Europa, un altro modo per celebrare la festa dei fedeli defunti. Ho avuto l'opportunità di essere invitato da un sacerdote europeo della mia comunità religiosa, ad andare al cimitero e vivere l'esperienza in terra straniera. Quando la persona muore, viene preparata dal servizio funerario, dopo qualche giorno vengono portati in Chiesa, si celebra la messa e alla fine vengono portati per essere seppelliti nel cimitero, dove li seppellisce la struttura corrispondente, una targa viene deposta e l'atto funebre finisce. 

Durante il giorno molti europei si recano ai cimiteri per portare fiori, lampade con batterie ricaricabili e ricordini. Nel cimitero si fanno il segno della croce e vanno alla tomba della persona amata, la pregano e quando lasciano il luogo si fanno di nuovo il segno della croce. È così che si commemora il Giorno dei Morti in Europa.

È necessario che la VITA sia vissuta con tutte le forze fino all'ora della morte. La morte e la risurrezione ci spingono a una riflessione: pensa alla morte, per dare più valore alla vita.

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Anselm Grûn ci racconta l'incontro definitivo: “Quando incontriamo Dio non evaporiamo, ma il nostro nucleo più intimo, la nostra persona, si salverà per sempre”. Sì, solo in Dio risplenderà del suo vero splendore l'immagine originale e non falsificata che Egli ha impresso nell'anima. Nell'Eucaristia celebriamo la morte e la risurrezione di Gesù. La separazione tra vita e morte, tra vivi e morti, tra cielo e terra, è eliminata. Viviamo in comunione con coloro che sono morti prima. Celebriamo il fatto che la morte non può separarci da Dio e non distruggerà la comunione con le persone che amiamo. "L'amore è più forte della morte.".

Nella cultura messicana, con grande gioia, la tradizionale danza della chitarra. La mia città si prepara con mesi di anticipo con la coltivazione del fiore de cempasúchil, con la novena dei fedeli defunti e la tradizionale danza del macho mula e l'altare dei fedeli defunti.

Un incontro con i vivi e i risorti. Il defunto, insieme al Risorto, ci incoraggia e conferma che la morte non ha l'ultima parola.

La teologia cattolica afferma che non c'è la morte: "Chi crede in te, Signore, non morirà per sempre". La Pasqua è il passaggio dalla morte alla vita eterna.

Ricordo la frase di Gabriel Marcel: "Amare qualcuno è dirgli: non morirai mai". Non dimentichiamo di ricordarci di tornare indietro attraverso il cuore. Credo che questo evento ci incoraggi a vivere al 100% nel presente ed adesso.

Da venerdì 8 a domenica 10 gennaio, i missionari che lavorano in Europa nell'ambito dei giovani e dei media si sono riuniti a Fatima per pensare ad alcune linee di sviluppo della pastorale ad gentes. È necessario avere un'idea chiara di cosa significhi, concretamente, essere missionari oggi in Europa, altrimenti ci si perde in mille attività disarticolate, si “spara in tutte le direzioni”, come diceva qualcuno, senza raggiungere alcun obiettivo. L'incontro fa parte di un cammino pensato dall'Istituto per arrivare al Capitolo Generale con alcune proposte per un progetto missionario europeo della Consolata.

In un primo momento i missionari hanno condiviso le attività, i sogni, le fatiche che ciascuna comunità del continente vive, in modo da poter essere di stimolo gli uni per gli altri, poi ci si è messi in ascolto di Carlos Liz, un esperto che lavora nel campo delle indagini di mercato e che ha compiuto, insieme alla sua azienda IPSOS, un'approfondita inchiesta sul mondo giovanile attuale in Portogallo. E' sorprendente scoprire come alcuni luoghi comuni, per esempio il fatto che la religione non eserciti più alcuna attrattiva sulla società contemporanea, in realtà non corrispondano al vero. Il 70% degli intervistati si è detto aperto al discorso religioso e spirituale, dipende poi da chi si dedica all'annuncio essere in grado di intercettare questa disponibilità offrendo cammini significativi ed attraenti. Il mondo contemporaneo, meno affascinato di un tempo dalle grandi ideologie è però assetato di storie. Come missionari che percorrono le strade del mondo cercando di inserirsi in contesti diversi dai loro, che imparano lingue nuove compiendo errori anche buffi, che cercano di porsi al fianco di chi cammina tra gioia e dolore, non siamo certo a corto di storie e avventure. Perché non raccontarle? Perché non rendere testimonianza di un cammino possibile alla ricerca di una vita in pienezza? In un mondo che ha  fatto della possibilità di comunicare una sua caratteristica peculiare potremmo compiere tutti un ruolo più attivo nel condividere con gli altri il fascino della missione. 

Ascoltando Carlos Liz cresceva la volontà di prepararsi più a fondo per servire i giovani di oggi: spesso li si etichetta come incapaci di scelte definitive, mentre invece, forse, hanno la saggezza di sperimentare la bontà di uno stile di vita prima di sceglierlo come proprio, sono dinamici e capaci di molte esperienze; chi desidera stare al loro passo deve imparare ad entrare in questa molteplicità antropologica senza perdere di vista la rotta che si desidera seguire.

Il gruppo che si occupa dei giovani e quello dei media si sono poi ritrovati a discutere prima separatamente e poi in assemblea plenaria per individuare alcune linee guida concrete.

Domenica, tutti insieme si è invece partecipato alla messa in memoria di Carlos Domingos, giovane missionario della Consolata portoghese, morto in Etiopia: la sua passione e competenza missionaria resta a noi di ispirazione, per servire la missione con fedeltà ed entusiasmo.   

Dossier Balcani e Mediterraneo

  • , Set 16, 2015
  • Pubblicato in Notizie
Il presente Dossier è stato elaborato dall’Ufficio Immigrazione e dall’Ufficio Europa di Caritas Italiana. Molte delle informazioni sono state rilevate direttamente sul campo dagli
operatori espatriati di Caritas Italiana e dagli operatori delle Caritas Europee coinvolte. I dati e le altre notizie sono di fonti varie: Osservatorio Balcani e Caucaso, UNHCR, OIM, Agenzia Frontex, Repubblica.it, Corriere.it, La Stampa.it

Scarica il Dossier sotto

Nasce tra i poveri come frutto del Concilio Vaticano II

Estratto dalla testimonianza di Kiko

...Avevo uno studio di pittore vicino a Plaza de España a Madrid, ed ero solito passare le feste natalizie con i miei genitori. Un anno andai a casa per celebrare il Natale, entrai in cucina e vidi la cuoca che stava piangendo. Io le domando: "Berta - così si chiamava - che le succede?" E lei mi dice che il marito è un ubriacone, che vuole uccidere il figlio, che il figlio gli si è ribellato contro... Mi raccontò una storia che mi lasciò allibito. E sentii da Dio di aiutarla.

Andai a vedere dove viveva: una baracca orribile, in mezzo a tante altre. La povera donna si alzava prestissimo, per andare a lavorare; aveva nove figli, ed era sposata con un uomo zoppo e strabico, sempre ubriaco. Picchiava i figli con un bastone, gridando loro: "Difendi tuo padre" e, a volte ubriaco fradicio, urinava sopra le figlie. Questa donna, abbastanza bella benché in età, mi raccontò cose allucinanti.

Presi quell'uomo e lo portai a fare un "Cursillo de Cristiandad". Rimase impressionatissimo nell'ascoltarmi parlare. Per alcuni mesi smise di bere, ma poi ricominciò e furono di nuovo macelli. La moglie mi chiamava: "Signor Kiko, venga per favore, perché mio marito vuole uccidere tutti. Chiami la polizia!". Non mi lasciavano vivere. Alla fine pensai: "E se Dio mi stesse dicendo di lasciare tutto e di andare a vivere lì per aiutarli?". Lasciai tutto e andai a vivere con quella famiglia. Dormivo in una piccolissima cucina, che era piena di gatti.

Ho vissuto lì e sono rimasto molto impressionato, vi dico la verità, di tutto l'ambiente. C'era moltissima gente che stava vivendo in situazioni terribili. Non so se conoscete il libro di Camus, "La peste", che affronta il problema della sofferenza degli innocenti. Quella donna, Berta, mi raccontò che suo marito, zoppo, per vendicarsi delle tante umiliazioni ricevute, aveva detto a tutti che si sarebbe sposato con lei, che era la ragazza più bella del quartiere. Tutti ridevano di lui. Ma sapete come lui se l'era sposata? Puntandole un coltello al collo e dicendole: "Se non ti sposi con me, taglio la gola a tuo padre". E lo avrebbe fatto. Suo padre era vedovo e lei era sola e terribilmente timida e paurosa.

Mi chiesi: che peccati ha commesso questa povera donna per meritare una vita cosi? Perché non io? E non c'era solo lei. C'era un'altra donna vicino che aveva il morbo di Parkinson, il marito l'aveva abbandonata e viveva chiedendo l'elemosina. E un altro. E un altro ancora.

Davanti a tutto questo ci sono solo due risposte. Conoscete la frase famosa di Nietzsche: "O Dio è buono e non può far nulla per aiutare questa povera gente, o Dio può aiutarli e non lo fa, e allora è cattivo". Questa frase è velenosa. Può Dio aiutare questa donna, oppure no? Perché non lo fa?

In questa situazione ebbi una sorpresa. Sapete cosa vidi lì? Non quello che dice Nietzsche, se Dio può o non può, ma vidi Cristo crocifisso. Ho visto Cristo in Berta, in quella donna con il Parkinson, in quell'altro. Vidi un mistero. Il mistero della croce di Cristo. Restai enormemente sorpreso, lo dico sinceramente.

Poi mi chiamarono per il servizio militare e mi mandarono in Africa. Quando tornai dissi a me stesso: se domani torna Cristo sulla terra nella sua seconda venuta, io non so che cosa succederà in questo mondo, ma sapete dove desidero che Gesù Cristo mi trovi? Ai piedi di Cristo crocifisso. E dov'è Cristo crocifisso? In coloro che stanno portando la sofferenza più grande, le conseguenze del peccato di tutti. Dice Sartre: "Guai all'uomo che il dito di Dio schiacci contro il muro". Io ho visto lì gente schiacciata contro il muro, tanti deboli schiacciati dalle conseguenze del peccato, deboli, anonimi cirenei.

Quando uno va a vivere tra i poveri, o perde la fede e diventa guerrigliero alla "Che Guevara" o si mette in silenzio davanti a Cristo e si santifica. Io sono grato al Signore per aver avuto pietà di me: io vidi lì Cristo crocifisso e così quando tornai dall'Africa, e conobbi la sorella di Carmen, pensai che era necessario scendere nelle catacombe sociali e lì predicare il Vangelo a questa gente, aiutarli, dare loro una parola di consolazione. E così formammo un gruppo che si dedicava agli omosessuali, alle prostitute e agli altri emarginati.

La sorella di Carmen faceva parte di una associazione, chiamata "Villa Teresita", che si dedicava al recupero delle prostitute. Andavano per le case delle prostitute e offrivano, a quelle che lo volevano, un lavoro. Un'opera molto buona. Alla fine io mi resi conto che in quel gruppo facevamo tutto un po' per "hobby". Io dissi a quel gruppo e alla sorella di Carmen: "Io me ne vado a vivere tra i poveri".

Charles de Foucauld mi diede la formula: vivere in silenzio, come Gesù a Nazareth, ai piedi di Gesù Cristo in mezzo a quella gente. Conobbi un assistente sociale che mi indicò una zona di Palomeras Altas dove c'era una baracca di tavole di legno, rifugio di cani. Mi disse "Mettiti lì e non ti preoccupare". E lì ha avuto inizio un po' tutto. Nelle baracche io volevo vivere come Charles de Foucauld, in contemplazione: così come uno sta davanti all'Eucaristia, ai piedi della presenza reale, unica di Cristo; io volevo stare ai piedi di Cristo crocifisso, nella gente più povera, miserabile.

Il Signore mi portò lì con questo spirito: io ero l'ultimo. Loro erano Cristo. Forse uno avrebbe potuto dirmi: "Kiko! Aiutali". Qui c'è un punto molto importante per coloro che sanno andare al fondo delle cose. "Ma come? Ti metti in adorazione, quando questa gente è morta di fame? Dà loro da mangiare". Io non avevo nulla, non avevo portato altro che una Bibbia e una chitarra, dormivo su un materasso messo sulla nuda terra. Non avevo altro.

Avevo letto in un libro qualcosa che mi aveva colpito molto del tempo dei nazisti. Si raccontava un fatto storico avvenuto nel campo di concentramento di Auschwitz. Un capo della Gestapo si era reso conto delle atrocità che si stavano commettendo nel genocidio degli ebrei. Un giorno, durante un'ispezione in un campo, vide passare una colonna di uomini e donne diretta alle camere a gas, tutti nudi. Sentì nel suo cuore un grande dolore. Si domandò: "Che devo fare io adesso per aiutarli, per avere pace con me stesso?". sapete la risposta che ricevette dal di dentro? (I Padri della Chiesa parlano del Cristo parlante, dentro di te. È qualcosa di molto profondo). Il libro raccontava che quello che sentì che avrebbe dovuto fare era di denudarsi anche lui e mettersi in fila con loro.

Possiamo domandarci: questa voce che sentì dentro da dove veniva? Era una suggestione? Era reale? Era di Dio? Non era meglio fermare la comitiva e liberare quelle persone? Forse non lo poteva fare. Perché invece la verità era quella di denudarsi e di mettersi in fila? Ecco una possibile risposta: una persona che sta in quella fila sta di fronte al dramma che forse non c'è nessun Dio, che non c'è amore nel mondo e se non c'è amore nel mondo Dio non esiste, la vita è una mostruosità, moriamo nell'assurdo. Ma se uno viene con te, Cristo stesso si fa uomo e si mette con te nella fila per amore. Allora l'amore esiste. Esiste Dio. Si può vivere. Si può morire. La verità e la morte hanno un senso.

Questo ha valore? Ciò che si deve fare è solo l'aiuto sociale? Forse l'uomo è solo mangiare? O l'uomo ha bisogno di sapere se Dio esiste o non esiste, se l'amore esiste oppure no? Io non andai nelle baracche per dare da mangiare, né per insegnare a leggere. (Erano tutti analfabeti, ad eccezione di uno o due: José Agudo, che era stato in un istituto di correzione sapeva leggere, ma sua moglie no. Zingari, "quinquis", ragazzi del carcere sapevano leggere a malapena). Me ne andai lì e, se volete sapere, neanche pensavo di predicare, sapete infatti che i Piccoli Fratelli di Foucauld stanno "in silenzio". Volevo dare testimonianza vivendo in mezzo ad essi come Gesù a Nazareth.

E che successe? Quello che sempre succede. Il vicino, un giorno che faceva un freddo cane, perché era inverno e nevicava - io mi scaldavo con dei cani randagi che vivevano con me - entrò all'improvviso e mi disse: "Ti ho portato un braciere perché stai morendo di freddo!".

Poco a poco si avvicinavano e domandavano: "Chi è costui che sta qui, con barba e chitarra?". Per alcuni ero uno che aveva fatto un voto, per altri un protestante, perché portavo sempre la Bibbia. Gli zingari venivano per la chitarra... Non sapevano chi ero. José Agudo, che allora era in lite con un altro clan di "quinquis", mi si avvicinò per domandarmi cosa diceva il Vangelo sul fatto di picchiarsi. Io gli lessi il Discorso della Montagna che dice di non resistere al male e restò a bocca aperta: "Come? Ma se non mi difendo mi ammazza! Che devo fare?". Gli diedi da leggere i "Fioretti" di San Francesco che lo impressionarono molto e non mi lasciò più.

Bene, non mi metto a raccontarvi queste storie perché diventerebbe troppo lungo...

Dall'esperienza di Carmen

... Quello che volevo dire è questo: Kiko aveva radicato molto fortemente il Servo di Jahweh, quello che io ho portato lì, su un vassoio, non certo per me, non era mio, fu il Concilio Vaticano II, la Pasqua e la Risurrezzione dei morti. Il primo canto che Kiko fece nelle baracche fu il "Servo di Jahweh"; ci vollero due anni per giungere al "Risuscitò" per farlo entrare nel dinamismo della Pasqua.

E la Pasqua non me la sono inventata io, e tantomeno P. Farnès, ma è stata frutto dell'immenso lavoro di tutto il Movimento liturgico e di tutto il Movimento Biblico che hanno fermentato il Concilio e che si è messo in marcia nel Concilio.

Io stavo sempre con Kiko, però non mi fidavo di lui, nemmeno un pò. Solo mi convinse il giorno che arrivò lì l'arcivescovo di Madrid, Mons. Morcillo, e questo fu un altro miracolo che sarebbe interessante raccontare. Allora cominciai a collaborare con Kiko, fidandomi di più di lui, quando vidi la Chiesa presente.

Mons. Morcillo fu un autentico dono di Dio. Egli ci mandò nelle parrocchie ...

Fonte http://www.camminoneocatecumenale.it/

De vez em quando, há pedidos para se pôr fim no status do Vaticano como um Estado soberano, principalmente quando ele parece dar a Roma um habeas corpus para as consequências de um escândalo.

Por exemplo, o Vaticano invocou a sua soberania como um escudo contra processos judiciais nos EUA que buscavam indenização para as vítimas de abusos sexuais cometidos pelo clero. Tal movimento irritou algumas vítimas e os seus advogados, e muitas vezes aquele os debates sobre se se deveria eliminar uma convenção jurídica que os críticos entendem como sendo um anacronismo medieval.

Por outro lado, ser um Estado soberano também permite que o Vaticano promova justiça social e causas humanitárias de uma forma que, é bem provável, nenhuma outra força no planeta poderia fazer.

Exemplo disso foi o caso desta semana, quando o Vaticano anunciou um novo fórum para os diplomatas africanos apresentarem soluções para a crise crescente de imigração.

 As estimativas dizem que são quase 1.600 os mortos no Mediterrâneo apenas neste ano de 2015. Já em 2014 foram 3.200. Em outubro de 2013, morreram em um naufrágio perto de Lampedusa 366 pessoas, e os políticos e autoridades – sobretudo após o discurso do Papa Francisco –prometeram: “Não acontecerá mais”. 

Agora nos vemos diante de nova tragédia: entre 700 e 950 pessoas afogadas.  Números ainda incertos, total desconhecimento sobre a identidade dos mortas; de alguns não se sabe sequer o país de origem.  Sabemos apenas que estavam amontoados em um barco pesqueiro, de bandeira egípcia, e que a maioria morreu. O barco teria partido do Egito para a Líbia. E perto de Zuaru embarcaram entre 700 e 950 migrantes.  Entre eles, 200 mulheres e entre 40 e 50 crianças.

Transportar migrantes passou a ser um bom negócio para alguns: para o armador, um traficante que por cada passageiro recebe mais ou menos 1.600 dólares americanos. Trata-se, sim, de um traficante de seres humanos que enriquece graças a quem foge de governos ditatoriais, de situações de guerra, da miséria e da fome.  O fugitivo escapa para sobreviver, por querer viver.  Não o faz por decisão livre.  É forçado a isso.  Não tem outra escolha.

Porém, este traficante não é senão o último elo de uma longa cadeia.  Para atingir a costa líbia, o migrante deve atravessar meio continente.  Necessita esconder-se, encontrar pontos de apoio, confiar em guias, quase sempre corruptos, prontos a vendê-lo ao que fizer melhor oferta, muitas vezes com a colaboração da polícia e de militares.  Para libertá-lo, seus familiares, se o estiverem esperando no destino ao qual quer chegar, devem desembolsar somas elevadas para que não o matem.

 Na Líbia, muitas vezes é preso ou então cai em mãos de bandos armados.  E, quando isso acontece, a sequência não muda muito.  Os carcereiros distribuem pouco alimento e o estupro é frequente e regular.  Para serem libertados, há que pagar.

Após esta última tragédia, a o mundo reage indignado.  Que promessas serão feitas desta vez?  Menciona-se a difícil situação da Líbia, onde se torna impossível atracar os barcos, encontrar um interlocutor confiável. Mas há pouca esperança de uma solução honesta e consistente.

O Mar Mediterrâneo tornou-se o holocausto da era moderna.  Como no terrível genocídio da Shoa, todos sabiam mas fingiam não saber.  Todos que poderiam fazer algo para impedir, voltaram-se para outro lado.  E as vítimas se viram sozinhas diante de seu cruel e trágico destino. 

A onda de migrações da África para a Europa não para.  No primeiro trimestre deste ano, 57.000 imigrantes ilegais chegaram à Europa  A cifra representa o triplo se comparada com o mesmo período de 2014. Ao que tudo indica, a onda migratória só tende a aumentar.  E se providências não forem tomadas, o Mare Nostrum dos romanos continuará a ser a sepultura de milhares de vidas humanas. 

Enquanto todas essas vidas jazem sepultadas sob a água, nossa consciência é chamada a despertar e a identificar-se com todos que, anônimos, fogem de situações de morte para encontrar vida ... e acabam encontrando uma morte estúpida e cruel nas águas salgadas do Mediterrâneo.

Deus, o primeiro migrante, que “saiu” de suas prerrogativas divinas para assumir nossa mortalidade e fragilidade, nos inspire sobre o que fazer para ajudar esses irmãos e superar essa situação.  Somos todos migrantes, pois vivemos de passagem, caminhando, de um lugar para outro.  Somos nós que corremos perigo, somos nós que fugimos das ditaduras e da fome.  Somos nós que mergulhamos sem volta nas águas do mar. 

Que a tragédia submersa, que lança sua sombra macabra sobre a Europa, possa encontrar uma solução duradoura e consistente. 

Soluções Cosméticas?

Na quinta-feira (14), o Cardeal Peter Turkson, de Gana, prefeito do Pontifício Conselho “Justiça e Paz”, anunciou a criação de um novo fórum para os embaixadores africanos à Santa Sé. O grupo irá desenvolver soluções concretas para a crise imigratória, as quais serão apresentadas aos seus governos. O objetivo é que estas propostas se tornam parte da discussão internacional.

(“Santa Sé” é o termo técnico para estado jurídico do papado como uma entidade soberana no Direito Internacional.)“Por que todos estão falando sobre isso e nada está vindo da África?”, perguntou-se Turkson em entrevista à Rádio Vaticano. “Não estamos ouvindo os chefes de Estado africanos. Não estamos ouvindo a União Africana”. We have to go deep-down to the root cause.

Reconhecendo que o poder dos embaixadores é limitado, “nós ainda pensamos que podemos uni-los e criar (...) uma plataforma para que eles troquem ideias”, disse Turkson.

Entre outras coisas, os embaixadores podem exercer uma pressão contra a militarização da resposta europeia à crise imigratória, já que a população primária posta em risco pelos ataques aos navios no Mediterrâneo não são os contrabandistas, mas africanos pobres que, tragicamente, são tratados como cargas dispensáveis.

Por três motivos, esta soberania dá ao Vaticano uma capacidade única de garantir uma plataforma pública para que os representantes no vaticano sejam ouvidos. Em primeiro lugar, existe uma concentração maior de diplomatas africanos em Roma do que praticamente em qualquer outro lugar da Europa. Dada a religiosidade intensa da maioria das sociedades africanas, os seus enviados à Santa Sé tendem a ser pessoas muito capazes, com uma capacidade acima da média em mexer os pauzinhos para coisas sobre as quais eles se preocupam.

Em segundo lugar, a Igreja Católica é vista como um ator político e social sério na África. Em parte, isso se deve ao rápido crescimento da Igreja aí. No século XX, a população católica da África subsaariana foi de 1,9 milhão para 130 milhões, uma taxa de crescimento impressionante de 6,708%. Em parte também por causa do trabalho social da Igreja. A Organização Mundial da Saúde, por exemplo, estima que grupos religiosos forneçam entre 30 e 70% de toda a assistência médica na África, sendo grande parte deste trabalho mantido pela Igreja Católica.

Consequentemente, os governos africanos, diplomatas, jornalistas e ativistas levam a sério as iniciativas encabeçadas pelo Vaticano. Em terceiro lugar, quando o Vaticano auxilia os líderes africanos, ele não o faz como uma força estrangeira.

Hoje, uma faixa crescente das estruturas de poder da Igreja se compõe de africanos influentes, com Turkson sendo um dos principais entre eles. A ideia de que o futuro da Igreja reside na África se tornou moeda corrente, com muitos analistas falando sobre um “momento africano” no catolicismo.

Um líder africano visitando Bruxelas ou Washington não pode contar com membros de gabinete peso pesados africanos em tais lugares para apoiá-los, mas em Roma pode-se recorrer a Turkson, ao Cardeal Robert Sarah (da Guiné), ao Cardeal Francis Arinze (da Nigéria), ou talvez ainda ao Cardeal Laurent Monsengwo Pasinya (do Congo) – que não mora em Roma, mas que frequentemente se encontra na cidade como participante do importante “G9”, conselho de cardeais assessores do papa.

Os bispos africanos estão também intensificando a sua presença dentro da União Africana, requisitando o status de observador para o SECAM – conjunto de todos os prelados católicos do continente.

Como resultado, as parcerias com o Vaticano soam mais naturais para muitos africanos do que aquelas firmadas com outras instituições ocidentais.

Embora o Vaticano possa criar um fórum sem ser um Estado soberano, é pouco provável que os governos africanos investiriam os mesmos recursos sem este estado jurídico. Entre outras coisas, não haveria embaixadores africanos para se organizarem, se o Vaticano não tivesse relações diplomáticas com os países que eles representam.

É igualmente improvável que a União Europeia, a ONU, a Casa Branca e outros centros do poder mundial ficariam tão atentos ao Vaticano sem esta sua reputação internacional única. A soberania vaticana, em outras palavras, não é apenas uma relíquia. É uma ferramenta poderosa no aqui e agora, uma ferramenta pela qual os líderes africanos podem ser gratos.

* Maria Clara Lucchetti Bingemer: professora do Departamento de Teologia da PUC-Rio. A teóloga é autora de “Simone Weil – Testemunha da paixão e da compaixão" (Edusc) 

 

 

 

 

 

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