Fare memoria per ridefinire la nostra missione
È iniziato ieri a Nairobi, presso la sede della Catholic University of East Africa (CUEA) il Convegno missionario internazionale ideato e promosso dai Missionari della Consolata, per celebrare il 110° anniversario delle Conferenze di Murang’a. Organizzato in collaborazione con le Pontificie Opere Missionarie del Kenya, l’Università Cattolica ed altre istituzioni, il Convegno ha un titolo significativo e che spiega in maniera esauriente il contenuto dell’incontro: “Evangelizzazione in Africa: Commemorare e ridefinire la nostra identità missionaria, ruolo e significatività nel mondo di oggi”.
Come a Murang’a, più di un secolo fa, i missionari hanno sentito il bisogno di sedersi e definire insieme la strategia missionaria da adottare di fronte alle domande ed esigenze poste dalla missione, così la chiesa del Kenya, stimolata dai missionari della Consolata, vuole interrogarsi sul senso della propria azione missionaria di fronte alle sfide di oggi.
Il Convegno dura tre giorni. L’intera giornata di ieri è stata dedicata all’evangelizzazione. C’è stato spazio per la memoria, con la presentazione di una sintesi della storia delle origini della presenza consolatina in Kenya, delle Conferenze di Murang’a e della figura di Suor Irene Stefani, che sarà beatificata sabato a Nyeri. Padre Pietro Schiavinato, imc e Suor Jane Njeri Ngugi mc, hanno animato questo momento, impreziosito da tante testimonianze di religiosi e laici che hanno raccontato la loro esperienza descrivendo quelli che sono stati i frutti dell’ad gentes e gli effetti della missione nel formare la chiesa locale.
Oltre a questa dimensione storica c’è stato però spazio anche per immaginare le proiezioni future della missione. Anche in questo caso, ad una lettura teologica della realtà, sono seguiti interventi che hanno riportato l’attenzione sulla realtà quotidiana, pastorale e spirituale della chiesa keniana.
Oggi continua la riflessione, che si concentrerà su alcuni aspetti particolari dell’evangelizzazione: la presenza dei religiosi e dei missionari fidei donum, il ruolo dei media, la sfida del mondo giovanile. Il pomeriggio sarà invece dedicato alla discussione in vari laboratori.
Le autorità keniane chiedono la chiusura del campo profughi di Dadaab che ospita 350.000 persone, il più grande al mondo. Da più di 20 anni il campo ha accolto generazioni di somali in fuga dal proprio Paese, il rimpatrio forzato avrebbe dunque conseguenze disastrose. Ce ne parla Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere Italia, al microfono di Claudia Minici:
– Non ci sono vere alternative alla vita di queste 350 mila persone che vivono, sì, in condizioni difficilissime, ma sempre migliori che un futuro in Somalia, vista l’instabilità di quel Paese. Basti pensare che noi siamo quasi in tutti Paesi del mondo in conflitto, ma per quanto riguarda la Somalia, da un anno non lavoriamo più con operatori internazionali proprio per la difficoltà e la mancanza di sicurezza in quel Paese. Quindi, immaginare 350 mila persone che vengano in qualche modo rimesse in quel contesto difficile e per alcuni di loro assolutamente letale è un atto di inciviltà dal nostro punto di vista, è inaccettabile.
– Quali sono le motivazioni?
– Sulle scelte fatte dal governo keniota bisognerebbe verificare con loro. E’ evidente che è una situazione difficile anche per la loro sicurezza interna. I fatti di Garissa potrebbero aver spinto in qualche maniera riflessioni su questo punto di vista. Sicuramente non è una soluzione. Queste persone in un modo o nell’altro devono permanere all’interno dei campi fin tanto che non si trovi una collocazione più adeguata. Ma in questo momento pensare al più grande campo profughi del mondo che in quattro e quattr’otto venga smantellato è una cosa fuori da ogni discussione.
- E’ necessario dunque l’intervento della comunità internazionale?
– Sicuramente questo lo chiedevamo già con forza negli anni scorsi. Ovviamente gli standard in quel campo, per mantenersi tali, hanno un bisogno molto importante di fondi, di finanziamenti. Si parla di affaticamento dei donatori proprio perché in queste condizioni, che permangono stabili ormai dal ’92, è difficilissimo che la comunità internazionale continui a finanziare, perché appunto ritiene che dovrebbero esserci altre soluzioni. Ma non ci sono. Quindi in questo momento io non vedo alternative al finanziamento di questo campo, a meno che appunto non ci siano soluzioni alternative nel breve.
– La campagna “Milioni di passi” si occupa dei rifugiati di guerra. Di cosa si tratta?
– Questo è un esempio concretissimo: 51 milioni di persone in fuga, di questi 51 milioni, 350 mila stanno a Dadaab, e noi vogliamo evidenziare questa situazione. E’ una situazione difficilissima in cui moltissime persone si ritrovano e spesso e volentieri la nostra opinione pubblica invece si interessa quasi esclusivamente del problema migranti quando arrivano sulle nostre coste. Arrivano sulle nostre coste perché vivono situazioni di quel tipo lì, drammatiche, situazioni in cui la vita ogni giorno è messa in pericolo da malattie, da una situazione di stenti e spesso e volentieri da guerre. Per questo motivo noi vogliamo richiamare l’attenzione pubblica, andando a stimolare le persone a guardare quali sono le cause di partenza di questi milioni di persone che tentano di salvare la propria vita e la vita dei loro figli.
Dar es Salam on 07 – 10th April 2015
Brothers Present
Name |
Place of work |
Contact |
Bro. John Gachoki |
Kenya |
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Bro. Daniel Ndihu |
Kenya |
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Bro. Kenneth Wekesa |
Kenya |
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Bro. Joseph Wamalwa |
Kenya |
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Bro. Paolino Rota |
Tanzania |
|
Bro. Alessandro Bonfanti |
Tanzania |
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Bro. Wilson Gitonga |
Tanzania |
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Bro. Nahashon Njuguna |
Tanzania |
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On 6th April 2015 the Consolata Brothers working in Tanzania and Kenya arrived at Bunju Spiritual Centre (CMC) in the evening. The community representative received them warmly.
Later, had supper together with Consolata Philosophical Seminarians from Morogoro who had visited the spiritual center with their formators.
We agreed upon a brief timetable and agendas of the days we were to spend together.
Timetable
7:00 am – Eucharistic celebration and lauds
8:00 am – Breakfast
8:30 am – First Session
11:30 am – Second Session
12: 30 pm – Lunch
3:30 pm – Third Session
7:00 pm – Supper
8:00 pm – News
10:00 pm – Lights off
Agendas
Day One
Day Two
Day Three
Day Four
First Day
Reflection on the Letter of Pope Francis ‘Rejoice’
By Seminarian William Wema IMC
The main theme in this letter of the pope to the consecrated men and women is joy. How a religious men and women can be a source of joy and how they can transmit this joy to the other people.
He began his talk by quoting the words in the Acts 2:32. We are called to be a witness of the risen Christ. The main aim of our life as religious is being witness. Our founder Bl. Joseph Allamano acknowledge this when he says, “we are not called to perform miracles but to be witness in our mission.” We as religious and especially Consolata Brothers are called to be aware of this and to be united in Christ. As religious Brothers this is the time to teach ourselves to be with Christ and this should happen since the time, we are young and not only when we grow old. The call of religious is to be witness and are called to be witness of the resurrected Christ.
The question is what is the difference between a religious brother in vows and the other Christians? As religious, we have vowed willingly to live the evangelical counsels. Religious life is a radical way of following of Christ in the midst of the reality at hand i.e. denouncing everything to following Christ. Religious is a way of expressing our discipleship in Christ and the Church. When we follow this way, we become special gifts of the Mother Church. By our vocation, religious life, we are going to dedicate ourselves to the service of God and the church. This should always the intention of all the religious people especially as brothers in our day-to-day activities that we are involved.
In his message, Pope Francis underlines the following as the aims of this year of consecrated life:
The speaker highlighted some methods of learning wisdom, which he encourage us to embrace. These methods include:
The pope ask us to reflect on our origin i.e. our particular history. For us we should do it as Consolata missionaries. The history of our founder, the first missionaries, the origin of our congregation, the Charism and identity and why the brother in the congregation. We are called to look this if we are still in the right track, is there still the enthusiasm that the first missionaries had? Going back to our origin and history, we are preserving our identity and look forward to correct the mistake done by the other missionaries. This will help us to strength our unity of Consolata missionaries.
Sense of belonging. The question is, do we feel the sense of belonging as Consolata missionaries? Looking at the origin of our congregation, we should be challenged by the first missionary. They had a strong sense of belonging in the congregation. The change of the feeling that we need to have as a Consolata Missionaries, i.e. sense of belonging should start with the individual and not the others.
Still looking at the origin, we are able to grasp the ideal and the values that inspired the founder to found our congregation. The courage that the first missionaries had of these values include the enthusiasm, the missionary zeal that sometime is dying in the young missionaries, the courage to be witness even in hard situation. Let us look to our origin and embrace these values and let us not sit on them but apply them in our daily life.
The second aim is to live the present with joy. As religious we should live our own time. There are a lot of challenges of witnessing Christ in our time with joy and not in gloomy faces. We should not worry of what is happening in the world. We should also not forget the idea of the cross as it encourage us to move forward in our way of witnessing Christ. As individual brothers, we should discover our own responsibilities in the church and in particulars the institutes, and how to respond to these responsibilities.
In this year we religious, we are called to renew our discipleship in faith in Christ. We destroy what draw us away from Christ. We need to be rooted in the meaning of gospel ie. The beatitudes and love, the desert, cross, poverty, prayer (seeking the will of God saving the brother and sister.) The pope continue to tell us that we betray our mission by the excuse of saying we are living in the insecure world.
The third aim is to embrace the future with hope. This is because of the religious are experiencing the problem and challenges of our own time. For example the decrease of the vocations and the ageing members, economical problem coming from the global financial problem, internalization and globalization and the threats of relativism (religious life has no meaning).
Second Session of Reflection
Mark 10: 17-22 the parable of the young rich man
Jesus is still showering us with brotherly love. To inherit the kingdom of God there are conditions that we need to fulfill. We are called to live and practices the commandment and the most demanding thing is to detach ourselves and follow Christ fully. This is only possible by the practice of the virtue of love. Love defends life. Love is everything, for us religious brothers. To love one another helps us to live in harmony and communion in the community.
In this year, our expectation as religious in the entire church is to be joyful. The pope Francis says that where there is religious life there is joy. For us religious we should be the source of joy to people and not the source of cry. The joy that religious bring to the people it contradicts the joy of the world thus we should be ready to face some hardship and we should be ready to stand firm in our own faith. In most cases now days the religious have become the source of cry, discouragement among others. Let us renew ourselves and become the source of joy to those people we are serving. We serve them with joyful faces and not gloomy faces. The pope underline that our joy is not found in the success but it is on the silence of the cross. Let us embrace the cross and learn from it. We do what we are doing in silence as our founder was telling us. We should do good in silence. As Christ’s disciples, we are called to carry and accept the cross.
This reflection brought a challenge to us brothers and provoked the discussion on these:
Discussions
Second Day
IMC BROTHERS AS ALLAMANO WANTED THEM
By Sandro IMC
Other areas where we see brother encouraging brothers is through the diaries and letters between the founder and the brothers. Eg the letter he wrote to Bro. Benedetto, in August 4 1904 and we quote. “From your letter I see that you do not lose your cheerfulness even despite your illness. Very well. Continue with this spirit and the lord will help you…”
Discussion from the Brothers
Third Day
The visit to historical site at Bagamoyo. This is the first place of evangelization in East Africa. The visit to Bagamoyo, was enriching and challenged us brothers to see where “The good news” began in East Africa.
As a terminal point on the cost for Arabs trading caravans, Bagamoyo naturally became a holding depot for slaves brought from the interior
Five kilometres south of Bagamoyo are the Kaole ruins. They are basically medieval, though some structures (including the West Mosque, once perhaps the finest on the mainland) date back on the 3rd and 4th centuries.
We also had a chance to have lunch outside and moment of socializing and sharing.
Fourth Day
In this session, we were trying to see the way forward in our congregation about the vocation to brotherhood. It is a vocation faced by some challenges within the individual members and without. Having analyzed some of the challenges of our vocation we sat down to see the way forward to see how we can improve the way we are responding our vocation and help others appreciate it. The points below are the contribution of the brothers:
In the session, we tried to give out the outline to one of our brother, Bro. Wekesa who was requested to share about the vocation to brotherhood in this millennium. The international Missionary conference will be held in the month of May 2015 few day before the beatification of Sr. Irene Stefani. It will be held in Catholic University of East Africa in Nairobi Kenya. It is to mark the 100 years since the Muranga Conference, which were held in Muranga Kenya, and other religious congregation will be mark different celebration during that time.
When this was presented, the brothers were very happy to hear about it and to have someone requested to share about vocation to brotherhood. Here are some of their contribution towards the one to do the presentation.
Nota Bene
AOB
Ancora sangue in Kenya, ancora violenza «brutale e senza senso», come definita da Papa Francesco. I terroristi somali del gruppo Al Shabaab irrompono, alle ore 21 italiane del 2 aprile, nel campus universitario di Garissa, a Nord-Est del Kenya, facendo 148 vittime e ferendo altre 79 persone. Un’azione dettata dalla persecuzione religiosa che attanaglia quelle terre, giacché dopo il blitz, i militanti della falange islamista hanno rapito diverse persone dividendole in base al loro Credo. «La Ragione, prima ancora che le Fedi – afferma il Cardinal Angelo Bagnasco nella sua Prolusione al Consiglio Permanente della Cei – non può non condannare tanta barbara e studiata crudeltà contro le minoranze e in particolare contro i cristiani solo perché cristiani. Perché tanta barbarie compiaciuta ed esibita? Perché non fermarsi neppure davanti ai bambini e agli inermi?».
In Kenya la popolazione è a quasi totale maggioranza Cristiana, con l’84,4 percento di abitanti appartenenti a questa Fede. Seguono i musulmani, con il 9,7 percento, e le altre religioni del territorio. Il Paese africano ha subito, in questi ultimi anni, le terribili incursioni terroristiche di Al-Shabaab, culminate nell’attacco al centro commerciale Westgate della Capitale Nairobi, dove persero la vita 68 persone, alcune delle quali uccise perché non sapevano recitare a memoria versi del Corano o perché non conoscevano il nome della madre del profeta Maometto.
In Somalia il 99,8 percento della popolazione (10 milioni 195mila persone) è di fede Musulmana. La libertà religiosa è del tutto inesistente per la piccola minoranza Cristiana, pesantemente perseguitata dagli estremisti. Nei territori controllati da Al-Shabaab, non è in vigore alcuna Costituzione formale: ciò che viene applicata è una versione radicale della Shari’a, che non lascia spazio alcuno ad altre religioni che non siano l’Islam. Chi è sospettato di aver lasciato l’Islamismo per il Cristianesimo, è detenuto per lungo tempo senza alcuna garanzia giuridica o giustiziato senza processo. La lapidazione è la punizione per l’adulterio, le mani sono tagliate in caso di furto. Nei territori sotto l’egemonia di Al-Shabaab, antichi santuari e cimiteri sufi sono stati distrutti, così come cinema pubblici, luoghi di ristorazione e di ritrovo. La versione radicale della Shari’a non permette agli abitanti di vestire all’Occidentale, di guardare partite di calcio, di cantare o ballare ai matrimoni e, soprattutto, di organizzare eventi sportivi. Un oscurantismo che condiziona pesantemente la vita nel Corno d’Africa.
In Kenya, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha previsto programmi umanitari e educativi per chi vive costantemente sotto minaccia. Nel 2012 è stata lanciata Radio Akicha, emittente che trasmette dalla diocesi keniota di Lodwar e che si rivolge ai Turkana, tribù keniota di fede Cristiana. Un programma educativo e pastorale, che prevede programmi di stampo religioso, notizie e musica. «Perfino i musulmani ascoltano con interesse le trasmissioni – racconta ad Acs Padre Avelino Bassols, della locale comunità missionaria di San Paolo Apostolo – al punto che alcuni di loro hanno comprato una Bibbia per approfondire i testi sacri ascoltati in radio».
Educazione, comunicazione, dialogo. Queste le parole chiave su cui Acs sta lavorando in Kenya e in Somalia, per ricomporre i conflitti che dividono questi due Paesi confinanti. Il ruolo di Radio Akicha è fondamentale in tal senso: «È un mezzo di comunicazione che assolve a numerosi compiti – afferma monsignor Dominic Kimengich, Vescovo di Lodwar – nella lotta al dilagare dell’HIV e dell’AIDS fino al sostegno pastorale per i fedeli. Possiamo così contribuire alla formazione e all’educazione dei giovani». Un esempio di confronto, educazione e dialogo che, si spera, possa costituire la base per far sì che stragi del genere non si ripetano più, come auspicato da Papa Francesco durante la Via Crucis del Venerdì Santo.
Fonte: www.acs-italia.org
Yes. The story of Cain and Abel keeps repeating. The Christians in the Middle East continue to be massacred, the boy Eduardo de Jesus in Complexo do Alemão in Brazil was killed by military police and 147 students killed in Garissa / Kenya by the radical Islamic group Al-Shabaab. What insane barbarity!
It is the same terrorist group, Al-Shabaab in Somalia, which claimed responsibility for the attack in Kenya Westgate (2013) in which at least 67 people were killed. The war of all against all (Thomas hobbes). Now it has expanded its operations throughout the whole-holy world and built links with other terrorist bands such as Al Qaeda in the Middle East and Bukus haramu in West Africa.
But why all this? How? Until when? I don’t know. This rise more hair and questions than answers. One thing is certainty; there is an authoritarian negligence of the bottom of the pyramid like Garissa / slums. The neoliberal politics of money and power are characterized by social exclusion, gene egoismo and the culture of death. No doubt there is a tie-knot ‘aids’ between terrorism and organized crimes, such as grand corruption and money laundering.
Imagine! Even after being warned of possible attacks by the British and Australian government, the Kenyan authority gave a cold shoulder! May be because the 147 students are poor, Africans, Christians, seen by the world as nothing, pants, the backward, the people always in sufferings / Ebola, no one cares. For that there was no manifestation of politicians and religious leaders condemning this atrocity. This is the culture of indifference that pope Francisco reminded us in Lampedusa. The real deal pope gave us a prophetic toque of welcoming the unknown, the different, and others. I know how it is difficult and challenging, but it is the only way forward on this global google.
Of course, there are fanatics in all social and religious folks. But those who call themselves followers of Islam and do force others to convert or kill are homo patiens. Their nihilism syndrome needs attention, dialogue, but more calls for education, re-learning especial of our ‘nem nem’ generation. That life no matter what, how, how slight, it is beautiful, thus must be protected and respected from womb to tomb.
I hope that these advents will be a lecture conversional for each one and all of us, that terrorism is a global threat. It is more moral and religion problem than a political one. It is a process to undergo, not merely cosmetics solutions. Urgently, we need to gather strength, walk talks, synergy and spiritual unity to stop this barbarism and civilization of horror.
I wish you a happy Easter with a desire to end the death penalty and social exclusion which keeps growing. Happy Easter to all who are daily crucified just by their religion, race or skin color.