Ha avuto inizio lunedì 19 agosto il quinto Incontro della Chiesa nell'Amazzonia Legale che riunisce a Manaus, fino al 22 agosto, vescovi e rappresentanti delle 58 comunità ecclesiali della regione brasiliana. "Memoria e Speranza" i cardini della riflessione di quest'anno

L'incontro, organizzato dalla Commissione episcopale speciale per l'Amazzonia e dalla Rete ecclesiale Pan-Amazzonica (REPAM-Brasile), è iniziato con una celebrazione che, secondo il cardinale Steiner, arcivescovo di Manaus e presidente della Regione Nord 1 della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB Nord 1), ha portato grande gioia alla Chiesa locale.

All'apertura dei lavori, Steiner ha dichiarato che "è sempre importante incontrarci per creare più comunione, riflettere insieme sull'evangelizzazione, rimanere fedeli allo spirito missionario della nostra Chiesa e valutare il nostro cammino". Un cammino missionario sinodale che ha "orizzonti molto significativi", ha affermato il cardinale, auspicando che l'incontro sia un'opportunità per "continuare a sognare, per essere una Chiesa profondamente incarnata, prendendo in considerazione i sogni di Papa Francesco", e quindi per "essere una Chiesa che canta veramente la libertà, e nel cantare la libertà, s'incarni nelle culture presenti, per essere veramente segno di speranza".

Da parte sua il presidente del Consiglio indigenista missionario (CIMI) ha ribadito la necessità di "includere sempre di più la vita dei popoli indigeni", menzionando le difficili condizioni ambientali in cui si trova l'Amazzonia.

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Mons. Evaristo Spengler, vescovo di Roraima e presidente della REPAM-Brasile

"Una sacra eredità" 

Il cardinale Pedro Barreto, arcivescovo emerito di Huancayo (Perù) e presidente della Conferenza ecclesiale dell'Amazzonia (CEAMA), ha evidenziato la lunga storia della Chiesa in Amazzonia, sottolineando la necessità di "essere consapevoli di aver ereditato una sacra eredità dai nostri predecessori che vi hanno lavorato". Ha ringraziato per "tutto lo sforzo che si sta facendo per camminare insieme nella comunione, partecipando tutti all'unica missione di Cristo".

A nome della presidenza della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB), il vescovo ausiliare di Brasilia e segretario generale della CNBB, mons. Ricardo Hoepers, ha ricordato il cammino della Chiesa in Amazzonia, iniziato con il primo incontro inter-regionale nel 1952, e sottolineando che "la perseveranza ci insegna che vale la pena continuare con entusiasmo questo processo". Hoepers ha riflettuto sui retrocessi che avvengono ogni giorno nella regione amazzonica, come la deforestazione, e ha mostrato la preoccupazione dell'episcopato brasiliano per i popoli indigeni, "i più colpiti", denunciando "la gravità delle cose che stanno accadendo" nel Paese a cui si cerca di rispondere. Ha ricordato il tema della Campagna della Fraternità del 2025 incentrata sull'ecologia integrale, "un'opportunità per sensibilizzare tutto il Brasile".

Centralità dei movimenti popolari

Suor Carmelita Conceição, vicepresidente della Rete ecclesiale Pan-amazzonica (REPAM), che compie 10 anni, ha citato la realtà della siccità che sfida a "dar segni di vita e speranza nell'Amazzonia", vedendo l'incontro come un aiuto per "capire cosa fare e come posizionarci di fronte a così tante sfide". 

Kenarik Boujikian, rappresentante del governo brasiliano in qualità di segretaria nazionale per i dialoghi sociali e l'articolazione delle politiche pubbliche della presidenza della Repubblica, ha sottolineato il ruolo della sua istituzione nel mantenere il dialogo tra il governo e la società civile e i movimenti sociali, ricordando la centralità dei movimenti popolari per Papa Francesco. Ha evidenziato l'importanza dei "quaderni di risposte" presentati in risposta alle richieste della Chiesa brasiliana, affermando che non intendono fornire soluzioni definitive ma sono uno strumento di lavoro, suddiviso in quattro assi: emergenza climatica; diritti dei popoli delle acque, della campagna e delle foreste; regolarizzazione fondiaria; denunce e violazioni dei diritti nei territori. 

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Mons. Gilberto Pastana, arcivescovo di São Luis e presidente della Commissione episcopale speciale per l'Amazzonia

Rafforzare la Chiesa amazzonica

In questo contesto, "la REPAM-Brasile vuole essere un servizio ecclesiale, articolato con molti movimenti e organizzazioni della società civile - ha affermato il suo presidente, il vescovo di Roraima, dom Evaristo Spengler -, con l'obiettivo di preservare i diritti dei nostri popoli e dei nostri territori". Rispondendo ai "quaderni", il vescovo ha affermato che "le nostre azioni supportano e danno visibilità alle iniziative pastorali delle comunità e organizzazioni ecclesiali, basate su una spiritualità incarnata, nella difesa della vita dei popoli e della biodiversità amazzonica per costruire il buon vivere". Dom Spengler ha ricordato le visite effettuate a 13 ministeri e altre entità per portare al governo i risultati dell'ascolto ai popoli, e che ha portato alla formulazione dei "quaderni di risposte".

L'arcivescovo di São Luis e presidente della Commissione episcopale speciale per l'Amazzonia, Gilberto Pastana, ha riaffermato la volontà "di essere fedeli alle sfide del Signore”, invitando a “dare continuità a tutta questa ricchezza raccolta e osservata nei progressi e nelle difficoltà della nostra azione evangelizzatrice”. Monsignor Pastana ha anche chiesto di rafforzare l'impegno missionario e di “individuare i passi concreti che lo Spirito Santo sta rivelando alla Chiesa in Amazzonia per realizzare e far crescere la comunione, la missione e la partecipazione”.

* Originalmente pubblicato in www.vaticannews.va.www.vaticannews.va. Con informazione di Luis Miguel Modino, comunicazione CNBB Nord1

Ulises René Vega Matamoros e Edgard Sacasa sono stati fermati il primo agosto, durante la festa del patrono di Managua, San Domenico di Guzmán; il 2 agosto sono stati fermati altri otto religiosi, la maggior parte dei quali appartenenti alla diocesi di Matagalpa

La Chiesa in Nicaragua sta vivendo una nuova ondata di arresti di sacerdoti, secondo quanto riportato dalla stampa nicaraguense. I media nicaraguensi riferiscono dell'arresto dei sacerdoti, vicari della diocesi di Matagalpa, Ulises René Vega Matamoros e Edgard Sacasa. Il motivo dell'arresto e il luogo di detenzione non sono ancora noti. Questa Chiesa locale è stata anche oggetto dell'incarcerazione, nel dicembre 2023, e poi dell'esilio, nel gennaio 2024, del suo vescovo, Monsignor Rolando Álvarez.

Le fonti riferiscono che i sacerdoti sono stati arrestati il 1mo agosto, durante la celebrazione del patrono di Managua, San Domenico di Guzmán. Monsignor Ulises Vega è il parroco della chiesa di San Ramón, mentre monsignor Edgar Sacasa è il parroco della chiesa di San Isidro. Il 27 luglio scorso, anche l'amministratore ad omnia della diocesi di Esteli, monsignor Frutos Valle, era stato arrestato e trasferito nel Seminario nazionale interdiocesano di Nostra Signora di Fatima a Managua, attualmente preso dalle autorità come luogo di confino per i membri del clero.

Il silenzio da parte delle autorità

Ieri, venerdì 2 agosto, sono stati arrestati otto sacerdoti e un diacono, la maggior parte dei quali appartenenti alla diocesi di Matagalpa. Nove persone che si aggiungono alle tre arrestate negli ultimi giorni. Le autorità non hanno ancora fornito informazioni ufficiali sui luoghi e sui motivi dei fermi.

II sacerdoti arrestati, secondo il sito indipendente Despacho 505, sono: Jairo Pravia, parroco della Iglesia Inmaculada Concepción; Víctor Godoy, vicario della Iglesia Inmaculada Concepción; Marlon Velásquez, amministratore della Iglesia Santa Lucía; Antonio López, parroco di Nuestro Señor de Veracruz de Ciudad Darío; il diacono Erwin Aguirre, della chiesa Nuestro Señor de Veracruz de Ciudad Darío; Raúl Villegas, parroco della chiesa Nuestra Señora de Guadalupe de Matiguás; Francisco Tercero, parroco della chiesa Santa Faustina Kowalska, Solingalpa; Silvio Romero, parroco della chiesa San Francisco de Asís, diocesi di Juigalpa.

Si stima che almeno 140 tra religiosi e religiose siano stati costretti a lasciare il Paese dal 2018, senza dimenticare le numerose organizzazioni ecclesiastiche che sono state espropriate o a cui è stato tolto il loro status giuridico.

Fonte: Vatican News

Le icone nella chiesa

All'inizio di questo mese all'Università Lateranense abbiamo iniziato il corso di iconografia, aprendoci a un mondo che è sconosciuto alla maggioranza dei cristiani.  Stiamo parlando dello studio delle icone o delle rappresentazioni simboliche da non confondere con l'iconologia che, invece, va oltre gli elementi visivi e ne approfondisce il significato storico, culturale e contestuale di questi simboli e immagini. In altre parole, mentre l'iconografia si riferisce allo studio e all'interpretazione dei simboli e delle immagini utilizzati nell'arte, concentrandosi sulla rappresentazione visiva e sul significato che essi trasmettono, l'iconologia si concentra sulla parte socio-culturale degli stessi. Le due parole sono composte iniziano con "icona", che significa immagine.  Infatti, come tali, sia l’iconografia che l’iconologia si occupano di immagini, che però vengono studiate e interpretate da due angolature diverse.

Le immagini hanno una lunga tradizione nella storia delle chiese. Il riconoscimento del cristianesimo da parte dell'imperatore romano Costantino il Grande diede inizio all’”adornamento” delle chiese con icone, che fino ad allora erano riservate all'uso privato. Le icone venivano utilizzate per rappresentare temi della vita di Cristo, di sua madre Maria e scene della Bibbia o della vita dei santi. In questo modo, anche chi non era in grado di leggere la Bibbia (di fatto il popolo non era autorizzato a leggerla), poteva comprendere il mistero dell'autorivelazione di Dio e della sua opera di salvezza. Le figure e le scene rappresentate nelle icone o nelle pitture murali si basavano su informazioni orali tramandate di bocca in bocca tra i fedeli. La prima icona è attribuita all'evangelista Luca e raffigura la Vergine Maria. Nell'VIII secolo e nella prima metà del IX secolo, nell'Impero bizantino, le icone divennero oggetto di un conflitto teologico e politico che causò disordini nell'impero e oltre, separando i fedeli cristiani in due fazioni: i sostenitori del culto delle icone (iconoduli) e dall’altra, i contrari ad ogni forma di culto dele immagini sacre e ne propugnavano la loro distruzione (iconoclasti).

Oggi le icone sono parte integrante dell'espressione della nostra fede. Infatti, proprio come è avvenuto nel corso dei secoli, le icone sono una forma di preghiera e un "mezzo" per pregare perché aiutano i cristiani a riflettere e meditare. Per questo motivo vengono definite "finestra sul cielo", poiché ci aiutano a concentrarci sulle cose divine. Sebbene contengano ancora aspetti materiali, come la pittura e il colore, attraverso di esse ci viene insegnato a non negare la nostra vita fisica, ma a trasformarla, come facevano le persone sante rappresentate dalle icone. È importante ricordare che le icone stesse sono solo venerate, non adorate. Noi adoriamo solo Dio nella Santissima Trinità.

20240311Iconografia2A differenza di un tempo, quando le icone erano uno strumento di catechesi per gli analfabeti, oggi le icone sono quasi dei sacramentali. Ciò significa che rendono presenti gli eventi storici, attraverso la rappresentazione delle realtà divine in forma visibile. Hanno poi trasceso la funzione didattica che offrivano un tempo. Il loro scopo è quello di condurci al di là di ciò che può essere percepito a livello meramente materiale, di risvegliare in noi nuovi sensi e di insegnarci un nuovo tipo di visione, che percepisce l'invisibile nel visibile. Le icone sono anche escatologiche, in quanto immagini di speranza. Ci danno la certezza del mondo che è da venire e della venuta finale di Cristo. Certamente, le icone sono di natura cristologica. L'icona di Cristo è il centro dell'iconografia sacra e il centro dell'icona di Cristo è il mistero pasquale.

(Foto: l’immagine della Sacra Famiglia come soggetto dell’azione di Dio e dell’apertura al mondo, all’umanità, alla storia" -Marko Ivan Rupnik)

Purtroppo, oggi stiamo vivendo non solo una crisi dell'arte sacra, ma una crisi dell'arte in generale.  A causa della diminuzione della fede o di ciò che molti definiscono come “cecità spirituale”, la Chiesa (e il mondo) sta affrontando una crisi di proporzioni senza precedenti. Il secolarismo, l'individualismo e il materialismo hanno inibito il senso del sacro nella vita di tanta gente, al punto che gli artisti non rappresentano più l'invisibile attraverso il loro talento come facevano un tempo. Con la monetizzazione dei talenti, gli artisti sono venuti meno alla loro responsabilità di aiutare il mondo a vedere l'invisibile attraverso la pittura con i suoi temi, soggetti presentati con linee, colori e sfumature diverse. È la stessa cosa che è accaduta con la musica. Mentre un tempo gli artisti si consideravano strumenti speciali dell'Invisibile per parlare al suo popolo, oggi ciò che conta è la creatività dell'artista e la somma di denaro che può ricavare da un determinato lavoro.  Stranamente, anche il canto che tradizionalmente si diceva che equivaleva a "pregare due volte", oggi non lo è più.

Nello stesso tempo noi, che in un modo o nell’altro “consumiamo” arte, abbiamo perso il senso della vera bellezza, che parla attraverso le opere d’arte. A conferma di questo facciamo notare che abbiamo perso il senso della qualità e della modestia, per passare a una bellezza esteriore che attrae e che non rimanda più oltre sé stessa. Per molti di noi, più un'immagine è astratta, più è spirituale. Non distinguiamo più tra astrattezza e spiritualità dell'arte. Per questo, siamo pronti a mettere in chiesa qualsiasi immagine, purché abbia un personaggio che assomigli vagamente a Cristo, alla Beata Vergine Maria, ai santi e così via. Abbiamo dimenticato che la nostra fede è autentica nella misura ha un continuo riferimento all'immagine di Dio e dei santi che abbiamo nella mente e nel cuore.

Come ha osservato papa Benedetto XVI, la verità non solo ci rende liberi, ma ci permette anche di vedere. Senza di essa, non potremo vedere la bellezza del cosmo che si manifesta nella armonia dei pianeti. Senza la fede e senza un buon rapporto con Dio, ogni volta che guardiamo un'opera d'arte, non vediamo altro che “del materiale lavorato”. E se non c'è altro che semplice materia, nulla ha davvero importanza, compresa la bellezza. La verità è che il bello è inseparabile dal buono (il bene) e dal vero. È necessario il dono di un nuovo tipo di visione, che non dipenda solo dal vedere con i soli occhi. È importante chiedere al Signore, in questo tempo di Quaresima, di darci una fede capace di vedere, perché solo così possiamo scoprire che Cristo è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione (Col 1,15).

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi all'Università Lateranense a Roma.

Si è svolto giovedì 15 febbraio al Polo Culturale “Cultures And Mission” dei Missionari della Consolata a Torino l’incontro «Le sfide della Chiesa» con la partecipazione di Ignazio Ingrao e Enzo Bianchi, moderati da Francesco Antonioli.

Lo spunto di partenza è stata la recente pubblicazione del libro di Ingrao, Cinque domande che agitano la chiesa (Edizioni San Paolo): parla solo ad alcuni? perde frequentanti al nord del mondo, e ne acquista al sud? l’apertura a laici e donne è solo di facciata? l’inizio e fine vita, la vecchiaia, il gender, la scienza, sono problemi che la chiesa sa affrontare? che fine faranno le riforme di Francesco con la fine del suo papato?

Il dibattito è iniziato con un intervento di Enzo Bianchi: il papa è profetico, evangelico, ma il popolo di Dio è “religioso”, vuole i riti, ma non il vangelo: non sopporta i migranti, i poveri. I vescovi sono mediocri, non si vedono figure come Pellegrino e Martini. Francesco non mette in moto la realizzazione delle profezie: non adegua il diritto canonico al ruolo delle donne, non ha attuato il sinodo dell’Amazzonia, tutto di vescovi, che al 93% chiedeva l’ordinazione di viri probati. I preti sono vecchi e stanchi: sono assurdi gli accorpamenti che li impegnano a dire una messa dopo l’altra. Il pastore Francesco cammina, ma il gregge non lo segue: non approva le donne presbitere e la benedizione dei gay. C’è crisi non di questo o quell’aspetto, ma della fede, nel popolo e nella gerarchia. La chiesa è fede e fraternità, oppure non esiste. Fede in Gesù Cristo, non in un dio chissà dove.

Vedi qui la conferenza "Le sfide della Chiesa"

Ingrao ha fatto notare che il problema è l’antropologia, prima della morale: chi è l’uomo? chi siamo? Il primo nemico della fede è la paura: della pandemia, delle guerre. La paura chiude nell’egoismo, contro la fraternità. C’è nostalgia del vangelo, ma ognuno percorre la sua via individuale. Nelle chiese si va a messa, ma non si fa l’esperienza della fraternità, ha detto Enzo Bianchi.

C’è divisione sull’eucarestia: quelli che non accettano la riforma del Concilio! Non ci sono rotture, ma divisioni, proprio sull’eucarestia! Questo è scisma non dichiarato! Il grande problema è la cultura, le idee e tradizioni di una società, perché è la cultura che fa la morale. I vescovi africani non accettano la benedizione agli omosessuali, data la cultura africana.

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lncontro «Le sfide della Chiesa» nel Polo Culturale “Cultures And Mission” dei Missionari della Consolata a Torino.

Oggi Dio non interessa più: è parola insufficiente e ambigua: bisogna portare la parola di Gesù Cristo, è lui che ci ha “spiegato” Dio (Gv 1,18) nella propria carne, come padre buono e misericordioso. Né spiritualità né morale, ma Gesù Cristo, lui che ha vinto la morte con l’amore infinito, l’amore che non muore.

Mi è parso di poter sintetizzare tanti aspetti gravi e difficili in queste semplici considerazioni. Per secoli la chiesa è stata europea e si diffondeva nel mondo legata alle invasioni coloniali. Ora diventa universale se si fa multipolare, pluralista, ecumenica, non compatta se non nella carità, nel rispetto delle differenze di vita, entro la fraternità universale. La fraternità che nasce dalla fede in Cristo libera dalla paura della morte che spinge ad armarci e ad uccidere i differenti, la cui differenza ci spaventa. La fraternità ispirata da Cristo ci libera dalla paura di essere dominati, per cui ci armiamo e ci facciamo dominatori imperiali.

La fraternità cristiana ci rende capaci di avvicinare tutte le civiltà senza suprematismi e disprezzo, ma riconoscendovi forme dell’umano che porta in tutti il segno di Dio, vita che dà vita, in tante forme diverse, e ugualmente degne di vivere in pace sulla terra di tutti.

Fonte: www.ilfoglio.info

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Enzo Bianchi

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Ignazio Ingrao

«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». (Mc 4,30-32)

L’Aula Paolo VI in Vaticano come un grande cenacolo. I tavoli rotondi disposti attorno alla Parola e all’icona della Madre, la Salus populi romani che, come a Cana, vigila con premura e discrezione sullo svolgersi del banchetto, custodendo la comunione, la gioia, la festa. Sedute alla mensa della Parola, che risuona nella Scrittura e nella voce dell’altro, oltre 400 persone provenienti dai 5 continenti e dalle più diverse esperienze di Chiesa – cardinali, vescovi, preti, diaconi, consacrati e consacrate, laici e laiche – uniti da ciò che li rende profondamente fratelli e sorelle, al di là di ogni ruolo, titolo, funzione, servizio, responsabilità: il Battesimo, l’immersione in Cristo, la vocazione cristiana! 

Ecco l’immagine della prima sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 4 al 28 ottobre 2023.

È stata una grazia per me potervi prenderne parte. Una grazia del tutto inaspettata, che ho gradualmente colto nella sua dimensione di novità, di benedizione, di luce a mano a mano che i lavori sinodali procedevano. La veglia di preghiera ecumenica “Together”, svoltasi in piazza San Pietro il 30 settembre, le giornate di ritiro a Sacrofano dalla sera del 30 settembre alla sera del 3 ottobre, le celebrazioni eucaristiche nella Basilica di San Pietro all’inizio dell’Assemblea, all’avvio di ogni nuovo modulo tematico e a conclusione dei lavori, la liturgia quotidiana semplice e curata, il clima di preghiera, di rispetto e di accoglienza cordiale, il dialogo ritmato dalla “conversazione nello Spirito”, con i suoi spazi di silenzio, di ascolto riverente dell’altro e di meditazione personale, hanno favorito la conoscenza reciproca, la libertà di espressione, la riflessione e la rielaborazione del proprio vissuto e del proprio pensiero toccato, illuminato e provocato dal vissuto e dal pensiero altrui, consentendo lo svolgersi di un processo di discernimento che ha condotto progressivamente l’Assemblea a individuare convergenze, questioni da affrontare e proposte, approvate a larghissima maggioranza e raccolte nella Relazione di sintesi. 

Al di là dei contenuti approvati, offerti a tutto il Popolo di Dio come materiale per continuare il discernimento nel periodo che ci separa dalla seconda sessione dell’Assemblea (Ottobre 2024), il clima umano e spirituale che si è creato fra i partecipanti al Sinodo lungo il mese di lavoro assieme costituisce, già di per sé, un dono straordinario, che merita assolutamente di essere contemplato, ruminato, fatto sedimentare e fruttificare nel cuore di chi lo ha ricevuto e in tutta la Chiesa. La comunione è dono dall’Alto, che chiede umilmente di essere accolto nel terreno del nostro cuore e delle nostre relazioni. Questo dono è sceso. Come un piccolissimo seme. Senza rumore. Come brezza leggera; come rugiada; come luce lunare che rinfresca, unifica e consola, senza abbagliare. Ad un certo punto, ce ne siamo accorti, con commossa sorpresa: il seme era lì, dentro di noi e tra di noi, e si manifestava nei sorrisi sinceri, nelle parole rispettose e vere, nelle caramelle che qualcuno portava e giravano per i tavoli, nel cominciare spontaneamente a chiamarci reciprocamente col nome di Battesimo, lasciando da parte un po' di titoli, funzioni, ruoli, ecc. che magari indicano i diversi e essenziali servizi di ognuno di noi ma non identificano la persona nel suo nucleo più profondo. Battezzati e battezzate in Cristo che si riconoscono, si ascoltano, comunicano e, pur seduti a questa mensa tutta particolare, camminano insieme. Insieme nei gruppi di lavoro (Circoli minori, tecnicamente), diversi per ognuno dei temi che l’Instrumentum laboris proponeva. Insieme in Assemblea plenaria (Congregazione generale, tecnicamente), ascoltano l’apporto di ogni gruppo e quello di chi desiderava condividere con tutti un contributo personale. Insieme con papa Francesco, seduto a uno dei tavoli, durante le Assemblee plenarie, ascoltando, ascoltando, ascoltando… e offrendo in qualche momento la sua parola breve, incisiva, sobria, chiara, incoraggiante. Insieme a tanti fratelli e sorelle nel dolore a causa della guerra, di dinamiche assurde, violente e maligne che cercano in ogni modo di sradicare dai cuori e dalle relazioni i semi del Bene. Li abbiamo portati con noi nella preghiera, nella condivisione e nella solidarietà con i fratelli e le sorelle sinodali che provengono da luoghi e situazioni particolarmente segnate da queste dinamiche di morte. Sappiamo che il piccolo seme del Regno possiede in sé stesso la straordinaria tenacia della resurrezione, la forza mitissima dell’Agnello che attraversa la morte e la vince dal di dentro, l’umile potenza del chicco di grano che caduto in terra e sepolto muore per portare frutto. 

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Nella pagina conclusiva della Relazione di sintesi della prima sessione, l’Assemblea sinodale così si esprime: 

«Per annunciare il Regno, Gesù ha scelto di parlare in parabole. Ha trovato nelle esperienze fondamentali della vita dell’uomo – nei segni della natura, nei gesti del lavoro, nei fatti della quotidianità – le immagini per rivelare il mistero di Dio. Così ci ha detto che il Regno ci trascende, ma non ci è estraneo. O lo vediamo nelle cose del mondo o non lo vedremo mai. In un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo destino. Apparentemente un nulla destinato a marcire, eppure abitato da un dinamismo di vita inarrestabile, imprevedibile, pasquale. Un dinamismo destinato a dare vita, a diventare pane per molti. Destinato a diventare Eucaristia.

Oggi, in una cultura della lotta per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza.

“A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?”. Questa domanda del Signore illumina il lavoro che ora ci aspetta. Non si tratta di disperdersi su molti fronti, inseguendo una logica efficientistica e procedurale. Si tratta piuttosto di cogliere, tra le molte parole e proposte di questa Relazione, ciò che si presenta come un seme piccolo, ma carico di futuro, e immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare per la vita di molti» (XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, I Sessione, Relazione di Sintesi, Vaticano 28 ottobre 2023, p. 36).

Dunque, buon lavoro a tutti e a tutte! Alla ricerca del piccolo seme non solo nel lavoro sinodale che ci viene restituito, ma anche dentro di noi, nell’altro, nella comunità, nella Chiesa, nei popoli, nel mondo, per consegnarlo alla terra feconda della nostra umanità e lasciare che Dio lo faccia crescere, albero ospitale per «tutti, tutti, tutti»! (Papa Francesco, Discorso in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù, Lisbona 03 agosto 2023)

* Suor Simona, che è stata Superiora Generale delle Missionarie della Consolata, dal 7 ottobre 2023 è segretario del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

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