Al termine del loro anno di noviziato, i giovani Johan Caviche (della Colombia), Ángel Barazarte e Jhonny González (del Venezuela) hanno emesso la loro prima professione religiosa la sera del 27 dicembre, durante una messa celebrata nella comunità di São José, nella Zona Missionaria della Famiglia di Nazareth, a Manaus (Brasile).

Durante il Noviziato "il novizio approfondisce le ragioni della sua vocazione di Missionario della Consolata e intensifica il processo di maturazione attraverso una speciale esperienza di unione con Dio, fino a donarsi totalmente a Lui per la missione, con la Professione Religiosa" (Cost., 96). 

Questo è stato il proposito che ha guidato i giovani missionari della Consolata, Johan Caviche, Ángel Barazarte e Jhonny González, durante l'anno 2023 nella comunità del Noviziato situata nel quartiere di Santa Etelvina, alla periferia di Manaus, nella regione amazzonica del Brasile. Guidati dal loro Maestro, padre Martin Serna, hanno vissuto una tappa speciale del loro cammino formativo che è culminato nella Prima Professione Religiosa, in cui hanno emesso i voti di povertà, ubbidienza e castità, secondo le Costituzioni dell'Istituto Missioni Consolata.

La celebrazione è stata presieduta dal Vice Superiore Regionale dei Missionari della Consolata in Brasile, Padre Moisés Facchini, parroco di Feira de Santana, e concelebrata dai missionari che operano a Manaus, con la partecipazione delle Suore Missionarie della Consolata, dei religiosi e dei fedeli delle comunità dell'Area Missionaria Famiglia di Nazareth, tutti testimoni di questo impegno solenne e stimolante. 

Promettendo una vita di servizio a Dio e alla Chiesa, i nuovi missionari hanno espresso la loro gratitudine per l'opportunità di dedicarsi pienamente alla loro vocazione religiosa e di continuare l'opera di evangelizzazione nella missione ad gentes come membri della Famiglia della Consolata, seguendo le orme del Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano.

"Siamo molto contenti che anche oggi ci siano giovani che vogliono diventare sacerdoti. Nessuno è obbligato a farlo. Un amore più grande ci fa lasciare le cose belle e buone per servire qualcosa di molto buono", ha sottolineato padre Moisés nella sua omelia parlando della vocazione dei tre giovani. "È molto bello formare una famiglia, ma è anche possibile amare Dio lasciando tutto per consacrarsi. Forse oggi qualche ragazzo o ragazza sentirà questa chiamata a fare ciò che loro stanno facendo ora", ha concluso il padre Moisés. 

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Il Maestro dei Novizi, padre Martín Serna, ha ricordato che "consacrarsi è camminare verso la santità", come insisteva il Fondatore: "prima santi e poi missionari". Ha incoraggiato i giovani professi a rimanere sempre fedeli al loro impegno, perseverando nel cammino scelto. "Consacrarsi significa mettersi al servizio di Dio per servire soprattutto i poveri. È su questo che abbiamo lavorato in questo anno di Noviziato", ha spiegato il Maestro, sottolineando che "la nostra missione è andare oltre le frontiere dove Gesù non è stato annunciato, nella missione ad gentes". 

Padre Oscar Liofo, Consigliere Regionale, ha ringraziato le persone delle comunità della Zona Missionaria Famiglia di Nazareth, dove i novizi svolgono il loro lavoro pastorale, per il loro contributo alla formazione dei giovani del Noviziato. Ha invitato i servitori dell'altare a risvegliarsi anche a questa vocazione. 

Ora i neo-professi passano all'ultima tappa della formazione di base con gli studi di teologia. Johan Caviche si unirà alla comunità del Seminario Internazionale di Bravetta di Roma e invece Ángel Barazarte e Jhonny González andranno alla Comunità Apostolica Formativa di Buenos Aires in Argentina.

Inaugurata il 6 gennaio 2021, la comunità del Noviziato del Continente americano di Manaus ha come protettore sant'Oscar Romero, profeta dei poveri e martire per la giustizia e la pace. Il Consiglio Continentale Americano aveva allora deciso di trasferire il noviziato da Buenos Aires a Manaus mosso dalle riflessioni del Sinodo per l'Amazzonia dell'ottobre 2019, che ha chiesto una formazione incarnata e inculturata nel contesto amazzonico che, nel continente americano, è una delle opzioni missionarie dei Missionari della Consolata. Questa realtà amazzonica deve essere valorizzata e sfruttata nel programma di formazione.

Nel continente americano il Noviziato Continentale ha già funzionato a Bucaramanga in Colombia (1981-1994) e a Martin Coronado in Argentina (1995-2019). I Missionari della Consolata hanno poi altri due noviziati in Africa: uno a Sagana, in Kenya, che quest'anno conta con dodici novizi, e un altro a Morogoro, in Tanzania, sempre con dodici novizi. 

* Jaime C. Patias, IMC, con informazioni del Pascom dell'Area Missionaria della Famiglia di Nazareth a Manaus.

Il «marco temporal» (limite temporale) è la tesi giuridica secondo la quale i popoli indigeni avrebbero diritto soltanto sulle terre occupate (o contese) alla data limite del 5 ottobre 1988, giorno di promulgazione della nuova Costituzione brasiliana. Il 20 ottobre di quest’anno Lula aveva posto il veto, totale o parziale, su 24 dei 33 articoli del progetto legislativo 2903/2023 che lo prevedeva, bocciando gran parte dei punti più gravi.

Ebbene, giovedì 14 dicembre 2023, il Congresso nazionale ha annullato la maggior parte dei veti di Lula sul quel disegno di legge 2903/2023. In totale, 41 dei 47 punti analizzati in plenaria sono stati respinti da senatori (53 contro 19) e deputati (312 contro 137). In pratica, solo sei dei punti posti dal veto di Lula sono stati mantenuti. Ora, le decisioni su cui era stato posto il veto verranno incorporate nella legge 14.701/23, che ristabilisce il «marco temporal» in materia di diritti dei popoli indigeni.

Alla luce di quanto accaduto la domanda è: chi governa il Brasile? Purtroppo, Lula ha molto successo all’estero, piace per i suoi discorsi progressisti, ma in patria ha molta difficoltà a mettere in pratica i suoi propositi. Insomma, deve fare i conti con un Congresso in cui prevalgono impresari, latifondisti, conservatori, reazionari. Il presidente vorrebbe, finalmente, trattare i popoli indigeni con rispetto, ma gli interessi dei parlamentari sono contrastanti e finiscono per prevalere. Addirittura sulle decisioni della Corte suprema che aveva dichiarato incostituzionale la tesi (assurda) del «marco temporal».

Senatori e deputati federali si sono dati da fare e hanno approvato un’altra volta la stessa tesi. Di fronte al rifiuto di accettarla da parte del presidente Lula, non hanno esitato a ribadirla, aggravando la situazione con varie altre questioni che dimostrano – per l’ennesima volta – quanto costoro disprezzino gli indigeni e li trattino come ostacoli da abbattere.

A cosa serve un ministero dei Popoli indigeni (quello retto da Sonia Guajajara), se non riesce ad ottenere i mezzi necessari per funzionare? La stessa cosa avviene per la Funai guidata da Joenia Wapichana. Un esempio: la mortalità tra gli Yanomami è oggi maggiore che negli anni di Bolsonaro anche se i piccoli ambulatori nella foresta – occupati, distrutti o abbandonati durante il governo precedente – sono stati riaperti. Quanto alla Polizia federale, dopo un inizio promettente, ha quasi abbandonato il compito di scacciare gli invasori dalla Terra indigena Yanomami. Pare che i militari non vogliano far parte di questa operazione, soprattutto a Roraima dove i politici locali – legati a doppio filo con i garimpeiros (cercatori d’oro) – sono contrari a queste operazioni.

La maggioranza degli elettori brasiliani si sono dati da fare per togliere di mezzo Bolsonaro, ma i restanti – spesso ingannati da una propaganda menzognera – hanno eletto uno stuolo di congressisti con la sua faccia.

Teoricamente, la Corte suprema potrebbe sentenziare che anche la nuova legge è incostituzionale, ma è improbabile che essa proceda contro tutto quello che i parlamentari hanno approvato. Per ora, la sola certezza è che essi hanno dichiarato apertamente guerra ai popoli indigeni. E pare non provino neppure vergogna.

La missione è partire

Terminato il sessennio di servizio a Roma come Consigliere Generale dell'Istituto Missioni Consolata, la mia famiglia religiosa, torno in Brasile in attesa di una nuova destinazione missionaria. La Missione è partire: “Benedetto sia il Dio di ogni consolazione!” (cf 2 Cor 1,3)

L'opportunità di accompagnare e animare il nostro Istituto in questo ministero è stata una sfida e, allo stesso tempo, un grande dono di Dio. Per questo ripeto con l'apostolo Paolo: "Benedetto sia Dio... Padre di ogni consolazione".

Nella Direzione Generale ho trovato un clima di fraternità e di collaborazione, di responsabilità ed entusiasmo, tipico dello spirito di famiglia voluto dal Fondatore, il Beato José Allamano.

Ringrazio Padre Stefano Camerlengo per la fiducia e anche gli atri membri del Consiglio Generale, il Segretario Generale, l'Amministratore e la comunità della Casa Generalizia per il sostegno, la comprensione e la collaborazione.

Ringrazio in particolare ciascuno dei miei fratelli in missione, i superiori di circoscrizione e le comunità presenti in Asia, Africa, Europa e America. Un ringraziamento a ciascuno di voi che mi avete accompagnato in questo cammino, in particolare alla mia famiglia che è venuta a trovarmi nei giorni scorsi e alla comunità di Buriti, il mio paese natale, che è sempre nel mio cuore. Su tutti imploro le abbondanti benedizioni di Dio!

Durante questo servizio ho avuto la grazia di conoscere meglio la storia e la realtà attuale del nostro Istituto, la vita e l'opera del Fondatore, il nostro carisma e la nostra identità, i limiti e le possibilità della missione ad gentes vissuta e testimoniata da missionari coraggiosi distribuiti in molti contesti e realtà. È Dio l’artefice della missione, «che ci consola in tutte le nostre tribolazioni, affinché anche noi possiamo confortare coloro che si trovano in qualunque tribolazione, attraverso il conforto con cui noi stessi siamo consolati da Dio». (2 Cor 1,4)

Mosso dalla passione per Cristo e per l'umanità, ho cercato di mantenere la fedeltà e, soprattutto, la speranza, che non viene mai meno. Nonostante le sfide, la nostra vita è Missione. Come discepoli servitori, siamo chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo; sacramento della misericordia, della consolazione e della pace. Non aspettatevi nient'altro da noi.

In breve, è stato un tempo di grazia, di crescita e di molte benedizioni per me e la mia famiglia religiosa. Per quanto riguarda i limiti e le difficoltà, chiedo umilmente perdono per gli errori e le incomprensioni. Al nuovo Superiore generale, padre James Lengarin, e ai compagni del Consiglio, auguro saggezza e coraggio per continuare ad animare e accompagnare il nostro Istituto nei prossimi anni.

Con la sensazione di aver compiuto il mio dovere, ripeto: Sia benedetto Dio per tutto! Possano la Madre Consolata e i nostri santi ispirarci e proteggerci.

Roma, 23 agosto 2023

*Jaime Patias è un missionario della Consolata del Brasile

Una piccolissima pagina di aviazione l'hanno avuta anche i Missionari della Consolata nella regione amazzonica di Roraima: una pagina durata non molto più di due anni, resa difficoltosa dalle guerre commerciali delle imprese fabbricanti e, ancor di più, dall’intricata vicenda politica e militare dell’espansione e dagli interessi economici e minerari delle autorità dello stato brasiliano negli incontaminati territori amazzonici popolati da gruppi indigeni visti come ostili alla modernizzazione e allo sviluppo del paese... e quindi da convincere o da eliminare. 

L’aereo Dornier Stol era arrivato a Boa Vista nei primi mesi del 1967. Il padre Calleri insistette perché a pilotare il velivolo nel viaggio di inaugurazione fosse lo stesso governatore, convinto che la gratitudine di quest'ultimo sarebbe tornata utile ai grandi progetti che il padre aveva per le popolazioni indigene. Senza rendersene conto, Calleri stava accelerando l'impatto con gli enormi squali che da qualche anno nuotavano nel mare verde della foresta amazzonica. L'aereo arrivò a Boa Vista, dopo quasi sei mesi di fermo all'aeroporto di San Paolo. 

Quell'anno –scrive il padre Sabatini nelle sue memorie– non eravamo in grado di capire perché il mezzo fosse rimasto così tanto tempo all'aeroporto senza potersi muovere, anche se avevamo già il sospetto che ci fosse lo zampino delle industrie americane. La statunitense Cessna infatti stava perdendo terreno sul mercato brasiliano e la tedesca Dornier ci aveva venduto un aereo a prezzo di favore perché voleva affermarsi in Amazzonia. Insieme a noi, infatti, anche i Servi di Maria e il governo di Rio Grande do Sul avevano comprato dei Dornier e altre congregazioni ne stavano valutando l'acquisto. Alla fine però non se ne fece nulla e gli agenti della Dornier tornarono in Germania senza aver raggiunto nessun accordo: il nostro rimase uno dei pochissimi Dornier Stol nella zona, con tutte le difficoltà legate alla manutenzione che questo fatto significava.

In quegli anni la politica di espansione delle vie commerciali e strategiche dello stato Brasiliano nelle immensità della selva amazzonica continuava a pieno regime: Con l'avanzare delle opere di disboscamento per la Br-174, gli operai brasiliani dell'ingegnere Altamiro Verissimo Da Silveira si trovarono di fronte ai temutissimi guerrieri waimiri atroari e a una grave decisione: convincere gli indios a lasciar proseguire i lavori o aspettare che i militari li massacrassero dal primo all'ultimo. Di sospendere tutto non se ne parlava nemmeno. 

Il ministro dei Trasporti, il colonnello David Andreazza, e quello degli Interni, il generale Alfonso Augusto de Albuquerque Lima, infatti, non dovevano più confrontarsi solo con l'opinione pubblica brasiliana, ma anche con gli ambasciatori dei Paesi occidentali, che erano rimasti sconvolti di fronte a un enorme scandalo dovuto alla pubblicazione del cosiddetto rapporto Figueiredo. Un errore di calcolo, una falla nella censura, o un colpo di sfortuna aveva messo in crisi la dittatura: a partire dal 1967, infatti, il procuratore generale della Repubblica brasiliana, Jader Figueiredo, aveva reso pubblica un poco alla volta la sua indagine sui problemi di corruzione del Serviço de Proteção ao indio (Spi), che metteva in luce i gravi massacri perpetrati dai bianchi ai danni degli indios. In breve, nei primi mesi del 1968, lo scandalo finì per rimbalzare da un giornale all'altro e fu sbattuto sulle prime pagine del francese Le Monde, dell'inglese Sunday Times, dell'americano New York Times e del tedesco Der Spiegel, solo per citare i più importanti.

I funzionari del Serviço de Proteção ao indio avevano falsificato relazioni, documenti e censimenti; si erano macchiati di orribili omicidi, di stupri e di torture medioevali; erano arrivati a contagiare deliberatamente alcune popolazioni indigene, regalando vestiti o giocattoli contaminati con il vaiolo e la tubercolosi, colpendo perfino i bambini; avevano distribuito cibo avvelenato con l'arsenico, diffuso il morbillo, la varicella e altre malattie contro le quali gli indios non avevano difese immunitarie.

L'esecutivo del generale Arthur da Costa e Silva fu investito dall'esplosione della bomba Figueiredo mentre il dittatore, come suo solito, stava provando un nuovo cavallo da corsa nella sua casa di campagna. Il ministro degli Interni, Albuquerque Lima, però, non si perse d'animo e, anzi, riuscì a rimettere in gioco la maggior parte delle pedine spazzate via dalla bufera: minacciò i giudici e i giornalisti, procedette a diversi rimpasti amministrativi, fece sparire gran parte dei documenti compromettenti, e riuscì ad evitare l'effetto domino degli arresti di massa. Era finalmente tutto pronto per liquidare lo Spi e dare alla luce la Fundação Nacional do indio (Funai), il nuovo organismo governativo che aveva lo scopo, almeno ufficialmente, di tutelare gli interessi delle popolazioni indigene. 

Per dimostrare la buona volontà del governo la presidenza fu assegnata al caporedattore del diffusissimo quotidiano O Globo, José de Queiroz Campos, e la direzione amministrativa al vecchio direttore dello Spi, l'antropologo José Maria da Gama Malcher, la cui competenza era indiscussa. Il progetto del parco dello Xingu fu completato, fu dato il via alla creazione di tre altri grandi parchi e fu convocato un simposio con le missioni religiose, cattoliche e protestanti, per esplorare le potenzialità di collaborazione tra gli enti governativi e quelli religiosi. Quello che i missionari non avevano compreso e che, forse, non avevano capito nemmeno Queiroz Campos e de Gama Malcher era che il travaso di personale dallo Spi alla Funai non era un fatto marginale. Al contrario. La nuova Funai era l'erede diretto dello Spi, e gran parte dei militari che la gestivano avevano gli stessi scopi del maggiore Neves: togliere le terre agli indios per iniziare uno sfruttamento industriale sistematico delle aree amazzoniche di interesse minerario.

Il primo a prendere contatto con Queiroz Campos fu padre Giovanni Calleri che non poteva rimanere insensibile di fronte al massacro di quegli indios che aveva iniziato ad amare e, all'insaputa di tutti noi, tenne un carteggio con Queiroz Campos, offrendosi di intraprendere personalmente una missione di pacificazione dei waimiri atroari, per evitare, come aveva letto su diversi articoli di giornale, che la costruzione della Br-174 portasse a uno scontro sanguinoso tra gli indios e i militari brasiliani.

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Quando era ormai più che probabile che sarebbe stato Calleri a condurre la missione di pacificazione dei waimiri atroari, il tetto dell'hangar si sganciò dai supporti e fracassò il muso del Dornier Stol, danneggiandolo gravemente. All'inizio la colpa fu data a padre Giuseppe Rubatto, che aveva coordinato la costruzione dell’hanger in prima persona per risparmiare sul progetto. Quell'aereo, che sarebbe stato utilissimo per dare appoggio logistico alla missione di Calleri, alla luce delle informazioni raccolte in seguito, sembra essere stato sabotato: fratel Pietro Augusto Menegon non trovò i giunti metallici che sostenevano la campata e i pezzi di ricambio che ordinammo per rimettere in sesto l'aereo prima della partenza di Calleri furono incomprensibilmente bloccati alla dogana per molto tempo, insieme a due radio che avevamo ordinato proprio per le esplorazioni nella foresta.

La spedizione di Calleri, composta da 8 persone, fu massacrata in circostante non ancora del tutto chiarite il 31 ottobre del 1968.

 

Le popolazioni indigene e i migranti venezuelani, vittime di pregiudizi nella società di Roraima, sono stati i protagonisti dell'accoglienza al nuovo Vescovo diocesano di Roraima davanti alla Cattedrale del Cristo Redentor a Boa Vista. Essere accolti da coloro che non contano è un segno di Dio, che sceglie coloro che la società scarta. 

Così ha preso possesso della sua nuova diocesi di Roraima Mons. Evaristo Spengler che è stato accompagnato, in una emozionante liturgia, dai Vescovi della Regione Nord della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB), da altri prelati provenienti da diversi angoli del Brasile e del Venezuela, da un folto numero di sacerdoti, religiosi e rappresentanti di parrocchie e comunità e dai suoi due predecessori, mons. Mario Antonio da Silva e mons. Roque Paloschi.

La cerimonia si è svolta nella cattedrale di Cristo Redentor  con una liturgia ricca di simboli amazzonici e nel giorno della solennità dell'Annunciazione del Signore, quando questa comunità diocesana si appresta a cominciare la preparazione ai 300 anni di evangelizzazione che si compiranno nel 2025. I popoli indigeni e i migranti venezonali, presenti numerosi nella cattedrale, hanno avuto un ruolo importante: la lingua spagnola e Macuxi è stata utilizzata nella proclamazione delle letture, nel canto e in altri momenti della celebrazione.

Riflettendo a proposito del Mistero dell'Annunciazione, il vescovo Evaristo ha messo in evidenza come Dio abbia inviato il suo angelo in una regione disprezzata, per incarnare un Messia che ha voluto far parte della povera gente e che ha rivelato che "il Regno di Dio è presente soprattutto nelle persone più umili". Questo è molto evidente nella figura di Maria che ha superato tutte le paure per far suo il progetto di Dio e "portare nel cuore la certezza che Dio cammina con lei e con i poveri. Alcune paure fanno molto male –ha ricordato Mons. Evaristo– e ci impediscono di camminare e di costruire un futuro coerente e più autentico con il Vangelo".

Da qui il nuovo Vescovo della Diocesi di Roraima ha visto l'urgenza di "costruire una Chiesa di speranza e fiducia in Dio" e, chiamando tutti ad assumere la propria vocazione battesimale, ha insistito che dobbiamo continuare ad essere “popolo di Dio in cammino, sempre insieme, senza paura, disposti a costruire comunità di servizio per mezzo delle nostre Comunità Ecclesiali di Base”.

Sull'esempio di Maria "questa Chiesa particolare ascolta la chiamata di Dio attraverso il grido del suo popolo", lo stesso che hanno fatto i primi missionari che sono arrivati 300 anni fa e, "con molto sacrificio per le difficoltà che hanno sperimentato in spostamenti, comunicazioni e risorse qui si sono lasciati consumare nella testimonianza del Vangelo vivo. Loro hanno costruito questa Chiesa che non si è mai lasciata guidare dagli applausi o dalle critiche, ma dalla fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo", fino a dare la vita, come è accaduto a padre Calleri IMC.

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Commentando il momento attuale il nuovo vescovo ha detto che “la nostra Chiesa non può tacere di fronte alla tragedia del popolo Yanomami, di fronte alle loro terre invase dalle miniere illegali che li hanno privati del territorio, della salute, della pace, dei mezzi di produzione alimentare e, in poche parole, della vita stessa. Quindi la Chiesa di Roraima ribadisce ancora una volta il suo impegno a favore dei popoli indigeni in difesa della vita e del territorio”. Questo impegno, ha aggiunto il Vescovo, si estende anche ai migranti che "desidera accogliere e inserire in questa terra, molti di loro partecipano già alla vita delle comunità cristiane della diocesi”.

Mons. Evaristo Spengler ha anche ricordato, riflettendo sul ministero del vescovo, che "più importante del Vescovo è la Chiesa" e ha concluso con una professione di fede nella Chiesa in cui crede: una Chiesa fedele al Vangelo e sempre attenta alla Parola; una Chiesa al servizio dell’umanità e a difesa della vita soprattutto dove è più minacciata; una Chiesa alleata dei poveri, degli indigeni, dei migranti, delle donne, dei giovani e degli affamati; una Chiesa che fa l'esperienza della condivisione e della solidarietà; una Chiesa responsabile della Casa Comune, che ama, cura e difende la nostra sorella Madre Terra; una Chiesa profetica e ministeriale, fatta di Comunità e testimone di sinodalità.

“In questa Chiesa del Roraima tre volte centenaria –ha concluso mons. Evaristo– mi sento tranquillo e abbastanza sicuro, non per le mie forze, ma per la testimonianza, la fedeltà e profetismo della Chiesa stessa".

Al termine della celebrazione, c'è stato un momento di ringraziamento per il nuovo vescovo che  ha coinvolto sacerdoti, religiosi e laici. Il nuovo vescovo è stato anche accolto dal sindaco della città, che gli ha dato il benvenuto nella città di Boa Vista, sede della diocesi di Roraima.

* Padre Luis Miguel Modino, consigliere per la comunicazione della CNBB Nord.

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