Giubileo nel mondo. Pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra, come spiega padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata, parlando del suo impegno tra villaggi lontani nel Nord della Costa d’Avorio. “La speranza – afferma a 'Popoli e Missione' - è prima di tutto presenza”

Ha 68 anni padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata a Dianra, in Costa d’Avorio, ma la sua sembra una vita lunghissima, tanto è stata intensa. Ordinato sacerdote nel 1984 nella Repubblica Democratica del Congo, allora Zaire, ci è rimasto per 18 anni; poi, per nove ha svolto animazione missionaria in Italia, prima a Galatina e successivamente a Bevera. Nel 2005, è stato eletto Vice-Superiore generale dell’Istituto dei Missionari della Consolata e, nel 2011, Superiore Generale, riconfermato fino al 2017. Nel 2023 ha concluso il suo servizio presso la Direzione generale e nel 2024 è partito per la missione in Costa d'Avorio.

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Missionari della Consolata in Costa d'Avorio

“E dopo 40 anni di sacerdozio, ti chiedi cosa fare ancora, come missionario”. Per lui, la risposta più logica è stata partire. “Girare il mondo, durante il mio incarico nella congregazione, è stata un’esperienza unica, perché ogni posto diventa casa tua” ammette padre Stefano. “Ma la cosa che più mi è mancata in questi anni è la continuità delle relazioni, la quotidianità con un gruppo con cui condividere la missione, con cui crescere e diventare famiglia”. Oggi, quel desiderio sembra realtà. Dalla diocesi di Odienné, infatti, la sua voce al telefono è carica di entusiasmo.

Una fede dai gesti concreti

“Mi sono reso disponibile e sono stato mandato qui, a Nord della Costa d’Avorio”, spiega. Un territorio grande come le Marche – la sua regione d’origine – con due parrocchie che comprendono 20-25 villaggi ciascuna. Con lui, fin dall’inizio, c’era anche padre Matteo Pettinari, morto in un incidente stradale il 18 aprile 2024: “Un missionario infaticabile, il più giovane italiano del nostro Istituto”.

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Ora lo affianca un sacerdote ugandese. “è una zona prevalentemente musulmana (il 93%), dove la convivenza è pacifica. I cristiani sono il 3% della popolazione: significa che tu arrivi in un posto dopo più di un’ora di strada e hai tre fedeli in chiesa. È tuttavia interessante essere in minoranza, anche perché la speranza è prima di tutto presenza, far sentire che ci sei. Tu vai ad alimentare una fede con i pochi che ci sono, e lo fai con gesti concreti”. Per esempio, nella missione di Dianra, essendo carente l’aspetto sanitario, è stato realizzato un piccolo ospedale, che è un punto di riferimento per tutti, con campagne di prevenzione, visite nei villaggi, vaccinazioni. O, ancora, sono stati avviati progetti di scolarizzazione, principalmente rivolti a bambini e a ragazze, che sono le categorie meno rispettate.

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Missione di Dianra Village

Le donne rappresentano la speranza

“È incredibile come le donne, la cui dignità non è assolutamente riconosciuta, siano poi quelle che danno veramente speranza alla famiglia, alla comunità e al Paese. Lavorano nel silenzio, ma il loro messaggio arriva a tutti: sono il futuro dell’Africa”. È nell’accompagnare queste situazioni che si realizza il suo essere “pellegrino di speranza”. “Lo sento quando mi accolgono in un Paese che non è il mio o capitano segnali forti che ti toccano dentro e ti cambiano. Me ne accorgo davanti alla meraviglia del cuore della gente, e ogni volta che vedo qualcosa di grande in mezzo a tanta povertà e polvere, in un angolo della Terra dimenticato da tutti”. Per il missionario, già solo una messa è un’iniezione di speranza: “Celebrare è ciò che dà senso alla mia vocazione”.

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E anche nei giorni feriali, quando i suoi parrocchiani vanno a lavorare nei campi fuori dal villaggio (divenendo anch’essi pellegrini), gli bastano pochi e semplici incontri, un grazie, un sorriso, per “ripartire e fare fronte alle difficoltà. Perché la speranza ricomincia sempre. Perché pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra; è chi lascia gli spazi delle proprie comodità per camminare con Lui verso luoghi sconosciuti e vivere legami significativi”.

Il senso del Giubileo

È, in fondo, il senso di ogni Giubileo, per noi e per la Chiesa essere “l’occasione per un cambiamento vero, la forza dirompente capace di aprire la porta della fede e dell’accoglienza, superando la tentazione di ritirarsi nella propria piccola vita”. Tempi difficili per la speranza, ma il sogno di padre Stefano è quello di “poter dare una mano per costruire una solida comunità cristiana, attenta ai bisogni degli altri”. E intanto fa sue le parole di san Riccardo: “Turista è chi passa senza carico né direzione. Camminatore chi ha preso lo zaino e marcia. Pellegrino chi, oltre a cercare, sa inginocchiarsi quando è necessario”.

* Originalmente pubblicato in Popoli e Missione.

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I Missionari della Consolata hanno restituito alla diocesi la missione che avevano iniziato a Toribío nella regione del Cauca, in Colombia. Pubblichiamo di seguito le significative parole di ringraziamento pronunciate dal signor Gilberto Muñoz a nome delle organizzazioni indigene, durante l'Eucaristia del 26 gennaio 2025.

“Vorrei porgere il mio saluto fraterno a tutti voi, alle persone che sono venute qui dai villaggi, alle autorità indigene, ai bambini e ai giovani, a voi missionari.

Sapete che sono originario di Corinto, ma è stato quando sono venuto a lavorare a Toribío che ho imparato ad avvicinarmi alla Chiesa, è stato con i Missionari della Consolata. E questo per un semplice motivo... qui ho visto la Chiesa che raggiungeva la gente, che era ed è stata con la gente. Era la chiesa che trasformava davvero, insegnava la parola di Gesù ma nella pratica e nella vita: condivisione, amore.

Ogni volta che qualcuno arrivava in questa casa, padre Antonio Bonanomi lo portava in cucina e gli diceva: “Hai preso il caffè? Hai fatto colazione?” Questo non l'ho visto fare in nessun’altra chiesa. Forse ci hanno abituati male, ma questa vicinanza ci manca.

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C'erano anche le missionarie qui, li ho conosciute, le missionarie della Madre Laura che accompagnavano il padre Álvaro Ulcué Chocué, (il primo sacerdote indigeno Nasa)... e poi altre missionarie, ricordo la madre Teresa che era francese. Grazie al lavor dell'équipe missionaria, molti di noi abbiamo anche attraversato l’oceano e conosciuto il sostegno di molte istituzioni: la Conferenza Episcopale Italiana, Caritas, Manos Unidas, Fastenopfer, l'Unione Europea. Tutto questo fa crescere le persone. Da tutto questo esercizio, mi è rimasta una cosa molto importante, e vorrei dirla con le parole di padre Antonio: “se trovi un lavoro, non è per essere servito ma per servire”. A volte succede che se raggiungiamo una buona posizione politica o comunitaria pensiamo che dobbiamo essere serviti. No, in realtà dobbiamo servire le persone; io lo dico e lo ripeto sempre ovunque vada e cerco di metterlo in pratica.

In questa chiesa abbiamo vissuto momenti molto felici, belle celebrazioni, ma anche momenti molto tristi. Ricordo la “chiva bomba” quando un asse di quel veicolo era rimasto incastrato in un muro interno della parrocchia. Ricordo quando il padre Ezio Roattino, armato di sua stola, andava di casa in casa in mezzo alla sparatoria per fare uscire la gente ed evitare che divenissero vittime degli attacchi delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). Io sono stato rapito dalle FARC ma le comunità di questo municipio e di altri, incoraggiate dall'Equipe Missionaria, sono andate a cercarci e ad accompagnarci nel Caquetá dove ci avevano portato ed eccomi qui.

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Gilberto Muñoz Coronado

Questa Equipe Missionaria si è dedicata certamente allo spirituale, ma anche ai progetti comunitari, all'educazione, alla trasformazione che ne deriva. C'è il Cecidic (Centro di Educazione, Formazione e Ricerca per lo Sviluppo Integrale della Comunità) che dice tutto lo sforzo che è stato fatto.

Un'altra frase di padre Antonio che ricordo molto: “chi impara a perdonare ha imparato ad amare”. Qui dobbiamo imparare a perdonare, a riconciliarci l'uno con l'altro. Ci sono tante ferite oggi, c'è tanto dolore in tante famiglie per le persone care che abbiamo perso... ma la parte spirituale ci aiuta e ci insegna.

Io in questa chiesa sono venuto con i miei figli piccoli, ci sedevamo sempre assieme e qui loro sono cresciuti. In questa chiesa, dopo aver conosciuto l'équipe missionaria, ho deciso anche di sposarmi; qui con me c'è anche mia moglie, siamo assieme da 41 anni, ma ci siamo sposati 31 anni fa, era il 9 gennaio 1993. Anche la Consolata celebra il suo anniversario 124, è stata fondata nel 1901, tutta una vita e tutta una storia di servizio. Ho potuto conoscere le loro casi di Milano, Torino, Roma... e anche vedere come, dopo aver offerto tutta la loro vita al servizio della gente, finiscono in una casa dove chiudono la loro vita quando non ce la fanno proprio più.

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Parrocchia di San Giovanni Battista di Toribio

Ci sono molte lezioni che possiamo imparare da loro, ma oggi siamo qua per ringraziarli a nome di tutti e lo vogliamo fare con questa targa che vorremmo collocare da qualche parte in questa chiesa a perenne ricordo della vostra presenza e del vostro servizio. Dice tutta la gratitudine che abbiamo nel cuore e dice: “La nostra gratitudine ai Missionari della Consolata per l'accompagnamento spirituale, l'impegno e il sostegno ai nostri progetti comunitari a favore di bambini, giovani, donne e comunità.

Con affetto, le autorità indigene di Toribío, Tacueyó, San Fracisco, Progetto Nasa, Cecidic e la comunità in generale. Toribío Cauca 1984-2025. Dio vi benedica sempre cari missionari".

* Gilberto Muñoz Coronado, sociologo e membro dell'Assemblea dipartimentale del Cauca.

Nel 2026 ricorrerà il 25° anniversario della creazione della parrocchia Medalla Milagrosa a Jujuy, nel nord dell'Argentina. I Missionari della Consolata, con il loro particolare stile di vicinanza, sono una vera consolazione per questo quartiere: la costruzione di cappelle, il sostegno scolastico, le aule, la gioia evangelica, il ministero della musica, l'attenta cura pastorale sono attività che producono consolazione per l’estesa e diversificata periferia di Jujuy.

Nel quartiere Alto Comedero di San Salvador de Jujuy si trova la Parroquia “Medalla Milagrosa”. Questa parrocchia si trova in un settore conosciuto come i 30 ettari di Alto Comedero. I Missionari della Consolata, Olivier Bingidimi Sala (41 anni, della Repubblica Democratica del Congo, Parroco), Iga Michel (37 anni, ugandese, Vicario) ed Enrique Blussant (80 anni, argentino, Vicario), sono riusciti a costruire, per mezzo di questa attività di pastorale urbana periferica, un luogo di incontro spirituale e comunitario di fede vibrante che parte dal Centro Parrocchiale e raggiunge anche le sue otto Cappelle: Sacro Cuore di Gesù e di Maria, Santissimo Salvatore, Virgen del Valle, Santa Rosa, San Cayetano, San Roque, Immacolata Concezione e Nostra Signora della Consolata.

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Comunità parrocchiale di Virgen de la Medalla Milagrosa

Alto Comedero è uno dei quartieri più grandi e popolati di San Salvador de Jujuy. Secondo stime recenti, conta più di 100 mila abitanti, una crescita dovuta in parte all'espansione urbana e allo sviluppo di nuovi complessi abitativi nella zona. In questa popolosa periferia convivono numerose espressioni di popoli nativi che mantengono vive le loro tradizioni culturali e spirituali, organizzando cerimonie e feste che rafforzano la loro identità e promuovono la diversità culturale della regione: Kolla, Ava Guaraní, Tupi Guaraní, Qom, Mocoví, Mapuche, Comechingón, Diaguita, Quilmes, Chorote, Aymara, Uitoto, Piratapuyo, Pilagá, Charrúa, Paypaya, Ocloyas e Osas.

Secondo il censimento nazionale del 2001, Jujuy è la provincia con la più alta percentuale di famiglie discendenti da popoli nativi, con quasi l'11% della popolazione. Basta vedere alcuni numeri della catechesi sacramentale dell'anno 2024, per misurare l'intensa attività di questo importante centro di evangelizzazione: 219 battesimi, 215 comunioni, 149 cresime, 15 matrimoni.

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Padre Enrique Blussant amministra i battesimi

Nella chiesa parrocchiale si celebra l'Eucaristia ogni giorno e nelle cappelle le celebrazioni sono settimanali. Per la catechesi sacramentale c'è un'équipe conformata da 116 catechisti che si impegnano in una capillare catechesi familiare accompagnando i genitori dei bambini nella formazione dei loro figli in incontri che si svolgono nelle case in cui vivono le famiglie.

L'animazione missionaria di questa comunità non si limita alla catechesi sacramentale; c'è un'équipe di coordinatori laici che lavorano con i Missionari della Consolata. “Il ruolo dei laici è fondamentale: la maggior parte delle attività sono programmate da loro e noi, come missionari, li accompagniamo. Sono persone molto responsabili e coscienziose. Posso dire con certezza che la parrocchia è loro”, dice p. Olivier. “Dietro questa gestione c'è un grande lavoro di pianificazione, di valutazione a metà anno e di studio di nuove proposte. Il Consiglio pastorale, i coordinatori dei diversi gruppi e le parrocchie si incontrano mensilmente per procedere coordinati. Esiste anche una équipe incaricata della comunicazione, chiamata “Voci mariane”, che per mezzo dei social e di Facebook si incarica di diffondere proposte che aiutano la popolazione a crescere nella fede.

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 Padre Olivier Bingidimi Sala con gruppo di parrocchiani

I laici di Alto Comedero sono corresponsabili di molteplici proposte che arricchiscono la vita cristiana di questa comunità: i responsabili della pastorale della salute, per esempio, oltre a portare l'Eucaristia ai malati, accompagnano gli anziani in stato di abbandono e, quando necessario,  sono loro che li portano ai centri medici. Caritas gestisce una mensa dove si offrono dei pasti –50 famiglie che ricevono il pranzo ogni giorno– ma anche prodotti alimentari di prima necessità e capi di abbigliamento. Anche le coppie hanno uno spazio per condividere aspetti della loro esperienza di vita, si riuniscono nel gruppo “Nuova Alleanza” e quelli che non sono sposati partecipano del gruppo “Nuovi focolari domestici”.

Il ricordato e amato Padre Rubén López ha iniziato un progetto pastorale con le persone che sono vittime di qualche tipo di dipendenza. L’ha fatto per offrire qualche segno di consolazione tra i giovani, e padre Olivier continua questa eredità. Si tratta di uno spazio di ascolto in cui si cerca di riavvicinare i genitori di questi giovani che, a causa delle loro dipendenze, vivono spesso come senzatetto. Si tratta di ristabilire quel sostegno che è necessario per garantire la frequenza alle relative terapie. Attualmente sono 15 i ragazzi inseriti in questo programma con l'accompagnamento di laici.

Esistono anche vari gruppi di giovani ed è lodevole notare come si integrino e collaborino in diversi servizi che la parrocchia offre.

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Padre Iga Michel in processione a Tumbaya

San Giuseppe Allamano era un fervente difensore della collaborazione tra sacerdoti, religiosi e laici nella missione della Chiesa: “Siamo tutti missionari: alcuni con la loro vita, altri con il loro lavoro, altri con la loro preghiera e i loro sacrifici”; in Lui era chiara l’idea che ogni persona, secondo il suo stato di vita, ha un ruolo essenziale nell'opera missionaria della Chiesa.

Papa Francesco non ha mai smesso di motivare la corresponsabilità dei laici: “Un buon pastore non si mette al di sopra del gregge né lo lascia indietro, ma cammina con esso, a volte davanti, a volte in mezzo o dietro, sempre ascoltandolo e accompagnandolo” (P. Francesco, omelia 2018). La Parrocchia della Medaglia Miracolosa materializza in modo testimoniale e provvidenziale questo segno di sinodalità, nello stile Allameno.

* Padre Olivier Bingidimi Sala, IMC, e Diana Sosa, insegnante presso la Scuola della Consolata a Mendoza.

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Quando si pensa al lavoro missionario, spesso si immaginano i missionari: le figure visibili che portano speranza e fede alle comunità remote. Tuttavia, dietro ogni missione c'è uno sforzo collettivo, una rete di mani e cuori che lavorano insieme. Al centro di questa rete ci sono le comunità locali, la cui conoscenza, forza e dedizione sono essenziali per dare vita a ogni progetto.

A Wamba, nel Kenya settentrionale, tra la comunità Samburu, la missione è uno sforzo condiviso. Qui, Padre Joseph Omondi Omollo, keniota, e Padre Ansoni Camacho Cruz, messicano, guidano una missione che sarebbe impossibile senza la partecipazione attiva di uomini e donne locali. Questi individui fanno più che assistere; sostengono, insegnano e arricchiscono. Dal loro lavoro nelle scuole e nell'evangelizzazione ai loro contributi ai progetti presenti e futuri, sono la forza trainante silenziosa dietro il successo della missione.

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Il loro coinvolgimento va ben oltre il supporto pratico. Attraverso di loro, c'è uno scambio continuo di culture e conoscenze. Nelle loro parole, nei loro gesti e nelle loro tradizioni, puoi rintracciare l'influenza dei missionari del passato che sono passati di qui. Imparano nuove parole in lingue diverse, preparano piatti di terre lontane e, senza lasciare questo piccolo angolo di mondo, ampliano i loro orizzonti, trasformando ogni incontro in un momento di crescita reciproca.

L'inizio di ogni anno offre un'opportunità speciale per rafforzare questi legami con un raduno di missionari e lavoratori locali. Questa è più di una semplice celebrazione; è una riaffermazione dell'unità che sostiene la missione. È un momento per rinnovare l'impegno a viaggiare insieme e per ricordare che la missione non si basa sull'individualismo, ma sulla comunità.

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Il lavoro di questi uomini e donne va ben oltre ciò che è visibile. I loro sforzi quotidiani, spesso silenziosi, sono il fondamento su cui si costruisce ogni progetto. Sono il cuore vivo della missione, trasformando le sfide in opportunità e le piccole azioni in semi di speranza.

Quest'anno, la missione guarda avanti con la ferma convinzione che il progresso passi attraverso il rafforzamento dei legami. Riconoscere il contributo di ogni persona e imparare gli uni dagli altri è il modo per costruire un futuro pieno di promesse.

Riconosciamo il ruolo essenziale di tutti costoso che lavorano nella missione, sia a Wanba che in tutto il mondo.

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Padre Joseph Omondi Omollo e padre Ansoni Camacho Cruz

Sono loro che rendono il lavoro missionario un atto vivente di umanità, un ponte tra culture e un'espressione concreta di amore per gli altri. Attraverso la loro dedizione e il loro sforzo, ogni missione diventa uno spazio di connessione, solidarietà e speranza.

Insieme, ispiriamo!

* Francisco Martínez, LMC, colombiano missionario in Kenya.

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Colori. Profumi. Sensazioni. Immersi nel calore del Mozambico, dei suoi raggi di sole, tra la sua polvere e la sua gente. Note del viaggio dell’agosto 2024 de «I Bagai di binari» di Cernusco Lombardone (Lc) nella missione di Uncanha, diocesi di Tete.

Tete, capoluogo della regione omonima, nel nord ovest del Paese africano, è una cittadina con poco più di 150mila abitanti. Uncanha, la missione di padre Carlo Biella, missionario della Consolata nativo di Cernusco, si trova a più di 280 km di distanza, nel mezzo di terre aride, alberi di papaia e un gran numero di piccoli villaggi.

Con il fuoristrada, acquistato grazie alla nostra parrocchia nel 2022, in nove ore raggiungiamo la meta: un piccolo villaggio, con vicino la missione con un pozzo e un pannello solare. Attorno la scuola primaria, un piccolo auditorium per le riunioni, la casa della maestra e una per la famiglia del catechista. Scopriremo presto che ogni villaggio ha il suo catechista e responsabile parrocchiale che gestiscono sia la parte spirituale che organizzativa di ogni comunità.

Attorno al pozzo incontriamo alcuni bambini figli di pastori che non frequentano la scuola, ma accudiscono animali, li abbeverano e parlano e capiscono solo la lingua locale. Un chupa-chupa li rende felici. La gioia di un gioco da noi improvvisato durante l’intervallo scolastico ha dato colore al cortile polveroso tra sorrisi, applausi, salti e abbracci, che danno un senso e un significato alla parola missione e perché no, anche alla parola chiesa, termini che anche con le più sofisticate e argute parole non si riescono sempre a spiegare.

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L’accoglienza

La missione si estende a Nord-ovest verso Nhanseula e Malowera. Per raggiungere la prima sono necessarie due ore di fuoristrada su un percorso a terra battuta. Calorosa è l’accoglienza per padre Carlo e noi, suoi ospiti.

La celebrazione della messa è il momento focale. Nella chiesetta dalle mura grigie spiccano i colori di canti, balli e dei doni per noi ospiti: pollame, alimenti, farine e offerte per la parrocchia. Da parte nostra doniamo un pallone, gesto simbolico che riperemo in tutte le comunità che visiteremo nei prossimi giorni. La lingua della celebrazione è sia il portoghese che la lingua locale, il chichewa. Dopo la presentazione di ciascuno di noi, stringiamo la mano a ognuno dei presenti.

Tre ore passano veloci, poi il pomeriggio di giochi con i bambini con il pallone e senza, mentre in un campo vicino due squadre di ragazzi giocano una partita di calcio. Visitiamo la famiglia del catechista del villaggio, la cui madre è impossibilitata a muoversi. Le case sono capanne o casette circondate da pali di legno a mo’ di recinzione impedendo l’ingresso ad animali. Pollame e caprette sono libere di pascolare per l’intero villaggio. I bagni sono strutture fuori dall’abitato con un buco e una zona apposita per lavarsi con secchi d’acqua, calda solo se posta sul fuoco.

Visitiamo anche il luogo della missione originale, abbandonata – come tantissime in questo ampio territorio – durante i terribili anni della guerra di indipendenza e poi quella civile tra Frelimo e Renamo.

L’indomani visitiamo Malowera, più a Nord, a un’ora di distanza d’auto. L’accoglienza qui è ancora più calorosa, con la stretta di mano a tutti appena arrivati, un cartello di benvenuto per padre Carlo, canti e balli, e poi un momento personale di riconciliazione per una cinquantina di persone.

Tre ore di celebrazione all’aperto sotto il sole e all’ombra di alcune piante. Alle spalle il cantiere per la costruzione della nuova chiesa per rimpiazzare quella distrutta dalla guerra e dall’abbandono.

Al tramonto di una domenica diversa dalle solite ritorniamo a Uncanha lasciandoci alle spalle abbracci, sorrisi e strette di mano di persone che vivono il valore vero e intenso della comunità e dell’accoglienza.

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Con la comunità di Kanyenze

L’incontro di martedì 6 agosto con la comunità di Kanyenze a 20 km circa da Uncanha, ci ha aiutato a capire meglio il compito dei missionari: portare alla gente la parola di Dio, costruendoci attorno valori importanti quali la condivisione e la preghiera, un’opportunità di crescita e vera vita.

Padre Carlo, da oltre 30 anni in Mozambico, incontra per la prima volta questo gruppo di 70 famiglie di recente stanziamento grazie a Dixon, catechista e coordinatore della comunità di Uncanha. Questa comunità è diversa dalle altre, perché qui nessuno è ancora battezzato e quindi va proprio fatta la prima evangelizzazione.

«Qui si inizia dalle basi, a spiegare da zero certi gesti – ci racconta padre Carlo – con concetti semplici come si fa con i bambini. Dire chi è Gesù, cosa si intende per Eucarestia. Per iniziare una comunità cristiana – ha aggiunto – sono indispensabili un catechista che formi e parli alla gente e un coro che anima e che è motivo di aggregazione».

La messa viene accompagnata dal coro di Uncanha e vede i consueti gesti di accoglienza e doni verso la comunità e i sacerdoti celebranti e il dono di due palloni da parte nostra per le comunità locali. L’edificio della chiesa non c’è, tanto che celebriamo la funzione all’aperto sotto una pagoda con tetto di paglia.

Bambini, per due ore fermi e poco rumorosi, e mamme sono raggruppati attorno all’altare improvvisato, con sguardo curioso; una macchia di colori che colpisce. Grazie alla traduzione di Dixon in lingua chichewa si trasmettono così quei valori indispensabili per una comunità cristiana e alcuni avvisi. Allo stesso tempo la comunità esprime la problematicità di non avere un pozzo da cui attingere acqua, indispensabile per un villaggio, in particolare quest’anno nel quale le piogge non sono state abbondanti.

È stata una conoscenza reciproca, che ha avuto il suo fulcro nella preghiera comunitaria, sperando di poter far crescere una comunità di famiglie pronte a iniziare insieme un cammino di fede e di crescita sia materiale che spirituale.

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La semplicità, ritrovata novità

Altre opportunità trovano spazio nel cammino qui a Uncanha. Le attività scolastiche si sono concluse per i bambini del primo ciclo della primaria con alcune prove lunedì e martedì 5 e 6 agosto; accompagnati dalla maestra Rosa, hanno appreso i fondamentali della lingua e dell’aritmetica.

Abbiamo così l’occasione di condividere con loro momenti di gioco in aula o nello spazio esterno. Provvisti di palloncini colorati, bolle di sapone e una palla azzurra portati dall’Italia siamo riusciti a far vivere nei loro occhi la meraviglia nel vedere qualcosa di nuovo.

Vista la temperatura si può anche giocare, divisi in tre squadre, con qualche gavettone in cortile. Tutto si chiude con un momento in cerchio, sorrisi gioiosi e un lungo applauso finale. Divertiti torniamo in aula e lasciamo un chupachupa a ognuno.

Nulla di speciale per noi, una giornata divertente per loro. La riscoperta della semplicità di alcuni gesti aiuta a capire che ogni tanto fa bene «fermarci» per non farci trascinare dalla frenesia dei nostri tempi.

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A Zumbo e Miruru

Il viaggio si addentra nel vivo e sabato 10 agosto si parte per un viaggio di quattro ore per Zumbo, villaggio alla confluenza del fiume Luangwa con lo Zambesi, vicino al confine con lo Zambia (è il villaggio dove i primi cinque missionari della Consolata arrivarono il 5 marzo 1926, ndr). L’occasione è la celebrazione di sei battesimi.

Con padre Carlo celebra anche don Alfredo che consegna alla comunità un ostensorio per l’adorazione dell’Eucarestia, donato dalla sua attuale parrocchia. Canti e balli animano come sempre la Messa, celebrata la domenica solo quando è presente uno dei sacerdoti.

Il giorno dopo attraversiamo il fiume per raggiungere la comunità di Bawa, fotografando lungo il fiume ippopotami e un alligatore. La comunità è in fermento perché si sta preparando ad accogliere il festival dei cori delle parrocchie nei prossimi giorni di agosto.

A Zumbo c’è grande attesa per l’arrivo del vescovo di Tete Diamantino Antunes. Martedì 13 infatti grande festa in paese: bambini e fedeli accolgono l’arrivo del vescovo tra petali e stuoie lungo la strada. Nel pomeriggio sono celebrate le cresime di 57 persone nello spazio davanti alla chiesa coperto da tetti di paglia.  Non sono mancati i doni al termine della messa e i ringraziamenti.

In questa realtà vivono le suore della Consolata (dove erano già arrivate il il 30 agosto 1927, ndr), presenti: Ana Paola, Betania e Ivonne, provvisoriamente alloggiate vicino al piccolo ospedale della cittadina. La loro ospitalità e dolcezza ha rallegrato il nostro soggiorno. È in costruzione una casa per loro in centro paese e accanto si pensa di edificare un asilo nido.

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Il viaggio non è terminato

Mercoledì 14 andiamo con il vescovo nel villaggio di Miruru, isolato, distante due ore da Zumbo, nei pressi di un’antica chiesa abbandonata in stile gotico attorno alla quale si sta costruendo un villaggio, nella speranza di accogliere delle famiglie e formare una parrocchia. Si riparte da zero e si ricostruisce. Forza e volontà non mancano, si vuole riportare alla vita numerosi edifici, ormai ridotti ruderi, un tempo missione dei Gesuiti di inizio 1900, poi abbandonata per le vicissitudini storico politiche.

A pochi metri il cimitero con le tombe dei padri fondatori, purtroppo profanato di recente: per questo si è deciso di far partire da qui la processione fino all’ingresso della chiesa, ora senza tetto, dove sono state celebrate dal vescovo le cresime. Sette i cresimati con i rispettivi padrini e madrine e la richiesta da parte di dom Diamantino di tornare ad animare questo villaggio per poter così dare un senso alla costruzione di diverse strutture come una scuola, laboratori, case. Sicuramente entro Natale verrà ricostruito il tetto della chiesa.

La sera cala dopo la festa, in un’atmosfera suggestiva, sotto un cielo aperto e stellato.

L’indomani mattina un risveglio altrettanto incantevole al sorgere del sole per tornare alla base.

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Ciò che resta

«In questa stupenda esperienza ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la semplicità con cui i bambini, ma non solo, trovavano il sorriso non appena ci vedevano, specialmente quando passavamo tra i villaggi con il fuoristrada. Ci seguivano con lo sguardo, notavano noi bianchi tutti assieme e ci ricambiavano il saluto con un bellissimo sorriso e tutti pieni di gioia e anche sorpresa – ci ha raccontato Matteo, nipote di padre Carlo e uno dei responsabili in oratorio della comunità giovanile cernuschese -. Sicuramente ho portato a casa la consapevolezza di essere estremamente fortunato ad avere privilegi e comodità che prima di questo viaggio davo per scontato. Ad esempio, la mancanza di acqua corrente, principalmente durante la doccia, si è fatta sentire notevolmente, ma anche la sporadicità con cui si presentavano le varie case di cura e i rarissimi ospedali, che per fortuna non ci sono serviti, l’assenza quasi totale di strade asfaltate che hanno aumentato le ore di spostamento tra una parrocchia e l’altra. Sicuramente in queste tre settimane ho capito perfettamente perché gente come padre Carlo viene chiamata missionario: hanno da compiere una vera e propria missione, che non consiste solamente nel diffondere il più possibile il Vangelo tramite le celebrazioni e le catechesi, ma anche stare dietro a tutto quello che ci gira attorno, quindi gestire le contabilità di tutte le parrocchie, ascoltare i bisogni dei parrocchiani, costruire chiese, asili, abitazioni, pozzi, risolvere le problematiche che saltano fuori ogni giorno e adattarsi a una vita che è totalmente diversa da quella che viviamo qui».

«Scegliere un momento significativo di questa esperienza, è difficile. Condividere con queste comunità, la vita di tutti i giorni, giocare a “Giro giro tondo” con i bambini e vedere la felicità nei loro occhi, fa riflettere – è il pensiero di Nadia, del direttivo de I bagai di binari (i ragazzi dei binari), l’associazione missionaria di Cernusco -. A loro non serve molto per essere felici e sorridere, nonostante abbiano poco o quasi nulla. Per questo, continuiamo a sostenere quei progetti che, con eventi, sottoscrizioni a premi e altro, ci permettono di raccogliere fondi per sostenere queste realtà».

«Questa piccola esperienza mi ha confermato quanto sia importante aiutare chi ha bisogno, meglio sul posto, nel loro Paese d’origine – ha aggiunto Dario Vanoli, presidente de I bagai di binari -. L’aiuto concreto di chi veramente ha voglia di soccorrere chi ha bisogno è quello che serve; è bene che, chi lo fa, faccia rete e coinvolga chi ha intorno. Sono piccoli semi, segni che possono però dare tanto: un sorriso, una chiacchierata e, perché no, anche una vita che cambia. Tutto ciò è uno splendido frutto. Sono esperienze che consiglio caldamente ai giovani, perché aiutano a crescere. Grazie ancora una volta a chi ci è stato vicino e ha sostenuto concretamente le donazioni fatte a padre Carlo. Per questo è importante seguire e sostenere i nostri progetti: un aiuto concreto e diretto per queste realtà missionarie o del territorio».

Proprio perché la missione continua, ci saranno in futuro nuove avventure simili.

* Cernusco Lombardone (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.). Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it 

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Suor Lígia Cipriano: La missione tra gli Yanomami, un atto di grande amore

19-03-2025 I missionari dicono

Suor Lígia Cipriano: La missione tra gli Yanomami, un atto di grande amore

All’età di 42 anni Lígia Cipriano ha chiesto di entrare nell'Istituto delle Suore Missionarie della Consolata. Oggi vive la sua...

RD Congo: Nord Kivu, una guerra nell’indifferenza generale

18-03-2025 Notizie

RD Congo: Nord Kivu, una guerra nell’indifferenza generale

Il conflitto nel Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo, ha raggiunto nuovi vertici di violenza, con oltre 3mila morti e...

“Andate e invitate”. Giornata dei Missionari Martiri 2025

18-03-2025 Missione Oggi

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Materiale per la celebrazione della Giornata e del tempo di Quaresima Il 24 marzo 2025 celebriamo la trentatreesima Giornata dei Missionari...

L'interesse di San Giuseppe Allamano per la missione

18-03-2025 I missionari dicono

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Il nostro fondatore, San Giuseppe Allamano, aveva un interesse speciale e concreto per le missioni. Padre Lorenzo Sales nota, infatti...

“Il commercio delle armi. Una minaccia alla pace”

16-03-2025 Missione Oggi

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l Centro Missionario della Diocesi di Roma promuove, presso la Sala della Conciliazione nel Palazzo Lateranense, un corso di formazione...

Sinodo: percorso di accompagnamento. Nel 2028 Assemblea ecclesiale

15-03-2025 Notizie

Sinodo: percorso di accompagnamento. Nel 2028 Assemblea ecclesiale

La Segreteria Generale del Sinodo ha inviato a tutti i Vescovi ed Eparchi e, attraverso di essi, a tutto “il...

II Domenica di Quaresima / C -“Questi è mio Figlio, l’Eletto. AscoltateLo”

13-03-2025 Domenica Missionaria

II Domenica di Quaresima / C -“Questi è mio Figlio, l’Eletto. AscoltateLo”

Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36 Le letture di questa domenica hanno come tema principale la fede. Essendo...

“Vi accompagno da qui”, l'anniversario di pontificato al Gemelli guardando al mondo

13-03-2025 Notizie

“Vi accompagno da qui”, l'anniversario di pontificato al Gemelli guardando al mondo

Il 13 marzo il Papa celebra il dodicesimo anniversario dell’elezione nel Policlinico romano dove è ricoverato da quasi un mese...

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