Nel 1962 l'allora padre José Luis Serna Alzate arrivò come missionario della Consolata alla regione del Caquetá; questa in quel tempo era una terra di pace e armonia: Il flusso migratorio conseguenza della guerra civile degli anni Quaranta e Cinquanta era passato, ma continuavano ad arrivare sfollati e impoveriti, in cerca di terra e tranquillità. Questo era ciò che cercavano: terra e pace.

Monsignor Serna arrivò in cerca di anime da evangelizzare e di uomini che le rendessero degne. Era un missionario, ma abbiamo già detto che aveva anche bevuto il mondo.

Fin la bambino sono stato vicino ai missionari: prima chierichetto a El Doncello, con padre Juan Demichelis, e poi a Florencia con monsignor Serna. 

Poiché il Caquetá era una terra di missioni, si celebravano le "settimane missionarie", che in realtà erano occasioni che tutti approfittavano per socializzare e magari battezzarsi, confessarsi, sposarsi... erano i taglialegna della giungla; gli agricoltori coltivatori di riso, mais, banane, yucca; gli allevatori di bestiame e i commercianti. Questa terra come una grande isola, era scollegata dal mondo e abitata da persone che, grazie alle missioni e ai missionari, stavano trattando di gettare le loro radici in uno spazio vergine e primitivo. 

A questo progetto Mons. Serna ha collaborato non poco.

La prima cosa che fondò fu il Club della Gioventù, accanto alla Cattedrale. Lì conoscevamo -le generazioni dagli anni '50 in poi- i tavoli da ping pong, gli scacchi, la dama, i tavoli da biliardo, la palestra, sì, tutto questo, insieme a una grande biblioteca che ci parlava di altri mondi che si estendevano oltre la Cordigliera Orientale che era il nostro limite. 

Ben presto, già nel 1964, monsignor Serna iniziò quel bell'esperimento di incontri sociali che erano le "Settimane culturali". Non erano settimane. Erano mesi e anni. Sì, perché per tutto l'anno ci si preparava a gareggiare in narrazione, poesia, declamazione, oratoria, teatro, canto, musica o con carri decorati secondo le regioni di provenienza dei nostri genitori. E poi, quando arrivava il momento di celebrare la settimana culturale, ci godevamo i balletti, la danza classica, i migliori cantanti e compositori nazionali, il cinema e il teatro classico che Monsignor otteneva dalle ambasciate di Francia, Germania, Regno Unito, Italia, ecc. 

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Noi, figli di coloni semianalfabeti, abbiamo bevuto il meglio della cultura universale, grazie a monsignor José Luis Serna Alzate! Erano tempi in cui non avevamo elettricità, né televisione, né telefoni, né strade... soli nella nostra selva, esseri rudi ma pacifici. 

Quando le settimane culturali si sono estinte Monsignore cercò di continuare a collegare i coloni con la conoscenza e con il mondo, e per questo fondò la stazione radio “Armonías del Caquetá”. Lì ha continuato, con altri mezzi, a promuovere la cultura e l'informazione, formando poco a poco un senso di appartenenza regionale. Poco dopo ha fondato anche il Centro Cultural Nocturno.

Monsignor Serna era soprattutto un insegnante. Era il mio insegnante di filosofia e teologia al Colegio Nacional La Salle. Ero il suo peggior allievo, ma mi ha sempre perdonato. Per questo, quando nel 1982 divenne il primo Alto Commissario per la Pace nel governo di Belisario Betancur, intervenne per farmi nominare Segretario per l'Educazione nel Caquetá, dando prova di tolleranza e democrazia, proprio quando ero un leader di sinistra del Movimento Nazionale FIRMES. Sono stato allora testimone del suo instancabile lavoro per la pace.

Il fallimento della colonizzazione mirata ha portato all'emarginazione e alla povertà delle grandi masse di coloni. L'intolleranza politica, l'esclusione e il clientelismo del Fronte Nazionale, oltre all'effervescenza ideologica mondiale degli anni '60 e '70 (tempi di Vietnam, Laos e Cambogia; di Cuba e Ché; teologia della liberazione) fecero della nostra regione uno spazio favorevole all'insurrezione guerrigliera, dopo che i movimenti di protesta legali e istituzionali erano stati repressi e stigmatizzati, o semplicemente ignorati, come l'occupazione contadina di Florencia nel 1972.

Ricordo particolarmente lo sciopero civico di Florencia del 1977, per ottenere l'interconnessione elettrica con la vicina regione del Huila. Dopo lo sciopero, morti e scomparsi; solo grazie ai suoi sforzi sono riuscito a lasciare Florencia, vivo e vegeto, perché ero il segretario del comitato di sciopero.  

Monsignor Serna conosceva nel dettaglio le cause del conflitto armato e i suoi protagonisti. Per questo ha dedicato il meglio della sua vita e della sua intelligenza alla giusta causa della pace e della riconciliazione per i colombiani. Con lui abbiamo percorso fiumi e torrenti per accogliere i guerriglieri dell'M-19 a cui era stata concessa l'amnistia tra il 1982 e il 1983 e quando fu trasferito da Florencia alla diocesi di Líbano e Honda, continuò a fare sua la lotta per la convivenza e la pace: è stato l'artefice del patto tra gli indigeni Nasa e le Farc e della difesa dei coltivatori di caffè durante la crisi del caffè.

Nessuno ricorderà mai i nomi dei falsi testimoni che hanno cercato di oscurare il nome di monsignor Serna. Lui li ha perdonati e la storia li ha condannati come cattivi e innominabili.

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Oggi sarebbe per me una vera sofferenza se i miei concittadini, soprattutto i giovani delle scuole e degli istituti superiori, ignorassero il ruolo di quel missionario di anime e di uomini degni che è stato il vescovo Serna.

Sicuramente, il giorno in cui "scoppierà la pace", e speriamo presto, i colombiani e i caqueteños avranno costruito il più grande monumento possibile alla storia di monsignor José Luis Serna Alzate.

L'insaziabile lotta per la pace e per la cultura erano le sue parole d'ordine. È nostro dovere portarla avanti. 

Che riposi in pace, caro costruttore di uomini degni. Ci incontreremo sempre di nuovo.

*Jorge Reinel Pulecio Yate è professore associato presso l'Università Nazionale della Colombia. Testo letto in occasione delle onoranze funebri nel settembre 2014, nella cattedrale di Florencia.

In questo mese di ottobre 2022, mese missionario, si è svolta a Roveredo in Piano, in provincia di Pordenone, paese natale del padre Bruno Del Piero, l’iniziativa “Ricordo di padre Bruno” in occasione del 60esimo anno dalla sua partenza per la Colombia, avvenuta dal porto di Genova il 18 ottobre 1962, e i 90 anni dalla sua nascita avvenuta il 4 ottobre 1932 in questo municipio. 

Padre Bruno è stato ricordato il sabato 1 ottobre, nella Chiesa di San Bartolomeo, dove è stata inaugurata la mostra fotografica dal titolo “Vite che parlano” presentata da Alex Zappalà, responsabile del Centro Missionario Diocesano di Pordenone, con l’esposizione di foto realizzate dallo stesso Alex Zappalà in varie missioni nel mondo oltre a una importante collezione di foto del Padre Bruno. Erano 16 cartelloni che ricordavano i giorni della sua ordinazione sacerdotale (avvenuta a Torino al Santuario della Consolata il 18 marzo 1961) la prima messa a Roveredo in Piano il 3 aprile 1961 e molte immagini dei lunghi anni di missione in Colombia, dal 1962 fino al 2014.

Il giorno in cui avrebbe compiuto 90 anni, martedì 4 ottobre, è stata celebrata la Santa Messa con la partecipazione di Don Ruggero e  i Missionari della Consolata padre Renato Martini e Tiziano Viscardi. Accompagnata dal coro parrocchiale, l’eucaristia ha visto anche la presenza del Sindaco, il vice Sindaco e alcuni assessori dell’Amministrazione Comunale di Roveredo in Piano.

In questa Eucaristia è stata esposta la veste bianca e il crocefisso di padre Bruno portati dalla Colombia.

Al termine della Santa Messa dalla chiesa si è formato un corteo che si è portato alla casa natale di padre Bruno dove è stata scoperta e benedetta una targa commemorativa in ricordo di padre Bruno. Nella targa si ricorda la nascita di Padre Bruno e il 60esimo anno dalla sua partenza per la Colombia. Padre Tiziano Viscardi benedicendo la targa ha così ricordato il padre Bruno: “in questo piccolo segno che lo ricorda, davanti alla sua casa natele, sia per noi testimonianza di questa fede e di questo impegno per gli altri, nell’annuncio del Vangelo e della salvezza per tutti gli uomini, per Cristo nostro Signore”. 

La conclusione della settimana in ricordo del padre Bruno è stata celebrata sabato 8 ottobre, nella Chiesa di San Bartolomeo, con la chiusura  della mostra fotografica e con racconti di Alberto Cancian, scrittore e collaboratore dei missionari della Consolata in Colombia. 

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Roveredo nel giorno della prima messa del padre Bruno del Piero

Ci sembra interessante tradurre alcune reazioni, ricevute per mezzo del profilo Facebook, provenienti dal Caquetà e del Putumayo, regioni della Colombia nelle quali  il padre Bruno è stato particolarmente presente.

"Mi racconta mio padre, quando ci sediamo a parlare per ore, che padre Bruno Del Piero era un sacerdote integro, umile, disponibile, rispettato e ammirato dalla comunità di Puerto Rico. Lui ricorda che padre Bruno non si toglieva mai l'abito ecclesiastico, quello che ho poi visto nella foto che è stata pubblicata il giorno della celebrazione nel suo paese natale. Mio padre lo ammira particolarmente per quello e parla con così tanto rispetto di padre Bruno che ha portato anche me a provare per lui una grande ammirazione. Due mesi fa, ho mantenuto la promessa di visitare la sua tomba a Cartagena del Chairá. Preghiamo per il nostro Padre Bruno Del Piero nella gloria di Dio riposi in Pace". (Alexandra Suárez Zambrano)

"Grazie Dio Eterno per aver scelto padre Bruno del Piero, un uomo di fede, un missionario amorevole e instancabile. Noi, abitanti di Cartagena del Chairá, abbiamo la certezza che un uomo santo ha vissuto e condiviso tra noi l'amore e la pace di nostro Signore Gesù. Ti ameremo per sempre Padre Bruno del Piero". (Martha Nuñez)

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I bambini di Padre Bruno del Piero

"Porto sempre nel mio cuore padre Bruno Del Piero che qui a Puerto Leguizamo è ricordato e apprezzato come uomo di fede e sacerdote esemplare per il suo impegno missionario. Gli piaceva visitare gli ospedali dopo la Messa delle 18.00 per salutare i malati e portare loro le sue preghiere e la comunione. Lo ammiro così tanto che lo vedo come un Santo, anche se non lo è ancora, spero che un giorno lo sarà". (Myriam Gonzalez)

"Eccellente sacerdote e guida spirituale. Abbiamo avuto l'onore di avere da lui il matrimonio e il battesimo dei nostri figli. La sua umiltà e l'amore per la sua professione lo hanno reso una persona integra, con molte virtù". (Yolanda Fajardo)

"Ho conosciuto padre Bruno nel 2011 in occasione delle mie vacanze nella mia bella Colombia e nella mia amata terra di Florencia. Sono andato a trovarlo in parrocchia e lui è stato molto felice per il vino della sua terra che gli ho portato, e per aver parlato un perfetto italiano... L'ho visto molto felice! (Carlos Capo Perez Osorio)

La Associazione padre Bruno, costituita in settembre 2014 per continuare a sostenere la sua opera missionaria, nel corso di questi anni ha finanziato vari progetti in Colombia: la ristrutturazione della cappella di San Bartolomeo e la costruzione ex novo della casa missionaria di Puerto Refugio nella regione del Putumayo; la ristrutturazione della casa canonica di Solano; la ristrutturazione della cappella di Campo Alegre e della casa canonica di Puerto Tejada nella regione del Caquetá; l’acquisto del crocefisso per il santuario di Santa Laura Montoya nell’archidiocesi di Florencia; il contributo per la fondazione “i bambini del padre Bruno” di Cartagena del Chairá dove riposa il padre Bruno;  il progetto: “moto a pezzetti” per l’acquisto di una motoretta per padre Alex, missionario della neonata Parrocchia Nuestra Senora della Consolata di Puerto Leguizamo, necessaria per raggiungere le tante famiglie bisognose dei quartieri del paese; la manutenzione della cappella del cimitero di Puerto Leguizamo. 

L’Associazione continua a sostenere il Centro di accoglienza "Buen Samaritano Marie Poussepin" di Puerto Leguizamo che dopo il Covid ha potuto finalmente riprendere le sue attività, offrendo un pasto ai bambini poveri del quartiere. Suor Yanneth, coordinatrice della mensa, ha potuto comprare farina, latte, uova, olio, pasta, riso e carne. Lei ci manda sempre foto dei bambini, delle signore che sono impegnate a preparare i pasti e delle madri di bambini. 

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L'Associazione Padre Bruno del Piero

La città di Cali, la terza più popolata della Colombia, ha ospitato l'incontro continentale della Pastorale Afro dei Missionari della Consolata in America. All'evento hanno partecipato in presenza dieci persone, tra cui missionari e agenti laici della pastorale afro e anche altre 20 persone che si sono collegate on line dal Brasile, Venezuela, Bolivia, Argentina e altre città della Colombia.

Il mondo afro in America Latina

L’incontro è cominciato con una riflessione del dottor Sergio Mosquera, ricercatore, storico e professore universitario della regione del Chocó, che ha analizzato la realtà della popolazione afro nel continente e la trasformazione del loro pensiero.

Il dottor Sergio Mosquera ha descritto come la Chiesa, nel corso dei secoli, abbia gradualmente cambiato la propria mentalità. "La Spagna ha portato in America al cattolicesimo, ma in questi cinque secoli sono stati commessi molti abusi. In anni relativamente recenti la riflessione promossa dal Concilio Vaticano II e dalla Conferenza di Medellín (1968) hanno dato inizio a una pratica pastorale nuova nella chiesa latino americana e a una corrente di pensiero e teologica poi chiamata teologia della liberazione. Anche nel contesto afro, dopo tante trasformazioni, si è aperta una possibilità di dialogo con la popolazione afro e per mezzo di una pastorale specifica si porta avanti in modo concreto lo sforzo di avvicinare il cristianesimo ai neri impoveriti. Molti hanno subito e continuano a subire discriminazioni, razzismo e per quello hanno bisogno di un annuncio di speranza, che é quello che si vuole offrire”.

La pastorale afro dei Missionari della Consolata

Nel suo intervento, il Consigliere Generale per l'America, Padre Jaime C. Patias, ha affermato che “le nostre opzioni missionarie sono quelle scelte che facciamo di fronte alla realtà che ci circonda. Sono il frutto dell'ascolto e della risposta alle grida dei nostri popoli in armonia con il carisma della congregazione fondata dal beato Giuseppe Allamano”.

Ha ricordato che nel continente, dopo una chiara opzione per le popolazioni indigene, negli ultimi anni i missionari della Consolata hanno ripreso anche l'opzione per le persone di origine africana, soprattutto in Colombia, Brasile e Venezuela, dove la Chiesa ha fatto un grande sforzo per promuovere una pastorale specifica: “non è mai stato un cammino facile ma di fronte alle difficoltà dobbiamo imparare dai neri -ha detto- a resistere, a non abbassare la testa a non arrenderci”.

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Laboratorio di pensiero

"Consapevoli della complessa realtà della popolazione nera nel continente, ha osservato il padre Venanzio Mwangi, Coordinatore Continentale della Pastorale Afro, vediamo sempre più la necessità di lavorare uniti per rafforzare la qualità del nostro servizio come Missionari della Consolata nel continente. Abbiamo bisogno di costituire un laboratorio di pensiero Afro IMC, che sia al servizio della nostra comunità, delle chiese locali e delle società in generale.

Padre Venanzio è keniota, si trova in Colombia da più di 20 anni, e quindi ricorda che "questo passo è la conseguenza di tanti incontri che abbiamo tenuto per molto tempo, condividendo le esperienze della Pastorale afro in Colombia, Venezuela e Brasile".

Cammini di liberazione

I partecipanti si sono poi interrogati sulle attuali possibilità di liberazione che sono a disposizione di questa popolazione. C’è bisogno di una liberazione mentale e identitaria nella quale diventa necessaria anche la collaborazione di altre forme di fede;  la guarigione e la liberazione integrale devono essere affrontate in diverse prospettive e sono necessarie persone che siano leaders sociale e spirituale e con una indentità chiara fin dal seno famigliare.

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L’arte della periferia

A Cali, ma in quasi tutte le città dell’America Latina ci sono quartieri che nascono e crescono senza un piano di urbanizzazione e servizi pubblici essenziali. Sono espressione di povertà, urbanizzazione disordinata conseguenza in molti casi di processi violenti che producono intere famiglie o villaggi sfollati. 

I quartieri marginali

In Colombia e in molti Paesi dell'America Latina e del mondo, un gran numero di famiglie è costretto a lasciare la propria terra e a migrare verso le città, dove non ha altra scelta se non quella di occupare terreni in luoghi inadatti all'abitazione. Costruiscono le loro baracche in modo improvvisato, senza sapere quanto tempo rimarranno lì prima di essere rimosse dalle forze dell'ordine urbano, spesso l'unica presenza del potere pubblico a "visitarli".

Mentre cercano altri spazi vanno nelle strade e nelle piazze e si impegnano in una economia informale che è una semplice espressione di lotta per la sopravvivenza in contesti scandalosamente diseguali che scartano i più poveri e miserabili.

Purtroppo le rappresentazioni sociali che collegano la povertà alla criminalità generano comportamenti che rafforzano i pregiudizi e contribuiscono ad aumentare l'esclusione e la negazione di questa popolazione. 

L'importanza dei lider 

Quando manca una presenza pubblica, emerge l'autodeterminazione dei leader e gruppi che organizzano la convivenza. È quello che abbiamo potuto costatare in tre insediamenti nella periferia della città di Cali (Colombia), che abbiamo visitato accompagnati da agenti di Pastorale afroamericana.

Con loro abbiamo camminato per vicoli, calpestando fango o terreno polveroso e superando come potevamo le macerie e i detriti edili scaricati sui pendii. Così abbiamo raggiunto il quartiere "Valladito" dove abbiamo incontrato Joana, una leader locale che, con il sostegno della pastorale sociale e afro dell'arcidiocesi di Cali, ha consegnato cesti di beni di prima necessità alle madri.

Abbiamo potuto conoscere la “mensa dei poveri", un vero miracolo di condivisione e solidarietà: una cucina comunitaria nella quale alcune signore preparano il cibo con gli ingredienti forniti dalla diocesi e con i quali si sostengono soprattutto le donne e i bambini di Valladito e Mojica.

L'impegno e la cultura

Le sfide sono enormi, ma c'è tanta arte e musica, colori e vita, sapori e conoscenza. "L'arte parla dove le parole non riescono a spiegare" recita un mural a Valladito.

Malgrado tanta povertà, ben visibile, non dobbiamo dimenticare che tutto contribuisce alla promozione umana integrale, al recupero dell'identità culturale, all'emancipazione delle donne, allo sviluppo dei talenti e alla condivisione delle conoscenze.

In questo luogo, invisibile alla società, l'unica consolazione è la gioia e la forza che è nel sangue della popolazione afro, perché la vita non è facile lì ed è necessario lottare per sopravvivere. 

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I Missionari della Consolata

In questo contesto si sviluppa l'impegno della pastorale afro dei Missionari della Consolata nella città di Cali e, in modo analogo, anche in quella di Buenaventura, sulla costa del Pacifico, a meno di due ore da questa. Nella zona, le urbanizzazione disordinate e abusive continuano a crescere con l'arrivo di sempre nuove famiglie e l'insufficiente o cattiva alimentazione, la mancanza di alloggi decenti e di servizi igienici di base rendono i bambini, gli anziani e le donne più vulnerabili e soggetti alle malattie. 

È una risposta concreta ed evangelica all'opzione dell'Istituto per le periferie urbane ed esistenziali.

 

 * Jaime C. Patias, IMC, è consigliere generale per l'America.

 

La nomina di Francia Márquez come vicepresidente della Colombia rappresenta un momento importante per il popolo afrodiscendente del paese e di tutto il continente. Francia è la prima donna di colore a diventare vicepresidente del suo Paese, la seconda in America Latina e la terza nel continente dopo Epsy Alejandra Campbell Barr, in Costa Rica, e Kamala Devi Harris, negli Stati Uniti. Pochi giorni dopo l’ingresso ufficiale del nuovo esecutivo, che si è tenuto a Bogotà il 7 agosto, Francia è stata protagonista di un nuovo ingresso, più di carattere culturale, nel quale ha ricevuto il bastone che rappresenta l’autorità ancestrale afro americana.

Il luogo di questa celebrazione è stato il centro sportivo municipale del municipio di Suárez (al sud occidente del paese, nella regione del Cauca), luogo dove è nata la nuova vicepresidente colombiana. Erano presenti diversi sindaci dei comuni vicini, il governatore della provincia e delegazioni di organizzazioni sociali, indigena, afro e contadine oltre che parenti e amici.

Al centro dell’arena del campo sportivo era stata preparata la Mandala, lo spazio sacro e il luogo della spiritualità: un cerchio fatto di semi di riso, mais e fagioli, che rappresentava  Mesoamerica; le lenticchie come simbolo di prosperità dell'universo arabo; il sale come simbolo di incorruttibilità e buon governo. Nella parte centrale della Mandala tutta la frutta che rappresenta la ricchezza di questa terra: avocado, pannocchie, papaie, arance, zapote, frutti della passione, banane e platani e un grande tamburo, un Yembé, simbolo di tutti i tamburi e del legame ancestrale con l'Africa. Su di lui un vaso di terracotta che ricordava le parole di San Paolo: “abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2 Cor 4,7).

Padre Venanzio Mwangi, Missionario della Consolata e delegato della Pastorale Afro dell’Archidiocesi di Cali, accompagnato da diversi agenti pastorali, ha presieduto questo momento di spiritualità.

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padre Venancio benedice Francia Márquez

Dopo aver introdotto solennemente Francia Márquez al centro del Mandala, Padre Venancio ha spiegato che quest’atto è un atto simbolico, spirituale e ancestrale nel quale si vuole evocare la memoria delle eroine e degli eroi che hanno attraversato la storia e il dolore del popolo afro: Wiwa, Benkos Biojó, Juan José Nieto, la guerriera Casilda Cundumí, Nelson Mandela. 

Ha poi ricordato una frase che appartiene alla saggezza africana: "Io sono perché noi siamo". Nel ruolo protagonista di Francia Márquez sono comprese persone, terra, acqua, aria, fuoco, vento e memoria. “Oggi siamo ciò che siamo grazie alla lotta e alla resistenza dei nostri antenati, che si incarnano nella persona di Francia”.

Nel rituale si è ringraziato l'Essere Supremo, il Datore di vita, e al popolo che ha visto crescere Francia Márquez. Si è chiesto alla Madre Terra di ascoltare il grido di un popolo con troppi "solchi di dolore", lei è testimone privilegiata di tanto spargimento di sangue, lei stessa è vittima quando viene disboscata e destabilizzata a beneficio di pochi. 

Per mezzo di questo rituale sono stati compiuti i primi passi per guarire e riconciliarsi con la natura ferita e si è chiesto di dare alla vicepresidente la forza per "curare altre ferite e per aprire strade di libertà per tutti i popoli".

L'acqua del fiume Ovejas, che attraversa il villaggio di Yolombó dove Francia Márquez è nata e cresciuta, è stata versata a terra come offerta di pace e impegno e lo stesso è stato fatto con semi provenienti da vari luoghi della regione.

Per concludere, al suono di tutti i tamburi presenti, è stato consegnato alla Vicepresidente un bastone come simbolo dell’autorità ottenuta. Intagliata nel legno, nella parte superiore,  una figura di una donna con una grande treccia che porta incrostati semi di senape. La figura femminile è seduta su un trono, che è raffigurato da uno sgabello di origine africana. che si appoggia a sua volta su una canoa carica di grani d'oro e dipinta con i colori del panafricanismo. Sotto la barca un tamburo che rappresenta la voce di chi non ha voce, e più in basso un “chumbe”, tessuto caratteristico dei popoli indigeni, che rappresenta la storia di tutti loro tutti i popoli originari alla ricerca della solidità e armonia. Nell’estremo inferiore c'è una gonna che rivela i piedi di una camminatrice.

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I semi di senape, incastonati nella parte superiore del bastone, sono un primo riferimento biblico, che descrive il Regno di Dio: piccolo ma è chiamato a crescere per dare rifugio a tutti gli uccelli del cielo (cfr. Mt 13,32). Sull’altro estremo, i piedi della camminatrice ricordano il profeta Isaia: "è bello vedere i piedi del Messaggero di pace che scendono dalla montagna" (52,7). Padre Venancio ha unto il bastone con olio e lo ha consacrato come segno di protezione e saggezza, affinché il vicepresidente sappia guidare la Colombia sui sentieri della pace.

L'evento è culminato con lo slogan "finché la dignità non diventerà una consuetudine", così sia!

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