l Centro Missionario della Diocesi di Roma promuove, presso la Sala della Conciliazione nel Palazzo Lateranense, un corso di formazione che prevede sei incontri a frequenza mensile, da gennaio a giugno, pensato in particolare per animatori missionari, catechisti, insegnanti di religione e operatori pastorali.
“Il commercio delle armi nell’attuale congiuntura internazionale. Una minaccia alla pace” è stato il tema di studio della seconda conferenza tenutasi il 22 febbraio 2025, e guidata dal prof. Fabrizio Battistelli, docente emerito dell'Università di Roma la Sapienza e presidente dell'Ente Olivieri, Biblioteca e Musei Oliveriani di Pesaro.
Pubblichiamo di seguito una sintesi della conferenza del professor Battistelli a cura di fratel Alberto Parise, missionario comboniano.
L’aspetto ideologico, di propaganda, è il cavallo di battaglia per la spesa militare e per gli armamenti, sostenendo che in questo modo si promuove l’innovazione tecnologica, si sostiene il reddito, l’occupazione e l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Ma questi non sono che miti da decostruire e c’è già un’ampia letteratura scientifica al proposito.
Per mostrare i limiti della spesa militare non si può trascurare il volano keynesiano delle armi nel settore produttivo. Una riconversione dell’industria militare richiede valutazioni di spostamento verso altri settori ad alta tecnologia e valore aggiunto, come potrebbe essere la transizione ecologica e la sanità (sviluppando apparecchiature sofisticate). Per essere analogo in vista di una riconversione dell’industria bellica, un settore deve essere tecnologicamente avanzato e non essere in competizione con il settore privato, per cui serve una spesa pubblica in settori nuovi, come ad esempio quello spaziale, che, come quello militare, non è un settore di consumo. La sanità e l’ambiente sono settori dove è possibile fare investimenti che facciano da volano all’economia, con un analogo livello di valore aggiunto.
Se guardiamo i volumi totali di esportazione delle armi negli ultimi 50 anni, ci accorgiamo che la curva è uno specchio dell’andamento delle relazioni internazionali. Ad esempio. Vediamo un picco della spesa all’acme della guerra fredda (1979-1983), con la crisi degli euromissili – ricordiamo in Italia la questione dei Pershing II e dei Cruise a Comiso – in opposizione agli SS20 sovietici. Poi ci fu la distensione, con l’avvento di Gorbachev, che portò al decennio del disarmo (1987 – 1997), grazie agli accordi bilaterali USA - URSS/Federazione russa. Il picco più basso si è verificato tra il 2004 e il 2008, quindi c’è stata una risalita delle spese militari con la politica di abbandono del controllo degli armamenti da parte di George W. Bush.
Il padre Giulio Albanese e il fratel Alberto Parise
I primi 5 Paesi del mondo per esportazioni di grandi sistemi d’arma (USA, Germania, Cina, Francia e Italia) sono responsabili per il 70% dell’export totale di armi. Nel 2023, l’Italia ha esportato grandi sistemi d’arma per un valore complessivo di 1.5 miliardi di dollari.
Nei primi 15 anni dall’applicazione della legge 185/190 (1991-2005), l’export annuale medio di materiale d’armamento è stato di circa 1 miliardo di euro. Gli anni successivi (2006-2023) hanno visto l’export di materiale d’armamento quintuplicare, con una media di circa 5 miliardi di euro all’anno.
Le prime 20 società di armamenti a livello mondiale vedono: ai primi 5 posti aziende statunitensi, poi una britannica, una russa e tre cinesi. Leonardo, la maggiore azienda italiana del settore, è al 13° posto.
Nel caso italiano bisogna distinguere tra armi che fanno del male (che, cioè, vanno in teatri di guerra e colpiscono i civili) dalla gestione legittima e formale degli armamenti, per esempio armi che vanno alla NATO.
I Paesi maggiori importatori di sistemi d’arma sono l’Ucraina (14% del mercato), il Pakistan (7%). il Qatar (6,2 %), l’India (4,9%), la Polonia (4,7%), l’Arabia Saudita (4,5%), L’Egitto (3,9%), il Giappone (4%), seguiti da Turchia e EU.
Nei conflitti e nelle guerre contemporanee la tendenza è quella di vittimizzare i non combattenti che non possono reagire agli attacchi. La guerra si fa sempre più tecnologica, con l’impiego anche dell’intelligenza artificiale (IA). Per esempio, nel conflitto israelo-palestinese, dopo il 7 ottobre 2023 l’IA viene utilizzata nella profilazione dei possibili bersagli, attraverso l’algoritmo Lavender che identifica possibili miliziani da eliminare lasciando all’operatore umano 30 secondi per decidere se sparare o meno. L’algoritmo calcola anche la percentuale di danni collaterali, con limitazioni oltre le 20 vittime collaterali per colpire un miliziano, che nel caso dei capi di Hamas sale fino a 100 vittime collaterali per miliziano.
Il caso Rheinmetall: malgrado le normative che vietano la vendita di armamenti a Paesi in guerra o dittature, Rheinmetall ha attività parallele al di fuori delle leggi tedesche sulle esportazioni. Emblematico è il caso di RWM ITALIA S.p.A. che per la società tedesca ha fabbricato gli ordigni forniti all’aviazione saudita e impiegati nei bombardamenti di obiettivi civili in Yemen. Sui tratta di filiere in deroga per bypassare le leggi tedesche, eludendo la certificazione di chi userà le armi. In questo caso, i pacifisti sono riusciti a fermare questa esportazione di armi verso lo Arabia Saudita e Yemen.
Non è facile arginare le derive economiche dell’esportazione delle armi. Nell’opinione pubblica in Italia, il 46% è per il divieto assoluto di export perché mette a rischio la pace, mentre il 48% è favorevole a vendere solo a Paesi che rispettano i diritti umani. L’opinione pubblica ha un peso nelle democrazie rappresentative, specie nei casi di decisioni impopolari.
Per l’attuale governo, la legge 185/90 è eccessivamente severa e persecutoria. Ma nella realtà il commercio c’è già anche in regime di trasparenza e controllo e vale 5 miliardi di Euro. In questi giorni il Parlamento vuole ampliare la legalità della vendita di armi, introdurre il silenzio assenso per l’approvazione dell’esportazione delle armi e ridurre l’accessibilità alle informazioni su questo commercio all’opinione pubblica.
Sulla questione del commercio delle armi c’è bisogno di suscitare e promuovere maggiore sensibilità, ma c’è una barriera all’informazione, una cortina del silenzio e un privilegio del mondo politico: non vogliono che si disturbi la coscienza dell’opinione pubblica, che deve continuare a credere che tutto va bene, vedere che il PIL cresce, ecc.
Le notizie sul commercio delle armi vengono tenute rigorosamente nascoste… ignorandole, mentre nel momento pubblico del dibattito vengono selezionate apposta persone non competenti, così da non far emergere informazioni. Oramai ogni giornalista è un opinionista, parla di qualunque argomento. Ci vuole competenza, la capacità di entrare nei problemi, una serena pacatezza basata sui fatti, ma tutto questo risulta inadatto per le dinamiche delle trasmissioni televisive. Si fanno sondaggi basati sulle emozioni anziché sulle informazioni, il posizionamento prescinde dai dati di fatto.
1. L’opinione pubblica è potenzialmente sensibile. La guerra in Italia si vende a fatica perché c’è ancora una componente culturale che viene dalla storia (soggezione a potenze straniere, fascismo, guerra devastante) e che nutre un senso di inutilità delle soluzioni belliche, a partire dall’esperienza del passato (noi come la Germania abbiamo perso la II Guerra Mondiale, abbiamo avuto il fascismo, ecc.). Molte persone sono contrarie all’invio di armi come forma di solidarietà.
2. Tenere sotto controllo gli armamenti, bisogna parlarne, esaminarne i pro e i contro, puntare su obiettivi intermedi, raggiungibili.
Il 15 marzo 2025 il corso ha affrontato il tema: “Effetti del neocolonialismo sulla pace nelle periferie del mondo” presentato da Marco Massoni.
* Ufficio per la Comunicazione
“Facciamo pace. Umanità in cammino verso la fratellanza”. Questo è il tema centrale del corso di formazione organizzato dal Centro Missionario della Diocesi di Roma che prevede sei incontri a cadenza mensile, da gennaio a giugno, pensato in particolare per animatori missionari, catechisti, insegnanti di religione e operatori pastorali.
La prima conferenza tenutasi il 18 gennaio 2025, presso la Sala della Conciliazione nel Palazzo Lateranense, è stata guidata da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, sul tema della profezia missionaria della Pace in tempi di guerra.
Nell’introdurre il tema, il padre Giulio Albanese, mccj, direttore dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma ha ricordato le parole del Papa Francesco nel suo discorso ai membri del Corpo Diplomatico, il 9 gennaio 2025: “Purtroppo, iniziamo questo anno mentre il mondo si trova lacerato da numerosi conflitti, piccoli e grandi, più o meno noti e anche dalla ripresa di esecrabili atti di terrore…”. Di “fronte alla sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale”, il Papa propone una “diplomazia della speranza”. In questo Giubileo bisogna dunque “superare la logica dello scontro e abbracciare invece la logica dell’incontro”.
In tal senso, “lo scopo di questo corso – ha spiegato padre Albanese - è quello di promuovere la cultura della pace nelle nostre comunità. Questo perché è inammissibile che alla domenica nell’intenzione di preghiera dei fedeli si parli di tutto, meno che della pace. Questo è un peccato di omissione. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di far sì che la pace diventi parte integrante della pastorale ordinaria”.
L’obiettivo del corso di formazione è proprio quello di stimolare l’impegno personale e comunitario per la pace. Secondo padre Albanese, “purtroppo, viviamo costantemente condizionati da una certa informazione che spesso distorce il messaggio. Ecco perché “l’informazione è la prima forma di solidarietà. Allora, dobbiamo avere un atteggiamento di ascolto”.
Nel saluto rivolto ai partecipanti all’incontro, il cardinale vicario di Roma, Baldo Reina, ha espresso la sua soddisfazione per la realizzazione del corso. “È una vera sfida quella di formarsi a una cultura della pace, anzitutto, da proporre all’interno delle nostre comunità. Noi abbiamo il compito di diffondere questa cultura. Grazie per la vostra presenza e per la vostra sensibilità”, ha concluso il cardinale Reina.
“Oggi parlerò di due temi che non sono di moda: il discorso missionario e la pace. Ma che centra il discorso missionario con la pace?” si chiede Andrea Riccardi, che è anche presidente della Società Dante Alighieri, all’inizio della sua conferenza sulla “profezia missionaria della pace in tempi di guerra”.
Riguardo all’impegno per la pace nel mondo, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato che “un cristiano, un cattolico non può rinchiudersi nel solo ambito parrocchiale”. La profezia missionaria è radicata nelle parole di Gesù e del Vangelo. L’Apostolo Paolo dice: “Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor 5, 14-15).
Piste di riflessione del corso
Come professore di storia contemporanea, Andrea Riccardi ha studiato i nuovi martiri del nostro secolo, tra cui, i missionari sono un gran numero. Loro partivano e non tornavano più, sono morti nei paesi dove lavoravano. “Queste storie in modo complesso hanno espresso il legame tra mondi, il senso del destino comune tra il nord e sud. Questa gente ha avuto alle proprie spalle congregazione missionarie, ma anche ambienti diocesane sensibili ai temi della missione. Molte cose del passato sono superate, ma resta il fatto fondamentale che attorno alla esperienza missionaria, la cultura missionaria, si è articolata la estroversione dei cristiani dal proprio ambiente, dal provincialismo verso il mondo. Non parlo soltanto dei missionari che hanno compreso di non potere vivere per sé stessi, ma parlo anche di molti diocesani, cattolici che hanno capito di non potere vivere chiusi nel proprio ambiente”.
Nella sua riflessione, Andrea Ricardi ha riportato la sua esperienza di mediatore di pace in diverse parte del mondo, tra cui in Mozambico, Colombia e Medio Oriente.
“Le guerre sono frutto dell’odio, ma anche producono l’odio”. “L’odio trova un terreno fertile nel nazionalismo che si manifesta nell’odio verso i migranti, i rifugiati, e gli stranieri… Purtroppo, il nazionalismo è entrato anche nel mondo cattolico”.
“L’odio, le guerre, la cultura della forza, ci hanno anestetizzati davanti il dolore del mondo. La impossibilità di fare qualcosa ci porta all’indifferenza e alla rassegnazione per la sofferenza. Questo perché molti sono mal informati sulle conseguenze delle guerre”.
La condivisione tra i partecipanti del corso è stata motivata dalla seguente domanda: Noi che crediamo nella profezia della pace, siamo un resto del passato o profezia del futuro?
Secondo Andrea Riccardi, “noi non siamo un resto del passato, ma profezia del futuro”.
Tutti gli incontri si terranno dalle 9 alle 12.30 nell’Aula della Conciliazione del Palazzo Lateranense
Il 22 febbraio sarà protagonista invece Fabrizio Battistelli, presidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, che parlerà di “Il business delle armi nell’attuale congiuntura internazionale. Una minaccia alla pace”. Sugli “Effetti del neocolonialismo sulla pace nelle periferie del mondo” rifletterà invece, il 15 marzo, Marco Massoni, docente alla Luiss “Guido Carli” presso la facoltà di Scienze Politiche, mentre Maria Grazia Galantino, coordinatrice dell’Area di ricerca di Archivio Disarmo, il 12 aprile, affronterà il tema: “Come essere costruttori di pace. L’impegno civile nel contrastare il ricordo alle armi”.
Il 17 maggio interverrà la giornalista Lucia Bellaspiga, che terrà una relazione su “Guerra e pace nell’informazione giornalistica internazionale”. Le conclusioni il 21 giugno con frate Alberto Parise, che terrà la relazione finale e condurrà i laboratori.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione
Il servizio della formazione è parte integrante della missione. I missionari della Consolata arrivarono in Costa d’Avorio nel 1996 e il gruppo divenne Delegazione nel 2001. La decisione di cominciare la formazione di base nel Paese avvenne durante la III Conferenza nel 2012.
L’attuale sede della comunità formativa è il Seminario “Beata Irene Stefani” di Abidjan. Dal 2016, qui si trova la comunità del Propedeutico e del Filosofico. Da febbraio 2023 questa casa ospita anche gli studenti professi per la teologia e per le specializzazioni, oltre a servire i missionari che studiano la lingua francese.
In questo video della serie Formatori e Formazione, il padre Keniano John Baptist Ominde Odunga, IMC, Consigliere Delegato e responsabile della formazione in Costa d’Avorio, presenta la sua comunità formativa, parla sulla partecipazione nel corso di formazione permanente realizzato a Roma nel mese di settembre 2024 e commenta l’evento della canonizzazione del Fondatore.
Padre John Baptist spiega che la comunità di Abidjan è composta da sei studenti originari di quattro nazionalità impegnati a studiare all'università e a svolgere attività pastorale e di formazione religiosa e missionaria. Tre di loro sono stati ordinati diaconi il 7 dicembre 2024.
Quanto al corso per i formatori realizzato a Roma, quello che lo ha colpito di più è stato “l'invito al formatore a prendersi cura di sé stesso, a impegnarsi nella propria formazione per poter guidare gli studenti a raggiungere il loro obiettivo nella formazione. Mi ha colpito molto anche l'invito a essere attenti alla situazione attuale del mondo e alla situazione della vita consacrata per poter aiutare i nostri fratelli a noi affidati nel loro obiettivo di formazione ad essere discepoli di Cristo in grado di portare consolazione e salvezza al mondo”, dice il missionario.
Padre John Baptist nel corso di formazione continua nella Casa Generalizia a Rom. Foto: Jaime C. Patias
La canonizzazione del nostro Fondatore, evento non solo dell’Istituto ma anche di tutta la Chiesa, secondo il padre John Baptist, “dimostra che la spiritualità di Giuseppe Allamano è viva e che questa spiritualità ha segnato e continua ad essere punto di riferimento per molte persone nei quattro angoli del mondo. Preghiamo che attraverso questo evento la spiritualità possa continuare a ispirare e raggiungere i confini del mondo dove molte persone hanno ancora bisogno di questo messaggio di consolazione. Che Maria Consolata, nostra Madre ci accompagni e continui ad ispirarci”, conclude.
Attualmente operano in Costa d’Avorio 16 missionari della Consolata e la Delegazione ha come protettore San Giuseppe Allamano.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione a Roma.
Proseguendo la serie di testimonianze dei formatori, padre Marcelo De Losa, IMC, presenta la Comunità Apostolica Formativa (CAF) di Buenos Aires in Argentina. Nel 2021 questa CAF è stata trasferita da Mendoza nel Sud del Paese alla nuova Parrocchia di Santo Cura Brochero appartenente alla diocesi di Merlo-Moreno periferia di Buenos Aires.
In questo video realizzato dall’Ufficio per la Comunicazione, il missionario argentino, che é anche formatore e parroco, parla dell'importanza del corso per i formatori realizzato a Roma nel settembre scorso e ha commentato l’importante evento della canonizzazione di Giuseppe Allamano. L’opportunità di visitare i luoghi del Fondatore a Torino e Castelnuovo Don Bosco, ha detto, “ha rafforzato il suo carisma in noi e ci ha confermato la volontà di continuare la missione come lui la voleva, cioè una missione fatta di fraternità, di lavoro insieme, di tensione verso la santità”.
La CAF Santo Cura Brochero è una comunità di 7 studenti di 4 nazionalità (Kenya, Etiopia, Colombia e Venezuela), con un'équipe di 3 formatori (P. Marcelo De Losa, P. Luigi Manco e P. Romanus Khataka).
CAF Santo Cura Brochero nella messa di rinnovo dei voti il 14 dicembre 2024. Foto: Emanuel Adriano Jefter
Gli studenti della CAF Cura Brochero con il padre Luigi Manco nell'anniversario della sua ordinazione sacerdotale
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio comunicazione a Roma.
“Lavoro a San Paolo nella regione Ipiranga dove si trova il nostro Seminario Teologico Internazionale e dove giovani di otto nazionalità studiano teologia per prepararsi ad andare in missione come sacerdoti missionari”, spiega padre Mauricio Guevara, missionaria della Consolata argentino, rettore del Seminario Padre Giovanni Battista Bisio in Brasile.
Nella sua storia il Seminario teologico in Brasile ha già funzionato nel Jardim São Bento presso la Casa Regionale e poi nel quartiere di Pedra Branca e nella parrocchia di Jardim Peri, zona nord di San Paolo. Nel 1987 questa tappa formativa in Brasile è stata chiusa e riaperta soltanto nel 1997 nella attuale sede. La Regione Brasile è anche sede del Noviziato del Continente americano a Manaus.
Quest'anno la comunità formativa è composta da 2 padri e 17 studenti (2 sono a Curitiba e 2 nella Casa Regionale). “Una delle sfide deriva dalla realtà di periferia una volta che la casa confina con una ‘favela’ chiamata Boqueirão. Questi sono i nostri vicini con cui condividiamo la nostra vita quotidiana come missionari, anche ad alcune situazioni di estreme difficoltà e di bisogno. Ma la cosa importante di questa casa è che è il luogo in cui i governi missionari si preparano a confrontarsi e ad affrontare le grandi sfide della missione in cui saranno poi inviati a lavorare in qualsiasi parte dei quattro continenti nel mondo in cui lavoriamo”, sottolinea padre Mauricio.
Comunitá del Seminario Teologico Padre Bisio a San Paolo, Brasile, con la Direzione Regionale. Foto: Archivio Seminario
Riguardo al corso di formazione permanente a cui ha partecipato nel mese di settembre scorso, padre Mauricio rimarca che i 14 formatori dell’Istituto da diverse parti del mondo si sono trovati “per aggiornarsi sulle grandi sfide della società e della cultura di oggi. Per esempio, c'è la questione della tecnologia, dell'intelligenza artificiale, di tutto ciò che ha a che fare con questi cambiamenti, comprese le nuove generazioni; quindi, ci siamo confrontati e abbiamo dialogato, tra altre, sul tema dell'individualismo e del materialismo che il mondo globale sta vivendo oggi. Il corso è stato molto bello perché in questo modo possiamo anche accompagnare i nostri giovani in modo più inculturato ed essere più inseriti in questa realtà”.
Dopo il Noviziato a Martin Coronado (2000) in Argentina, padre Mauricio ha studiato teologia presso l'allora Seminario internazionale di Kinshasa (2000-2005), nella Repubblica Democratica del Congo, dove ha stato ordinato diacono ed esercitato questo ministero. Dopo la ordinazione sacerdotale in Argentina (2005) ha lavorato nell'Animazione Missionaria e Vocazionale in Portogallo e poi è stato Superiore Regionale in Argentina per sei anni, accompagnando così la vita e la missione di molti confratelli. Secondo lui, il bello del corso fatto a Roma è che ha concepito la formazione “non come una tappa che dura cinque o dieci anni nella vita. La formazione inizia dal momento in cui bussiamo alle porte dell’Istituto e decidiamo di entrare in questa vita. Questa è la grande novità. In passato si parlava di formazione iniziale che durava dieci anni. Oggi non più. Si entra nella congregazione e si sa che la formazione è per tutta la vita, finché si è missionari si viene formati”, ribadisce.
I formatori partecipanti del corso di formazione continua nella Casa Generalizia a Roma con il card. Lazzaro You
Il formatore ha concluso esprimendo la sua grande gioia di vedere il nostro Fondatore proclamato santo per tutta la Chiesa. “Essere qui a Roma e anche nella terra del Fondatore è una grande gioia e allo stesso tempo una grande motivazione vocazionale, guardando a questo grande uomo che ci ha lasciato una grande eredità e una grande missione per portare la Consolazione di Maria al mondo intero”.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione