“Grande Cuore”, questo il nome dato dai Samburu del Kenya a Mirella Menin, la laica missionaria di Collegno (Torino) che tanti abbiamo conosciuto nei suoi viaggi in Kenya per oltre quarant’anni e per il suo infaticabile lavoro e dedizione per aiutare i più poveri ed i bambini in particolare. Il Signore l’ha chiamata a sé il 29 maggio 2023 in modo inaspettato, ma per il Signore, certamente pronta per l’incontro con Lui.
La sua vita è stata un vulcano di iniziative, attività, incontri, viaggi. Tutto fatto con passione, dedizione missionaria e spirito profetico. Oltre all’esperienza del Kenya anche quella in Nicaragua negli anni in cui era vescovo San Oscar Romero che lei accompagnava nei villaggi dei campesinos e che ha visto morire, ucciso, mentre celebrava l’Eucarestia. La sua presenza nella nostra antica casa per gli anziani di Alpignano dove veniva per incontrare i missionari e condividere ciò che gli veniva dalla provvidenza.
Mirella tante volte era scomoda perché diceva la verità senza mezze misure, con coraggio, aveva “fame e sete di giustizia” come hanno voluto scrivere sul suo ricordino e ricordare al suo funerale.
Nel Rosario che si è pregato nella sua parrocchia di Collegno, la sera prima del funerale, il parroco, don Teresio Scuccimarra, ha voluto pregare quattro misteri e momenti evangelici vedendone la realizzazione nella vita di Mirella: il suo amore ai bambini, la cura e assistenza delle persone con handicap psichici, il suo desiderio di giustizia ricordando la sua esperienza in Nicaragua e la dedicazione alla sua comunità.
Mirella, nel suo “darsi da fare” per la missione, ha raccolto e donato molto. Come dice l’Allamano è stata un canale che ha fatto sempre scorrere ciò che riceveva senza trattenere nulla per sé, vivendo la sua vita nella semplicità ed essenzialità. Ha compiuto le “opere più grandi” (Gv 14,12) che Gesù ha promesso ai suoi discepoli perché era anche una donna di fede, una fede non bigotta, ma tenace e concreta. La fede che sa vedere Gesù in ogni persona, che ha compreso e vissuto il “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
Per tutto questo, e per quello che lei è stata, gli siamo grati completando queste note con due testimonianze significative che sono state lette al suo funerale e che riportiamo: quella di Agata Lekimenko di Mararal Samburu (Kenya) e quella di Mons. Virgilio Pante, vescovo di Maralal.
È con profondo dolore e tristezza che abbiamo appreso la notizia della scomparsa della nostra grande amica e madre.
Per noi Mirella è stata come una madre amorevole, ha condiviso con noi tutta la sua vita qui a Samburu, in Kenya. Ha condiviso soldi, tempo, vestiti, prodotti di igiene personali.
Molti hanno potuto studiare grazie al suo sostegno economico che proveniva dal suo grande cuore di condivisione. Si occupava delle spese ospedaliere ed era sempre preoccupata per il benessere delle persone bisognose.
Ha sostenuto oltre 250 bambini che ora hanno innalzato il tenore di vita delle loro famiglie. Alcuni ora sono insegnanti, dottori, meccanici, falegnami ecc. Ha anche dato potere finanziario ai loro genitori che sono diventati uomini e donne d'affari.
Mirella ha davvero toccato vite e le sue azioni si vedranno per sempre nelle nostre comunità. Mirella è stata mandata dal cielo e nessuna parola può descrivere appieno il suo amore per l'umanità.
Nonostante le condizioni molto dure, il suo grande cuore compassionevole la faceva camminare instancabilmente per visitare i malati, gli anziani e le persone meno fortunate e i bambini nei villaggi e nelle scuole.
Le piaceva passare il tempo con i bambini, giocare e scattare foto insieme con loro. Mirella era una specie di figura che senti di volere sempre vicino.
Abbiamo davvero visto come Dio usa le persone per aiutare gli altri, Mirella era davvero una serva di Dio.
Grande Cuore, Riposa in Pace.
Ci mancherai senza dubbio. Mentre riposi, prega per noi di emulare il tuo cuore di donazione e condivisione in modo che possiamo anche aiutare gli altri, nel modo in cui hai amato.
Mirella, che io chiamavo Mirellona, è entrata nella mia vita una quarantina di anni fa, durante i suoi viaggi in Kenya. Un dono di Dio per me e per tanti altri, specialmente i più poveri della società. Aveva un cuore grande e anche una lingua grande, sempre al servizio degli ultimi.
Per me prete missionario e poi vescovo, era una sfida e una voce profetica, molto scomoda. Sia in America Latina che in Africa ha mandato milioni, per sfamare e per far studiare i non avvantaggiati del mondo.
Sapeva anche essere affettuosa, sotto una scorza dura, e si commuoveva per i piccoli, i disabili mentali (ne sanno qualcosa quelli della casa di Collegno che ha servito con amore per tanti anni).
Mirella non sapeva misurare le parole contro le ingiustizie e le falsità nella società e, talvolta, nella chiesa stessa.
Ciao Mirellona! Grazie di avermi incontrato nella vita. Ci ritroveremo in Paradiso circondati dal sorriso dei piccoli.
L'unità nella diversità è una cosa lodevole. Ogni volta che si parla di “unità nella diversità” si cerca di trasmettere l’idea che, anche se spesso siamo molto diversi, possiamo comunque stare insieme e trattare di raggiungere un obbiettivo comune. È un altro modo per dire che la diversità di idee, visioni del mondo e prospettive non significa necessariamente inimicizia o rivalità. Quando non c'è diversità, possiamo metterci d'accordo molto velocemente su ogni tipo di questione ma solo perché la pensiamo allo stesso modo. Ma sai qual è il lato negativo di tutto questo? Quando non ci sono punti di vista divergenti, non c'è nemmeno crescita o progresso; la mancanza di punti di vista divergenti può sembrare inizialmente gradevole, ma prima o poi le persone si annoiano per la monotonia e perdono interesse per una unità insipida: se non viene introdotta una visione divergente si corre il pericolo che l’intera costruzione crolli.
Nel nostro Istituto, quando si parla del Beato Giuseppe Allamano e di Mons. Perlo, c'è un disagio che attraversa la mente della maggior parte dei missionari. Non è infatti un segreto che i due avessero modi molto diversi di vedere le cose, ma credo che a prescindere dalle loro differenze di personalità, carattere e modo di fare le cose, la loro unità era evidente nel desiderio di vedere crescere un Istituto migliore e più forte. Non so se sei d'accordo oppure no, ma io sarei dell’idea di chiamare Mons. Perlo il “soldato dimenticato” del nostro Istituto. Nella mia responsabilità come formatore in alcune occasione gli studenti mi hanno chiesto: “perché diamo tanto credito al padre Allamano per l'Istituto quando in verità quando si parla di missione l'unico di cui sentiamo parlare è di Mons. Perlo?” Non chiedermi come ho risposto alla loro preoccupazione e lasciamo questo tema per un’altra occasione. Per adesso voglio solo spiegare perché chiamo Mons. Perlo in questo modo. Lo chiamo “Soldato” perché la sua combattività a favore della missione è fuori discussione; e lo considero “dimenticato” perché molto spesso non ricordato, ignorato e trascurato. Nella vita di Mons. Perlo mi sembra che bisogna riconoscere alcuni aspetti che sono importanti.
In primo luogo, anche se la decisione di fondare un Istituto Missionario è legata al carisma di Giuseppe Allamano, lui sapeva che la sua salute non gli avrebbe permesso di andare in missione; aveva bisogno di bisogno di qualcuno forte che andasse ad aprire le missioni in Africa; detto in termini “militari” il padre Allamano aveva bisogno di qualcuno che andasse in trincea. Padre Perlo fu tra i primi quattro missionari che Giuseppe Allamano ha inviato nelle trincee della missione ed è stato un pioniere nel nostro primo approccio a una concreta realtà di missione. Il pioniere è una persona che crea un percorso, è un innovatore, uno che assicura che le cose funzionino con le buone o con le cattive. Un pioniere è qualcosa di simile alle fondamenta che in una casa né sono visibili né sono belle come le pareti esterne, ma senza di loro nessun edificio può sostenersi. I primi quattro missionari che hanno aperto la missione a Tuthu sono autentici pionieri; nonostante le loro debolezze sono grandi uomini degni di ammirazione. Sfortunatamente nella nostra narrazione il loro credito sembra svanire.
In secondo luogo, da buon “soldato” il padre Perlo era molto esigente nel compiere il suo dovere. Quando le persone sono dure con gli altri ma indulgenti e morbide con se stesse li chiamiamo dittatori ma padre Perlo non era così: era duro con gli altri, ma lo era soprattutto con se stesso. Forse avrebbe dovuto capire che non tutti erano forti come lui ma qualsiasi leader ti dirà che se sei un pioniere e le persone devono dipendere dalla tua direzione per la crescita e il progresso, la morbidezza è una debolezza. Quando nella mente dei tuoi seguaci si insinua l’idea che un progetto “è difficile per non dire impossibile”, questo è morto in partenza. La stessa cosa è successa con Giovanni Marco e San Paolo; quando questo iniziò a mostrare rallentamenti mentre accompagnava San Paolo nel suo secondo viaggio missionario, questi lo congedò e scelse Sila come suo compagno di viaggio (cf. Atti 15,37-39). Padre Perlo era un bulldozer come San Paolo, entrambi uomini dal carattere forte. Era necessario esserlo se l'Istituto doveva prendere forma e impiantarsi tra le popolazioni Kikuyu e Meru in Kenya, una terra nella quale il padre Allamano non ha mai messo piede.
In terzo luogo spero che tu sia d’accordo con me sul fatto che le idee senza azioni sono inutili. È vero anche che senza una buona idea non si può fare nulla, ma abbiamo mai pensato a cosa sarebbe successo con le buone idee del padre Allamano se non avessero trovato una brava persona per metterle in atto? Cosa sarebbe successo se i quattro missionari pionieri fossero stati dei deboli che non potevano sostenere nessuna idea? Ti dirò io cosa sarebbe successo: i cento ventidue anni di esistenza dell'Istituto sarebbero nel migliore dei casi pochi anni, nel peggiore solo pochi mesi. Se le idee di Giuseppe Allamano non si fossero incarnate nel carisma del padre Perlo, oggi il Fondatore sarebbe stato un altro padre Ortalda, l'uomo delle scuole apostoliche per la formazione dei missionari, morto nel 1880 frustrato dopo il fallimento dei suoi progetti. Senza l’impegno del padre Perlo il progetto dell’Allamano sarebbe rimasto solo un’idea. Lui era pratico e pragmatico fino il fondo ed è buono ricordare che poi è anche diventato il fondatore di un fiorentissimo istituto religioso femminile in Kenya: le Suore dell'Immacolata!
Insomma, non è mia intenzione elevare padre Perlo sopra il nostro Fondatore. Come hanno notato più volte i miei studenti, quando si parla di missione, si parla di padre Perlo e non potremmo parlare dell’Istituto Missioni Consolata, nei suoi primi passi in Africa, senza fare riferimento a Lui. Giuseppe Allamano ha fatto molto nel gestire tutto da Torino ma l'uomo che aveva gli stivali per terra era padre Perlo e i suoi primi compagni. La sua influenza non può essere sottovalutata dato perché, anche se andò inizialmente in missione come economo del gruppo, in breve tempo ne fu il superiore. Ogni impresa che l'Istituto conseguì in quegli anni fu da lui intrapresa o da lui ispirata: è l'uomo che ha dovuto sopportare le punture delle spietate zanzare africane; l'uomo che ha attraversato i fiumi prima di costruirvi ponti; l'uomo che ha dato forma a quello che oggi chiamiamo con orgoglio IMC. Le sue impronte segnano la grande storia del nostro Istituto missionario.
Non sorprende che il padre Allamano lo abbia rispettato per quanto fosse difficile assecondarlo. Quelli che sono abbastanza onesti ti diranno che i due erano complementari: l’Allamano rappresenta lo stile religioso dell'Istituto e invece Perlo ne rappresenta quello missionario; era pregevole il suo desiderio di vedere predicato il vangelo ovunque, immediatamente e con qualunque mezzo a disposizione. Pensando alla cattiva immagine che abbiamo di lui nell’istituto vale la pena citare un detto swahili: "Mnyonge muue lakini haki yake mpe" (anche se devi uccidere l'uomo debole, almeno riconosci il suo diritto). Sarebbe come dire che, indipendentemente dai molti punti che potresti avere contro una certa persona, almeno devi riconoscere ed apprezzare ciò che di positivo c’è in lui. A questo missionario, “soldato dimenticato”, dovremmo essere assolutamente grati e come persone riconoscenti, credo che sia giunto il tempo per noi, come Istituto, di fare qualcosa per ricordarlo... magari anche una statua, ma è una mia opinione.
Nel giorno in cui la chiesa universale celebra la memoria del grande papa missionario Giovanni Paolo II (22 ottobre), a Maralal, nella diocesi che questo papa ha voluto 21 anni fa, è avvenuta l’ordinazione episcopale e l’installazione del Mons H. Joya, missionario della Consolata.
Il celebrante principale è stato il nunzio apostolico del Kenya e sud Sudan, Mons. Hubertus Matheus Maria Van Megan, che é stato accompagnato nella celebrazione da Mons. Peter Kihara Kariuki e Mons. Virgilio Pante, entrami missionari della Consolata.
La celebrazione, ben partecipata e attentamente curata tra i canti e danze, ha visto un grande afflusso di gente venuta per pregare e per vivere questo grande momento di grazia. Era presente una buona parte della conferenza episcopale del Kenya, tanti missionari e missionarie della consolata, sacerdoti provenienti da altre diocesi, religiose, i leaders di diverse confessioni religiose, alcuni rappresentanti del governo... e una marea di fedeli, provenienti da geografie prossime ma anche lontane.
Mons H. Joya, nato nel 1965 e ordinato sacerdote nel 1998, ha svolto diversi incarichi in Kenya: dalla formazione alla pastorale; nell’ambito del servizio dell’autorità è stato prima vice superiore regionale e poi anche superiore regionale della regione Kenya Uganda.
Lui è il secondo vescovo della diocesi di Maralal. Il vescovo uscente, Mons Virgilio Pante, ha retto la diocesi dalla sua creazione fino ad ora e va in pensione avendo già raggiunto l’età canonica. Notevole il suo contributo per la pace e servizio alla riconciliazione proprio come ben dice il suo motto “with the ministry of reconciliation”. La chiesa di Maralal è grata per il suo servizio instancabile sempre svolto con tanta bontà, umiltà, coraggio, tanto zelo missionario nell’annuncio della parola e nella promozione umana. Un grande grazie per la sua testimonianza.
Sono tre le principali etnie nella diocesi: i Samburu, i Turkana ed i Pukot ed essenzialmente sono i pastori nomadi. L’attività principale che li unisce è la pastorizia. A volte la convivenza tra di loro non è facile. Le tensioni e gli attacchi reciproci si ripetono spesso. Ecco la necessità di lavorare per il perdono e la riconciliazione. Nella stessa linea sarà anche il lavoro del novello vescovo come si vede dal suo motto “omnia vincit amor”, cioè l’amore vince tutto. Perdona.
La diocesi di Maralal conta con la presenza di 25 sacerdoti diocesani, 2 istituti maschili e 7 istituti femminili con 15 parrocchie.
Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Maralal (Kenya) presentata da S.E. Mons. Virgilio Pante, I.M.C.. Il Santo Padre ha nominato Vescovo della medesima Diocesi il rev. P. Hieronymus Joya, I.M.C., finora Professore nel Seminario Filosofico dell’Istituto dei Missionari della Consolata a Nairobi.
S.E. Mons. Hieronymus Joya, I.M.C., è nato il 17 aprile 1965 ad Asinge, nella Diocesi di Bungoma. Ha conseguito il Diploma in Sales management, Marketing and Communication. Nel 1990 è entrato nell’Istituto dei Missionari della Consolata, emettendo i voti perpetui l’8 novembre 1997. Ha completato gli studi di Filosofia presso il Consolata Institute of Philosophy (1990-93) e di Teologia presso il Tangaza University College di Nairobi (1994-98).
Ordinato sacerdote il 5 settembre 1998, ha svolto successivamente i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale e Parroco della Loiyangalani Catholic Mission nella Diocesi di Marsabit (1998-2003); Rettore del Seminario Filosofico dell’Istituto dei Missionari della Consolata a Nairobi (2003-2005); Licenza in Teologia Pastorale presso la Catholic University of Eastern Africa, CUEA (2005-2007); Coordinatore della Pastorale Diocesana e Direttore del Blessed Joseph Allamano Pastoral Centre nella Diocesi di Maralal (2007-2008); Vice Superiore (2008-2011) e Superiore Regionale dei Missionari della Consolata nella Regione Kenya-Uganda (2011-2016). Dal 2016 finora è stato Professore nel Seminario Filosofico dell’Istituto dei Missionari della Consolata e Dottorando in Teologia Pastorale presso la Catholic University of Eastern Africa (CUEA) di Nairobi.
Superiores regionais do Instituto Missionário da Consolata no continente africano estiveram reunidos no Quénia, para afinarem o projeto missionário continental e relançaram o trabalho de revitalização e reestruturação do Instituto a nível continental.
De 11 a 16 de maio realizou-se no Centro de Espiritualidade Bethany House de Sagana, no Quénia, a assembleia dos superiores do Instituto Missionário da Consolata (IMC) no continente africano: Quénia, Tanzânia, Congo, Costa do Marfim, Etiópia e África do Sul.
Além dos superiores regionais participaram no encontro os responsáveis dos secretariados regionais de Pastoral Ad Gentes e da Animação Missionária e Vocacional. No total eram duas dezenas de missionários orientados Conselheiro Geral para a África, o P Marco Marini.
Passos principais no caminho do Projecto Missionário de África: 2012-2015
Nos últimos quatro anos (2012-2015) houve cooperação entre os vários responsáveis de circunscrições e respectivos Conselhos a nível do continente. Coordenados pelo conselheiro continental, P. Marco Marini, os superiores de África reuniram-se a nível continental até hoje por quatro vezes: em Outubro de 2012 em Dar Es Salaam, Tanzânia; em 2013 em Sagana, Quénia; e em 2014 em Maputo, Moçambique e agora em Sagana, Quénia, de 11 a 16 de Maio de 2015.
Em todas estas reuniões tentou-se “sentir” a consciência continental, enfrentando os vários temas anunciados para os vários encontros.
Em 2012 procurou-se identificar e definir as prioridades do continente africano dentro do Projecto Missionário Continental devidamente contextuado, tratando de: Formação, Missão Ad Gentes, Animação Missionária e Vocacional, e Economia de Comunhão.
Em 2013 enfrentou-se o desafio do autossustento económico, com o objectivo de acabar com a situação de dependência que se acumulou durante as últimas décadas e reflectindo sobre os meios disponíveis para gerar receitas tanto a nível de circunscrição como de continente.
Em 2014 encarou-se o problema da Formação, com especial ênfase sobre os seus fundamentos. Era um assunto imperativo face ao consistente volume de candidatos que aqui se preparam em cada ano para se tornarem Missionários da Consolata e face aos desafios que este facto implica, não só a nível económico como a nível da identificação com o carisma IMC, com a Congregação como tal e com as exigências tradicionais da vida consagrada, sacerdotal e missionária. De entre todas estas, a maior talvez seja a tentação de homologar e importar um modelo formativo de vida e acção pastoral do tipo “clero diocesano”, em oposição ao modelo que as nossas Constituições exigem – ou seja, ad vitam, ad gentes (ou inter gentes), ad pauperes (por toda a vida, para os gentios para os pobres).
Encontro Continental de Sagana-2015.
Agora, em 2015, o encontro continental de Sagana teve como temas a Missão “Ad Gentes” e Animação Missionária Vocacional
O encontro teve como objetivo a elaboração de um Projeto Missionário para o continente. Os temas tratados foram os seguintes: restruturação do Instituto; o significado da missão ad gentes; a animação missionária.
O levantamento estatístico, preparado e apresentado, referente ao pessoal missionário, comunidades IMC e atividades realizadas (pastoral e promoção humana) em África demonstra como o processo de reestruturação dos Missionários da Consolata em África está já em curso.
O número de missionários, por exemplo, diminuiu de 360, em 1975, para 309 em 2015. Ao invés, os missionários da Consolata africanos, a maior parte deles a trabalhar no continente de origem, cresceram imensamente de sete, em 1975, para 280 em 2015.
A partir desta constatação, os participantes tentaram obter respostas para as seguintes questões: qual é o contributo ad gentes dos missionários africanos em África? De que modo a mudança geracional e de nacionalidade dos missionários em África implica alterações no modo de realizar a missão e a pastoral? Foram sublinhadas as quatro dimensões presentes na missão ad gentes: primeira evangelização, pastoral missionária, promoção humana e o diálogo inter-religioso.
Nas Igrejas locais de África, a animação missionária e vocacional é um campo aberto e que tem dado bons resultados. É necessário continuar com este empenho animando “ad intra” (dimensão missionária de cada batizado) e “ad extra” (participação na missão ad gentes) as igrejas locais, às quais somos chamados a oferecer um serviço qualificado de formação de todos os seus membros: sacerdotes, seminaristas, leigos.
Conferência Missionária Internacional
Os participantes do Conselho continental tomaram parte nos trabalhos da Conferência Missionária Internacional realizada entre 19 e 21 de Maio no anfiteatro da Universidade Católica da África Oriental, em Nairobi. Esta Conferência Missionária organizada pelos Missionários da Consolata, para celebrar os 110 anos da Conferência Missionária de Muranga. O tema do encontro – «Evangelizar em África: Comemorar e redefinir a nossa identidade e missão no mundo de hoje» – resume o conteúdo dos assuntos em debate. Como em Muranga, em 1904, os Missionários da Consolata sentiram a necessidade de definir uma estratégia missionária para melhor responder às exigências colocadas pela missão entre o povo Kikuyu, assim também hoje, a Igreja do Quénia e de África em geral, estimulada pela reflexão destes dias, foi ajudada a redefinir a sua missão de modo a responder aos desafios pastorais do mundo atual.
O encontro em Tuthu: ir às origens para construir o futuro
Depois das cerimónias da beatificação da Ir. Irene Stefani, os Missionários reuniram-se em Sagana no dia 25 de Maio em Sagana para a avaliar os trabalhos da Conferência Missionária Internacional de Nairobi e colher as propostas do Continente africano para o Projecto Missionário de revitalização e reestruturação do Instituto.
No dia 26 de Maio viajámos até Tuthu, passando por Muranga, percorrendo as pegadas dos primeiros missionários da Consolata que aqui chegaram em 29 de Junho de 1902. Os superiores das circunscrições de África reuniram-se com a Direcção Geral. O Superior Geral, P. Stefano Camarlengo, agradeceu o trabalho realizado em áfrica pelos missionários da Consolata nos diferentes países onde estão presentes. Hoje, mais do que nunca, o futuro do Instituto e da sua missão passa pela África e pelos missionários aqui presentes e espalhados pelo mundo. Foi uma ocasião para os presentes recordarem o compromisso de animar os missionários no estudo e implementação do projecto de revitalização e reestruturação do Instituto. Revitalizar a nossa identidade missionária não perdendo de vista a missão ad gentes, qualificar a formação nos seminários através de equipas formativas preparadas e consistentes e sobretudo animar os jovens em formação para a missão no continente asiático.
Partido da experiência missionária na missão de Tuthu, entre 29 de fevereiro a 3 de março de 1904, os primeiros missionários chegados ao Quénia elaboraram o método evangelizador «consolatino» que produziu frutos abundantes em África. Respondendo aos desafios do momento presente, os Missionários da Consolata são desafiados a realizar um projecto missionário adaptado à realidade sócio-pastoral da África de hoje. Que a visão e o espirito de missão dos nossos primeiros confrades nos inspire e anime. Na memória e na profecia.