Papa Francesco ha ricevuto in udienza nella Sala Clementina, il 27 gennaio, circa 250 tra vescovi presidenti delle Commissioni Episcopali della comunicazione e direttori degli Uffici comunicazione delle Conferenze Episcopali e delle congregazioni religiose.
Nell'ambito del Giubileo della Comunicazione, il Santo Padre ha invitato i presenti a Roma per partecipare, dal 27 al 29 gennaio, al Convegno internazionale di formazione e condivisione per i comunicatori istituzionali cattolici, a una riflessione “sul modo concreto” in cui si comunica, sulla maniera in cui si semina “speranza in mezzo a tanta disperazione”, su come viene curato “il virus della divisione” e se la Chiesa viene comunicata solo secondo “le regole del marketing aziendale”.
Nel suo discorso, Francesco, pure, ha rivolto una serie di interrogativi: “Sappiamo testimoniare che la storia umana non è finita in un vicolo cieco? E come indichiamo una diversa prospettiva verso un futuro che non è già scritto? A me piace questa espressione scrivere il futuro. Tocca a noi scrivere il futuro”.
Papa Francesco: “a me preoccupa, più dell’intelligenza artificiale, quella naturale”. Foto: Jaime C. Patias
L'invito a fare un lavoro “sinfonico” che coinvolga "tutti" e con ogni linguaggio: comunicare "non è ripetere frasi fatte o slogan" ma un "atto di amore"
Un incoraggiamento a comunicare “coinvolgendo tutti”, a “scrivere il futuro” “insieme” perché “solo insieme” è possibile trasmettere “la bellezza che abbiamo incontrato”, e “in rete” per salvarsi “dal mare della disperazione e della disinformazione”.
Ancora, l’auspicio che la comunicazione cattolica non sia solo per i cattolici, “un recinto dove rinchiudersi, una setta per parlare fra noi” bensì “luogo accogliente di relazioni vere” e “lo spazio aperto di una testimonianza che sa ascoltare e intercettare i segni del Regno”.
“La nostra rete è la voce di una Chiesa che solo uscendo da sé stessa ritrova sé stessa e le ragioni della propria speranza”.
“Pensiamo, allora, a quanto potremmo fare insieme, grazie ai nuovi strumenti dell’era digitale, grazie anche all’intelligenza artificiale, se anziché trasformare la tecnologia in un idolo, ci impegnassimo di più a fare rete. Vi confesso una cosa: a me preoccupa, più dell’intelligenza artificiale, quella naturale, quell’intelligenza che noi dobbiamo sviluppare”.
Leggi qui il testo integrale del Documento finale del Sinodo
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio Generale per la Comunicazione.
Fuori dalle chiese, con i cristiani
Dopo una settimana di silenzio, tornano a suonare le campane delle chiese nella capitale siriana. Ci troviamo a Bab Tuma (in arabo, La porta di Tommaso), il quartiere cristiano della capitale siriana. Oggi si celebreranno le messe, ma si terranno in un’atmosfera completamente diversa. I riti religiosi avranno luogo in una «nuova» Siria, dopo 54 anni di regime della famiglia degli Assad.
Un’ora prima dell’inizio delle funzioni, Georges Assadourian, vescovo della Chiesa cattolica armena di Damasco, ci invita per raccontarci come la sua comunità ha vissuto quest’ ultima settimana. «I ribelli hanno cominciato prendendo Aleppo, perché quello è il centro economico della Siria. In questi anni, ci sono stati diversi attacchi per provare ad entrare qui, nella capitale, ma sempre senza successo. Il sabato prima della presa di Damasco avevamo programmato una preghiera. Tanti cristiani hanno avuto paura dell’arrivo degli uomini dell’Hts (Hay’at Tahrir al-Sham), siamo stati spaventati dal loro modo di presentarsi, e dall’origine estremista dei loro gruppi di appartenenza. Abbiamo avuto il timore che sarebbero tornate le persecuzioni contro i cristiani, così come accadde nei luoghi sotto il controllo dell’Isis.
Quando il gruppo di al-Julani è arrivato a Damasco, abbiamo chiesto di poter incontrare un rappresentante per capire le loro intenzioni. Siamo andati a incontrarli al Four Season, l’hotel occupato e adibito a quartier generale temporaneo. Ci hanno rassicurato, dichiarando di volere solo la pace e che il tempo della guerra è finito. Ci hanno promesso che non avremo nulla da temere e che tutte le religioni coesisteranno insieme. Se sarà così, io non posso dirlo, ma sono ottimista. Certo, da parte dei fedeli ci sono diverse preoccupazioni. In questo governo, anche se temporaneo, sono tutti musulmani, alcuni magari anche estremisti. Noi invece vorremmo uno Stato laico. In uno stato laico ognuno è libero di professare la propria religione.
Alcuni degli uomini di Julani, sono già andati nei negozi che vendono alcolici chiedendo, anche se momentaneamente, di non venderli. Ogni giorno ricevo circa 50-60 persone che, come cristiani in Siria, cercano rassicurazioni sul loro futuro. Non possiamo fare previsioni, possiamo solo attendere e vedere cosa accadrà. Posso dire che, comunque, anche se le intenzioni fossero quelle di radicalizzare la Siria, a Damasco sarebbe molto difficile farlo. Siamo un mosaico di tante culture e religioni diverse, credo che la gente non permetterebbe mai l’istituzione della sharia, almeno qui nella capitale».
Il francescano Firas Lutfi della chiesa dedicata alla Conversione di San Paolo, nel quartiere cristiano di Bab Tuma, a Damasco. Foto: Angelo Calianno
Camminando per il quartiere cristiano, si respira un’aria totalmente diversa rispetto a quella che c’era sotto il regime. La gente festeggia e, pian piano, sta perdendo quella costante paura di finire in galera con qualsiasi pretesto. Fotografie e poster, raffiguranti Assad, che decoravano letteralmente ogni angolo delle strade, ora sono fatte a pezzi. I proprietari dei negozi dipingono di bianco le proprie serrande, cancellando la vecchia bandiera della Siria, per poi dipingere quella con i nuovi colori.
Raggiungiamo la chiesa latina dedicata alla Conversione di San Paolo, sempre nel quartiere di Bab Tuma. Parlando con i fedeli che escono dalla messa, tutti ci esprimono la gioia di non essere più sotto un regime, e la speranza di non ritrovarsi presto con un altro dittatore. Malgrado questo, nessuno dei cristiani riesce a sbilanciarsi troppo sul futuro, tutti sono molto cauti.
Finito di celebrare la messa, il frate francescano Firas Lutfi ci racconta: «Ora abbiamo sentimenti contrastanti. Gioia, perché l’incubo di Assad è finito. Preoccupazione, perché questi gruppi di ribelli vengono da un background islamico estremista. Ci hanno promesso che saremo tutti liberi senza nessuna persecuzione. Quindi, ora attendiamo per vedere quello che accadrà nel concreto.
Quello che noi speriamo, è che tutto sia stabile per arrestare la fuga dei cristiani da questo Paese. Non vogliamo essere considerati una minoranza nel nostro Stato, ma dei cittadini a tutti gli effetti. Si avvicina il Natale, lo celebreremo come abbiamo sempre fatto. Sarà un Natale uguale a quello di Gesù, con povertà e scarsità. Per tutto il resto, ora ci sono solo due cose che possiamo fare, da un punto di vista pratico: attendere, per vedere come si evolverà questa situazione e quali saranno le intenzioni del nuovo governo. Da un punto di vista spirituale: sperare, perché alla fine, per vocazione, noi siamo figli della speranza».
* Angelo Calianno, Rivista MC. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it
Francesco lo ribadisce nella Nota di accompagnamento al testo votato il 26 ottobre dall’Assemblea del Sinodo sulla sinodalità e da lui approvato. Sottolinea che “non è strettamente normativo” e che “la sua applicazione avrà bisogno di diverse mediazioni”. Ma impegna “fin da ora le Chiese a fare scelte coerenti con quanto in esso è indicato”. Perché il cammino del Sinodo oggi “prosegue nelle Chiese locali”
Il Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, approvato da Papa Francesco il 26 ottobre scorso, “partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro e come tale chiedo che venga accolto”. Il Papa, nella Nota di accompagnamento del Documento, firmata ieri, solennità di Cristo Re dell’Universo, e diffusa oggi, ribadisce, come detto in occasione dell’approvazione, che esso “non è strettamente normativo” e che “la sua applicazione avrà bisogno di diverse mediazioni”. Ma “questo non significa che non impegni fin da ora le Chiese a fare scelte coerenti con quanto in esso è indicato”. Infatti il documento stesso “rappresenta una forma di esercizio dell’insegnamento autentico del Vescovo di Roma che ha dei tratti di novità”, ma corrisponde a quanto affermato da Francesco nell’ottobre 2015 sulla sinodalità, che è “la cornice interpretativa adeguata per comprendere il ministero gerarchico”.
Leggi qui il testo integrale della Nota di Papa Francesco
Papa Francesco in chiusura del Sinodo dei Vescovi - XVII Congregazione Generale. Foto: Vatican Media
Il Pontefice conferma che il cammino del Sinodo da lui avviato nell’ottobre 2021, nel quale la Chiesa, in ascolto dello Spirito Santo, è stata chiamata “a leggere la propria esperienza e a identificare i passi da compiere per vivere la comunione, realizzare la partecipazione e promuovere la missione che Gesù Cristo le ha affidato”, prosegue nelle Chiese locali, facendo tesoro proprio del Documento finale. Un testo che è stato “votato e approvato dall’Assemblea in tutte le sue parti”, e che anche Papa Francesco ha approvato e, firmandolo, ne ha disposto la pubblicazione, “unendomi al ‘noi’ dell’Assemblea”.
Ricordando quanto dichiarato il 26 ottobre, il Papa ribadisce che “c’è bisogno di tempo per giungere a scelte che coinvolgono la Chiesa tutta”, e che “questo vale in particolare per i temi affidati ai dieci gruppi di studio, ai quali altri potranno aggiungersi, in vista delle necessarie decisioni”. E sottolinea nuovamente, citando quanto scritto nell’Esortazione postsinodale Amoris laetitia, che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”. Come pure che “in ogni Paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali”.
Francesco aggiunge che il Documento finale contiene indicazioni che “già ora possono essere recepite nelle Chiese locali e nei raggruppamenti di Chiese, tenendo conto dei diversi contesti, di quello che già si è fatto e di quello che resta da fare per apprendere e sviluppare sempre meglio lo stile proprio della Chiesa sinodale missionaria”. D’ora in poi, scrive il Pontefice, “nella relazione prevista per la visita ad limina ciascun vescovo avrà cura di riferire quali scelte sono state fatte nella Chiesa locale a lui affidata in rapporto a ciò che è indicato nel Documento finale, quali difficoltà si sono incontrate, quali sono stati i frutti”.
Il compito di accompagnare questa “fase attuativa” del cammino sinodale, conclude Papa Francesco, è affidato alla Segreteria Generale del Sinodo insieme ai Dicasteri della Curia Romana. E ribadisce ancora, come detto il 26 ottobre, che il cammino sinodale della Chiesa Cattolica, “ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti”. Lo Spirito Santo, dono del Risorto, è la sua preghiera finale “sostenga e orienti la Chiesa tutta in questo cammino”.
* Alessandro Di Bussolo, Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
“Continuare a lavorare, tenere aperto l'ospedale di Port au Prince e proseguire con tutte le attività che abbiamo in Haiti diventa sempre più difficile e i Missionari rischiano letteralmente la loro vita ogni giorno” scrive padre Antonio Menegon, missionario Camilliano.
Le notizie che arrivano da Haiti sono allarmanti e documentano la tragedia quotidiana in cui la popolazione è costretta a vivere.
Poche righe, inviate a tarda notte da padre Erwan, MI, da Port au Prince, sono il grido di una terra ferita e di un popolo abbandonato. “Le bande armate hanno bloccato tutto. Il partito di Aristide ha preso il potere mandando a casa il primo ministro Ariel Henry. È una cosa molto grave. Adesso nessuno sa come va finire questa cosa. Speriamo in bene” scrive il missionario.
Il 10 novembre 2024, il governo haitiano ha annunciato i piani per sostituire il primo ministro in carica Conille con l'imprenditore ed ex candidato al senato Alix Didier Fils-Aimé. Mentre Fils-Aimé prestava giuramento la mattina dell'11 novembre, bande armate hanno preso di mira l'aeroporto internazionale di Haiti a Port-Au-Prince che è stato chiuso dopo che un aereo di linea statunitense è stato colpito da alcuni spari mentre stava atterrando. Il volo è stato dirottato nella Repubblica Dominicana.
Si prevede che la recente transizione di potere destabilizzerà ulteriormente il clima politico e sociale di Haiti. A causa della crescente instabilità politica, le organizzazioni umanitarie temono che i gruppi armati sfruttino lo stato di vulnerabilità di Haiti.
* Originalmente pubblicato in: www.fides.org
Una rivolta che cresce, tra morti e feriti, con migliaia di persone che protestano contro i brogli elettorali in Mozambico. «In piazza in questi giorni abbiamo visto sia giovani senza futuro né occupazione, ma soprattutto nuove generazioni disorientate, donne e uomini ingannati dalla politica che tanto ha promesso e nulla mantenuto», racconta da Maputo il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi della capitale, mons. Osório Citora Afonso, Missionario della Consolata.
Dalle elezioni del 9 ottobre, il Mozambico sta assistendo a una radicalizzazione dei discorsi politici e a una spirale di violenza preoccupante. Infatti, Venancio Mondlane, leader dell’opposizione, ha organizzato diverse proteste a Maputo, contro il governo, a seguito delle controverse elezioni presidenziali dello scorso mese di ottobre.
Mondlane, ex deputato e pastore riformato, aveva inizialmente promesso di guidare una marcia per contestare la vittoria del candidato del partito al governo, Daniel Chapo, che ha ottenuto il 71% dei voti secondo i risultati ufficiali.
Intanto le manifestazioni dei giorni scorsi hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet. L’Onu e diversi ambasciatori hanno esortato alla calma, mentre il Sudafrica ha chiuso il principale confine terrestre e sconsigliato viaggi in Mozambico.
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Sul tema si sono espressi anche i vescovi cattolici del Mozambico hanno definito le elezioni del 9 ottobre come “fraudolente” e “manipolate” e hanno esortato le autorità a non “certificare una bugia”. Il presidente della conferenza episcopale, l’arcivescovo Inacio Saure, ha lamentato gravi irregolarità, come brogli elettorali e falsificazioni nei risultati, denunciando anche l’assassinio di due leader dell’opposizione prima del voto.
I quattro principali candidati alle elezioni mozambicane del 9 ottobre. Foto: CNE
I vescovi hanno avvertito del rischio di un ritorno alla violenza, invocando pace e giustizia per il Mozambico. Sullo sfondo delle tensioni politiche, la provincia settentrionale di Cabo Delgado continua a soffrire per l’insurrezione islamista, attiva dal 2017, che ha causato oltre un milione di sfollati e migliaia di vittime.
Human Rights Watch ha denunciato la polizia che avrebbe sparato con proiettili veri e di gomma per disperdere la folla, causando numerosi feriti, compresi bambini colpiti da gas lacrimogeni nelle proprie abitazioni. A Chimoio e Gondola, nella provincia di Manica, e a Nampula, diverse persone sono morte per ferite da arma da fuoco, mentre a Maputo le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni indiscriminatamente nelle case vicine alle proteste. Human Rights Watch ha chiesto un’indagine imparziale sugli episodi di violenza e ha esortato le autorità a garantire il rispetto dei diritti alla libertà di espressione e di assemblea previsti dalla Costituzione.
Gran parte dei mozambicani ha avuto esperienza diretta o indiretta della guerra civile, durata 16 anni fino al 1992. Per questo in molti, a partire dai vescovi e dai preti delle parrocchie del Paese si stanno dimostrando particolarmente apprensivi davanti alla crescente radicalizzazione dei discorsi, senza che all’orizzonte sia visibile una soluzione politica.
Mons. Osório Citora Afonso durante messa nella chiesa di San Giuseppe Allamano a Torino, Italia. Foto: Jaime C. Patias
Eppure è proprio dalla Chiesa locale che molto prima della tornata elettorale, era portato un progetto di sensibilizzazione e informazione delle persone, come racconta mons. Osório Citora Afonso, IMC, nato a Ribaue in Mozambico:
«La comunità cristiana è stata preparata attraverso una nota pastorale dei vescovi della Conferenza Episcopale del Mozambico, del 22 di aprile scorso, in occasione della realizzazione censimento elettorale e anche dell'elezione generale del 9 ottobre. Con questa nota pastorale, firmata dall’Arcivescovo di Nampula e presidente della conferenza episcopale, (CEM), il Missionario della Consolata, mons. Inacio Saure, abbiamo preparato i cristiani ad arrivare a quel momento così importante della vita del popolo mozambicano, consapevoli della loro responsabilità. Per questo motivo avevamo preso la frase biblica del Salmo 106, 3 “Beati coloro che osservano ciò ch'è prescritto, che fanno ciò ch'è giusto, in ogni tempo”. In questa nota, il primo aspetto che, come vescovi, abbiamo sottolineato è quello del camminare insieme, la sinodalità: “Insieme per una nazione più fraterna e democratica».
All'approssimarsi dell'elezione generale, «ci siamo detti», continua il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maputo «vogliamo offrire ai fedeli una riflessione che nasce dalle varie lezioni imparate dalle ultime elezioni in Mozambico. E allora abbiamo sottolineato quanto fosse importate camminare insieme per costruire una nazione più fraterna e più democratica. Abbiamo fatto un Appello a tutti coloro che sono coinvolti nel processo elettorale: agli organi elettorali, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i, i partiti politici, i candidati, le organizzazioni della società civile, gli osservatori elettorali, i media e tutti i mozambicani».
Le manifestazioni in Mozambico hanno provocato almeno 24 morti e spinto le autorità a limitare l’accesso a internet.
Questo documento è stato inviato i cristiani e a tutte le parrocchie nell'aprile di quest’anno, così che avessero diversi mesi per arrivare pronti alle elezioni di ottobre. Purtroppo, però non ha arginato le violente proteste per presunti brogli elettorali. «In questi giorni abbiamo visto in piazza e per le strade abbiamo visto dei mozambicani affamati della giustizia elettorale. Hanno difeso la verità delle urne elettorali che, secondo loro, non erano trasparenti e che c'erano molte frodi. Sono delle generazioni disorientate, donne e uomini che si sentono ingannati dai politici che tanto hanno promesso e nulla mantenuto. Questo li ha portati nelle strade di Maputo, ma anche di grandi città come Beira e Nampula. Queste persone vogliono il cambiamento. La società ha bisogno di un cambiamento, un’alternativa governativa ed un nuovo modello di governo. Dopo 50 anni con lo stesso partito nel potere hanno bisogno di un altro modo di fare governare che risponde alle ansietà dei giovani e che cerca il bene comune, dove i giovani hanno un luogo e un valore nella gestione della nazione», commenta mons. Osório Afonso.
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Che conclude:«Davanti alle atrocità che si vedevano nel dopo elezione, noi i vescovi abbiamo fatto una seconda nota, del 22 ottobre scorso, dove affermavamo: “Chiediamo il rispetto del diritto alla manifestazione politica, ma avvertiamo anche i giovani di non lasciarsi strumentalizzare e trascinare in azioni di vandalismo e destabilizzazione”.
Inoltre, si leggeva che “noi, i vescovi cattolici del Mozambico, chiediamo a tutti coloro che sono direttamente coinvolti in questo processo elettorale e nel conflitto generato di fare l'esercizio del riconoscimento della colpa e del perdono e del coraggio della verità. Il Mozambico non deve tornare alla violenza”, hanno insistito.
Questo messaggio è stato ripetuto da mons. Joao Carlos, Arcivescovo di Maputo e vice-presidente della Conferenza episcopale, la sera del 6 novembre quando si aspettava la giornata del 7 in cui si era programmato una grandissima manifestazione nella capitale: “Evitiamo spargimenti di sangue e violenze. Viviamo questa situazione nei vespri del giubileo dell’Anno Santo che ha come tema: “pellegrini di speranza”. Invitiamo a tutti noi ad essere i pellegrini di speranza in questo Mozambico».
* Originalmente pubblicato in: www.famigliacristiana.it