Parlando ai missionari della Consolata che lavorano in Kenya e Uganda riuniti a Sagana per la loro 13 Conferenza Regionale, il vescovo della diocesi di Maralal, Mons. Hieronymus Joya, li ha incoraggiati “a mettersi al servizio di tutti, nei diversi luoghi di missione dove lavorano”.

Monsignor Joya ha presieduto la Messa con il 46 delegati della Conferenza il 28 febbraio. "Come leader della Chiesa, - ha detto - dobbiamo essere pronti a servire gli altri con sacrificio e con amore", sottolineando che “i missionari devono essere umili, amorevoli, altruisti e servitori di tutti”.

Ha ringraziato per l’invito a celebrare la Santa Messa, "mentre pianificate la vita e le attività missionarie della Regione Kenya – Uganda per i prossimi sei anni".

Originario di Asinge nella diocesi di Bongoma, nell’Ovest del Kenya, alla frontiera con l’Uganda, il secondo vescovo della diocesi di Maralal, Monsignor Joya è stato nominato dal papa Francesco nel luglio 2023 e consacrato il 22 ottobre dello stesso anno. È succeduto a monsignor Virgilio Pante, missionario della Consolata, primo vescovo della Diocesi di Maralal, un “pastore del gregge” molto attivo e sempre presente sul territorio, tra la sua gente.

Come membro della congregazione dei missionari della Consolata, monsignor Joya ha ricordato che la presenza del Superiore Generale, padre James Lengarin, e di alcuni membri del suo Consiglio, i padri Michelangelo Piovano ed Erasto Mgalama, è una testimonianza dell’importanza della Conferenza Regionale, non solo per la missione in Kenya e in Uganda, ma per tutto Istituto.

Ha ricordato a tutti che "State reincarnando ciò che i primi dieci missionari fecero nel 1904, nelle loro “conferenze” per pianificare la loro vita e le loro attività missionarie a Murang'a, nella stessa zona dove si trova Sagana dove si sta svolgendo ora la 13ª Conferenza regionale".

Facendo riferimento al Vangelo del giorno, Matteo 20, 17-28, Mons. Joya ha osservato che, in quanto agenti di evangelizzazione il cui mandato principale è la missione ad gentes, i missionari dovrebbero evitare quella che ha definito come “la sindrome dei figli di Zebedeo, cioè la ricerca di privilegi e dei posti migliori nella missione”.

"Oggi un buon numero di missionari soffre della sindrome dei figli di Zebedeo: cercano favori dalle persone che hanno autorità e cercano i posti migliori nelle missioni con tanti mezzi e strutture, ma non sono disposti a fare alcun sacrificio per la salvezza del popolo di Dio, come fecero i primi missionari", ha specificato il Vescovo, che in passato è stato, per due mandati, Superiore della Regione Kenya/Uganda.

Secondo monsignor Joya, un missionario che non è disposto ad andare a servire i poveri, gli emarginati e i gruppi vulnerabili della società non risponde allo scopo della Congregazione.

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Continuando la sua riflessione, il vescovo ha manifestato una preoccupazione per il fatto che oggi tante congregazioni religiose sono esageratamente preoccupate dei loro investimenti, per la loro sopravvivenza, poiché "in questo modo rinunciamo al senso della provvidenza divina e cerchiamo la sicurezza nella capitalizzazione delle ricchezze materiali per il nostro sostentamento, senza risparmiare nulla per la costruzione del Regno".

"In mezzo alle sfide economiche del nostro tempo, - ha dichiarato il vescovo - è necessaria un giusto utilizzo delle risorse, una corretta gestione e amministrazione e l'investimento in progetti che producono reddito".

Secondo il vescovo Joya, “consolidare le risorse finanziarie nel fondo comune e condividerle garantisce un'economia sostenibile che permette ai missionari di avere le risorse sufficienti per vivere con dignità e svolgere le loro attività missionarie senza problemi”.

Ha quindi ricordato i principi basilari del nostro stile di amministrazione nella missione: “la fiducia nella provvidenza divina, la moderazione negli acquisti, la responsabilità e la trasparenza nell'uso delle risorse”.

In fine, ha espresso la fiducia che, come Congregazione, "possiamo pianificare bene gli obiettivi e le attività dei prossimi sei anni, per dotarci di una buona struttura organizzativa e promuovere iniziative e processi a tutti i livelli della congregazione, a servizio della Missione ".

Concludendo la sua omelia, il vescovo ha affidato i lavori della Conferenza alla materna protezione della Madre Consolata, del Beato Fondatore, Giuseppe Allamano, e delle Beate Irene e Leonella.

Maralal è una diocesi relativamente giovane, creata nel 2001 dalla scissione della diocesi di Marsabit, si estende per una superficie di 20.800 chilometri quadrati, nel centro Nord del Kenya, dove vivono diversi popoli, in prevalenza nomadi dediti all’allevamento del bestiame: Samburu, Turkana, Pokot, Rendille, Gabbra, a cui si sono uniti Somali, Kikuyu, Luo e Akamba.

* Padre Daniel Onyango Mkado, IMC, comunicazione Regione Kenya

Il vescovo della diocesi di Murang'a, in Kenya, Mons. James Maria Wainaina Kung'u, ha invitato i missionari della Consolata a vivere secondo la loro vocazione e “non a comportarsi come i farisei e gli scribi del Vangelo”.

Il 28 febbraio scorso, Mons. Wainaina, nell’omelia della S. Messa di apertura, della 13ª Conferenza Regionale dei missionari della Consolata in Kenya che si svolge nella Casa Bethany a Sagana, a circa 100 km a nord di Nairobi, ha rivolto parole di sostegno, di incoraggiamento, ma anche di “provocazione” ai nostri missionari

"Mentre vi sedete nei prossimi giorni per riflettere sulla vostra missione in mezzo al popolo di Dio, lasciate che sia Lui a guidare i vostri pensieri", ha detto il vescovo all'inizio della sua omelia.

I 44 missionari, delegati alla Conferenza, rappresentano i 166 missionari che lavorano in Kenya e Uganda, sono stati sollecitati a concentrarsi sull’essenziale nelle varie sessioni della Conferenza, da lui definita, “un incontro spirituale e pastorale”.

Mons. Wainaina ha inoltre affermato che "come missionari dovreste pensare a voi stessi come se foste seduti sulla cattedra di Mosè. La Chiesa ci ha dato quella cattedra, la sfida è che purtroppo ciò che insegniamo spesso non è ciò che viviamo", ha detto il vescovo citando il Vangelo del giorno tratto da Matteo 23, 1-12.

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In riferimento all’accenno di Mosè nel Vangelo del giorno, Mons. Wainaina ha poi aggiunto che che egli era molto ben preparato per la sua missione.

"Come religiosi missionari, fate molti anni di formazione prima di essere ordinati sacerdoti o di prendere i voti perpetui che questa preparazione” si è augurato il vescovo “possa rendervi veramente persone preparate per la missione a cui Dio vi ha chiamati. È questo il motivo per cui questa Conferenza è importante, perché vi chiama a tornare ad essere come a Mosè piuttosto che diventare degli scribi e dei farisei", ha affermato Mons. Wainana, il terzo vescovo di Murang'a.

Ha poi sfidato i missionari ad essere degli “autentici Mosè” dei nostri giorni e, così facendo, “a pascere il popolo di Dio, a nutrirlo, a guidarlo e a proteggerlo, perché questo è il lavoro di un vero pastore”.

Nella Bibbia, i farisei e gli scribi sono noti per incentrare la loro vita su sé stessi. "Dove è centrata la vostra vita? È centrata su Dio? È centrata sui valori e sulle convinzioni giuste?”, ha domandato il vescovo. “Questa è sempre la nostra sfida. Dove è il centro della mia vita, della mia missione". Se non stiamo attenti, "possiamo finire per incentrare la nostra propria missione su noi stessi", ha osservato.

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"Mettere al centro della vita Dio è un dovere per tutti i cristiani, ma in modo del tutto speciale è richiesto a noi pastori del gregge. Abbiamo davvero bisogno di ricentrare la nostra vita su Cristo. Quello che predichiamo deve essere coerente con quello che facciamo", e poi il vescovo, con un pizzico di umore, ha aggiunto: "Non dite ai vostri cristiani che non devono mangiare la carne il venerdì mentre voi siete i primi a mangiarla!".

La Conferenza Regionale è iniziata lunedì 26 febbraio e si concluderà venerdì 1 marzo.

Attendono la Conferenza anche il Superiore Generale, padre James Bhola Lengarin, il Vice Superiore Generale, padre Michelangelo Piovano e il Consigliere Generale incaricato del Continente Africa, padre Erasto Mgalama.

* Padre Daniel Onyango Mkado, IMC, responsabile della comunicazione del Kenya.

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Il vescovo della diocesi di Murang'a, in Kenya, Mons. James Maria Wainaina Kung'u

Un regalo inaspettato

Un viaggio nella savana africana dove la dolcezza delle caramelle diventa la chiave che apre le porte alla connessione umana e alla gioia inaspettata.

Nel cuore di Wamba, dove il sole accarezza la terra con il suo calore, i nostri piedi si muovevano sul terreno rossiccio. Padre Ansoni Camacho Cruz ed io, guidati da Isac un giovane della parrocchia, visitavamo le comunità attraverso percorsi serpeggianti che collegavano le case. La nostra missione era semplice: condividere la dolcezza, non solo con le parole, ma anche con gesti concreti.

Sotto il vasto cielo africano, portavamo sacchi di caramelle, piccoli tesori avvolti in carte colorate. Mano a mano che avanzavamo, fermavamo la macchina, e consegnavamo questi piccoli doni, con la sorpresa che dietro ogni bambino ce n'erano tanti altri che apparivano all'improvviso. Si avvicinavano a noi con stupore, gioia, timidezza e innocenza, il tutto mescolato al caldo sussurro del vento. Un grande sorriso si disegnava sui loro volti quando aperta una caramella la mettevano in bocca e poi correvano a condividere il loro inatteso regalo con gli adulti, che non se lo aspettavano.

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Ogni caramella donata era una promessa: "Tu conti. La tua gioia conta, la tua cultura conta".

Questi sono regali a sorpresa e la gioia dei bimbi e degli adulti è una moneta più preziosa di qualsiasi altra. Perché in questi effimeri scambi, scopriamo la vera essenza del donare: non nell'aspettativa, ma nel puro piacere del sorprendere un altro essere umano. In mezzo alla savana africana, dove tutto trascorre con la sua lenta normalità, senza troppa fretta a differenza della grande città, arriva un regalo inaspettato.

Proseguiamo il nostro viaggio e i paesaggi sconosciuti diventano compagni. Un cenno del capo, una mano alzata, una fotografia scattata, un sorriso condiviso, una benedizione sussurrata; tutto tessuto nella trama del nostro incontro. La savana ci ha abbracciati, sussurrandoci segreti di resistenza al caldo implacabile e di saggezza ancestrale presente nelle persone. E in questa immensità, abbiamo trovato la connessione: un ponte tra mondi, fattoi non di mattoni, ma di umanità condivisa.

20240223Pacho3Arriviamo a conoscere una piccola Mañata (casa tradizionale Samburu), un luogo in mezzo alle montagne, con animali appena nati e uomini Samburu che ci guardano da lontano. Salutiamo la signora e i bambini della casa, e dopo un po' arrivano gli uomini e ci invitano a prendere il Chai. Accettiamo l’invito anche un pò incuriositi di poter assaggiare il latte di cammello. Isac ci porta in cucina, dove in termos tradizionali c'era del latte con un sapore particolare, più dolce e viscoso del latte di mucca. È stato un nuovo incontro con le tradizioni del luogo, il tutto unito in una porzione di esperienza culturale condivisa nella missione.

Ogni caramella donata era una promessa: "Tu conti. La tua gioia conta, la tua cultura conta". Mentre ci preparavamo per tornare, sono apparse persone che dovevano andare a Wamba; con la massima gentilezza, abbiamo offerto loro il nostro trasporto. Mentre loro si accomodavano, noi camminavamo con padre Camacho, osservando la bella scena di come il nostro trasporto diventava una possibilità, di nuovo un regalo inaspettato per loro e per noi.

Le emozioni del viaggio non erano da meno. Isac superava con cautela i dislivelli della strada, e i salti provocavano risate, conversazioni che non capivamo perché la loro lingua era il Samburu, ma le loro emozioni erano come un caleidoscopio di gratitudine, simpatia e gioia. In quei momenti noi non eravamo più estranei di passaggio; eravamo possibilità, missione e un'esistenza condivisa.

Le risate dei bambini, lo scricchiolio degli involucri delle caramelle, il calore delle persone, la gratitudine, sono regali inaspettati che ci offre la missione, che ci offre l'andare incontro all'altro.

E così, caro lettore, ricordiamoci che a volte i regali più preziosi arrivano senza preavviso, avvolti non nella carta, ma nella magia degli incontri inaspettati. Nell'abbraccio di Wamba, abbiamo imparato che la gioia si moltiplica quando viene condivisa liberamente; una lezione impressa per sempre nel linguaggio dei sorrisi e nel sapore delle dolci sorprese.

* Francisco Martinez è Liaco Missionario della Consolata colombiano lavorando nel Kenya.

In Africa gli sguardi parlano

Gli sguardi hanno un potere immenso nel rivelare ciò che le parole non possono esprimere. Questi sguardi, carichi di stupore, curiosità e autenticità, mi mostrano che in questo angolo del mondo, la connessione umana si forgia attraverso gli occhi, un linguaggio universale profondo e misterioso.

Appena arrivato in Africa, sono andato a visitare i giovani italiani che ho accompagnato nella loro formazione e preparazione per la loro esperienza nel continente. Erano già stati diverse settimane nel paese, quindi li ho visitati presso il "Centro Cottolengo", un luogo specializzato per bambini orfani affetti da HIV/AIDS. Tra abbracci, risate e sorprese, mi hanno mostrato il luogo. Dopo aver salutato i bambini e osservato le attività che stavano svolgendo, ho chiesto a alcuni di loro cosa li avesse colpiti di più fino a quel momento. Molti di loro hanno risposto cosí: "il modo in cui le persone, soprattutto i bambini, ti guardano; i loro sguardi hanno uno splendore speciale".

Credo che chiunque abbia avuto l'opportunità di trovarsi in missione si sia imbattuto in uno sguardo affascinante. È difficile spiegare come ti guardino: sono sgardi di stupore, curiosità o novità, ma è certo che ti guardano direttamente negli occhi. È uno sguardo che parla, comunica, trasmette, confonde. Mille pensieri attraversano la tua mente, non puoi tradurre quell'occhiata in parole ma resta impressa nella tua mente e nel tuo cuore. Dietro ogni sguardo, c'è una storia da raccontare. Sono testimonianze silenziose di vite, piene di passione, gioia, tristezza e speranza.

Oggi, nei nostri paesi e nelle grandi città, abbiamo perso la capacità di guardarci negli occhi, qualcosa che un tempo era essenziale per l'umanità. Nella comunicazione digitale, non abbiamo nessuno di fronte a noi; assumiamo una realtà incorporea. Sempre più spesso ci immergiamo in queste rappresentazioni virtuali. Gli sguardi vengono sostituiti da emoticon e GIF, e le parole scritte rimpiazzano l'intonazione della voce e i gesti espressivi. Tra avatar e filtri, costruiamo la nostra quotidianità.

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È vero che la comunicazione digitale ci offre vicinanza e la possibilità di creare reti e condividere idee, il che è qualcosa di magico. È diventata parte fondamentale della nostra vita, specialmente per coloro che sono lontani da casa. Tuttavia, cela un potere silenzioso che tutti utilizziamo; il controllo delle nostre interazioni. Oggi dobbiamo chiedere il permesso per chiamare le persone e allontanarsi dal mondo è diventata una possibilità. Possiamo rispondere ai messaggi quando vogliamo, attivare filtri per i commenti, silenziare i profili e creare liste esclusive, ci immergiamo nella dinamica di accettare o rifiutare, cosa che non accade nella presenza fisica, anche se le tecnologie ci offrono la comodità della comunicazione in qualsiasi momento e luogo, spesso sacrificando la nostra capacità di guardare nel mondo reale.

È difficile tornare indietro nel tempo, poiché non possiamo immaginare una vita senza internet. Allo stesso tempo, sentiamo il bisogno di guardarci, non attraverso uno schermo, ma di persona. Cercando quegli sguardi che creano legami, complicazioni che scatenano amori, quegli sguardi che stabiliscono una connessione unica, una danza invisibile e fugace, sguardi che ispirano, suscitano empatia e ci ricordano che, nonostante le nostre differenze, condividiamo tutti la stessa umanità.

Imparare a guardare senza pregiudizi né supremazie è la grande sfida che l'umanità affronta. Oggi, l'Africa mi invita a imparare di nuovo a guardare, a continuare ad ampliare i miei orizzonti, questa volta non guardando il mare ma contemplando e camminando nella savana africana, con curiosità, stupore e ammirazione, sono le qualità di questi sguardi. È nel percorso che imparo a guardare con il cuore, come diceva la volpe al Piccolo Principe: "Si vede bene solo con il cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi".

"Che queste fotografie ti ispirino a coltivare il tuo sguardo, trovando in esse l'autenticità in ogni espressione e scoprendo la ricchezza della connessione umana nel mondo che ti circonda."

* Francisco è laico Missionario della Consolata in Kenya

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Tempi di adempimento

Il 6 gennaio 1905 l'Allamano scrisse una lettera ai missionari in Kenya riflettendo sulla celebrazione di due grandi eventi: Il primo era stato il centenario del Santuario della Consolata a Torino, che ebbe luogo tra l'11 e il 20 giugno 1904; il secondo la conclusione del Convegno di Murang'a, che eveva avuto luogo nel marzo 1904. Nella sua lettera ai missionari la Allamano faceva notare che il suo cuore era “ancora pieno di deliziose emozioni” per questi eventi così importanti e si augurava che i missionari ne avessero partecipato almeno spiritualmente dalle missioni. Il giorno scelto per scrivere la lettera era quello dell’Epifania festa della manifestazione di Gesù a tutti i popoli. (Cfr. lettere ai Missionari e Missionarie della Consolata, n. 59).

Da allora sono passati 118 anni e anche noi oggi abbiamo appena celebrato un grande evento: il XIV Capitolo Generale che ha eletto una nuova Direzione Generale per Istituto. Ora è il tempo non di rimanere sospesi nell'atmosfera di festa dei momenti capitolari ma di riprendere il lavoro con rinnovato entusiasmo. 

Nella stessa lettera, il padre fondatore, parlava della importanza di dare piena attuazione alle decisioni prese nell’incontro così importante nella storia dell’Istituto evitando la tentazione, che si poteva trovare in alcuni, di fare il contrario di quanto deciso insieme con la scusa di avere un'idea migliore, o ritenendo che ciò che era stato deciso non avrebbe funzionato. Il Fondatore li richiamò tutti al dovere di al secondare quanto era stato deciso anche se uno ritenesse di avere in mente proposte o decisioni migliore. Oggi mentre intraprendiamo il processo di attuazione delle decisioni del Capitolo Generale con le Conferenze Regionali, dobbiamo lavorare come comunità ispirate e guidate dallo Spirito di Dio che ha parlato nel capitolo. L'insistenza del Fondatore è evidente: l'aspetto comunitario dell'Istituto è così importante che dovrebbe essere protetto e difeso da tutti. Le capacità e le creatività dei singoli, pur essendo importanti, non devono far perdere lo spirito comunitario dell'Istituto.

Nella lettera già citata, consapevole dell'importanza del legame tra passato e futuro, l’Allamano ringraziava i missionari del Kenya anche per i tanti diari che gli avevano inviato e dava disposizioni per promuovere questo strumento. Permettevano in fatti ai fedeli che frequentavano il santuario della Consolata e che sostenevano i missionari (li chiamava “figli beniamini” della Consolata) di partecipare alla vita missionaria in Kenya. In un'epoca in cui la cultura della lettura sembra progressivamente estinguersi e si preferiscono i video e i messaggi brevi, diretti al punto, il nostro Fondatore ci ricorda che un albero si regge sulle sue radici e non sui suoi frutti, per quanto buoni possano essere. Questo ci invita a riconoscere l'importanza di scrivere ancora non solo il nostro passato ma anche il nostro presente. In fatti, è attraverso i diari dei primi missionari che possiamo conoscere la nostra storia. Domani saranno i nostri diari o le nostre comunicazioni che permetteranno alle nuove generazioni ad imparare dal nostro oggi. É quindi è importante che l'Istituto rianimi lo spirito del diario nelle missioni e personalmente altrimenti rischiamo di seppellire insieme a noi la nostra storia.

Consapevole della complessità di guidare un gran numero di persone, la Allamano si esprimeva contro le critiche e le mancanze di carità tra i missionari e non usò mezzi termini nell'enumerare le conseguenze di tali deviazioni. Ecco le sue parole:

“Con il moltiplicarsi delle persone crescono anche le diversità di apprezzamenti, perché tutti abbiamo la nostra testa, come si dice, e specialmente molta dose di amor proprio che ci inganna senza che ce ne accorgiamo. Da qui la tentazione di disapprovare internamente il modo di pensare e di agire dei confratelli e talvolta perfino dei Superiori. State attenti contro questa tentazione, perché il giorno in cui cominciassero le critiche vicendevoli, segnerebbe tosto la sterilità delle vostre fatiche, e sarebbe il principio della dissoluzione dell'Istituto” (ibidem p. 75).

Se l’Allamano ha parlato così nel 1905, quando l'Istituto contava un centinaio di membri, le sue parole acquistano oggi una grandissima importanza perché l’Istituto, conta oggi circa 900 membri, ed è ormai una multiculturale. Sarebbe ingenuo da parte nostra ignorare o fingere di non cogliere l'avvertimento che il Fondatore ci ha lanciato. La multiculturalità è un aspetto speciale e importante dell'Istituto, ma richiede molta maturità e umiltà per trasformare le differenze delle persone in opportunità che valorizzino una vita comunitaria armoniosa e la trasformino in una testimonianza nell'apostolato. Oggi, di fronte alle sfide evidenziate dal XIV Capitolo Generale sulle le difficoltà dei missionari di vivere insieme, sarebbe opportuno leggere e rileggere la lettera del Fondatore per approfondirne lo spirito che contengono. 

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In quell’occasione l’Allamano terminò la sua lettera in tono incoraggiante, invitando i missionari alla perseveranza e a non perdere la speranza. Consapevole che se c'è qualcosa che può ridurre e perfino annullare la speranza e l'entusiasmo dei missionari, è il fatto di non vedere i frutti del loro lavoro, il Fondatore ha ricordato loro che se un missionario fosse andato in missione con l'illusione che la sua presenza sarebbe bastata ad attrarre le persone, o le sue parole sarebbero bastate a convertirle, allora presto avrebbe sperimentato delle delusioni che lo avrebbero portato allo scoraggiamento. Ecco le sue parole:

«Ricordate sempre che ognuno riceverà la mercede “secundum proprium laborem”, e non secondo il risultato ottenuto. Nelle vite dei Santi quanti esempi non abbiamo fatiche apostoliche straordinarie e perseveranti senza che essi avessero in vita la consolazione di raccoglierne i frutti. Questi seminarono senza la consolazione di mietere (...) Ancora ricordati che l'essenziale si è che lavorando costanti adempiate la volontà di Dio e che possiate dire come Nostro Signore: “Meus cibus est ut faciam voluntatem Eius qui misit me, ut perficiam opus Eius” (Gv 4,34)».

Avendo concluso da poco il Capitolo Generale, la lettera del Allamano si adatta davvero alle nostre esigenze. Mentre ci avviamo verso l'attuazione degli orientamenti del Capitolo, preghiamo affinché, per intercessione della Consolata e la guida di Beato Giuseppe Allamano, possiamo anche noi continuare ad essere strumenti della misericordia e del perdono di Dio nel mondo.

* Padre Jonah M. Makau, Missionario della Consolata (Roma)

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