L'icona di "Giuseppe Allamano tra i santi", regalata dagli Amici Missioni Consolata di Torino a conclusione delle celebrazioni per il centenario della Fondazione dell'Istituto, il 7 ottobre 2001, è esposta nella cappella della comunità della Casa Madre (Torino). Scritta dall'iconografo Silvano Radaelli di Lissone (MI), Maria Grazia Mussi Radaelli ne fa una lettura che guida alla contemplazione e alla preghiera.
L'Allamano amava ricorrere ai santi, imitarli, chiederne l'intercessione. L'icona mostra una schiera di santi che lo hanno ispirato e accompagnato in una maniera particolare, e sono stati da lui proposti ai Missionari non solamente come protettori, ma come veri modelli di vita missionaria.
Maria Musi
La struttura ricorda l’icona della Pentecoste. Dall’alto scendono i raggi dello Spirito Santo che illuminano il Fondatore ed i Santi, rendendoli partecipi della Sapienza divina, si propagano poi sull’universo illuminando e trasfigurando tutta la realtà. Come avvenne per gli apostoli, lo Spirito della Pentecoste discende per rivestirli di forza; da questo momento essi incominciano ad annunciare la Parola.
La ricca vegetazione raffigura la forza rigeneratrice dello Spirito Santo che attraverso i missionari porta la vita anche in luoghi aridi, scioglie i legami della schiavitù, infonde vigore e forza, anima l’amore creativo. Gli alberi accompagnano il movimento dei santi che sembrano inneggiare, dando lode e onore al Cristo e a Sua Madre. È rappresentata infatti la Consolata.
I Santi poggiano i piedi su un prato verde, colore che sta a sottolineare la fertilità e l’azione vivificante dello Spirito Santo. Essi sembrano ergersi dal terreno, reso fertile dalla potenza dello Spirito, come colonne portanti sulle quali viene costruita la Chiesa rappresentata dai due edifici luminosi, trasparenti che si stagliano sullo sfondo.
In alto, a sinistra, il santuario della Consolata di Torino e alla destra la chiesetta di Tuthu in Kenya, prima Missione fondata dai Missionari della Consolata, primo santuario a lei dedicato in terra d’Africa, simbolo ora del carisma missionario dell’Istituto.
L’icona è immersa nell’oro, che è splendore, riflesso puro della luce, simbolo della luce divina, della trascendenza di Dio. È pervasa dalla luce che dall’alto si irraggia tutt’intorno.
Per il Beato Allamano la Madonna era la Consolata, visse sempre all’ombra del suo santuario, si tenne sempre unito a Lei, come madre e modello di uniformità a Cristo. A lei attribuisce l’ispirazione e la fondazione dell’Istituto per donare consolazione e vita a quanti si accostano al suo Figlio. A coloro che entravano nell’Istituto, specialmente i più piccoli, spesso con forte nostalgia della madre, dava una immagine della Consolata dicendo: «da oggi avete una nuova mamma, la Consolata. Essa vi ha chiamati e vi riceve in questa casa. Mettetevi dunque sotto la sua protezione». E poi sempre, il riferimento alla Consolata è costante, in tutte le circostanze e con tutti, grandi e piccoli, in patria e in missione.
Attesta un missionario: «Per lui la Madonna ci è mamma, e su questa devozione non si stancava mai di parlarci onde eccitarci ad amare sempre più Maria. Ed approfittava di ogni occasione, anche fortuita, per richiamare alla nostra mente ed al nostro cuore questo costante suo incitamento… Nei suoi scritti, per quanto brevi, non tralasciava mai di ricordarci la sua Madonna. Alle volte si trattava unicamente di un pensiero, una frase, un incoraggiamento, una sola parola, come quando sul retro di una immagine scriveva: "Coraggio, la Consolata ti aiuterà...", "non temere, la Consolata ti benedice". Ci voleva "figli della Consolata". Quando lo si andava a visitare nel suo studio al santuario non mancava mai di domandarci se già fossimo passati a venerare la Madonna. Alla nostra risposta, il più delle volte affermativa, ci diceva: "Ora, prima di ritornare all'Istituto passate ancora a salutarla"… Per lui la Consolata era vita, amore, lavoro, sacrificio, era la sua donazione. E per la Consolata visse e consumò la sua vita».
Centrale è la sua figura dalla quale traspare energia e gioia serena, ha la mano destra benedicente, con la sinistra tiene il libro della Scrittura.
Il volto è la parte fondamentale dell’icona, è il centro dell’icona stessa, lì si pone lo sguardo del fedele nel momento della preghiera e dal volto viene la luce che “illumina” il credente. Il volto è luminoso. In lui possono riconoscersi tutti i suoi figli missionari, a qualunque popolo appartengano. Il Beato Allamano ha il dono del sorriso, che gli viene dal cuore. «Ci guidava con un perenne sorriso», attesta un o dei suoi primi missionari. Nei suoi occhi si trova il sorriso più grande; occhi che si illuminano quando conversa con Dio o la “sua” Consolata, quando incontra le persone e le guarda. Occhi che ispirano confidenza e incitano al bene.
È rivestito di un manto rosso simbolo dell’amore più forte della morte, dell’amore maturo che porta anche al martirio. Porta la stola ornata dalle croci che sottolinea il suo essere pastore. Il bianco con le croci nere richiama la gloria e la passione del Signore.
Ha il capo circonfuso dal nimbo dorato, simbolo dei “somigliantissimi”, di coloro che nella vita tendono alla santità e diventano in tutto simili a Cristo. Egli ha vissuto la sua vita nella fedeltà a Dio.
L’evangelizzazione prende il via dal loro “stare insieme”. Parte dalla comunione per portare alla comunione. L’Allamano ne era fortemente convinto e ha impresso al suo Istituto la caratteristica dello “spirito di famiglia”, e del lavoro missionario fatto «in unità di intenti». Nell’icona contempliamo Santi missionari, con storie e doni diversi, chiusi in un cerchio, simbolo della comunione e dell’unità di quanti credono in Cristo, sempre tesi alle “cose” del Padre che indicano con le mani e gli sguardi assorti.
I tre personaggi, a sinistra, sopra il Beato Allamano sono:
Il gruppo a destra sopra il Beato Allamano è rappresentato da:
Le due persone rappresentate alla destra di Allamano sono:
L’ultimo gruppo di personaggi alla sinistra del Fondatore raffigura:
Tutte le persone raffigurate sono smaterializzate, appartengono già al mondo del divino. I volti sono di colore “terra impastata di luce”; sono volti che non hanno nulla di materiale, sono aerei, trasfigurati poiché vivono in una dimensione celeste, sono già in comunione col Padre.
I personaggi rappresentati portano iscritto il loro nome sulle vesti
Il 6 gennaio 1905 era la festa dell'Epifania e in quel giorno il nostro fondatore, il beato Giuseppe Allamano, scrisse una lettera ai missionari del Kenya (cfr Lettere IV, 276-282). In quella lettera di inizio anno Giuseppe Allamano indica ai suoi missionari le cose fondamentali e importanti da fare per continuare ad essere con gioia strumenti della presenza di Dio nel mondo. Potremmo dire che, con quelle parole, ha voluto tracciare per i suoi figli i propositi che considerava necessari per camminare tutto l’anno al servizio del progetto di Dio e offrire generosamente il meglio di sé.
Questo, ancora oggi, è per noi un invito a dare una direzione e un significato alla nostra vita con propositi che agiscano come fari di speranza e ci ricordino che abbiamo degli obiettivi da raggiungere.
Il Fondatore disse ai missionari, che avevano appena concluso la Conferenza di Muranga l'anno precedente, di “stabilire regole di vita e di azione apostolica, suggerite dall'esperienza” e raccomandava ai missionari di consultare i superiori se avessero avuto progetti diversi da quelli discussi e decisi dalla comunità in occasione della recente conferenza.
Anche questo è molto importante per noi oggi, soprattutto perché abbiamo appena concluso il 14° Capitolo Generale nel quale si sono stabiliti criteri e progetti. Stiamo ancora analizzando e cercando di attuare gli atti del capitolo, e il rischio di provare a modificarli per una soluzione rapida non può essere escluso. Per questo è necessario ripensare l'anno con le linee guida del nostro Fondatore.
Una delle funzioni più importanti del cervello umano è quella che ci consente di fissare obiettivi e di raggiungerli ma questo richiede una rigorosa disciplina nella gestione del tempo. A questo proposito anche Giuseppe Allamano scriveva ai missionari: “Una raccomandazione che ritengo utile anche per voi è quella di usare bene il tempo” e prosegue ricordando che ciascuno è tenuto a rispettare l'orario comune e quindi ad essere puntuale in tutte le attività.
Potrebbe sembrare banale sentire il Fondatore fare raccomandazioni di questo tipo eppure siamo consapevoli che uno degli ostacoli al raggiungimento dei bei propositi presi è la cattiva gestione del tempo. Ecco perché le parole di dell'Allamano non vanno prese alla leggera.
Consapevole che la stanchezza indebolisce gradualmente la determinazione delle persone nella sua lettera ai missionari nel Kenya aggiungeva un invito a non inaridire lo spirito ed arrendersi: “Alla vostra partenza voi avete promesso di santificarvi totalmente per amore delle anime, sottoponendovi a qualunque disagio, contentandovi di qualunque ufficio pur di riuscire a santificare voi stessi ed il prossimo”.
Anche noi oggi possiamo riconoscerci nelle parole del nostro Fondatore. Quando siamo entrati nell'Istituto e fatto la professione religiosa abbiamo promesso le stesse cose. Nel corso degli anni la possibilità di stancarsi e perdere il morale è qualcosa che non si può negare. Ecco perché iniziare l'anno con le parole di Giuseppe Allamano ci mette nelle condizioni di raggiungere i nostri obiettivi.
Conclude il beato Allamano con un importante invito alla carità: “Quella che ora intendo inculcavi è la carità vicendevole. Con il moltiplicarsi delle persone crescono anche le diversità di apprezzamenti, perché tutti abbiamo la nostra testa, come si dice, e specialmente molta dose di amor proprio che ci inganna senza che ce ne accorgiamo. Da qui la tentazione di disapprovare internamente il modo di pensare e di agire dei confratelli e talvolta perfino dei superiori. State attenti contro questa tentazione, perché il giorno in cui cominciassero le critiche vicendevoli segnerebbe tosto la sterilità delle vostre fatiche e sarebbe il principio della dissoluzione dell’Istituto”.
Possano queste sagge parole di p. L'Allamano ci guida e dirige le nostre attività mentre entriamo in questo nuovo anno benedetto da Dio.
* Padre Jonah M. Makau, IMC, Casa Generalizia a Roma, frequenta il corso in Cause dei Santi.
“Venite in disparte e riposatevi un po’” (Mc 6, 31)
Questo invito amorevole del Maestro diventa più che mai necessario ai nostri tempi: viviamo in un’epoca in cui il mondo è super globalizzato; è stordito da tanti frastuoni, rumori e clamori; le persone, perennemente connesse ai mezzi audiovisivi, sembrano prigioniere di questi mezzi.
Serve distaccarsi dalla normalità, come dicevano i Padri del deserto: “Fuggi, fai silenzio, cerca quiete”. Questo è vero per tutti ma vale in modo speciale per religiosi, sacerdoti, missionari, chiamati per vocazione a prendersi cura degli altri. Serve coraggio, quando è possibile, per dedicare tempo, almeno una volta in vita, e fare un ritiro prolungato, anche di un mese.
Era da diversi anni che dentro di me coltivavo il desiderio e il sogno di poter vivere un mese di esercizi spirituali. Nella vita occorre fermarsi per ricaricarsi. A volte per dei momenti lunghi. Guai a noi se non lo facciamo. Si corre il pericolo di fare più danni, se non ci si ferma. Siccome è sempre difficile aver un periodo così prolungato, l’occasione opportuna non poteva essere migliore che alla fine di un mandato e prima di intraprenderne un altro.
È stato un momento per me molto speciale dove ho potuto godere dei doni spirituali dall’alto, vivendo, leggendo, riflettendo, “ruminando”, e pregando. Ho dedicato tempo a contemplare le meraviglie di Dio nella vita e nel nostro agire.
Tutto questo acquisisce un significato particolare quando si realizza nei luoghi che hanno visto crescere quell’uomo santo consacrato alla missione, il padre fondatore Giuseppe Allamano e altri santi originari di Castelnuovo: Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco e Domenico Savio.
Gli Esercizi Allamaniani sono stati caratterizzati da quello che potremmo chiamare “un silenzio parlante”, (usando una espressione del padre fondatore muto con le cose che possono recar disturbo, ma loquace con Dio).
Vivendo nella casa natale di san Giuseppe Cafasso, perla del clero, potevo respirare un silenzio unico, essendo la zona poco abitata. Potevo toccare Dio leggendo il Padre fondatore (ma soprattutto scavando nella vita dei santi che egli spesso citava nelle sue conferenze). Potevo meditare e pregare con calma, senza tralasciare le passeggiate in mezzo alle vigne approfittando anche delle diverse cappelle presenti nel territorio. Significativo il momento giornaliero di confronto con il predicatore, guida e fratello.
Castelnuovo si presta molto bene per vivere una esperienza del genere sul carisma cominciando dalle due case che hanno visto la nascita del Beato Giuseppe Allamano e di San Giuseppe Cafasso. Quest’ultima, che non è abitata, offre un’atmosfera che favorisce la concentrazione e il dialogo con il Signore.
Il ritiro Allamaniano di un mese è tempo di ricarica, di profondità e di preghiera; è un modo eccellente per riempirsi di Dio. La nostra epoca richiede uomini e donne pieni di Dio. È il miglior modo di servire il popolo di Dio che ci viene affidato anche perché non si può dare quello che non si ha.
* Padre Godfrey Msumange, IMC, casa natale del Beato Giuseppe Allamano.
All'inizio del Triennio sul Beato Allamano, offriamo questa prima riflessione di P. Francesco Pavese, in consonanza con quanto le nostre due Direzioni Generali ci hanno proposto, scegliendo il protettore per gli anni 2024-25-26. La paternità dell'Allamano ci è particolarmente cara come lo fu per i nostri primi Missionari e Missionarie. Dal Cielo continui a guidarci e proteggerci. Buon anno nuovo a tutte e a tutti.
I missionari e le missionarie di Castelnuovo don Bosco.
A cura della Postulazione Generale
Per la festa del Fondatore di quest’anno propongo alcune riflessioni sulla sua “paternità”. Sono idee semplici che fanno sempre del bene a noi, ma che quest’anno possiamo anche proporre alla gente che ci conosce e che festeggia con noi il nostro “Padre”.
Prendo l’ispirazione da un messaggio che il Camisassa ha scritto alle suore in vacanza a S. Ignazio, alla vigilia del suo onomastico, per scusarsi di non potere essere presente, essendosi dovuto fermare a Torino «stante l’assenza del Sig. Rettore (m’è scappata la parola: leggete Padre amatissimo)». Per le missionarie l’Allamano non è il “Rettore”, ma il “Padre amatissimo”. Questa è la convinzione del Camisassa, che coincide con quella dei figli e delle figlie dell’Allamano.
Non è significativo che il Camisassa chiamasse l’Allamano per lo più con il nome di “Padre”, senza l’articolo? Il Camisassa, sia pure con una certa titubanza, pensa di partecipare in qualche misura della paternità del Fondatore. Ecco come si è espresso scrivendo dalla fattoria di Nyeri, il 18 luglio 1911 ad un gruppo di giovani suore, dopo la loro vestizione: «Mie buone figliuole, permettete che io pure vi chiami con questa dolce parola, detta a sei di voi con tanta bontà e tenerezza , come mi scrivete, dal nostro venerato Padre nel bel dì della loro vestizione. Certo che non ho diritto di chiamarvi mie figlie, ma pur qualcosa come un padre putativo vostro vorrei pur esserlo […]». È certo che il Camisassa è entrato in pieno nel clima di famiglia voluto dal Fondatore, in modo non indipendente, ma a seguito di lui.
Il Fondatore, proprio perché era convinto dell’origine soprannaturale dell’Istituto, si è assunto tutta la responsabilità, non solo di fondarlo, ma anche di accompagnarlo nella crescita. In questa risposta coerente alla propria vocazione si colloca la sua coscienza di essere “padre” di due famiglie missionarie. Lo ha espresso con semplicità e convinzione in diverse occasioni. Sia sufficiente rileggere quanto, nel 1904, ha scritto al gruppo dei missionari in Kenya mettendoli al corrente delle feste centenarie del santuario, per assicurarli di averli ricordati: «Lasciai in certo modo da parte le altre mie attribuzioni per non ricordare che la mia qualità di padre di questa nuova Famiglia».1
In forza di questa paternità spirituale, il Fondatore era convinto di dover formare missionari e missionarie conforme al progetto che lo Spirito Santo gli aveva suggerito. Ecco la ragione delle sue numerose insistenze sullo “spirito”. Per circostanze contingenti, ha dovuto difendere la genuinità del suo spirito fin dai primi anni della fondazione. È classico il suo intervento del 2 marzo 1902: «La forma che dovete prendere nell’Istituto è quella che il Signore m’ispirò e m’ispira, ed io atterrito dalla mia responsabilità voglio assolutamente che l’Istituto si perfezioni e viva di vita perfetta».2 È pure classico l’altro intervento nella conferenza del 18 ottobre 1908, quando, parlando della responsabilità che i superiori hanno di formare missionari, concluse: «lo spirito lo dovete prendere da me».3 Non si contano gli interventi a questo riguardo, anche alle suore. Sono molto esplicite le parole scritte il 7 settembre 1921 a sr. Maria degli Angeli superiora in Kenya: «Io desidero, e tale essendo il mio dovere, pretendo, che viviate nello spirito che vi ho infuso».4 Più di così!
Come padre, l’Allamano ha manifestato un tenero affetto per i figli e le figlie. Viveva per loro, come ha confidato scrivendo al p. Filippo Perlo nei primi anni della 5missione in Kenya: «Tante e tante cose a tutti i miei cari missionari, pei quali soli ormai vivo su questa terra. La mia paterna benedizione mattino e sera su tutti […]».6 Ha pure pronunciato parole così intense che ci impressionano ancora oggi: «Il Signore avrebbe potuto scegliere un altro a fondare questo Istituto, uno più capace, con maggiori doti, con più salute, ma uno che vi amasse più di me…non credo».
Proprio perché voleva un mondo di bene ai suoi figli e figlie, l’Allamano non si è accontentato di proporre loro l’impegno missionario, già arduo in se stesso, ma l’ha proposto nella “santità della vita”, chiedendo loro di essere tutti di “prima qualità”. E la ragione della sua continua richiesta di santità era soprattutto di carattere apostolico: «Qualcuno crede che l’essere missionario consista tutto nel predicare, nel correre […]; no, no! Questo è solo il fine secondario: santifichiamo prima noi e poi gli altri. Uno tanto più sarà santo, tante più anime salverà»7; «Dobbiamo prima essere buoni e santi noi, dopo faremo buoni gli altri; altrimenti, non saremo buoni né per gli altri, né per noi»8 Il “prima santi e poi missionari” si inserisce in questo tipo di ragionamenti.
E neppure si è tirato indietro quando è stato necessario richiamare, direttamente o tramite i suoi collaboratori, ad un impegno superiore, come ha fatto abitualmente. Per esempio, ecco le parole scritte alle suore appena dopo un anno dal loro arrivo in Kenya:
«Mentre come padre so compatire l’umana fragilità, non posso, né intendo che si vada avanti con questo spirito. […] Perdonatemi questo sfogo paterno, che stimai necessario per rimettere tutte in carreggiata.[…]. Vi benedico di gran cuore».9 Anche su questo aspetto il Camisassa ha saputo collaborare con il Fondatore, come risulta da una lettera a sr. Margherita de Maria: «Persuaditi che la volontà di Padre è volontà di Dio.[…]. Mi rincresce aver dovuto scriver un po’ forte, ma è proprio Padre che volle così».10
Un aspetto molto interessate della paternità del Fondatore è il seguente: come educatore, oltre ad offrire concetti e principi, ha saputo comunicare se stesso, cioè la propria esperienza interiore. Quasi senza accorgersene, indicava come lui stesso procedeva sul cammino della santità. Questa è stata la sua grande forza di educatore. Ecco perché uno dei giovani di allora ha lasciato scritto, riferendosi alle sue conferenze domenicali: «Prima della sue parole, aspettavamo lui». Con semplicità paterna ha spiegato questo suo metodo agli allievi appena tornato dagli esercizi spirituali: «Ebbene che cosa vi ho portato? Vi ho portato dello spirito, un deposito di spirito, e sapete che cos’è? Qualche buon pensiero che a me ha fatto più impressione e lo porto a voi. […] E così, nelle prediche, meditazioni, esami, con tutto insomma, pensava facendomi buono io, pensava anche a voi. Per voi e per me. Perché non voglio essere solo un canale, ma anche conca. […] Così i buoni pensieri, prima per me, e poi anche penso a voi. I buoni pensieri che hanno fatto effetto a me, lo facciano anche a voi»11.
Infine, la paternità del Fondatore ha fatto crescere nell’Istituto lo spirito di famiglia. Chi non ricorda le sue numerose raccomandazioni al riguardo? Lo spirito di famiglia doveva essere vissuto prima con lui, che era il padre, e poi tra di noi che siamo diventati fratelli e sorelle a motivo della stessa vocazione e della paternità dell’Allamano. La conseguenza sul piano dell’azione apostolica è stata che i suoi figli e figlie dovevano essere capaci di lavorare “insieme” e non ognuno per conto proprio. L’ideale dell’unità nell’Istituto era per l’Allamano un punto fermo, intoccabile, quasi un sogno. Rileggiamo le parole pronunciate in occasione della partenza di missionari: «Vedete la consolazione che si prova a partecipare a questa famiglia […]. E anche se si deve andare in un altro luogo… il luogo è una materialità, è niente l’essere piuttosto in un posto che in un altro…Siamo tutti missionari, siamo tutti insieme, facciamo tutti una cosa sola, come se fossimo tutti qui, tutti al Kenya, tutti al Kaffa, tutti all’Iringa»12. Per lui, un Istituto di missionari deve essere e operare “tutto dappertutto”!
E la ragione di questa unità va cercata nella nostra identità missionaria. L’Allamano immaginava il suo Istituto come un “corpo” apostolico, ben compatto. Lo ha chiesto tante volte ai suoi fin dai primi anni. Basta rileggere quanto ha scritto ai missionari del Kenya nella lettera circolare del 2.10.1910: «Altro carattere del lavoro di missione è la concordia. L’unione di mente e di cuore mentre rende leggera la fatica, fa la forza ed ottiene la vittoria.».13 Lo aveva già riconosciuto, cinque anni prima, rallegrandosi perché la Santa Sede aveva riconosciuto la buona organizzazione e l’unità di azione nelle nostre missioni: «L’unità d azione poi è specialmente merito vostro, perché avete saputo uniformarvi pienamente alle direzioni ricevute».14
La paternità del Fondatore è perenne. L’ispirazione che ha ricevuto e trasmesso non si è interrotta con la sua morte, perché lo Spirito è perenne! L’Allamano era cosciente di conservare la propria paternità anche dal cielo. Lo ha detto in diverse occasioni, in senso di incoraggiamento e di aiuto, ma anche di richiamo. Sia sufficiente risentire queste parole pronunciate in tempi e in circostanze diverse: «Quando io sarò poi lassù, vi benedirò ancora di più: sarò poi sempre dal pugiol [balcone]»15; «Siate buoni anche dopo la mia morte, perché se no chiederò al Signore di venire dal balcone del Paradiso, e vi manderò delle bastonate».16Quando noi faremo il cinquantenario io dal Paradiso vi assisterò; sarà un cinquantenario pieno di meriti»;17 «Dal cielo vi guarderò, e se non farete bene, vi manderò tante umiliazioni finché non rientrerete in voi tessi”»;18 «Dal Paradiso manderò dei fulmini se vedo che mancate di carità».19 «Per il bene che mi volete, dovete essere contenti che io vada in Paradiso a riposarmi. Farò di più là che di qua…farò, farò».20
In parole semplici e schematiche può essere questa: conoscerlo sempre di più e farlo conoscere agli altri; confrontarsi con lui nella vita e proporre la sua spiritualità alle persone che ci sono vicine; sentirlo vivo e presente, pregarlo e suggerire l’efficacia della sua intercessione a quanti collaborano con noi o che serviamo nel ministero. L’Allamano non lascia indifferenti: ci coinvolge e può coinvolgere molte altre persone. L’esperienza dice che anche i laici, quando riescono avvicinare in modo adeguato l’Allamano, sanno apprezzarlo e, in certo senso, lo sentono anche loro “padre”. La paternità del Fondatore non è circoscritta dai confini dell’Istituto.
NOTE:
1 Lett., IV, 276.
2 Conf. IMC, I, 15; si noti che queste parole sono del suo manoscritto. Cf. anche 136-137
3 Conf. IMC, I, 273.
4 Processus Informativus, IV, 220; Lett., IX/1, 140.
5 Processus Informativus, IV, 494.
6 Lett., IV, 23-24.
7 Conf. IMC, I, 249-250. Ricordiamo come abbia modificato di suo pugno il testo del Direttorio del 1910: «Gli alunni […] abbiano sempre di mira […] di farsi santi e di rendersi idonei a salvare molte anime» in «[…] e così di rendersi idonei», sottolineando il legame tra santità e apostolato.
8 Conf. IMC, I, 279.
9 Lett., VI. 683.
10 Arch. IMC.
11 Conf. IMC, II, 634.
12 Conf.IMC, III, 499.
13 Lett., V, 410.
14 Lett., IV, 456.
15 Conf. MC, II, 482.
16 Processus Informativus, II, 526,
17 Conf. MC, II, 282.
18 Processus Informativus, II, 544.
19 Processus Informativus, II, 874.
20 In TUBALDO I, o.c., 675.
In ogni angolo del mondo, il nuovo anno viene sempre celebrato con grande entusiasmo e accolto con gioia ed eccitazione. In questa celebrazione, ogni popolo si esprime secondo i parametri delle proprie usanze e culture.
La gioia della fine dell'anno aiuta certamente a iniziare bene il nuovo anno, e Giuseppe Allamano ci dà anche consigli utili su come festeggiare.
San Paolo dice: "Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi." (1 Tes 5,16-18). Ringraziare il Signore per il buon inizio dei 365 giorni che compongono l'anno significa anche riconoscere che tutto dipende da Lui e che Dio continua ad essere il Protagonista della storia del mondo. Dice Giuseppe Allamano: "Speriamo che arriveremo a ringraziare il Signore alla fine di questo nuovo anno, come l’abbiamo ringraziato ieri sera per l’anno passato" (Così vi voglio 64).
Il nuovo anno è un nuovo inizio e una nuova alba, ma deve essere iniziato con energia ed entusiasmo. A questo proposito, Giuseppe Allamano chiarisce: "Cominciamo l’anno con energia e così tutti i giorni, tutti i momenti, senza mai scoraggiarci (...) Ecco lo spirito con cui dobbiamo cominciare il nuovo anno" (Così vi voglio 64). Iniziare il nuovo anno con energia ci permette pianificare bene il cammino pastorale di ogni missione, valutare e discernere il nostro lavoro missionario e fare in modo che il missionario si impegni pienamente nella missione evangelizzatrice che è chiamato a svolgere con fedeltà.
Il nuovo anno è un'occasione per pensare al tempo presente. Anche se non smettiamo di pensare al passato, la celebrazione del nuovo anno ci aiuta a fare una chiara proiezione di come navigare con successo nel nuovo anno. "Non pensiamo più al passato; il presente è nelle nostre mani. Tutti e tutte pieni di buona volontà” (Così vi voglio 64). Pensare al presente implica essere molto attenti alla voce di Dio che ci parla in ogni parte della nostra storia; interpretare i segni dei tempi.
Il nuovo anno è un momento opportuno per riflettere sul nostro comportamento. Dice Giuseppe Allamano: "In questo nuovo anno bisogna proprio che ci comportiamo come se fosse l’ultimo della nostra vita. Se fossimo convinti di questo, ci metteremmo di buona volontà!" (Così vi voglio 64). Si tratta allora di porsi queste domande: come mi sono comportato l'anno scorso? Come mi comporterò in questo nuovo anno? In quale ambito della mia vita devo migliorare? Com'è il mio rapporto con Dio e con il prossimo? Cosa dovrò migliorare? La riflessione su queste domande, personali o comunitarie, ci permette di andare avanti nei nostri impegni presenti e futuri.
Il beato Giuseppe Allamano ci invita a iniziare il nuovo anno con un esame preventivo: "Date uno sguardo all’anno che vi sta dinnanzi e fate un po’ d’esame preventivo. Come lo facciamo ogni mattina per la giornata, così oggi dobbiamo farlo per tutto l’anno" (Così vi voglio 64). L'esame preventivo ci aiuta a pensare e ordinare le attività che intendiamo svolgere nel nuovo anno e ci aiuta a identificarci con la volontà di Dio.
Il nuovo anno porta con se molte benedizioni di Dio. Per questo Giuseppe Allamano afferma: "Che il nuovo anno sia un anno di tante benedizioni, per i nostri Istituti, per le missioni, per i missionari e le missionarie! Procuriamo di passare questo nuovo anno nel modo migliore possibile; se vi saranno debolezze, cercare di ripararle subito; che non ci sia neppure un giorno inutile" (Così vi voglio 64).
Come Missionari della Consolata, chiediamo alla Madonna e al Beato Giuseppe Allamano di accompagnarci con la loro divina intercessione nell'anno 2024.
* Lorenzo Ssimbwa è missionario della Consolata e lavora con la popolazione afro della diocesi di Buenaventura in Colombia.