Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre

È stato con sorpresa e profonda tristezza che, la mattina del 21 aprile, alla missione di Boroma, fondata dai gesuiti alla fine del XIX secolo, ho ricevuto la notizia del ritorno di Papa Francesco alla casa del Padre.

Era un grande amico del Mozambico, Paese che ha visitato nel settembre 2019. L’ondata di affetto suscitata dalla semplice figura di Francesco ha unito tutti i mozambicani, indipendentemente dal partito politico, dall’etnia e persino dall’appartenenza religiosa. Ci ha lasciato un messaggio di pace e riconciliazione e gesti di solidarietà concreta con le vittime mozambicane dei disastri naturali e dell’insurrezione terroristica a Cabo Delgado, nel Nord del Paese.

Si è detto e si dirà molto su Papa Francesco. Per me è stato un padre e un fratello per tutti. Un Papa missionario, che mi ha ispirato molto nel mio lavoro pastorale come Vescovo di Tete, cercando di rendere questa Chiesa locale, dove i Missionari della Consolata sono arrivati 100 anni fa, una Chiesa «in uscita», con le porte aperte a tutti, una Chiesa missionaria.

Ci lascia con l’impegno di continuare a essere fedeli al Vangelo nella nostra vita quotidiana, come discepoli-missionari del Signore Gesù, che è risurrezione e vita. Speranza dell’umanità.

Sono grato a Papa Francesco per il suo esempio di vita e per le sue parole ispiratrici e trasformatrici rivolte ai fedeli e al mondo: il suo invito a vivere la fede nella gioia e nell’«uscire», senza paura di abbracciare tutti, la sua preoccupazione per i più dimenticati, i più piccoli, i più bisognosi, nella consapevolezza che siamo tutti fratelli e sorelle; e anche la sua vigorosa e instancabile denuncia di un’«economia che uccide», mettendo in pericolo il pianeta, di tanti conflitti che configurano la «terza guerra mondiale a pezzi», così come dei peccati della Chiesa stessa, abusi sessuali, abusi di potere o abusi economici.

Grazie, Francesco.
Perché, come Papa, sei sempre stato un fratello.
Perché, come gesuita, sei sempre stato un missionario.
Oggi piangiamo con te, ma soprattutto ti ringraziamo.
La tua vita è stata il Vangelo condiviso.
La tua morte, un seme di speranza.

* Mons. Diamantino Guapo Antunes, IMC, vescovo di Tete, Mozambico. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it

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Il primo Papa latino-americano è arrivato a Roma dalla “fine del mondo”. Ha scelto il nome di Francesco, ispirato al “poverello” di Assisi. “Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri”, ha detto pochi giorni dopo la sua elezione, il 13 marzo 2013.

Ha lavorato instancabilmente per una Chiesa “in uscita” missionaria per raggiungere tutti, come un “ospedale da campo” dove essere accolti, accompagnati e guariti. È diventato il Papa della misericordia e della compassione che ha messo le periferie al centro del mondo. Ha compiuto 47 viaggi apostolici, visitando 66 Paesi, il primo dei quali il Brasile in occasione della GMG 2013. Voleva essere dove tutti erano.

Lascia l'immagine di una grande persona, un leader che ha fatto la differenza in un mondo privo di modelli. Francesco è stato un Papa molto presente e vicino a noi, che ha saputo tessere relazioni tra il suo pontificato e il popolo di Dio. “Pregate per me”, chiedeva, ricuperando l’importanza della preghiera d’intercessione. Telefonava a diverse persone e le sorprendeva con il suo buon umore. Con Francesco, il Papa è diventato umano e, allo stesso tempo, un profeta della misericordia e della speranza, temi di due Giubilei da lui convocati e animati.

Ha avuto a cuore i principali temi che riguardano l'umanità: i poveri e gli esclusi; i migranti e i rifugiati; la cura della nostra casa comune con la sua ecologia integrale (Laudato sì); la pace tra i popoli e le nazioni (Fratelli tutti); il dialogo interreligioso e la comunicazione trasparente. Ha avuto il coraggio di combattere gli abusi nella Chiesa e nella società.

Per noi Missionari della Consolata, Papa Francesco è il Pontefice che ha canonizzato il nostro Fondatore, San Giuseppe Allamano (il 20 ottobre 2024) e ha dato un grande impulso missionario alla vita e alle scelte della Chiesa.

Il 27 gennaio ho avuto la grazia di salutarlo personalmente durante l'udienza con i comunicatori che hanno partecipato al Giubileo del Mondo della Comunicazione. Ho sentito da vicino, ancora una volta, la sua mano e ho sentito il suo calore umano e divino. Guardandolo negli occhi, gli ho detto: “Santo Padre, prego per lei. Oggi è il mio compleanno, chiedo la sua benedizione!”. Francesco ha sorriso e ha chiesto ai suoi assistenti una custodia rossa. Che regalo! Era un rosario. “Grazie, Francesco!”

Negli ultimi giorni, in comunione con tutta la Chiesa, abbiamo pregato molto per la sua salute. Dopo 38 giorni al Gemelli, sembrava avesse superato la crisi. Era tornato a Casa Santa Marta e senza nascondere la sua fragile condizione di anziano ammalato, ha continuato a sorprenderci con i suoi gesti pieni di significato e con la sua parola pronunciata con grande difficoltà.

La domenica di Pasqua, nel suo Messaggio Urbi et Orbi (alla città di Roma e al mondo), Francesco, ricordando le guerre nel mondo, ha lanciato il suo ultimo appello a favore della pace. “Nessuna pace è possibile senza disarmo!” Poi ha offerto la sua benedizione per la Chiesa e per tutta l'umanità, è stato il suo addio...

Il lunedì di Pasqua, 21 aprile 2025, Francesco ha vissuto la sua Pasqua nella certezza che la morte non è la fine di tutto. Ora riposa nell'infinito amore misericordioso del Dio Uno e Trino che ha tanto amato e servito.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione.

Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre

Ringrazio Dio di aver incontrato personalmente Papa Francesco. È stato un grande regalo nella mia vita: un modello di umiltà e povertà francescana da imitare.

Il 16 aprile 2015, durante la visita ad limina di noi vescovi del Kenya, ho avuto la gioia di fare a Papa Francesco un regalo speciale. Gli ho detto: «Io lavoro nella diocesi di Maralal, in mezzo ai pastori e perciò ti offro, a nome loro, questa mia mitria di pelle di capra. Ora anche tu, come buon pastore, potrai avere l’odore di pecora, come sempre vai dicendo ai tuoi preti».

Prima di mettergliela sulla testa, lui stesso volle annusarla e poi commentò: «Questa non è pecora ma capra!». Gli risposi: «Sì, è vero. Vedo che te ne intendi. Ma in Kenya le pecore e le capre vanno al pascolo insieme».

Sette mesi dopo, egli fece visita in Kenya (25-27 novembre 2015), e mi fece una bella sorpresa che dimostrava il suo cuore sempre attento ai piccoli favori. Al suo arrivo, nell’aeroporto di Nairobi, sceso dall’aereo, mentre passava davanti alla fila dei vescovi, mi feci coraggio e gli chiesi: «Santità, Lei non si ricorda di me? Sono quello che Le ha regalato la mitria di pelle di capra, a Roma». «Mi ricordo, sì – rispose – e la tua mitria me la sono portata dietro da Roma e domani la vedrai sulla mia testa durante la Messa».

Il giorno dopo, all’inizio della Messa, sull’altare si girò leggermente verso di me e mi fece un sorriso come per dire: «Vedi, io mantengo le promesse». Che cuore umano e pieno di calore! Tutt’oggi tengo caro ancora due cosette: il Rosario che mi regalò, e che recito tutti i giorni, e un quadretto con la foto in cui lo abbraciai (che coraggio!).

Abbiamo un altro santo che intercede per noi. Un santo che ha baciato i piedi ai presidenti africani, supplicandoli di costruire la pace.

* Mons. Virgilio Pante, IMC, vescovo emerito di Maralal. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it

Questa mattina il rito di traslazione della salma del Papa da Santa Marta alla Basilica vaticana. Una cerimonia solenne ma intima presieduta dal camerlengo Farrell: "Con grande commozione accompagniamo le spoglie mortali del nostro Francesco". Presenti nel corteo circa 80 cardinali e patriarchi, poi vescovi, sacerdoti, suore, laici. Oltre 20 mila fedeli in Piazza salutano il passaggio del feretro battendo le mani, numerose persone in fila per l'omaggio al Pontefice

Il percorso è stato più o meno lo stesso di quattro giorni fa. Santa Marta, via della Sacrestia, Piazza dei Protomartiri Romani, poi l’Arco delle Campane, Piazza San Pietro, le file davanti al sagrato della Basilica. Domenica scorsa, giorno di Pasqua, era la papamobile a passare, con Francesco che provava a stendere le braccia, appesantite dalle terapie, per accarezzare bambini, salutare e benedire. Oggi, giorno di San Giorgio, il suo onomastico, è una bara di legno a muoversi davanti a 20 mila persone dispiegate in una Piazza illuminata da un sole finalmente primaverile, in lacrime, con le dita a coprire la bocca, il Rosario in una mano e lo smartphone nell’altra per immortalare il momento.

La processione

Il corpo di Francesco è vestito con i paramenti rossi, in testa la mitra, intrecciata tra le dita la coroncina in perle nere che portava sempre in tasca, insieme ad una immaginetta di Teresina di Lisieux e un santino del cardinale Jean-Louis Tauran. Viene portato in processione per essere traslato in Basilica. Una cerimonia solenne, che la Chiesa e il mondo non vedevano dall’aprile di vent’anni fa con la morte di Giovanni Paolo II. Cerimonia solenne, presieduta dal cardinale Kevin Joseph Farrell, camerlengo di Santa Romana Chiesa, ma al contempo intima con circa 80 cardinali e patriarchi in prima fila, poi vescovi e arcivescovi, sacerdoti e suore, infine i laici “più dietro”, come ordinato da sampietrini e gentiluomini di Sua Santità.

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Oltre 20 mila fedeli in Piazza salutano il passaggio del feretro battendo le mani. Foto: Jaime C. Patias

Preghiere, canti, commozione

Si inizia a pregare e cantare da prima dell’uscita della bara aperta, portata a braccio dai sediari pontifici, dalla porta automatica della Domus vaticana che per oltre dodici anni è stata residenza del Pontefice argentino. La salma attraversa il corridoio creato dai penitenzieri con la stola rossa e gli alabardieri della Guardia Svizzera intorno alle 9.10, poco dopo il suggestivo rintocco delle campane e il canto della Schola Cantorum. Dietro ci sono i segretari: l’italiano don Fabio Salerno e gli argentini don Daniel Pellizzon e don Juan Cruz Villalón. Poi l’assistente sanitario personale Massimiliano Strappetti, gli aiutanti di camera Piergiorgio Zanetti e Daniele Cherubini. Tutti sono visibilmente commossi e in questi ultimi due giorni hanno vegliato sul flusso enorme di persone venute a dare omaggio al Papa nella cappella di Santa Marta.

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Numerose persone in fila per l'omaggio al Pontefice. Foto: Jaime C. Patias

Le parole di Farrell

«Fratelli e sorelle carissimi, con grande commozione accompagniamo le spoglie mortali del nostro Papa Francesco nella Basilica Vaticana, dove ha esercitato spesso il suo ministero di Vescovo della Chiesa che è in Roma e di Pastore della Chiesa universale», scandisce Farrell in latino al microfono. «Mentre lasciamo questa casa, ringraziamo il Signore per gli innumerevoli doni che, tramite il suo servo, il Papa Francesco, ha elargito al popolo cristiano, e supplichiamolo perché, misericordioso e benigno, conceda a lui l’eterna dimora nel regno dei cieli e doni il conforto della superna speranza alla famiglia pontificia, al suo popolo santo che vive in Roma, a tutti i fedeli sparsi nel mondo».

Su una piccola pedana rossa

«Procedamus in pace», invita il diacono. Il corteo si snoda quindi in un’unica lunga fila muovendosi all’ombra dei muri e delle statue, del cupolone e degli alberi che puntellano il percorso fino alla Piazza. Da lì, all’apparire della processione parte il primo applauso spontaneo. Gli svizzeri sull’attenti, i gendarmi in divisa – qualcuno anche commosso -, donne con la veletta nera, bambini in braccio ai genitori, tantissimi sacerdoti della Diocesi di Roma accompagnano il passaggio verso il sagrato. Un altro applauso in quel momento a suggellare l’ingresso delle spoglie di Jorge Mario Bergoglio dal portone centrale e il percorso verso la navata centrale fino all’altare della Confessione, luogo in cui Pietro professò la sua fede col martirio.

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Il feretro viene deposto su una piccola pedana rossa leggermente inclinata, sopra un tappeto a terra. Nessun catafalco, come sempre avvenuto nel passato, secondo la volontà di Francesco. Il corpo del Papa defunto viene asperso con l’acqua benedetta e incensato. Si proclama il Vangelo, l’assemblea è disposta in semicerchio e segue il canto dei salmi e delle litanie. L’atmosfera continua a mantenere un tono di forte intimità; le prime file di cardinali e vescovi che vanno a dare il loro saluto al Pontefice sono ordinate. Lui è lì, sopra la tomba dell’apostolo, con un’espressione serena che somiglia a un vago sorriso come i tanti che ha dispensato nelle sue uscite pubbliche.

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La gente rende omaggio al Papa. Foto: Jaime C. Patias

Le lacrime di suor Geneviève

A catturare più di tutti l’attenzione è suor Geneviève Jeanningros, la piccola sorella di Gesù ultraottantenne che il Papa definiva una «enfant terrible» nei loro continui incontri ogni mercoledì in Piazza San Pietro all’udienza generale, dove lei portava giostrai, rom e persone omosessuali e transgender. Suor Geneviève è in un angolo, piccola, con i suoi occhi azzurrissimi inondati di lacrime davanti al feretro.

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Lunga fila di fedeli

Fuori dalla basilica, intanto, le cui porte aprono al pubblico alle 11 in punto, già da ore si sono create lunghissime file di fedeli. I primi gruppi attendono dietro i cancelli recitando i Misteri del Rosario, corrono appena ricevono il via da gendarmi e volontari. Sfoderano gli smartphone una volta arrivati alla transenna e si fermano qualche istante a guardare il Papa facendosi il segno della Croce. Il cordone arriva fino a Via della Conciliazione, dove si fatica anche a passare. La Basilica rimarrà aperta fino a mezzanotte e lo stesso avverrà domani dopo l’apertura alle 7. Venerdì invece si terrà alle 20 il rito di chiusura della bara. Infine sabato 26 aprile, alle 10, in Piazza San Pietro l’ultimo addio al Papa «venuto dalla fine del mondo».

* Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano. Pubblicato orignalmente in: 

Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre

In queste ore siamo tutti scossi. È difficile ordinare i pensieri e tradurli in parole di senso compiuto. È un grande shock, che ha bisogno di essere attraversato con fede.

Ci vorrà del tempo per capire fino in fondo la portata del pontificato di Papa Francesco. Quello che mi sento di dire adesso è che vedevo incarnata in lui una profonda paternità, che ho sperimentato personalmente in varie occasioni. Mi sentivo attratto dalla sua libertà interiore e dal suo ascolto delle mozioni interiori dello Spirito Santo.

Per noi Missionari e Missionarie della Consolata, Papa Francesco è il Pontefice che ha canonizzato il nostro santo Fondatore e che ha dato un impulso missionario grandissimo alla vita e alle scelte della Chiesa.

Con il suo magistero e con il suo esempio ha riportato la missione evangelizzatrice della Chiesa al centro della vita reale delle comunità.

Per quanto riguarda la Chiesa in Mongolia, certamente Papa Francesco sarà ricordato nella storia di questo Paese per essere stato il primo pontefice a venire qui. Ma anche per il coraggio dei suoi discorsi profetici sul valore della fratellanza universale e dell’impegno per la giustizia, la pace e l’armonia del creato.

In queste ore sto ricevendo telefonate e messaggi dalle autorità civili e religiose della Mongolia. Uno dei consiglieri del Presidente mongolo mi ha trasmesso le condoglianze del Capo dello Stato, dicendo che Papa Francesco ha scritto a caratteri d’oro una pagina nuova nella storia delle relazioni tra Mongolia e Santa Sede.

Poco fa mi ha chiamato l’Abate primate dei buddhisti mongoli, il Hamba Nomun Khan Javzandorj, con il quale non più di tre mesi fa avevamo avuto la gioia di incontrare personalmente Papa Francesco in Vaticano. Mi ha voluto dire che, su richiesta esplicita del Presidente della Mongolia, la comunità monastica buddhista del tempio Gandantegchinlen, domani offrirà una preghiera rituale per l’anima di Papa Francesco, come già avevano fatto durante il suo recente ricovero ospedaliero.

Papa Francesco è stato capace di parlare al cuore di tutti. Abbiamo tanto da imparare e da applicare alla nostra vita di servi del Vangelo.

* Cradinal Giorgio Marengo, IMC, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia). Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it

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