrato il suo affetto.

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Cena tipica messicana durante la Conferenza della DCMS

Come Guadalupano

Come dice l'inno alla Vergine di Guadalupe, essere messicano e guadalupano è qualcosa di speciale.

Da quando sono stato ordinato sacerdote (13/02/2021) mi sono reso conto di avere due Vergini, una messicana e una italiana, la Guadalupe e la Consolata. Avere due donne è una benedizione, avere due madri è meglio, avere due insegnanti ti fa camminare meglio.

Due donne, una indigena (Guadalupe-Coatlaxopeuh) e una piemontese europea (Consolata). Il Beato Giuseppe Allamano ci ha trasmesso la sua speciale spiritualità mariana, il suo amore per Maria, chiarendo che la sua opera è “della Consolata”. La nostra spiritualità detta in due parole significa precisamente portare a tutti i popoli la vera Consolazione che è Gesù che Maria ci offre e ci addita nell’immagine.

Lo stesso vale per la Guadalupe, dice nel codice Nicamopochua: “Desidero molto e desidero fortemente che il mio Eremo sia eretto in questo luogo. In esso mostrerò e darò tutto: il mio AMORE, la mia COMPASSIONE, il mio AIUTO e la mia DIFESA. Lì ascolterò i loro lamenti, rimedierò e curerò tutte le loro miserie, dispiaceri e dolori”.

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La metodologia di Nostra Signora di Guadalupe è la stessa della Consolata: portare al mondo la vera Consolazione, Gesù Cristo. Amore, compassione, aiuto e difesa sono quattro parole nelle quali si concretizza quella che noi potremmo chiamare Consolazione. Ascoltare i loro lamenti, rimediare e curare tutte le loro miserie, le loro pene e i loro dolori.

Questo è il grido di consolazione di cui il Messico ha bisogno e noi missionari della Consolata rispondiamo alla chiamata di Nostra Signora di Guadalupe da undici anni. Seguendo la metodologia Guadalupana stiamo rispondendo ai popoli nativi e ai nostri fratelli e le nostre sorelle migranti. È una chiamata che richiede una risposta da parte della delegazione. Hanno bisogno di amore, compassione, aiuto e difesa.

*  Padre Elmer Peláez Epitacio, IMC, missionario a Torino, Italia.

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