Grazie per essere qui, ci hanno detto: il Signore ci conceda la grazia di vivere questi Esercizi Spirituali come fratelli. "Egli dà forza agli stanchi e aumenta le forze dei deboli..." (Is 40,29-31). La tua presenza tra noi è una benedizione e una forza per la famiglia della Consolata!

Villa Marianella, casa di proprietà dei missionari Redentoristi, è costruita e attrezzata per favorire il dialogo, il silenzio orante e contemplativo, il riposo ricreativo e ristoratore. Dal 22 al 26 gennaio, in questo luogo, noi Missionari della Consolata della Regione Colombia siamo stati convocati per gli Esercizi Spirituali; hanno partecipato circa 50 di noi e siamo stati accompagnati e guidati da Fratel Camilo Alarcón, delle Scuole Cristiane - La Salle, .

Accoglienza nella casa

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Immagine preparata dagli organizzatori degli Esercizi

Tutti i missionari, arrivati dall’Ecuador, dal Perù e dalle varie regioni della Colombia nelle quali lavoriamo siamo stati accolti dal Padre Fondatore e Formatore, Giuseppe Allamano. Con una mano reggeva le Costituzioni o la Bibbia, con l’altra indicava la missione in atteggiamento di partenza. Tutti siamo stati convocati, con le nostre famiglie, i gruppi umani e le comunità che serviamo. Tutti siamo giunti fin lì alcuni fisicamente e altri per mezzo di rappresentanti.

“Per questi giorni, sistematevi nelle vostre stanze, personalizzate con i vostri nomi le porte, sentitevi illuminati e prolungati da un orizzonte infinito con albe e tramonti da sogno”.

“Lì troverete –come sembrava dirci il gentile e paterno Fondatore– l'acqua per idratarvi, il vino per festeggiare, l'agenda, il programma regionale e generale, gli orari di ogni giorno, oltre a un dettaglio economico personale. Tutto per voi, preparato con amore”.

Alcune indicazioni ci hanno aiutato ad abitare meglio lo spazio per poter vivere, crescere, creare e credere come artigiani della cura: il tavolo della sala da pranzo, il tavolo dell'Eucaristia, il tavolo della sala della comunità, il tavolo per giocare, il tavolo della cucina, il tavolo della camera da letto o del luogo di lavoro, il comodino, il tavolo dei poveri, il grande tavolo della creazione.

La sala delle conferenze

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Immagine: CAZ

Non senza aver prima attraversato la sala da pranzo –luogo spazioso, luminoso e arioso, abitato da servitori sorridenti e attenti, disponibili a soddisfare, per quanto possibile, gusti, capricci e necessità corporali– ci siamo recati nella sala delle conferenze.

Lì siamo stati accolti dalla Fondatrice, la nostra cara madre e maestra Consolata, con il suo bambino, consolazione divina incarnata e custodita nel suo grembo, mostrandocelo e dicendoci: "fate quello che vi dice", attraverso le parole, lo stile e la pedagogia del maestro fratel Camilo.

I giorni e le notti sono passati e siamo arrivati all'ultimo giorno, pieno di silenzi, parole, simboli, riti, liturgie, 3 idee, 2 domande e 1 metafora. Tutto era avvolto da una semplice pedagogia integrale e da una bella didattica che scaturiva dalla saggezza raccolta e dalle esperienze vissute e condivise del Fratello guida. Queste le domande che sono state poste: cosa conservare del nostro passato-presente?; cosa mantenere e sostenere del nostro presente-presente?; cosa innovare per costruire il nostro presente-futuro? Tutto è scaturito dalla vita che è stata suscitata e restituita decantata, passata attraverso il crogiolo del tempo, della memoria del cuore e della conversazione interpersonale.

Atmosfera spirituale

20240129Colombia6Per descriverla, assaporo l'ultimo sorso della piccola bottiglia di vino, offerta per il viaggio, per la nostra salute integrale, comunitaria e personale!

L'atmosfera è di umiltà, di quell'humus fecondante e purificante della terra di mezzo, proveniente dall'Amazzonia, che inspiriamo e respiriamo con la speranza di purificarci e convertirci. Quell'humus che ci fa riconoscere come umani chiamati a umanizzare; perdonati e consolati chiamati a consolare, a guarire salvando, a salvarci curando le relazioni d'amore in questa società pluralista e multiculturale. Chiamati a essere "Angeli custodi" gli uni per gli altri, per le comunità e la Chiesa, per l'intera "comunità di vita", per la nostra società e per l'intera umanità. Con la nostra testimonianza possiamo incantare, attrarre, essere e fare propaganda vocazionale, crescere in qualità e quantità.

Oggi un tacchino piange, grida o canta la sua solitudine; oggi tante altre creature si uniscono all'orchestra ambientale; oggi anche noi facciamo sintesi nella nostra memoria cordiale, aiutati dalle note e dalla memoria razionale disposti a tornare sulla strada per rimetterci in cammino. Questo non era il nostro posto, il nostro "ad gentes" è oltre; lo cercheremo con maggiore impegno a maggio, durante la Conferenza regionale.

L'avanguardia nella retroguardia

Allo stesso tempo, anche se più brevemente, un piccolo gruppo di missionari stagionati, un tempo avanguardia missionaria attiva, ora saldi e fedeli con la loro vita fatta preghiera, lavoravano spiritualmente nella retroguardia della stessa missione di consolazione - liberazione.

Lì a Manizales, nella casa di San Giuseppe, all'ombra del Santuario dedicato da P. Gerardo Bottacin a Nostra Signora di Fatima, si sono sincronizzati con quelli di Villa Marianella e con altri che non si sono potuti incontrare in questa occasione, guidati dal fedele amico della Consolata, P. Efraín Castaño, sacerdote diocesano, animatore, bussola e maestro della gioventù di Manizales e Caldas.

Alla fine, il cammino continua

Alla tavola dell'Eucaristia, della Parola e del pane, abbiamo concluso la nostra gentile e breve esperienza spirituale. Mandati via, ci siamo rimessi in cammino.

"Con valore e coraggio andate avanti nel Signore" ci dice il Fondatore. “Non abbiate paura –ci dice Gesù– io sono con voi”. È con, accanto a noi, come ConSolata, madre del Consolatore, grazie all'Altro Consolatore.

* Padre Salvador Medina, IMC, missionario in Colombia.

Il rumore degli alberi che cadono o che, senza cadere, espellono brutture e suscitano rifiuto, può essere modulato e compensato dalla meraviglia quotidiana delle persone buone che, con discrete azioni eroiche, rendono bella la vita. Nel caso del vescovo, Joaquín Pinzón, la Chiesa mostra il suo volto più gentile in mezzo a tante turbolenze.

Joaquín è un uomo ancora giovane, anche se da dieci anni è il primo pastore del Vicariato Apostolico di Puerto Leguízamo-Solano, nell'Amazzonia colombiana. Fa parte dei missionari della Consolata, la congregazione che dalla metà del secolo scorso percorre questi territori coraggiosi ed emozionanti; e non ha smesso di essere missionario.

Arrivando a Leguízamo, mi abbraccia trasmettendo sincerità e giovialità. Si assicura che tutti i dettagli dell'alloggio siano pronti. Osservo come accoglie chi arriva per la “Minga Amazónica Transfronteriza”. Con questo carattere semplice, discreto e aperto, credo che ogni persona si senta considerata e importante con Joaquín. Questo è ciò che fa naturalmente chi è umile e attento.

Sono qui in rappresentanza del mio vescovo, ma non sono un vescovo. E Joaquín si preoccupa di far sì che il mio Vicariato abbia il suo posto e che io possa intervenire quando è opportuno, superando con delicatezza questa differenza di funzioni o di gradi di autorità. Lo fa con gesti concreti e soprattutto con il suo modo di fare semplice, schietto, cordiale e non invadente. Sul suo petto, la croce di legno calza a pennello.

Andiamo a Puerto Lupita per celebrare i sacramenti, compresa la Cresima. Joaquín indossa cappello e scarpe da ginnastica, sale sulla barca e fin dal primo momento si vede che è nel suo elemento con la gente. Conversando, ridendo... non c'è gravità in lui né solennità e invece c’è vicinanza e la gente lo percepisce con il suo infallibile intuito.

Infatti, nonostante la folla e il rumore, il caldo soffocante, le poche sedie e i bambini ovunque, Joaquín non fa un brutto gesto, sorride sempre, spiega con calma. Alla fine della messa, si mette in posa con infinita pazienza per le mille foto che vogliono essere scattate con il vescovo; e anche se cerchiamo di scappare, ci costringe a essere lì anche noi. Nessuno può sentirsi spiazzato vicino a lui.

Vuole che sia io a battezzare e a guidare la celebrazione. Il giorno dopo, a Soplín, il giorno dell'inaugurazione della nuova casa dei missionari e dell'ampliamento della cappella, insiste perché sia io a tenere l'omelia, perché siamo "nella mia giurisdizione", anche se logicamente è lui a presiedere. Tutto scorre, siamo orgogliosi di essere insieme e di essere chiese gemelle, su entrambe le sponde del fiume che ci unisce.

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In un'altra occasione siamo andati a celebrare la festa patronale di Yarinal, un vero santuario della Consolata a Putumayo. Joaquín guidava una barca con più di trenta persone. All'Eucaristia, anche se eravamo dalla parte colombiana, mi chiese di dire qualche parola. Dopo il pranzo, Joaquín ha proposto di giocare una partita a basket, e abbiamo fatto un “casino terribile” sotto il sole violento delle due del pomeriggio: abbiamo sudato, ma abbiamo riso, scherzato e ci siamo divertiti, e il vescovo è stato il primo, come uno di noi.

In questi giorni ci sono anche riunioni in cui si discute, soprattutto, di come garantire che l'équipe di Soplín rimanga consistente anche l'anno prossimo. Joaquín ascolta con competenza e, quando è il suo turno, parla in modo franco e chiaro, con un'assertività ornata di gentilezza che genera spontaneamente fiducia.

È domenica sera e non c'è la cuoca. Joaquín prepara dei panini al prosciutto e al formaggio perché alcuni missionari e ospiti sono riuniti a tavola. Chiede di qualcuno che manca, dove andrà a mangiare? Ci sono ancora dei panini da distribuire e ci invita a continuare a mangiare; a me tornano in mente i ricordi della nonna nel suo insistente invito, e mi rendo conto che questo è forse uno dei migliori complimenti che gli posso fare.

Quella di Joaquín in generale, è una vita e un'azione molto simile a quella di Gesù: gentile, non ostentata, lontana dall'ostentazione ed esperta nel servizio. Sono questi i pastori di cui abbiamo bisogno, quelli che sono in sintonia con una Chiesa sinodale, concreta e missionaria, e con questi atteggiamenti la tessono.

(Fonte. Religión digital)

L'11 dicembre 2016 è una data storica, perché è il giorno in cui i Missionari della Consolata hanno aperto ufficialmente la loro presenza nella diocesi di Buenaventura. Da allora, sette anni fa, il nostro lavoro missionario si è arricchito di questa presenza sulla costa colombiana del Pacifico. 

È importante ricordare che proprio a Buenaventura i primi cinque missionari della Consolata hanno avuto il loro primo contatto non solo con il popolo afrocolombiano, ma anche con il popolo colombiano in generale. Arrivarono 75 anni fa i padri Antonio Torasso, superiore del gruppo, Giambattista Migani, Domingo Galbusera, Giovanni Boetti e Giovanni Berloffa. Arrivarono il 12 dicembre, festa di Nostra Signora di Guadalupe, patrona d'America, inviati da padre Gaudenzio Barlassina, superiore generale, in risposta alla richiesta dell’arcivescovo di Bogotá, Ismael Perdomo, che durante un viaggio a Roma aveva chiesto missionari per rispondere alla carenza di sacerdoti nella sua diocesi, soprattutto nella zona di Magdalena Medio.

Non è un caso che la comunità sia tornata al Porto di Buenaventura proprio in quella data nel 2016 (in quell'anno il 12 cadeva di lunedì, quindi l'ingresso avvenne la domenica più vicina). Da un lato, questa apertura rispondeva al costante invito del vescovo diocesano, che all'epoca era monsignor Héctor Epalza Quintero, e dall'altro volevamo rispondere alla riflessione che si era svolta attraverso varie Conferenze e Assemblee regionali a favore di una presenza di pastorale afro sulla costa del Pacifico.

Così siamo arrivati alla cappella di San Martin de Porres (che da sei anni è parrocchia) dove la maggioranza degli abitanti è di origine africana. Il giorno dell'inaugurazione, la messa è stata presieduta da mons. Héctor, vescovo diocesano e dal superiore regionale padre Armando Olaya; erano presenti diversi missionari e anche comunità religiose e sacerdoti diocesani.

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Il cammino precedente

Vale la pena ricordare alcuni eventi importante che hanno prodotto questa nuova missione: più dietro nel tempo una decisione della decima Conferenza regionale che aveva proposto di rafforzare la Pastorale afro e poi il primo incontro con la diocesi avvenuto il 30 novembre 2015, con la presenza dei padri Kennedy Kimathi e Venanzio Mwangi, che rappresentavano l'allora superiore regionale, padre Angelo Casadei e il suo consiglio.

Il 7 marzo 2016 una commissione più consistente di missionari (i padri Armando Olaya, che era superiore regionale, Ricardo Bocanegra, Venanzio Mwangi e Lawrence Ssimbwa) ha visitato diversi luoghi della diocesi e presentato alla direzione regionale la proposta della cappella di San Martino de Porres come una periferia adatta alla pastorale afro-colombiana e terreno fertile per la missione ad gentes. Il 12 settembre dello stesso anno la Direzione Generale approvava l'apertura e il 28 dello stesso mese il superiore e tutto il suo consiglio si recarono a informare il vescovo della decisione che era stata presa.

Il 12 ottobre, festa della Madonna del Pilar, furono presentati al vescovo i primi missionari: padre Lawrence Ssimbwa e l'allora professo Leovilgildo Carlos Ussene, che arrivarono il 22 dello stesso mese. E così fu fino all'undici dicembre, quando avvenne l’apertura ufficiale.

Il lavoro

I Missionari della Consolata si trovano nella diocesi di Buenaventura con lo scopo principale di lavorare nella pastorale afrocolombiana, dato che gli afrodiscendenti di questa regione costituiscono quasi il 90% della popolazione. Il cammino della pastorale afrocolombiana a Buenaventura ha una storia importante, iniziata con monsignor Gerardo Valencia Cano, il primo vicario apostolico di questa chiesa locale, e proseguita con il suo successore, mons. Heriberto Correo Yepez, quando si è tenuto il primo Incontro Pastorale Afroamericano (EPA).

Durante l'episcopato di mons. Rigoberto Corredor Bermúdez, che è stato il primo vescovo diocesano di Buenaventura, il ministero dell'inculturazione è stato inserito nel piano pastorale della diocesi con l'obiettivo di rafforzare l'identità cristiana degli afro nel pieno rispetto della loro identità culturale.

La MISSIONE AD GENTES, che è il carisma dei Missionari della Consolata, trova terreno fertile nell'attuale parrocchia di San Martin de Porres, composta da cinque quartieri. In alcuni di questi quartieri sono state registrate intere famiglie i cui membri non sono stati battezzati e si sono trovati adulti, bambini e giovani che non sanno nemmeno fare il segno della croce. Visitando periodicamente questi luoghi, abbiamo potuto organizzare processi di iniziazione cristiana per persone e famiglie che hanno bisogno del primo annuncio. 

La NUOVA EVANGELIZZAZIONE è un altro aspetto importante. Certamente la maggior parte degli abitanti di San Martin de Porres sono cattolici ma un gran numero di loro vive indifferente alla fede e alla Chiesa. Quello che la Nuova Evangelizzazione pretende fare è raggiungere quegli uomini e quelle donne che, per qualche motivo, si sono allontanati. Il Sistema Integrale di Nuova Evangelizzazione è il piano pastorale della diocesi di Buenaventura: per mezzo di questo progetto pastorale i missionari di San Martin de Porres hanno formato piccole comunità di base e ministeri. Lo scopo delle piccole comunità è quello di annunciare Gesù Cristo nell'ambiente familiare, in modo che coloro che vengono evangelizzati diventino evangelizzatori e assumano ministeri al servizio dell'intera comunità che, passo dopo passo, cresce e si rafforza.

Un altro aspetto importante sono le comunità di pace, perdono e riconciliazione. La violenza è una realtà che affligge permanentemente i quartieri che compongono la parrocchia di San Martin de Porres: in quasi tutti loro si producono atti violenti e crimini perpetrati da gruppi ai margini della legge. La formazione alla pace, al perdono e alla riconciliazione cerca di curare le ferite psicologiche e fisiche inflitte alle comunità dal contesto violenta che regna nella maggior parte dei quartieri.

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Conclusioni

Celebrare i sette anni di presenza missionaria della Consolata a Buenaventura è una occasione per ringraziare il Signore per l'opportunità che ci ha dato di servire il popolo di Dio presente in queste terre della costa colombiana del Pacifico e allo stesso tempo un'occasione per ringraziare il dono dello spirito missionario ad gentes del Beato Giuseppe Allamano, che continua a contribuire alla consolazione di molti popoli e culture attraverso ogni missionario.

“A nome della mia comunità, Robles, vi ringrazio per averci dato uno spazio così meraviglioso. Abbiamo imparato cose che non sapevamo. Grazie a tutti voi per averci preso in considerazione. Vogliamo continuare a partecipare nei gruppi all'Adolescencia e della Gioventù de la Pastorale Afro de Cali. A volte è molto importante sapere da dove veniamo e chi siamo. So che tutti noi ritorniamo a casa con qualcosa di nuovo nel cuore” così Melany Zamora Obregón ha raccontato il suo vissuto e la sua partecipazione nell’incontro della Pastorale Afro Giovanile di quest’anno, La “Grande Traversata”.

Nella Pastorale afrocolombiana dell'archidiocesi di Cali cerchiamo di vivere l’esperienza del Regno di Dio da diversi punti di vista: lo facciamo come donne, organizzate nelle diverse comunità, e un altro cammino è precisamente quello dei gruppi di bambini, adolescenti e giovani. In questo modo, anche con altre organizzazioni alleate, creiamo spazi di condivisione che permettono di condividere le conoscenze acquisite nel processo e di combattere la discriminazione. La presenza dei giovani nella Pastorale afroamericana è importante: fa crescere lo spirito; permette lo scambio generazionale; crea strategie per raggiungere le nuove generazioni.

Il 7 e 8 ottobre 2023 si è vissuta un'esperienza indimenticabile: sono stati accolti circa 60 giovani provenienti da tutte le comunità dove è presente un cammino di pastorale afro. Nella realizzazione di questo incontro ci siamo ispirati al modello di una analoga esperienza, celebrata nel 2016,  che aveva in qualche modo fatto vivere e comprendere l’esperienza dell’attraversata (la “travesía”) violenta di 500 anni addietro: come persone schiavizzate in Africa venivano portare nel continente Americano e trattate in modo disumano. A questo punto si cerca di dare una nuova luce all’indicibile sofferenza vissuta sulle navi dagli antenati di questi giovani per trasformare questo ricordo ingrato in una occasione di consapevolezza, resignificazione e  resistenza oggi in molti modi vigente nella vita delle comunità e anche nel processo della Pastorale Afro.

In questi due giorni abbiamo cercato di ricreare questo doloroso viaggio marittimo ma, a differenza di quello degli ancestri, non si viaggia soli: ci accompagna un capitano che guida l'intera esperienza, dei marinai che la aiutano in ogni spazio e gruppo e, naturalmente, siamo tutti un equipaggio imbarcato in qualcosa di bello e nuovo. I giochi permettono di usare la capacità fisica e la creatività per raggiungere obiettivi comuni; impariamo a conoscere personaggi, date e territori importanti per il popolo afro.

Anche i momenti di spiritualità sono celebrati in modo afro e giovanile, in uno spazio comune, informale e partecipativo. L'Eucaristia, con i suoi ritmi e le sue danze, si vive insieme alla famiglia allargata della Pastorale Afro ed è un momento per vivere la gioia di stare insieme e condividerla con gli abitanti del quartiere che ci ha ospitato. 

Nel territorio ecologico del parco del Rio Pance abbiamo fatto l’esperienza del risvegliarsi alla natura, alla vita e alla tradizione degli antenati: è stata l'occasione per progettare e proporre alla Pastorale un futuro desiderato.

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La Gran “Travesía 2023” è stata un successo: i giovani sono stati sensibilizzati a proposito di fatti che conoscevano poco, come il numero di personaggi afro che si sono distinti nella vita nazionale e internazionale, ma la cosa più bella è comunque stata la possibilità che hanno avuto di conoscersi e condividere esperienze malgrado provenissero da punti molto distanti della nostra Archidiocesi. In questa “Travesía 2023” hanno ricevuto il sostegno di molte persone che li hanno accompagnati in momenti di spiritualità, gestione comunitaria, alimentazione e cura di ogni dettaglio. Grazie a loro, è possibile ricaricare le energie e organizzare il processo giorno per giorno per trasformare le vite, sia di coloro che sono attivamente coinvolti nel processo che delle loro famiglie.

Concludendo raccogliamo alcune reazioni come quella di Viviana Izajar Viveros, di Jamundí: "Grazie di cuore a tutti voi per averci fatto vivere un'esperienza così bella e significativa" oppure le parole di Karen Yuliet Angulo: "Grazie a tutti voi per aver condiviso con me un'esperienza così bella. Siete persone davvero molto importanti per me. Spero che avremo altri incontri speciali come quello che abbiamo vissuto. Grazie soprattutto al capitano e alle persone che si sono prese cura di noi. Viva la Pastorale Afro!".

*Mary Nelly Carabalí è un membro del team di comunicazione della Pastorale Afro.

La pastorale missionaria è frutto dell’ubbidienza al mandato missionario di Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).

Ma cos’è una pastorale? È importante rispondere a questa domanda che ci porterà a comprendere la pastorale missionaria. La pastorale è la forma storica con cui la Chiesa annuncia in ogni epoca la rivelazione di Dio, indicando la via per divenire discepoli di Gesù. La parola pastorale è legata all’allevamento del bestiame, cosa comune fin dalle origini del popolo di Gesù, ed è per questo che è ampiamente utilizzata nella Sacra Scrittura come metafora per descrivere l’attività dei responsabili della comunità e dello stesso Gesù con rispetto ai suoi discepoli.

In altre parole, l’azione pastorale è l’insieme delle attività che la Chiesa svolge per condurre tutti all’incontro salvifico con Cristo.

La pastorale missionaria

La pastorale missionaria è l’insieme di quelle azioni di evangelizzazione e annuncio della Buona Notizia di Gesù che la Chiesa realizza e promuove nella vita dei suoi battezzati. Risveglia lo spirito missionario di gruppi e comunità attivi in mezzo al popolo di Dio.

La pastorale della Chiesa è unica ma si identifica e manifesta in diversi modi a seconda del contesto. Per questo nella Chiesa esistono diversi programmi pastorali, come la pastorale penitenziaria, la pastorale afro, la pastorale familiare, la pastorale sanitaria, la pastorale sociale, la pastorale giovanile, la pastorale dell’infanzia, ecc.

La pastorale missionaria desidera che Gesù Cristo sia conosciuto, amato e seguito come unico Salvatore del mondo da coloro che ancora non lo conoscono, o da coloro che per qualsiasi motivo hanno abbandonato la fede. La pastorale missionaria si fondamenta nella certezza che «la fede si rafforza donandola» (Redemptoris Missio, 2) e promuove un'evangelizzazione rispettosa delle culture e delle visioni del mondo dei popoli ai quali viene annunciata. Quindi la pastorale missionaria si preoccupa di:

Coloro che non conoscono Cristo. È questa l'azione missionaria comunemente detta “ad gentes”, di primo annuncio, i cui destinatari sono quei popoli e quelle culture che non hanno ancora conosciuto Gesù.

Coloro che si sono allontanati. Si tratta comunemente di cristiani battezzati, catechizzati da bambini e che, per diversi motivi, hanno abbandonato o non hanno nutrito adeguatamente la propria fede; uomini e donne che costruiscono la loro vita quotidiana senza riferimento a Gesù Cristo e al suo vangelo.

Coloro che vogliono vivere in pienezza il vangelo di Gesù. È l’azione missionaria destinata ai credenti per animarli nella conversione quotidiana, nella costante ricerca di Dio, nella disponibilità a seguire Cristo. 

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Atteggiamenti missionari dell'evangelizzatore nel contesto africano.

La pastorale missionaria tra le popolazioni afrodiscendenti deve sempre partire dalla cultura poiché l'annuncio di Gesù Cristo non è mai estraneo al contesto vitale nel quale le persone vengono evangelizzate. È necessario tenere conto dei seguenti aspetti:

Conoscenza della storia del popolo afro. È una storia peculiare che inizia con gli antenati africani che furono portati come schiavi nelle Americhe e che hanno raggiunto la libertà dopo anni e persino secoli di lotta. Conoscere il passato del popolo afro ci permette di interpretare correttamente il presente e proiettarne il futuro. Conoscere la storia libera l'evangelizzatore dai pregiudizi e dalle stigmi che sono esistiti nei confronti della popolazione afro. Conoscere la storia è incarnarsi nella realtà vissuta per poter annunciare Gesù Cristo senza trasformalo in un estraneo indifferente alle situazioni di vita di questo popolo.

Conoscenza della cultura afro. La cultura è legata all'identità profonda di ogni persona e di ogni popolo e determina il modo di intendere l'intera realtà in cui ciascuno vive. Data l’importanza della cultura, si sentono spesso espressioni come “nella mia cultura facciamo questo”, “questa è la mia cultura”, ecc. Queste frasi abbastanza comuni ci permettono di capire che non esistono popoli senza cultura e che questa marca profondamente ogni essere umano e ogni popolo. La cultura afro si esprime in varie forme: gastronomia, danza, poesia, modo di intendere il tempo, riti mortuari, riti di nascita, famiglia allargata, vita comunitaria, ecc. Se la cultura afro non entra in dialogo con la fede, difficilmente potrà esserci un’evangelizzazione sincera che possa provocare un vero incontro con Gesù Cristo. Come sempre accade, l'evangelizzatore, per essere efficace, deve amare e prodigarsi a difendere la cultura.

Conoscenza dell’idiosincrasia del popolo afro. L’idiosincrasia è il modo in cui una persona o una cultura vede e interpreta il mondo. È l'insieme di credenze che ci permettono di analizzare e riconoscere la realtà in base alla nostra stessa esistenza. Un evangelizzatore deve tenere conto della visione del mondo e delle idiosincrasie del popolo afro e sapere, ad esempio, cosa celebra e sperimenta questo popolo quando avviene una nascita, una morte o una celebrazione specifica.

Superare e sconfiggere la mentalità negativa. Storicamente la popolazione afro è stata stigmatizzata e discriminata; la mentalità negativa nei loro confronti si è consolidata. L'evangelizzatore deve superare questa mentalità se vuole entrare nel cuore e avere un dialogo fruttuoso con il popolo afro: una buona evangelizzazione crea un ambiente in cui la diversità culturale è apprezzata. San Paolo lo dice chiaramente: «mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge - pur non essendo io sotto la Legge - mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge» (1 Cor 9,20).

Gioia e amicizia. Il popolo Afro si caratterizza per la sua gioia e la sua amicizia in modo tale che chi annuncia il Vangelo in questo contesto deve avere atteggiamenti gioiosi e amichevoli che permettano di costruire relazioni centrate su valori fondamentali come l'amore, la lealtà, la solidarietà, sincerità e impegno.

Inculturazione del Vangelo. L'evangelizzatore nel contesto afro deve sempre promuovere l'incontro tra fede e cultura afro. La cultura sarà sempre la spiaggia di approdo della fede, quindi entrambe hanno bisogno l'una dell'altra. L'inculturazione del vangelo deve accompagnare ogni progetto di evangelizzazione. Si tratta di riconoscere “i semi della Parola” presenti in ogni cultura in modo tale che –nel caso fro– la danza, i canti, la visione del mondo, l'uso degli strumenti autoctoni, perfino l'abbigliamento diventano un cammino concreto per portare la buona novella a ogni persona.

Pazienza e umiltà. Affrontare un processo di inculturazione esige sempre pazienza e umiltà. Pazienza significa avere autocontrollo quando le cose non vanno come vorresti; essere calmo e tollerante di fronte alle difficoltà. L’umiltà invece ci aiuta a comprendere che non ha senso considerarci al di sopra degli altri: siamo tutti uguali ed ogni persona ha lo stesso valore.

Atteggiamento ecumenico e dialogo interreligioso. L'ecumenismo ha a che fare con iniziative volte a ristabilire la piena comunione tra tutti i cristiani, riconoscendo che la volontà di Cristo è stata quella che tutti fossimo una cosa sola. È il cammino per superare lo scandalo delle divisioni che si sono create nel corso della storia, valorizzando la comunione che già esiste in virtù dell'unico battesimo. Invece il dialogo interreligioso è l’atteggiamento, che esige comprensione e rispetto, per stabilire uno scambio tra individui e gruppi che vivono diverse esperienze religiose.

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L’evangelizzatore della popolazione afro deve avere capacità ecumenica per dialogare con le diverse fedi presenti nei territori afro e capacità di dialogo interreligioso per dialogare con gruppi che professano religioni afro-discendenti come la Santería, che ha origini cubane, e il Candomblé, che ha le sue origini in Brasile, o il voodoo di origine haitiana. Sono religioni che si sono diffuse in molti territori afro e in america hanno numerosi seguaci fra la popolazione afro.

Promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione. Secondo San Tommaso d'Aquino la giustizia è la volontà di riconoscere a ciascuno il suo diritto e dare a ognuno il trattamento che si merita. Invece la riconciliazione ci permette superare rotture, distanze, rancori e ferite che impoveriscono le relazioni interpersonali e, in certe occasioni, ci allontanano dalla pace. La maggior parte dei territori in cui vivono le persone di origine africana hanno subito le conseguenze di ingiustizie, violenze e guerre a partire dal primo e fondamentale di questi atti violenti e traumatici che è stata la schiavitù e la deportazione. Per questo motivo e per tutte le conseguenze che questi atti comportano, l’evangelizzatore nel contesto africano deve avere come priorità pastorale la promozione della giustizia, della riconciliazione e della pace.

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