Lettera del Papa Pio XI a Giuseppe Allamano in occasione dei 50 anni di ordinazione. Il testo originale latino della lettera, seguito dalla traduzione italiana, fu pubblicato in apertura del fascicolo di settembre 1923 del La Consolata.
Diletto Figlio, salute ed apostolica benedizione.
Ricorrendo il giorno 20 del prossimo mese il cinquantesimo natale del tuo sacerdozio, approfittiamo di quest’occasione veramente bellissima per attestare pubblicamente la Nostra benevolenza verso di te, della quale tu Ci sembri degno in modo particolare per le moltissime benemerenze che, durante questo lungo spazio di sacerdotal ministero ti sei acquistate verso la Chiesa di Dio, nonché nell’umano e civile consorzio. A te, infatti, eletto da 43 anni Rettore del Santuario della Consolata –la qual carica ancor oggi con somma diligenza copri– e all’ardente tua pietà verso la BeataVergine, i Torinesi danno il merito di aver non solo ampliato e quasi dalle fondamenta restaurato cotesto Santuario, ma ancora di esserti adoprato con ogni cura ad ornarlo di opere d’arte e di preziosissimi marmi rivestirlo.
Questa tua lode, per quanto grande, é tuttavia da porsi in secondo luogo, se confrontata coll’assidua opera e sollecitudine che tu hai spesa per sì lungo tempo, sia per la salute delle anime che per promuovere l’educazione e santificazione del Clero. In te, infatti, cui pare abbia lasciato erede del suo spirito l’illustre zio Giuseppe Cafasso, non appena incominciasti l’esercizio del sacro ministero, ebbero i chierici del seminario di Torino un sapiente maestro di pietà; dal tempo poi in cui Rettore della Basilica della Consolata, assumesti la direzione dell’attiguo Convitto Ecclesiastico, è mirabile quanto tu abbia lavorato e quanto affaticato ti sia ti sia per arricchire di dottrina e di virtù i sacerdoti che quivi sono educati. Cosicché a centinaia e centinaia si contano i sacerdoti - tra i quali molti vescovi ed arcivescovi - che godono d’essere stati da te formati ad una vita degna di uomini ecclesiastici.
Tutto questo però, che abbiam con lode menzionato, non bastava ancora al grande amore di cui tu ardi per le anime, ed ecco che nell’anno 1901 fondavi l’Istituto dei Missionari, e nel 1910 quello delle Suore missionarie, entrambi denominati “della Consolata”, per le Missioni Estere; e tale è gia il numero dei Missionari e delle Suore partiti per le terre infedeli, e con tale ardore disimpegnano i faticosi doveri dell’apostolato che i tuoi, o diletto Figlio, benché scesi gli ultimi sul campo, non sembrano cederla né poco né punto ai veterani di altri Istituti.
Considerando dunque tutti questi meriti, Ci è lecito arguire di quanta gioia debba essere apportatore questo prossimo evento sia all’animo dei Torinesi, che ai vecchi e giovani alunni e figli tuoi. Ai voti ed alle felicitazioni dei quali uniamo i voti e le felicitazioni Nostre, con l’augurio che tu abbia a godere per lungo tempo ancora della comune venerazione e del comune amore, e che, quanto ti resterà di vita, tutta possa spenderla a procurare alla Chiesa, con quello zelo che ti e proprio, i maggiori benefizi.
E intanto, pegno delle celesti grazie e prova del Nostro paterno affetto a te, Diletto Figlio, al Convitto e agli Istituti di cui sei Superiore, impartiamo di gran cuore l’apostolica Benedizione.
Dato in Roma presso San Pietro il 5 agosto dell’anno 1923, il secondo del Pontificato nostro. Papa Pio XI
Giuseppe Allamano è troppo giovane per poter essere ordinato sacerdote assieme ai suoi compagni di corso il giorno 6 giugno: ha soltanto 22 anni, per cui deve attendere ancora alcuni mesi. Finalmente il 20 settembre 1873, per l’imposizione delle mani dell’Arcivescovo di Torino, riceve l’Ordine del Presbiterato nella Cattedrale di Torino. Il giorno seguente è la festa dell’Addolorata e Don Giuseppe celebra la sua prima Messa solenne nel paese natio di Castelnuovo d’Asti.
Quel giorno, lo zio paterno, Don Giovanni Allamano, tiene l’omelia, puntualizzando gli impegni principali che il sacerdote deve svolgere nella Chiesa. È festa grande per tutta la comunità parrocchiale! In ottemperanza alle norme emanate dall’Arcivescovo, alla prima messa solenne non deve seguire un pranzo altrettanto solenne, ma una “frugale refezione” nella casa parrocchiale assieme ai sacerdoti. Alla sera, dopo i Vespri e la Benedizione eucaristica, nella casa Allamano c’è una bicchierata e vengono indirizzate al novello sacerdote alcune parole di circostanza e viene letta una toccante poesia, composta dal fratello Ottavio.
Nei giorni che seguono la sua prima “messa cantata”, Don Giuseppe celebra negli altari laterali della stessa chiesa parrocchiale di Castelnuovo, a lui particolarmente cari, come l’altare dell’Addolorata e l’altare di S. Giuseppe. In seguito, celebra la Messa nella chiesetta del castello, dedicata a Maria Assunta e nella famosa chiesa abbaziale di Vezzolano. Non manca di rendersi presente a Passerano, dove è parroco lo zio paterno Don Giovanni Allamano, che tanto ha fatto per il nipote durante gli anni della sua formazione in Seminario.
Don Allamano, nella celebrazione delle sue prime Messe, non può esternare, nella omelia, i suoi sentimenti più intimi, poiché essa non è prevista dalla antica liturgia. Egli però li ricorderà ogni anno nel giorno anniversario dell’ordinazione sacerdotale, parlando ai suoi missionari. Nella sua ultima conferenza, tenuta pochi mesi prima della sua morte, così ricorda ancora il giorno della sua prima Messa in paese: «Siccome eravamo in settembre e non potevo rimanere in seminario, andato a casa, sono rimasto tutta la mattinata in Chiesa, ho cantato la Messa e poi ho pregato il Parroco che mi desse un po’ di pranzo. I miei fratelli che avevano preparato un grande pranzo si sono offesi, ma poi presto si sono riconciliati… Invocate il Beato Cafasso che vi infonda un po’ del suo spirito sacerdotale». (Conf. III, 724). Ricorda così le tre virtù proprie del sacerdote, inculcate da S. Giuseppe Cafasso: “Spirito di orazione e di unione con Dio; spirito di dolcezza e mansuetudine; spirito di totale e sincero disinteresse: queste sono le tre speciali virtù, che fece spiccare il nostro divin Redentore nel suo ministero”.
20 Settembre 2023: celebriamo i centocinquanta anni di Ordinazione sacerdotale del Beato Giuseppe Allamano. Mentre stiamo ancora godendo la notizia dell'approvazione, da parte del Dicastero per le Cause dei Santi, del miracolo che dovrebbe portarlo alla canonizzazione, è importante riflettere sulla connessione dei due eventi: per lui, ma soprattutto sulle loro implicazioni nella nostra vita.
Vale la pena ricordare che, il 10 agosto 1973, padre Mario Bianchi, allora Superiore Generale dell’Istituto, aveva scritto una lettera commemorativa, nella quale invitava i missionari a celebrare il centenario dell’ordinazione sacerdotale del Fondatore. Aveva, inoltre, invitato tutti, i missionari che condividevano con il Fondatore lo stesso sacerdozio ministeriale, i fratelli e le suore che partecipavano al carisma missionario del Fondatore, e gli studenti, che si preparavano ad essere futuri Missionari della Consolata, a riflettere sul sacerdozio nella vita e spiritualità dell’Allamano e sulla sua presenza nell’Istituto.
È con grande gioia che noi suoi missionari, cinquant'anni dopo, celebriamo ancora questo evento. Ogni periodo cinquantenario rappresenta un Giubileo, che segna la fedeltà di Dio nella vita di una persona, festeggiando, altri cinquant'anni dopo, lo stretto rapporto tra santità e sacerdozio.
Un santo è una persona che viene identificata dalla Chiesa, dopo la sua morte, come un esempio di fede, morale e impegno cristiano. Il sacerdote è una persona che si offre generosamente nel servizio al popolo di Dio, che offre fedelmente il sacrificio eucaristico e la preghiera per il bene della Chiesa, portando speranza alle persone, in cui il calore dell'amore di Dio, la misericordia e il perdono non si sentono.
Questo è il motivo per cui Il sacerdozio dell’Allamano è un aspetto da meditare. Fu, con tenacia e passione, un vero sacerdote. La sua vita in seminario fu fatta di esercizi ascetici che prepararono il suo essere al ministero sacerdotale che lo attendeva. Ciò era evidente nel suo impegno generoso e sistematico verso la perfezione e la santità, nel suo duro lavoro e sacrifici quotidiani.
Consapevoli del nostro sacerdozio ‘comune e ministeriale’, ci rendiamo subito conto di quanti passi verso la santità l'Allamano avesse fatto fin dall’inizio del suo cammino verso il sacerdozio. La sua vita sacerdotale fu notevole. Si distingueva per la sua unità, armonia ed equilibrio tra contemplazione e azione. Era un riflesso della sua vita interiore e del suo intimo rapporto con Dio attraverso la preghiera. Era centrato nell'Eucaristia e nell'amore per la Consolata.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che la dottrina dell’Allamano sul sacerdozio fosse piuttosto tradizionale, anche se aperta ai problemi del tempo. A differenza di oggi, quando i missionari sono valutati e pesati per il lavoro che svolgono e non per quello che sono, la visione del sacerdozio dell’Allamano metteva in primo piano la persona del sacerdote. Per lui, la dignità del sacerdote era regale, angelica e divina; in quanto tale, non è mai stata concepita in senso trionfalistico, ma in senso dinamico: dall’impegno per la santificazione personale prima, e poi per il ministero pastorale in mezzo al popolo di Dio. Il nostro Fondatore capì questo segreto, e per questo continuava a ricordare ai suoi missionari che se non fossero stati buoni religiosi, sarebbero diventati dei pessimi missionari.
La celebrazione del sacerdozio del nostro Fondatore ha implicazioni concrete sulla nostra vita e sul nostro ministero, offrendoci ispirazione e orientamenti per la nostra vocazione missionaria. Questo perché, in virtù e con la grazia del carisma di fondazione ricevuto da Dio, il Fondatore è molto presente tra noi, nell’Istituto da lui fondato. La presenza di un padre in una famiglia ha un valore innegabile, come esempio e guida.
La sua vita vuole sfidarci, perché anche noi possiamo rendere anche la nostra, via alla santità. Il suo spirito meditativo, strutturato sul silenzio profondo e sul raccoglimento, costituisce la tonalità della sua spiritualità missionaria. Questo ovviamente ci ricorda la necessità di fare bene il bene, senza pubblicizzarlo e senza aspettarsi eloghi, o altro. L’esempio dell’Allamano in questo è limpido ed evidente, era davvero all'altezza del compito. Ecco perché Egli è il nostro miglior esempio di come seguire Gesù fedelmente e come servire il popolo di Dio, con impegno.
In secondo luogo, l’Allamano non poteva immaginare un prete senza la Chiesa. Il suo amore per essa era evidente a tutti, cominciando dalla sua diocesi nella quale ha servito tutta la vita, alla Chiesa universale, alla quale ha offerto i suoi figli come prolungamento di sé stesso. Oggi, quindi, il nostro Fondatore esige amore per la Chiesa.
L’amore dell’Allamano per la Chiesa era evidente attraverso il suo zelo nel servire in qualunque incarico gli venisse richiesto. Per noi l'amore alla Chiesa non può essere separato dall'amore all'Istituto, perché serviamo la Chiesa negli incarichi particolari che ci vengono affidati.
Terzo, il sacerdozio dell’Allamano dimostra cosa vuol dire essere docili allo Spirito di Dio. Come tale, che attraverso i superiori orienta la volontà di Dio per noi. Come il Fondatore che si aprì alle ispirazioni dello Spirito Santo, dobbiamo imparare che la docilità alla voce di Dio e il coraggio di fare ciò che dice è molto più importante che aderire rigidamente ai propri progetti, che finiscono per diventare monumenti di orgoglio che non durano. La docilità allo Spirito di Dio e il coraggio di compiere la volontà di Dio richiedono flessibilità da parte nostra. Solo chi è sufficientemente flessibile è in grado di sacrificare i propri desideri, sogni e ambizioni per realizzare ciò che lo Spirito gli indica anche se non è ciò che avrebbe desiderato. In altre parole, la docilità allo spirito e il coraggio di fare la volontà di Dio ci chiamano alla disponibilità e alla flessibilità.
Infine, il sacerdozio dell'Allamano ci ricorda l'importanza fondamentale dello spirito di famiglia. La comunità del Santuario della Consolata a Torino ha offerto sia all’Allamano come al Camisassa lo spazio in cui avrebbero servito il popolo di Dio lì presente. Quella comunità è stata il fondamento di quanto ha fatto il nostro Fondatore nella diocesi e nell'Istituto. In altre parole, quella comunità poteva creare o distruggere non solo la serenità vocazionale necessaria per il suo buon lavoro, ma anche il suo servizio al popolo di Dio nel Santuario. Vale a dire, la salute di una comunità determina la possibilità o l'impossibilità della santificazione personale e della prestazione apostolica.
Grazie a Dio, la comunità del Santuario della Consolata di Torino è stata un ‘forum’ positivo dove è stata apprezzata la correzione fraterna e l'amicizia è maturata in fraternità. Questi finirono per diventare trampolini di lancio verso la santità. Precisamente, il sacerdozio dell’Allamano ci insegna che la vita missionaria è possibile e più facile dove si coltiva lo spirito di famiglia.
Mentre celebriamo questo importante anniversario, chiediamo a Dio che, attraverso l'intercessione del nostro Fondatore e della Consolata, anche noi possiamo trasformare le nostre comunità traballanti in cammini verso la santità.
Il 6 gennaio 1905 l'Allamano scrisse una lettera ai missionari in Kenya riflettendo sulla celebrazione di due grandi eventi: Il primo era stato il centenario del Santuario della Consolata a Torino, che ebbe luogo tra l'11 e il 20 giugno 1904; il secondo la conclusione del Convegno di Murang'a, che eveva avuto luogo nel marzo 1904. Nella sua lettera ai missionari la Allamano faceva notare che il suo cuore era “ancora pieno di deliziose emozioni” per questi eventi così importanti e si augurava che i missionari ne avessero partecipato almeno spiritualmente dalle missioni. Il giorno scelto per scrivere la lettera era quello dell’Epifania festa della manifestazione di Gesù a tutti i popoli. (Cfr. lettere ai Missionari e Missionarie della Consolata, n. 59).
Da allora sono passati 118 anni e anche noi oggi abbiamo appena celebrato un grande evento: il XIV Capitolo Generale che ha eletto una nuova Direzione Generale per Istituto. Ora è il tempo non di rimanere sospesi nell'atmosfera di festa dei momenti capitolari ma di riprendere il lavoro con rinnovato entusiasmo.
Nella stessa lettera, il padre fondatore, parlava della importanza di dare piena attuazione alle decisioni prese nell’incontro così importante nella storia dell’Istituto evitando la tentazione, che si poteva trovare in alcuni, di fare il contrario di quanto deciso insieme con la scusa di avere un'idea migliore, o ritenendo che ciò che era stato deciso non avrebbe funzionato. Il Fondatore li richiamò tutti al dovere di al secondare quanto era stato deciso anche se uno ritenesse di avere in mente proposte o decisioni migliore. Oggi mentre intraprendiamo il processo di attuazione delle decisioni del Capitolo Generale con le Conferenze Regionali, dobbiamo lavorare come comunità ispirate e guidate dallo Spirito di Dio che ha parlato nel capitolo. L'insistenza del Fondatore è evidente: l'aspetto comunitario dell'Istituto è così importante che dovrebbe essere protetto e difeso da tutti. Le capacità e le creatività dei singoli, pur essendo importanti, non devono far perdere lo spirito comunitario dell'Istituto.
Nella lettera già citata, consapevole dell'importanza del legame tra passato e futuro, l’Allamano ringraziava i missionari del Kenya anche per i tanti diari che gli avevano inviato e dava disposizioni per promuovere questo strumento. Permettevano in fatti ai fedeli che frequentavano il santuario della Consolata e che sostenevano i missionari (li chiamava “figli beniamini” della Consolata) di partecipare alla vita missionaria in Kenya. In un'epoca in cui la cultura della lettura sembra progressivamente estinguersi e si preferiscono i video e i messaggi brevi, diretti al punto, il nostro Fondatore ci ricorda che un albero si regge sulle sue radici e non sui suoi frutti, per quanto buoni possano essere. Questo ci invita a riconoscere l'importanza di scrivere ancora non solo il nostro passato ma anche il nostro presente. In fatti, è attraverso i diari dei primi missionari che possiamo conoscere la nostra storia. Domani saranno i nostri diari o le nostre comunicazioni che permetteranno alle nuove generazioni ad imparare dal nostro oggi. É quindi è importante che l'Istituto rianimi lo spirito del diario nelle missioni e personalmente altrimenti rischiamo di seppellire insieme a noi la nostra storia.
Consapevole della complessità di guidare un gran numero di persone, la Allamano si esprimeva contro le critiche e le mancanze di carità tra i missionari e non usò mezzi termini nell'enumerare le conseguenze di tali deviazioni. Ecco le sue parole:
“Con il moltiplicarsi delle persone crescono anche le diversità di apprezzamenti, perché tutti abbiamo la nostra testa, come si dice, e specialmente molta dose di amor proprio che ci inganna senza che ce ne accorgiamo. Da qui la tentazione di disapprovare internamente il modo di pensare e di agire dei confratelli e talvolta perfino dei Superiori. State attenti contro questa tentazione, perché il giorno in cui cominciassero le critiche vicendevoli, segnerebbe tosto la sterilità delle vostre fatiche, e sarebbe il principio della dissoluzione dell'Istituto” (ibidem p. 75).
Se l’Allamano ha parlato così nel 1905, quando l'Istituto contava un centinaio di membri, le sue parole acquistano oggi una grandissima importanza perché l’Istituto, conta oggi circa 900 membri, ed è ormai una multiculturale. Sarebbe ingenuo da parte nostra ignorare o fingere di non cogliere l'avvertimento che il Fondatore ci ha lanciato. La multiculturalità è un aspetto speciale e importante dell'Istituto, ma richiede molta maturità e umiltà per trasformare le differenze delle persone in opportunità che valorizzino una vita comunitaria armoniosa e la trasformino in una testimonianza nell'apostolato. Oggi, di fronte alle sfide evidenziate dal XIV Capitolo Generale sulle le difficoltà dei missionari di vivere insieme, sarebbe opportuno leggere e rileggere la lettera del Fondatore per approfondirne lo spirito che contengono.
In quell’occasione l’Allamano terminò la sua lettera in tono incoraggiante, invitando i missionari alla perseveranza e a non perdere la speranza. Consapevole che se c'è qualcosa che può ridurre e perfino annullare la speranza e l'entusiasmo dei missionari, è il fatto di non vedere i frutti del loro lavoro, il Fondatore ha ricordato loro che se un missionario fosse andato in missione con l'illusione che la sua presenza sarebbe bastata ad attrarre le persone, o le sue parole sarebbero bastate a convertirle, allora presto avrebbe sperimentato delle delusioni che lo avrebbero portato allo scoraggiamento. Ecco le sue parole:
«Ricordate sempre che ognuno riceverà la mercede “secundum proprium laborem”, e non secondo il risultato ottenuto. Nelle vite dei Santi quanti esempi non abbiamo fatiche apostoliche straordinarie e perseveranti senza che essi avessero in vita la consolazione di raccoglierne i frutti. Questi seminarono senza la consolazione di mietere (...) Ancora ricordati che l'essenziale si è che lavorando costanti adempiate la volontà di Dio e che possiate dire come Nostro Signore: “Meus cibus est ut faciam voluntatem Eius qui misit me, ut perficiam opus Eius” (Gv 4,34)».
Avendo concluso da poco il Capitolo Generale, la lettera del Allamano si adatta davvero alle nostre esigenze. Mentre ci avviamo verso l'attuazione degli orientamenti del Capitolo, preghiamo affinché, per intercessione della Consolata e la guida di Beato Giuseppe Allamano, possiamo anche noi continuare ad essere strumenti della misericordia e del perdono di Dio nel mondo.
* Padre Jonah M. Makau, Missionario della Consolata (Roma)
Gli atteggiamenti, che possono essere definiti come la tendenza ad agire in un certo modo, li apprendiamo nel corso della nostra vita: sono il risultato dell'esperienza e orientati ad ottenere un certo fine. Il beato Giuseppe Allamano ha proposto alcuni atteggiamenti che ogni Missionario della Consolata dovrebbe avere e di cui voglio parlarvi in dettaglio qui di seguito.
La passione missionaria è sinonimo di ardore missionario o zelo apostolico. È lo spirito più tipico dell'evangelizzatore perché l'evangelizzazione procede anche grazie alla passione missionaria degli evangelizzatori. L'ardore missionario era come quello che appassionava Gesù: la suprema preoccupazione per il Regno di Dio e la gloria del Padre che si manifesta nella salvezza integrale degli uomini. Gli evangelizzatori con passione missionaria sono aperti all'azione dello Spirito Santo dal momento che, come ci ricorda papa Francesco, “lo Spirito Santo infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. (EG, 259).
Anche il Beato Giuseppe Allamano è stato un missionario totalmente appassionato della causa del Regno di Dio e della sua estensione nei luoghi dove non era ancora conosciuto. Per lui non si trattava di essere semplici missionari, ma missionari con ardore apostolico. Al riguardo ci ricorda che “l’ardore apostolico è il carattere proprio del missionario e della missionaria. Non si va in missione per capriccio, o per turismo, ma unicamente per amore di Dio, che è inseparabile dall’amore del prossimo. Non solo dunque come cristiani, ma anche e più come missionari, abbiamo l’impegno di procurare la gloria di Dio collaborando alla salvezza delle anime" (Così vi voglio n. 121).
Poi l'Allamano chiarisce che la passione missionaria è strettamente legata alla carità e per questo, “Il vero apostolo è infiammato dalla carità, cioè dalla passione di far conoscere il Signore e di farlo amare, cerca il bene delle persone e non di se stesso” (Così vi voglio n. 122). L'amore per Dio provoca lo zelo per la missione e quello zelo è il fuoco che accende il missionario nel suo apostolato. Senza di esso è difficile essere veri missionari in modo tale che, secondo l'Allamano, “non saranno mai missionari o missionarie quanti non ardono di questo fuoco divino!” (Così vi voglio n. 122).
Per concludere la passione missionaria è legata anche alla scienza e allo studio. Ogni epoca ha le sue sfide, e la scienza missionaria aiuta a contestualizzare e valorizzare con nuovi metodi e nuove espressioni il nostro lavoro missionario. Giuseppe Allamano lo diceva in questo modo: “il nostro impegno apostolico deve essere completato e perfezionato dalla scienza. (...) È necessario sapere e studiare; bisogna fin d’ora procurarsi la scienza necessaria, non aspettare la scienza infusa. (...) In missione ci vuole anche scienza” (Così vi voglio n. 122).
Sono atteggiamenti tipici degli evangelizzatori. L'energia evita lo scoraggiamento nei momenti in cui i risultati attesi sono scarsi. A questo proposito il Beato Giuseppe Allamano ricordava che “più lavoro c’è e più se ne fa; ma bisogna lavorare con energia, che è la caratteristica del missionario. Un vero missionario e una vera missionaria sanno raddoppiare le forze. Se si è attivi, si ha sempre tempo per tutto e ancora tempo di avanzo” (Così vi voglio n. 126). L'energia missionaria deve essere accompagnata dalla forza poiché “lo scopo dell’Istituto è di formare missionari e missionarie eroici! Non vi è infelicità più grande che vivere rilassati in comunità. Il Signore non favorisce la pigrizia. Nella via della perfezione non dobbiamo trascinarci mollemente, ma adoperare il pungolo!" (Così vi voglio n. 128).
Allo stesso modo, è tipico del missionario avere come atteggiamento la costanza e a questo proposito afferma: “quando si è conosciuto che una cosa è di dovere, bisogna andare fino in fondo. È necessario sapersi dominare, in modo da essere sempre uguali a se stessi. (...) Bisogna servire il Signore con fedeltà costante ed energica. Per fare un vero missionario, una vera missionaria ci vuole spirito e volontà, indefettibile costanza ed equilibrio di spirito” (Così vi voglio n. 129). Per questo, un missionario senza energia e perseveranza raramente riuscirà a creare un impatto nella sua evangelizzazione.
Lo spirito di famiglia è una caratteristica peculiare dei Missionari e Missionarie della Consolata. Spiega in proposito il beato Allamano: “ricordate che l’Istituto non è un collegio, neppure un seminario, ma una famiglia. Siete tutti fratelli; dovete vivere assieme, prepararvi assieme, per poi lavorare assieme per tutta la vita. Nell’Istituto dobbiamo formare una cosa sola fino a dare la vita gli uni per gli altri” (Così vi voglio n. 134). Lo spirito di famiglia è la testimonianza della carità del missionario che si manifesta in questi aspetti: gioire delle gioie degli altri; soffrire con chi soffre; correggere i propri difetti per amore e sopportare quelli degli altri; perdonare le offese.
Lo spirito di famiglia anima la vita quotidiana del missionario della Consolata. È la raccomandazione che Giuseppe Allamano ripeteva spesso ai suoi missionari: “voglio che ci sia una carità fiorita. Non potrete amare il prossimo lontano, se fin d’ora non avete carità verso quelli con i quali trattate tutti i giorni. Se non si è ben fondati nella carità fraterna, in certe circostanze non si saprà superare le difficoltà, e allora si sarà tentati di chiedere di essere tolti o che venga cambiato quel compagno o quella compagna! Ma che cambiare! Cambia tu e tutto resta a posto” (Così vi voglio n. 131).
Lo spirito di sacrificio deve sempre caratterizzare i missionari della Consolata. Il sacrificio dei missionari è ispirato dalla croce di Gesù Cristo, poiché Egli è il prototipo di ogni sacrificio. Non c'è vita missionaria senza croce e spirito di sacrificio. Lo ribadisce il beato Giuseppe Allamano: “bisogna che tutti ci persuadiamo della necessità del sacrificio per essere veri discepoli di nostro Signore. Non dimenticate mai che siete apostoli e che le anime si salvano con il sacrificio. Nella vita apostolica ci sono tante rose, ma anche tante spine, riguardo sia al corpo che allo spirito. Qualcuno si figura l’ideale missionario tutto poetico, dimenticando che le anime non si salvano che con la croce e dalla croce, come fece Gesù” (Così vi voglio n. 136).
Lo spirito di sacrificio deve essere accompagnato dalla mortificazione, perché i missionari senza lo spirito di mortificazione non possono fare molto; La mortificazione esterna ed interna è necessaria per tutti gli annunciatori del Vangelo.
Pazienza, umiltà e mansuetudine sono atteggiamenti essenziali per la vita missionaria. La pazienza è una virtù che deve essere praticata in ogni momento. Questa virtù è estremamente importante perché “la maggiore o minore pazienza nel missionario e nella missionaria incide molto sulla conversione delle persone” (Così vi voglio n. 139). “Senza pazienza non c’è pace nel cuore, non c’è pace nella comunità, non c’è pace nel mondo” (Così vi voglio n. 140).
L'umiltà è un altro atteggiamento che ogni missionario dovrebbe abbracciare. Gesù Cristo è l'esempio di umiltà che dobbiamo imitare. L'umiltà è la manifestazione della fede nel Signore. La mancanza di questa virtù è sinonimo di incredulità. Il beato Allamano afferma a questo proposito: “come potrà il superbo sottomettere il proprio intelletto e la ragione all’autorità della Chiesa? Chi è superbo non crede. Come infatti si affiderà tutto a Dio chi confida soltanto in se stesso? Il superbo ama se stesso e non il Signore” (Così vi voglio n. 142). L'umiltà è molto necessaria nel ministero dei missionari poiché è un servizio e dobbiamo viverlo come Gesù ci insegna (Lc 22,26).
La mansuetudine è anche molto necessaria per il servizio missionario. È una virtù strettamente correlata alla pazienza e all'umiltà e non è una virtù facoltativa, ma piuttosto è obbligatoria nel Vangelo. È una virtù morale necessaria nei rapporti con gli altri e in vista del bene che vogliamo offrire loro. È il controllo su se stessi, è il modo in cui reagiamo a ciò che ci rende violenti o ci irrita. La mansuetudine è la virtù dei pacifici, che sono coraggiosi senza violenza, che sono forti senza essere duri. È una virtù assolutamente necessaria nella vita quotidiana dei missionari. Lo dice il beato Giuseppe Allamano: “la mansuetudine, quando sarete in missione, sarà per voi di una importanza straordinaria (...) L’esperienza prova che i missionari e le missionarie fanno del bene in quanto sono miti. Non dimenticate mai quanta importanza io dia a questa virtù” (Così vi voglio n. 124).
Il beato Giuseppe Allamano è stato uno straordinario missionario di Gesù Cristo. È il Padre e il Maestro dei missionari della Consolata. Egli è perenne ispiratore della missione Ad gentes, carisma che caratterizza i due istituti missionari da lui fondati. Per questo gli atteggiamenti missionari da lui proposti aiutano ogni missionario a svolgere con successo ed entusiasmo l'opera evangelizzatrice.
* Lawrence Ssimbwa è missionario della Consolata e lavora con la popolazione afro della diocesi di Bueventura in Colombia.