All’inizio del nuovo anno 2025, siamo molto felici. L'anno 2024 rimarrà nella storia come l'anno nel quale il nostro fondatore Giuseppe Allamano fu canonizzato. È una grande pietra miliare nella nostra storia e dovremmo essere orgogliosi di aver vissuto questa esperienza.

La canonizzazione dell’Allamano portò a termine un lungo e faticoso iter, iniziato nel 1944, dopo il Capitolo generale del 1939, che all'unanimità decise di avviare la causa di beatificazione. Da allora fino al momento della canonizzazione l'intero processo è passato fra le mani di cinque postulatori.

La causa di beatificazione dell’Allamano fu iniziata nel 1944 da p. Giacomo Fissore. Nel corso dei decenni passò nelle abili mani di p. Pasqualetti Gottardo, p. Francesco Pavese, p. Pietro Trabucco e p. Giacomo Mazzotti. Il processo si è concluso lo scorso anno durante il “regno” di p. Giacomo Mazzotti come postulatore. Quindi Giuseppe Allamano ha avuto bisogno di 80 anni per diventare santo, grazie alla collaborazione dei nostri missionari, alla preghiera del popolo di Dio e al prezioso lavoro dei postulatori.

Per cominciare è importante sapere chi sia un postulatore. Questi è la persona che guida una causa di beatificazione o canonizzazione attraverso i processi giudiziari richiesti dalla Chiesa cattolica romana. Secondo Santorum Mater - che è l'istruzione per condurre le inchieste diocesane sulle cause dei Santi, il postulatore deve essere esperto di teologia, diritto canonico e storia, oltre che della prassi della Congregazione delle Cause dei Santi (Articolo 12 §4).

20250104Allamano3In realtà però il lavoro di postulazione è soprattutto un'attività collaborativa: una parte importante del suo lavoro è quella di coordinare e guidare ciò che viene dal popolo di Dio che è il vero protagonista al momento di avviare la causa di beatificazione e canonizzazione. L’iniziativa la prende il vescovo diocesano ma il suo primo dovere è quello di accertare che il candidato gode di una ferma e diffusa fama di santità presso il popolo cristiano (Sanctorum Mater 7 § 1). Se manca questo fondamento non bisogna avviare nessun processo di beatificazione.

La fama di santità del servo di Dio è quindi la scintilla che dà inizio a tutto il processo, ed è l'elemento che lo sostiene. Ma cosa significa “fama di santità”? La fama di santità è l'opinione largamente diffusa nel popolo di Dio, sulla purezza e integrità di vita del servo di Dio, e sulla sua pratica eroica delle virtù cristiane (art. 5, § 1). Tale fama di santità deve essere stabile, spontanea e diffusa (art. 7, § 2). Questo è il trucco ed è lì che serve lo sforzo di ciascuno. Sono loro, il popolo di Dio, quelli che riconoscono la vita del servo di Dio come esemplare e degna di imitazione. È il popolo di Dio che conosciuto il servo di Dio, sono loro che devono riconoscere che la persona è idonea all'invocazione.

E in tutto questo anche noi, missionari della Consolata, abbiamo un ruolo da svolgere. In parte dipende anche da noi che i nostri confratelli, per i quali vale la pena avviare una causa di beatificazione, siano conosciuti dal popolo di Dio che serviamo. La loro vita, il loro ministero e il loro servizio devono essere vivi nelle menti delle comunità cristiane al servizio delle quali lavoriamo. Solo così il popolo potrà identificare il valore o la santità di una persona o un confratello e considerarlo degno di intercedere per gli altri.

Il ruolo di ogni missionario della Consolata, con rispetto a questo tema, è quindi in primo luogo quello di aiutare la Direzione Generale a individuare, nelle diverse parti del mondo in cui operiamo, quegli individui che abbiano vissuto in modo eroico il loro impegno missionario ma poi anche diffondere fra i fedeli cristiani la memoria positiva dei nostri confratelli defunti. Se noi missionari per primi parliamo male di un certo confratello defunto, come possiamo poi chiedere ai cristiani di invocarlo? Il popolo di Dio è molto influenzato dalla testimonianza viva dei ministri e ciò che diciamo degli altri conta molto. Se siamo sempre in conflitto e pieni di negatività, come possiamo ispirare a qualcuno la fiducia che il nostro confratello defunto fosse migliore?

C’è anche un terzo aspetto che è importante: vivere noi stessi una vita esemplare. Non possiamo  dimenticare che il popolo di Dio vede nei nostri presunti santi ciò che vede in noi. Se la nostra vita non è attraente, come possiamo convincere i cristiani che un missionario defunto della nostra congregazione ha vissuto una vita esemplare? È probabile che i cristiani associno l'immagine della nostra vita al confratello che desideriamo presentare alla beatificazione, e quindi se ci sarà qualche nostro cattivo esempio, questo rischia di rovinare le possibilità di molti missionari che hanno vissuto veramente una vita ammirevole.

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Padre Jonah M. Makau nella Casa di San Giuseppe Cafasso a Castelnuovo Don Bosco

Ciascuno di noi ha il dovere di dimostrare unità e armonia nella comunità che ci è assegnata; il modo in cui viviamo la nostra vita comunitaria è fondamentale. Lo stesso Gesù ha insegnato ai suoi discepoli che le persone li avrebbero riconosciuti come tali se avessero avuto amore gli uni per gli altri (Gv. 13,35). Amarsi gli uni gli altri era quindi sia un criterio che un mezzo di evangelizzazione. È possibile vivere una “buona vita” come missionario, ma non riuscire a essere un membro efficiente di una determinata comunità.

Tutti abbiamo conosciuto missionari che facevano molto, ma vivevano da soli. Il popolo di Dio è molto attento a tali questioni, e quindi ogni questione che sembra andare in contraddizione con gli insegnamenti di Cristo diventa motivo per mettere in dubbio la presunta santità di quella particolare persona. Questo spiega perché la nostra vita deve essere il più possibile autentica.

All'inizio del nuovo anno, l'ufficio di postulazione invita ciascuno di noi ad essere più proattivo nel partecipare alle attività di postulazione, ciascuno nella missione che gli è assegnata.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, Direttore Ufficio Storico.

Veglia in preparazione per la canonizzazione di Giuseppe Allamano. Sabato, 19 ottobre 2024.

Chiesa di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) - Roma

Vegglia, benvenuto ai pellegrini e testimonianze

Video realizzato da Mediacor

Celebrazione in preparazione alla Canonizzazione di SAN GIUSEPPE ALLAMANO

 

Un santo tra noi

Un documentario per raccontare una storia di santità, quella di Giuseppe Allamano, rettore dalla Consolata e fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Una storia raccontata da Giacomo Camisassa, amico fidato e collaboratore prezioso, declinando le sue caratteristiche peculiari e il suo spirito innovatore.

Il video accompagna la mostra itinerante omonima, che si può visitare in diverse città italiane e che si può prenotare scrivendo a This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

* Un progetto realizzato da Mediacor con la regia di Luca Olivieri e la voce di Cesare Rasini.

Il processo di riconoscimento della santità di qualcuno è lungo, arduo e impegnativo. Occorre avere pazienza, nella preghiera e nella meditazione, per lasciare che lo Spirito Santo compia la sua opera di salvezza. La Famiglia Missionaria della Consolata ha sempre considerato questo lungo tempo come il tempo di Dio.

La Consolata era già certa che padre Allamano fosse un santo, perché tutta l'eredità spirituale che ha lasciato continua ad attirare persone alla Chiesa in diverse parti del mondo, e molti stanno seguendo Gesù Cristo come cristiani motivati, altri come vescovi, sacerdoti, religiosi e laici consacrati.

Il 1° luglio, Papa Francesco ha annunciato la data della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, il 20 ottobre 2024, data in cui si celebra la Giornata Missionaria Mondiale! Aspettavamo questa notizia dal 16 febbraio 1926, giorno della sua morte. Insieme ringraziamo il Signore per il dono della santità del Fondatore, per il nostro Istituto e per la missione della Chiesa nel mondo. Il riconoscimento di un nuovo santo è fonte di grande gioia per la Chiesa cattolica, perché è una manifestazione speciale dell'azione di Dio. Per noi cattolici, un nuovo santo è un dono che Dio fa al suo popolo.

In questi pochi mesi di preparazione alla canonizzazione, abbiamo messo a punto un programma di iniziative per stare accanto al nostro Padre Fondatore e, insieme a lui, fermarci e riflettere sui suoi grandi amori: l'Eucaristia, la Madonna della Consolata, la carità fraterna, la santità, la Chiesa, lo zelo e la salvezza delle anime. Molti gruppi si stanno organizzando per venire a Roma, proclamare la propria fede ed essere testimoni diretti di questo grande dono di Dio. A partire dal 20 ottobre, ogni comunità missionaria nel Mondo preparerà celebrazioni di ringraziamento per tutti coloro che non hanno potuto recarsi a Roma.

In questo tempo di preparazione, prendiamo coraggio per vivere le nostre scelte e azioni sempre più secondo il cuore dell'Allamano, il suo esempio di padre spirituale, rinnovatore della Chiesa di Dio (Santuario della Consolata), formatore di sacerdoti e padre di missionari. Impegniamoci ad ascoltare e a vivere la sua parola, sentiamoci incoraggiati ad annunciarla con maggiore impegno, a testimoniare con coraggio e a portare nuova speranza in questo mondo in continuo cambiamento. Infine, preghiamo perché la santità dell'Allamano faccia di noi, suoi figli, una famiglia unita, chiamata ad annunciare il Vangelo e a vivere la carità in tutto e sempre.

* Padre James Bhola Lengarin, Superiore Generale dei Missionari della Consolata.Originalmente pubblicato in: https://www.fatimamissionaria.pt/69274/

Questa figura è presente nella mente del Fondatore fin dalla fase di progettazione dell'Istituto. Nel primo documento che redige per la presentazione del suo progetto alla Santa Sede, afferma di aver sviluppato il suo progetto in contatto con sacerdoti e seminaristi, ma aggiunge, a margine: “non mancheranno i laici” (Lettera a C. Mancini, 6 aprile 1891).

Sappiamo che nella Chiesa cattolica esistono Sacerdoti diocesani che prestano il loro servizio in una Chiesa particolare che può essere un'Arcidiocesi, una Diocesi o un Vicariato Apostolico. Vivono nel celibato e promettono obbedienza al loro Vescovo. Ci sono poi i sacerdoti religiosi, consacrati con i voti di povertà, castità e obbedienza, appartenenti a Ordini, Congregazioni o Istituti di vita consacrata, tutti chiamati alla vita comunitaria. Alcune di queste istituzioni sono composte da sacerdoti ma ancheda laici o fratelli. La Vita Consacrata o Vita Religiosa esiste nella sua versione maschile e femminile, con carismi e ministeri diversi. 

L'Istituto Missioni Consolata, secondo la volontà del Fondatore Giuseppe Allamano, è composto da sacerdoti e fratelli coadiutori (laici consacrati) per la missione ad gentes e vive in spirito di famiglia (XI Capitolo Generale 59).

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Fratello Fortunato Rosin. Foto: Archivio IMC Colombia

Chi è il religioso o la religiosa nella Chiesa cattolica?

Il Concilio Vaticano II nella “Perfectae catitatis”, il documento che scrive sul rinnovamento della vira religiosa (n. 10) li presenta così: “La vita religiosa laicale, tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici. Perciò il sacro Concilio, che ha grande stima di esso poiché tanta utilità arreca all'attività pastorale della Chiesa nell'educazione della gioventù, nell'assistenza agli infermi e in altri ministeri, conferma i membri di tale forma di vita religiosa nella loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vita alle odierne esigenze”. La vita religiosa laicale è quindi completa in se stessa. Non deve essere definita per ciò che le manca (non essere sacerdoti), ma per ciò che è. Da parte sua, Giovanni Paolo II ha affermato: “Sono convinto che questo tipo di vita religiosa che, nel corso della storia, ha reso così grandi servizi alla Chiesa, rimane oggi uno dei più adatti alle nuove sfide apostoliche dell'annuncio del messaggio evangelico”.

Il Fratello nell'Istituto Missioni Consolata 

20241014Fratelli2Questa figura era presente nella mente del Fondatore fin dal principio. Nel primo documento redatto per la presentazione del suo progetto alla Santa Sede afferma di averlo sviluppato in contatto con sacerdoti e seminaristi ma –aggiunge, a margine– “non mancheranno i laici” (Lettera a C. Mancini, 6 aprile 1891). Infatti, nella bozza di Regolamento dello stesso anno, sacerdoti e laici sono considerati “desiderosi di dedicarsi alle missioni”, “di consacrarsi all'evangelizzazione degli infedeli”.

Quando Giuseppe Allamano parla di comunione e comunità, le pensa sempre nel contesto dello “spirito di famiglia”. I suoi studiosi dicono che non si tratta di una semplice “strategia” per affrontare la vita, ma di una motivazione che l’ha portato a pensare di fondare l'Istituto. Questo lo pensava e proponeva, come una famiglia e non come un seminario o un collegio e in una famiglia non è possibile dire che ci siano membri di prima classe (i genitori) e membri di seconda classe (i fratelli). In una famiglia si intrecciano relazioni di uguaglianza e fraternità, tutti con la missione ad gentes nella testa, nel cuore, nelle mani e nei piedi. Ognuno svolge il proprio ruolo o ministero e tutti in “unità di intenti”.

(Foto: Fratelli Vincenzo Clerici, Carlo Zacquini, Adolphe Mulenguzi e Domenico Brusa)

I Fratelli sono parte costitutiva della Famiglia dei Missionari della Consolata e non solo, sono anche i più cari al Fondatore. Lo dimostrano espressioni come la seguente: “Che una sorella mi scriva dall'Africa mi fa piacere; che un padre mi scriva, altrettanto; ma che lo faccia un fratello coadiutore mi rallegra ancora di più”. Ciò non significa che siamo esenti dal ripensare e ricreare il ruolo, la figura e la presenza dei Fratelli nella missione dell’Istituto con maggior ragione oggi che viviamo un tempo di protagonismo laico e di messa in discussione del clericalismo esacerbato.

Formazione dei primi gruppi di missionari inviati dal Fondatore

Il primo gruppo, inviato il 5/8/1901 era composto dai padri Tomaso Gays e Filippo Perlo e dai fratelli Celeste Lusso e Gabriele Perlo. Il secondo –inviato il 15/12/1902– era composto da p. Borda Bossana, il seminarista G. Cravero e fratel Andrea Anselmetti. Il terzo inviato il 24/4/1903 era composto da 8 suore, 4 sacerdoti, 1 seminarista e da fratel Benedetto Falda. Nel quarto invio (il 24/12/1903) c’erano 12 religiose, 3 sacerdoti e i fratelli Anselmo Jeantet e Agostino Negro e finalmente nel quinto (il 27/11/1905) c’erano 6 suore, 2 sacerdoti e fratel Aquilino Caneparo.

Senza grande sforzo possiamo dedurre, dalla formazione dei primi gruppi missionari, composti da uomini e donne, sacerdoti e religiosi laici, la comprensione di una missione interdisciplinare e integrale, avviata su due binari, come il treno: l'annuncio esplicito del Vangelo oltre alla promozione umana e dell’ambiente. A questo scopo i missionari vengono formati e preparati, all'inizio con evidente fretta, sperando che la missione stessa continui a formarli, nell'esperienza comunitaria che li tempra nella loro personalità, nella pratica religiosa-spirituale che li conduce sulla via della santità, negli studi accademici e nella formazione tecnico-pratica che li facilita ad agire con saggezza, conoscenza e creatività pratica per il lavoro con la gente del luogo dove il Dio della missione li dirige.

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Incontro dei Fratelli dell'IMC, Miguel Angel Millán, Laureano Galindo, Fortunato Rosin e Antonio Martín. Bogotà, 1983. Foto: Archivio IMC Colombia

Conclusione

L'ultimo Capitolo Generale (XIV) ha dedicato brevi paragrafi ai Fratelli e, al numero 529, ha dato mandato che “nei prossimi sei anni, la Direzione Generale organizzi un ‘Anno dei Fratelli imc’ invitando tutto l'Istituto a pregare e a riflettere sulla vocazione alla fraternità nella comunità dei Missionari della Consolata. Sarà un'opportunità per integrare più chiaramente la vocazione di Fratello nelle attività di animazione missionaria.

Si apre quindi un tempo di riflessione e di ricreazione. La presenza di giovani missionari laici nell'animazione missionaria giovanile e vocazionale della nostra Regione Colombia e dei Missionari Laici della Consolata diviene molto significativa, provocatoria e opportuna, nel momento in cui la figura del Fratello, come la conosciamo tradizionalmente, tende a scomparire.

* Padre Salvador Medina, IMC, Equipe di promozione della missione in Colombia. Articolo pubblicato originariamente sulla rivista Dimensión Misionera (qui per vedere)

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