Il Vicariato di Puerto Leguízamo Solano (Colombia), nato dall'ex giurisdizione ecclesiastica del Vicariato di San Vicente, ha appena festeggiato 10 anni di fondazione e l’ha fatto con il suo primo vescovo, Mons. Joaquín Pinzón, Missionario della Consolata, che pochi giorni fa ha anche lui festeggiato il decimo anniversario di ordinazione episcopale. Recentemente è stato a Roma per la visita "ad limina" di una parte dell'episcopato colombiano; gli abbiamo chiesto quali sono stati i tre più grandi successi e le tre più grandi sfide di questa giovane chiesa che ha guidato fin dalla sua creazione.

Il cammino fatto

Un primo aspetto positivo del cammino di questo vicariato è stato quello di essere più vicini come Chiesa alle comunità che nella geografia amazzonica vivono in luoghi periferici e spesso a notevole distanza dai centri abitati più importanti. La prima cosa che la Chiesa ha voluto fare in questo territorio è stata quella di farsi presente. È una presenza umile ma disposta a incoraggiare, accompagnare e sostenere la popolazione nel su cammino e nella su quotidianità non sempre facile.

Una seconda conquista è stata quella di entrare in sintonia con il Sinodo dell'Amazzonia prestando attenzione ai diversi volti che compongono la pluralità etnica di questa regione: gli indigeni, i contadini, gli afro-discendenti. La nostra chiesa è fatta da loro, sono loro che disegnano il volto unico e plurale di questa chiesa amazzonica.

Un terzo risultato è aver ottenuto dei giovani che in prima persona si stanno impegnando in un cammino vocazione serio: saranno loro i ministri del domani. È bello vedere questo piccolo gruppo di giovani che vogliono mettersi al servizio dell'Amazzonia e della frontiera.

Il cammino da fare

Non sono poche le sfide che abbiamo davanti e in qualche modo loro rappresentano indicatori, percorsi e orizzonti verso i quali orientare il cammino della Chiesa che vuole rispondere ai bisogni e ai sogni della gente di questo immenso territorio. 

Un primo percorso è quindi il processo di accompagnamento degli animatori indigeni e campesinos, affinché possano emergere i diversi ministeri necessari alla crescita e alla maturità di questa chiesa.

Un secondo percorso è quello di rafforzare le vocazioni indigene; uomini e donne che, desiderosi di seguire Gesù, si impegnano nella crescita di questa Chiesa amazzonica e di frontiera.

Una terzo orizzonte invece ci invita a tessere relazioni sempre più profonde con le Chiese vicine, quelle dell'Ecuador e del Perù, che consideriamo come sorelle perché con loro condividiamo tutto: il territorio, la preoccupazione per l'ambiente e l'impegno per vivere in questa casa comune, fragile ed esuberante, che ci accoglie. I nostri popoli sono vicini e sono fratelli e sorelle. Con tutti loro, in Cristo, vogliamo avere vita piena. 

* Mons. Joaquín Pinzon, Missionario della Consolata, è il vescovo di Puerto Leguízamo (Colombia)

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Dall'Asia all'America

P. Kim, nato il 19 dicembre 1973 a Geum San, provincia di GimJe (Corea del Sud), in una famiglia composta dai genitori Kim Ki Su e Jo Bok Yeo e da una sorella, è tornato in patria dopo dieci anni di lavoro missionario fra la Colombia e l’Ecuador. Ha rilasciato questi riflessioni al portale “Consolata America”.

I miei genitori mi hanno dato la vocazione

Non è esagerato dire che i miei genitori mi hanno trasmesso la vocazione sacerdotale. Mio padre, che era un falegname, dopo il matrimonio si trasferì in un paesino dove vivevano dei pii cattolici che ha uno spazio particolare nella storia della chiesa cattolica coreana. Sono nato lì e quindi sono cresciuto in un ambiente molto religioso che ha anche prodotto non poche vocazioni sacerdotali e religiose. quando io avevo 8 anni tutti i membri della mia famiglia sono stati battezzati.

Ai tempi della scuola ero molto impegnato nella parrocchia ma non ero interessato a diventare sacerdote. Tuttavia, mi sono spesso interrogato sulla mia identità personale, su chi ero io. Era una domanda che non mi lasciava in pace.

Poco prima di entrare alla Consolata stavo lavorando nella Hyundai e ogni fine settimana andavo in discoteca con i miei amici... eppure, in un angolo del mio cuore, c’era un vuoto che non riuscivo a colmare fino a quando, un giorno, ho sperimentato un cambiamento interiore e da quel momento ho deciso di vivere una vita diversa. A 25 anni ho venduto la mia auto e il mio appartamento. I miei genitori, all'inizio, erano contrari perché ero l'unico maschio in famiglia ma sapevo che una nuova vita inizia sempre così: con decisioni radicali e superando questo tipo di avversità.

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Con gli studenti del collegio Allamano (Bogotà)

Sacerdote missionario della Consolata

Quando sono arrivato in Colombia non avevo mai vissuto a 2500 metri sul livello del mare e quindi ho fatto fatica anche ad adattarmi all'altitudine ma poi la lingua e la cultura sono stati l’impegno maggiore soprattutto quando, poco più di un anno dopo essere arrivato in Colombia, sono stato mandato alla pastorale indigena nella regione di Sucumbíos, in Ecuador. In quella missione è stato impegnativo adattarsi all'ambiente amazzonico, caldo e umido, e alla lingua e cultura indigena. Quel primo salto è davvero stato complicato e difficile anche se ha lasciato un segno nella mia vita missionaria; mi ha permesso di conoscere da vicino la ricchezza della cultura indigena e la gravità della deforestazione e dello sfruttamento ambientale.

Tra la giungla e la città

Dopo l’esperienza di Sucumbíos ho lavorato per poco più di 3 anni come vice parroco nella parrocchia di “Nuestra Señora de Fátima” nella città di Manizales, nella bella regione del caffé situata nella regione occidentale della Colombia. Ho anche aiutato ad amministrare la casa “San José” che ospitava i nostri missionari anziani. Forse il periodo trascorso a Manizales è stato il mio periodo più felice.

Poi il 9 novembre 2019 sono andato a Puerto Leguízamo ancora una volta nella regione amazzonica, non lontano da Sucumbíos dove ero già stato ma in Colombia e non in Ecuador. Ho lavorato come vicario nella cattedrale e vissuto con intensità la fraternità con i missionari presenti in quella geografia, tra di loro anche il vicario apostolico Mons. Joaquín Umberto Pinzón.

Ho fatto del mio meglio e ho vissuto felicemente, ma onestamente non posso cancellare le brutte impressioni e il dolore che mi è rimasto nel cuore, quando ho visto da vicino la situazione di violenza che dilagava nella regione: innumerevoli persone scomparse o reclutate o uccise vittime dei conflitti socio-politici. Eppure la gente viveva tranquilla e come se nulla fosse accaduto. L'esperienza di tre anni a Leguízamo è per me come l'esperienza che fece Fëdor Dostoevskij quando trascorse quattro anni a Omsk.

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Con il vescovo e membri dell'equipe missionaria in una comunità indigena di Sucumbíos

Ritorno in patria

Ad essere sincero, sono molto felice di essere tornato nel mio Paese. Negli ultimi due anni mi sono successe molte cose. Dopo un incidente in moto a Leguízamo, un'operazione di rimozione della cistifellea per calcoli biliari e la morte dei miei genitori, ho sentito la necessità di cambiare il luogo della missione.

È stata un'esperienza preziosa in Colombia e credo che rimarrà per sempre nella mia memoria. Grazie a tutti i sacerdoti della Regione Colombia.

* Kim Myeong Ho è un missionario coreano della Consolata che ha trascorso 10 anni in Ecuador e Colombia.

 

Presentiamo la sintesi di una attività giovanile promossa dall’équipe di Animazione Missionaria e Vocazionale della Colombia: il "Congresso giovanile Consolazione e Missione". 75 giovani si sono confrontati con il rapporto finale della Commissione per la Verità che in questi anni ha lavorato per ricucire le ferite di quasi 60 anni di guerra che ha insanguinato il paese.

Sono stati tre giorni intensi di attività guidate da dinamiche pedagogiche, esperienze di spiritualità missionaria e di consolazione-liberazione. I nostri giovani hanno approfondito la verità della Colombia ferita e mutilata, superando il muro del lamento e riconoscendo la verità di una guerra indagata in tutte le sue ferite. Come discepoli missionari del Crocifisso Risorto, si sono impegnati a offrire un cuore compassionevole e misericordioso perché la sofferenza, conseguenza della verità mai riconosciuta, sia liberata e trasformata in consolazione-liberazione.

La storia di Macondo

Ricardo Semillas, inviato dal Grande Tutto, seminò il territorio colombiano, chiamato Macondo. Dopo aver compiuto la sua missione di diffondere i semi in modo armonioso, con generosità e varietà esuberanti, Ricardo Semillas ha consegnato questa terra a delle persone perché la curassero e la coltivassero. Tutti vivevano dei suoi prodotti abbondanti, li scambiavano fra di loro con la moneta chiamata "equità", in modo che a nessuno mancasse il necessario per un "buon vivere" e ce ne fosse anche per gli altri.

La cultura fiorì nella musica e nella danza, nella letteratura e nella scultura, nell'architettura e nell'ingegneria, nella scienza e nella tecnologia. La spiritualità si espanse, riempiendo le generazioni successive di valori etici, umani e divini. Le relazioni umane, pur senza molti abbracci, erano intrise di servizio, rispetto, disciplina e apprezzamento. L'orgoglio di essere di Macondo cresceva mentre la moneta locale, l’equità, si rafforzava. La vita ha cantato e ballato nelle giungle, nelle coste, nelle pianure, nelle valli e nelle montagne. Il morbido odore del caffè permeava l'atmosfera all'alba, mentre mais e grano, con platano e yuca, venivano mescolati nello stufato di carne o di pesce, accanto al focolare familiare.

Questa era la situazione quando alcuni attori violenti, che si spacciavano per saggi, arringarono il popolo e si offrirono come benefattori: posero recinti e confini; regolarono i rapporti con nuove norme; raccolsero la moneta equa e inondarono i mercati di banconote. Così che un bel giorno, mentre tutti dormivano e non si accorgevano di quel che stava succedendo, tutti quelli che volevano negoziare dovevano farlo con queste persone e Macondo perse la sua grazia e la sua armonia. Cristhian, il più giovane della popolazione, guardando ciò che non riusciva a capire disse: "temo che alla fine succederà qualcosa di brutto”.

Gli attori violenti seminarono questo territorio pieno di vita con paura, mine e morte. I deserti si moltiplicano quando i fiumi e i torrenti si inquinano o si prosciugano. Le montagne, ferite e sfruttate, si sgretolano inondando di fango fiumi e mari. Le piante della coca e la marijuana abbandonarono il campo sacro della salute ancestrale e Macondo, condannata a "100 anni di solitudine", restò vittima del traffico internazionale di narcotici. Poco a poco, i contadini persero la loro terra, i grandi latifondi si espansero e le città si riempiono di senzatetto. 

Ricardo Semillas, che continuava ad accompagnare il processo della vita nella sua lotta contro la morte, mentre rifletteva a voce alta sulla distruzione che vedeva, disse: "hanno danneggiato Macondo; questo non è ciò che è stato dato dal Grande Tutto; gli attori violenti lo hanno imbavagliato e legato; il popolo se ne sta silenzioso, indignato, arrabbiato e impotente. Abbiamo sentito i gemiti della terra maltrattata e i lamenti dei morti, degli scomparsi e degli sfollati”.  

In mezzo al territorio devastato e al corpo sociale sconsolato, improvvisamente una luce brilla in Oriente: "per la tenera misericordia del nostro Dio, il sole nascente viene a visitarci", lo stesso sole, che è stretto fra le braccia della Consolata, divenuto Parola dice: "Macondo non è morto, ma sta dormendo”. Prendendolo per mano, lo solleva e grida: "Non tutto è perduto, oggi vengo a offrirti il mio cuore. Le persone che hanno sperimentato le più grandi sofferenze, conoscono ciò che significa sentirsi desolati, scoraggiati e abbandonati e per questo sono pronte anche loro a offrire il cuore e tutto il loro essere per confortare e aiutare a liberare gli afflitti che la storia di Macondo ha generato”.

Il silenzio è stato rotto e l'atmosfera, intorno alla "tulpa", il focolare ancestrale composto da tre pietre come la Trinità, si è riempita della parola di rigenerazione depositata nella pentola comunitaria. Nel fuoco ancestrale si prepara l’alimento che restituisce salute e genera liberazione integrale. Tutti siamo consapevoli che quando il dolore è condiviso e compreso cessa di essere sofferto.

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La verità che libera

La verità, quando è nascosta, diventa sofferenza; invece quando viene svelata, anche se fa male, libera. Se questa viene accettata con coraggio e umiltà da tutti, promuove la giustizia, permette il perdono e la riconciliazione, libera le vittime che vengono risarcite e i colpevoli che si pentono e non ripetono i loro delitti. Con la verità tutti possono partecipare alla costruzione sociale e politica della pace, con giustizia sociale e ambientale.  

La verità è impegnativa, rilascia adrenalina, una forza interiore che trasforma e da vita ad azioni, programmi, progetti di misericordia, politiche di pace sociale e ambientale. Dobbiamo dare voce e tempo alla verità, per ridurre le disuguaglianze, la corruzione e superare l'inimicizia sociale. Solo così lasceremo questa triste identità di "figli della guerra" per vivere in "amicizia sociale"; abbandoneremo questa "valle di lacrime" per trasferirci sulla collina del "buon vivere", in questa amata "madre terra", paradiso terrestre.  

La verità è un dono per chi è aperto alla vita. Come dice il galileo Gesù di Nazareth: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Egli, presentato dall'evangelista Giovanni come "la via, la verità e la vita", si propone come nostro manuale di vita di fronte alle ideologie e alle correnti mondane che, quasi sempre, ci allontanano dal senso e le mete della vita.

Con la verità e con Gesù, vogliamo ricreare la nostra realtà e quell'altro “mondo possibile” in cui siamo impegnati e che serviamo. Lo facciamo riconoscendo e valorizzando tutti senza fobie o discriminazioni, ascoltando e dialogando, camminando insieme, in compagnia, andando oltre le nostre diverse frontiere.

Chiediamo al Dio della vita la luce e la forza del suo Spirito per trasformare i nostri sogni e le nostre parole in vita e azione; offriamo i nostri cuori di giovani studenti, universitari, professionisti e industriali, per stare al fianco degli afflitti e degli stanchi. Coerenti con il discorso dell'ecologia e della cura della "casa comune" accompagniamo e consoliamo chi è nel bisogno.

* Équipe di animazione giovanile e vocazionale dei missionari della Consolata nella regione della Colombia.

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Nel 1962 l'allora padre José Luis Serna Alzate arrivò come missionario della Consolata alla regione del Caquetá; questa in quel tempo era una terra di pace e armonia: Il flusso migratorio conseguenza della guerra civile degli anni Quaranta e Cinquanta era passato, ma continuavano ad arrivare sfollati e impoveriti, in cerca di terra e tranquillità. Questo era ciò che cercavano: terra e pace.

Monsignor Serna arrivò in cerca di anime da evangelizzare e di uomini che le rendessero degne. Era un missionario, ma abbiamo già detto che aveva anche bevuto il mondo.

Fin la bambino sono stato vicino ai missionari: prima chierichetto a El Doncello, con padre Juan Demichelis, e poi a Florencia con monsignor Serna. 

Poiché il Caquetá era una terra di missioni, si celebravano le "settimane missionarie", che in realtà erano occasioni che tutti approfittavano per socializzare e magari battezzarsi, confessarsi, sposarsi... erano i taglialegna della giungla; gli agricoltori coltivatori di riso, mais, banane, yucca; gli allevatori di bestiame e i commercianti. Questa terra come una grande isola, era scollegata dal mondo e abitata da persone che, grazie alle missioni e ai missionari, stavano trattando di gettare le loro radici in uno spazio vergine e primitivo. 

A questo progetto Mons. Serna ha collaborato non poco.

La prima cosa che fondò fu il Club della Gioventù, accanto alla Cattedrale. Lì conoscevamo -le generazioni dagli anni '50 in poi- i tavoli da ping pong, gli scacchi, la dama, i tavoli da biliardo, la palestra, sì, tutto questo, insieme a una grande biblioteca che ci parlava di altri mondi che si estendevano oltre la Cordigliera Orientale che era il nostro limite. 

Ben presto, già nel 1964, monsignor Serna iniziò quel bell'esperimento di incontri sociali che erano le "Settimane culturali". Non erano settimane. Erano mesi e anni. Sì, perché per tutto l'anno ci si preparava a gareggiare in narrazione, poesia, declamazione, oratoria, teatro, canto, musica o con carri decorati secondo le regioni di provenienza dei nostri genitori. E poi, quando arrivava il momento di celebrare la settimana culturale, ci godevamo i balletti, la danza classica, i migliori cantanti e compositori nazionali, il cinema e il teatro classico che Monsignor otteneva dalle ambasciate di Francia, Germania, Regno Unito, Italia, ecc. 

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Noi, figli di coloni semianalfabeti, abbiamo bevuto il meglio della cultura universale, grazie a monsignor José Luis Serna Alzate! Erano tempi in cui non avevamo elettricità, né televisione, né telefoni, né strade... soli nella nostra selva, esseri rudi ma pacifici. 

Quando le settimane culturali si sono estinte Monsignore cercò di continuare a collegare i coloni con la conoscenza e con il mondo, e per questo fondò la stazione radio “Armonías del Caquetá”. Lì ha continuato, con altri mezzi, a promuovere la cultura e l'informazione, formando poco a poco un senso di appartenenza regionale. Poco dopo ha fondato anche il Centro Cultural Nocturno.

Monsignor Serna era soprattutto un insegnante. Era il mio insegnante di filosofia e teologia al Colegio Nacional La Salle. Ero il suo peggior allievo, ma mi ha sempre perdonato. Per questo, quando nel 1982 divenne il primo Alto Commissario per la Pace nel governo di Belisario Betancur, intervenne per farmi nominare Segretario per l'Educazione nel Caquetá, dando prova di tolleranza e democrazia, proprio quando ero un leader di sinistra del Movimento Nazionale FIRMES. Sono stato allora testimone del suo instancabile lavoro per la pace.

Il fallimento della colonizzazione mirata ha portato all'emarginazione e alla povertà delle grandi masse di coloni. L'intolleranza politica, l'esclusione e il clientelismo del Fronte Nazionale, oltre all'effervescenza ideologica mondiale degli anni '60 e '70 (tempi di Vietnam, Laos e Cambogia; di Cuba e Ché; teologia della liberazione) fecero della nostra regione uno spazio favorevole all'insurrezione guerrigliera, dopo che i movimenti di protesta legali e istituzionali erano stati repressi e stigmatizzati, o semplicemente ignorati, come l'occupazione contadina di Florencia nel 1972.

Ricordo particolarmente lo sciopero civico di Florencia del 1977, per ottenere l'interconnessione elettrica con la vicina regione del Huila. Dopo lo sciopero, morti e scomparsi; solo grazie ai suoi sforzi sono riuscito a lasciare Florencia, vivo e vegeto, perché ero il segretario del comitato di sciopero.  

Monsignor Serna conosceva nel dettaglio le cause del conflitto armato e i suoi protagonisti. Per questo ha dedicato il meglio della sua vita e della sua intelligenza alla giusta causa della pace e della riconciliazione per i colombiani. Con lui abbiamo percorso fiumi e torrenti per accogliere i guerriglieri dell'M-19 a cui era stata concessa l'amnistia tra il 1982 e il 1983 e quando fu trasferito da Florencia alla diocesi di Líbano e Honda, continuò a fare sua la lotta per la convivenza e la pace: è stato l'artefice del patto tra gli indigeni Nasa e le Farc e della difesa dei coltivatori di caffè durante la crisi del caffè.

Nessuno ricorderà mai i nomi dei falsi testimoni che hanno cercato di oscurare il nome di monsignor Serna. Lui li ha perdonati e la storia li ha condannati come cattivi e innominabili.

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Oggi sarebbe per me una vera sofferenza se i miei concittadini, soprattutto i giovani delle scuole e degli istituti superiori, ignorassero il ruolo di quel missionario di anime e di uomini degni che è stato il vescovo Serna.

Sicuramente, il giorno in cui "scoppierà la pace", e speriamo presto, i colombiani e i caqueteños avranno costruito il più grande monumento possibile alla storia di monsignor José Luis Serna Alzate.

L'insaziabile lotta per la pace e per la cultura erano le sue parole d'ordine. È nostro dovere portarla avanti. 

Che riposi in pace, caro costruttore di uomini degni. Ci incontreremo sempre di nuovo.

*Jorge Reinel Pulecio Yate è professore associato presso l'Università Nazionale della Colombia. Testo letto in occasione delle onoranze funebri nel settembre 2014, nella cattedrale di Florencia.

In questo mese di ottobre 2022, mese missionario, si è svolta a Roveredo in Piano, in provincia di Pordenone, paese natale del padre Bruno Del Piero, l’iniziativa “Ricordo di padre Bruno” in occasione del 60esimo anno dalla sua partenza per la Colombia, avvenuta dal porto di Genova il 18 ottobre 1962, e i 90 anni dalla sua nascita avvenuta il 4 ottobre 1932 in questo municipio. 

Padre Bruno è stato ricordato il sabato 1 ottobre, nella Chiesa di San Bartolomeo, dove è stata inaugurata la mostra fotografica dal titolo “Vite che parlano” presentata da Alex Zappalà, responsabile del Centro Missionario Diocesano di Pordenone, con l’esposizione di foto realizzate dallo stesso Alex Zappalà in varie missioni nel mondo oltre a una importante collezione di foto del Padre Bruno. Erano 16 cartelloni che ricordavano i giorni della sua ordinazione sacerdotale (avvenuta a Torino al Santuario della Consolata il 18 marzo 1961) la prima messa a Roveredo in Piano il 3 aprile 1961 e molte immagini dei lunghi anni di missione in Colombia, dal 1962 fino al 2014.

Il giorno in cui avrebbe compiuto 90 anni, martedì 4 ottobre, è stata celebrata la Santa Messa con la partecipazione di Don Ruggero e  i Missionari della Consolata padre Renato Martini e Tiziano Viscardi. Accompagnata dal coro parrocchiale, l’eucaristia ha visto anche la presenza del Sindaco, il vice Sindaco e alcuni assessori dell’Amministrazione Comunale di Roveredo in Piano.

In questa Eucaristia è stata esposta la veste bianca e il crocefisso di padre Bruno portati dalla Colombia.

Al termine della Santa Messa dalla chiesa si è formato un corteo che si è portato alla casa natale di padre Bruno dove è stata scoperta e benedetta una targa commemorativa in ricordo di padre Bruno. Nella targa si ricorda la nascita di Padre Bruno e il 60esimo anno dalla sua partenza per la Colombia. Padre Tiziano Viscardi benedicendo la targa ha così ricordato il padre Bruno: “in questo piccolo segno che lo ricorda, davanti alla sua casa natele, sia per noi testimonianza di questa fede e di questo impegno per gli altri, nell’annuncio del Vangelo e della salvezza per tutti gli uomini, per Cristo nostro Signore”. 

La conclusione della settimana in ricordo del padre Bruno è stata celebrata sabato 8 ottobre, nella Chiesa di San Bartolomeo, con la chiusura  della mostra fotografica e con racconti di Alberto Cancian, scrittore e collaboratore dei missionari della Consolata in Colombia. 

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Roveredo nel giorno della prima messa del padre Bruno del Piero

Ci sembra interessante tradurre alcune reazioni, ricevute per mezzo del profilo Facebook, provenienti dal Caquetà e del Putumayo, regioni della Colombia nelle quali  il padre Bruno è stato particolarmente presente.

"Mi racconta mio padre, quando ci sediamo a parlare per ore, che padre Bruno Del Piero era un sacerdote integro, umile, disponibile, rispettato e ammirato dalla comunità di Puerto Rico. Lui ricorda che padre Bruno non si toglieva mai l'abito ecclesiastico, quello che ho poi visto nella foto che è stata pubblicata il giorno della celebrazione nel suo paese natale. Mio padre lo ammira particolarmente per quello e parla con così tanto rispetto di padre Bruno che ha portato anche me a provare per lui una grande ammirazione. Due mesi fa, ho mantenuto la promessa di visitare la sua tomba a Cartagena del Chairá. Preghiamo per il nostro Padre Bruno Del Piero nella gloria di Dio riposi in Pace". (Alexandra Suárez Zambrano)

"Grazie Dio Eterno per aver scelto padre Bruno del Piero, un uomo di fede, un missionario amorevole e instancabile. Noi, abitanti di Cartagena del Chairá, abbiamo la certezza che un uomo santo ha vissuto e condiviso tra noi l'amore e la pace di nostro Signore Gesù. Ti ameremo per sempre Padre Bruno del Piero". (Martha Nuñez)

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I bambini di Padre Bruno del Piero

"Porto sempre nel mio cuore padre Bruno Del Piero che qui a Puerto Leguizamo è ricordato e apprezzato come uomo di fede e sacerdote esemplare per il suo impegno missionario. Gli piaceva visitare gli ospedali dopo la Messa delle 18.00 per salutare i malati e portare loro le sue preghiere e la comunione. Lo ammiro così tanto che lo vedo come un Santo, anche se non lo è ancora, spero che un giorno lo sarà". (Myriam Gonzalez)

"Eccellente sacerdote e guida spirituale. Abbiamo avuto l'onore di avere da lui il matrimonio e il battesimo dei nostri figli. La sua umiltà e l'amore per la sua professione lo hanno reso una persona integra, con molte virtù". (Yolanda Fajardo)

"Ho conosciuto padre Bruno nel 2011 in occasione delle mie vacanze nella mia bella Colombia e nella mia amata terra di Florencia. Sono andato a trovarlo in parrocchia e lui è stato molto felice per il vino della sua terra che gli ho portato, e per aver parlato un perfetto italiano... L'ho visto molto felice! (Carlos Capo Perez Osorio)

La Associazione padre Bruno, costituita in settembre 2014 per continuare a sostenere la sua opera missionaria, nel corso di questi anni ha finanziato vari progetti in Colombia: la ristrutturazione della cappella di San Bartolomeo e la costruzione ex novo della casa missionaria di Puerto Refugio nella regione del Putumayo; la ristrutturazione della casa canonica di Solano; la ristrutturazione della cappella di Campo Alegre e della casa canonica di Puerto Tejada nella regione del Caquetá; l’acquisto del crocefisso per il santuario di Santa Laura Montoya nell’archidiocesi di Florencia; il contributo per la fondazione “i bambini del padre Bruno” di Cartagena del Chairá dove riposa il padre Bruno;  il progetto: “moto a pezzetti” per l’acquisto di una motoretta per padre Alex, missionario della neonata Parrocchia Nuestra Senora della Consolata di Puerto Leguizamo, necessaria per raggiungere le tante famiglie bisognose dei quartieri del paese; la manutenzione della cappella del cimitero di Puerto Leguizamo. 

L’Associazione continua a sostenere il Centro di accoglienza "Buen Samaritano Marie Poussepin" di Puerto Leguizamo che dopo il Covid ha potuto finalmente riprendere le sue attività, offrendo un pasto ai bambini poveri del quartiere. Suor Yanneth, coordinatrice della mensa, ha potuto comprare farina, latte, uova, olio, pasta, riso e carne. Lei ci manda sempre foto dei bambini, delle signore che sono impegnate a preparare i pasti e delle madri di bambini. 

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L'Associazione Padre Bruno del Piero

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