Si avvicina il 24 aprile. Ci porta la memoria di S. Fedele da Sigmaringa e l'anniversario della richiesta fatta nel 1900 dall'Allamano al suo Cardinale di aprire il nuovo Istituto missionario. Abbiamo pensato di offrire questo studio di padre Igino Tubaldo circa il lungo e laborioso cammino verso l'apertura dell'Istituto. Deo gratias! (Buona lettura. Pietro Trabucco, IMC, Castelnuovo don Bosco)

“Era il 29 gennaio 1901 quando Giuseppe Allamano fondò l’Istituto Missioni Consolata. Vi lavorava da quasi un decennio, affrontando difficoltà di ogni genere. Figura importante e determinante nella chiesa torinese della metà Ottocento e primo ventennio del Novecento, il fondatore è quasi sconosciuto fuori di Torino e del Piemonte. In compenso, l’Istituto dei Missionari della Consolata ha messo solide radici in quattro continenti. Questo è il racconto della sua travagliata nascita” (P. Igino Tubaldo).  Pubblichiamo di seguito l'articolo integrale.

Suor Chiara Strapazzon nacque a Velai di Feltre (Belluno) il 13 aprile 1890 da santi genitori. Alla sua entrata nell’Istituto (8 maggio 1911), lasciava la bella famiglia composta di cinque fratelli e di quattro sorelle. Scrivendo alla Superiora, Madre Celestina Bianco, in data 6 aprile 1911, faceva di sé la seguente presentazione:

20240417Strapazzon«… Non ho nessuna abilità; ma con l’aiuto di Dio cercherò di rendermi utile a qualche cosa». La Superiora comprese subito che la nuova postulante era un’anima capace di grandi virtù. Nonostante cercasse di passare inosservata, la sua umiltà, lo spirito di sacrificio, di povertà, l’eroica mortificazione si manifestarono tosto, e la sorella progrediva rapidamente in santità.

Nel 1916 fu scelta da Padre Fondatore come Maestra delle Novizie sicuro che avrebbe formato le giovani come desiderava lui.

Nel dicembre del 1919, alla partenza per il Kenya della Superiora Madre Maria degli Angeli, fu nominata per sostituirla come superiora di Casa Madre. La caratterizzò un grande attaccamento all’Istituto e al Fondatore, desiderosa di seguire e di far seguire le direttive di quest’ultimo in tutto e sempre. La parola del Padre per lei era espressione del volere di Dio. Resse Casa Madre, esplicando rare doti di governo e accompagnando a una grande materna bontà, fermezza ed energia. Il 21 novembre 1934 venne eletta terza Consigliera Generale e rimase in carica fino al 20 dicembre 1947.

(Presentiamo la figura di Sr. Chiara Strapazzon che ha avuto una relazione molto speciale con il P. Allamano, agli esordi dell'Istituto delle Suore Missionarie della Consolata. Ella ha mostrato sempre una fedeltà eroica allo spirito del Fondatore, a costo anche di innumerevoli sofferenze. Buona lettura. Pietro Trabucco, IMC, Castelnuovo don Bosco)

Inizio ricordando uno dei “sentimenti” che il Fondatore aveva annotato sul suo taccuino durante gli esercizi spirituali in preparazione all'ordinazione sacerdotale: «Non sarà mai un buon confessore, chi non fu già un buon penitente». Propongo alcune riflessioni e notizie su come l'Allamano ha valorizzato il Sacramento della Penitenza per sé e per la gente che accorreva al suo confessionale.

Come si confessava

Ci domandiamo: il nostro Padre fu un “buon penitente”? Ecco che cosa ne pensava il p. L. Sales che lo conosceva bene: «Aveva in grande stima il Sacramento della Penitenza. Nel suo Regolamento di vita propone di confessarsi una volta alla settimana, e anche più sovente, occorrendo feste speciali. Fra i suoi confessori, ricorderò: S. Giovanni Bosco, il P. Felice Carpignano dell’Oratorio, e il P. Poletti superiore dei Sacramentini, il quale mi diceva: “che era commovente ed edificante vedere ogni settimana giungere il Servo di Dio, e chiedere tutto umile del confessore”».

Il p. G. Fissore riporta una testimonianza orale del p. Carlo Poletti con notizie più dettagliate: «P. Poletti non ricorda con precisione quando il Can. Allamano incominciò ad andare a S. Maria per fare la sua confessione, né sa dire quando cessò di andarvi. […]. Ricorda con certezza che il Can. Allamano veniva già a confessarsi da lui prima del 1908 e che poi riprese a venire quando, dopo tre anni, P. Poletti venne di nuovo a Torino, come superiore di S. Maria. Non sa dire il perché il Can. Allamano scegliesse lui a suo confessore. Pensa che non avesse altro motivo della scelta che la stima grandissima che nutriva per gli Adoratori per la loro vicinanza al SS. Sacramento. […].

Per il Sacramento della Confessione [l'Allamano] aveva esattezza, regolarità, pietà: era un modello – non parlava né prima, né dopo la confessione, tolti i convenevoli. Andava e veniva con quella serietà che merita il Sacramento. Era breve nella confessione, chiaro, nitido (numero, cose) semplice, non ebbe mai difficoltà o scrupolo, né pene che non dominasse. Riceveva il Sacramento come dire la Messa, con quella devozione. Era consumato nel dominio di sé: era una meraviglia vedere un uomo così carico di lavoro e affanni così tranquillo, calmo; era forte di carattere».

Dunque, il nostro Fondatore era “un buon penitente”, anzi, a dire di p. Poletti, un “modello” di penitente! E noi aggiungiamo, sulla base di quanto ha scritto durante gli esercizi spirituali: un “modello” di confessore!

Come insegnava a confessarsi e a confessare

Su questo aspetto riporto tre testimonianze processuali. Sr. Giuseppina Tempo, rispondendo al n. 26 del questionario sulla virtù della fiducia, ha affermato che l'Allamano: «Non voleva che ritornassimo sul passato. Diceva a coloro che vogliono sempre ritornare sui peccati passati: “il Signore avrebbe ragione a dir loro: Non avete altro piatto più bello da offrirmi?”».

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Sr. Chiara Strapazzon, riguardo la virtù della prudenza del Fondatore, ha deposto: «Anche nelle confessioni voleva che fossimo brevi e spiccie. Diceva: “Non raccontante la storia del gatto e della gallina” Soggiungeva: “Durante le litanie si avrebbe potuto confessare tanti peccati quante sono le litanie stesse. L’importante nella confessione non è dire molte parole, ma eccitarsi ad un vero dolore”».

Come insegnante di teologia morale ai sacerdoti convittori. Al riguardo abbiamo una simpatica deposizione del can. G. Cappella, durante il processo diocesano: «Ricordo di aver sentito dire dai sacerdoti anziani [cioè, da quelli che avevano seguito le lezioni dell'Allamano] che, come insegnante, era molto chiaro e pratico. Poneva lo stato della questione; esponeva le varie sentenze, e concludeva esponendo quella che, come diceva egli, nostro Signore guadagnava di più, e che in pratica doveva seguirsi».

Apostolo della confessione

Il Fondatore non solo si era preoccupato di assicurare confessori abbondanti nel santuario (su questo punto le testimonianze sono numerosissime e molto lodative), ma ha amministrato in prima persona questo Sacramento, tanto da diventare modello anche come confessore. Ci domandiamo: con tutto quello che aveva da fare, come mai il Fondatore è stato presentato dai testimoni come un confessore sempre assediato da file di penitenti? Anche qui sentiamo l'entusiasmo di chi lo ha visto con i propri occhi.

Iniziamo dalla testimonianza del suo domestico Cesare Scovero, molto interessante per la semplicità: «[L'Allamano] dispose perché non mancassero mai i confessori, onde i fedeli potessero fruire del loro ministero. Ed egli stesso, ogni mattina, passava lunghe ore in confessionale, tanto che io che dovevo servirgli la colazione, rimanevo stizzito perché tante volte alle 9,30 egli era ancora in confessionale. Anche nel pomeriggio era assediato in camera da molti visitatori, sia ecclesiastici che laici, i quali venivano da lui, o per le confessioni, o per consigli. Ricordo che una volta un signore uscendo dalla sua camera tutto lieto, mi disse: “Sono venuto con dei quintali sullo stomaco e ne esco completamente sollevato e contento”».

Rispondendo alla domanda “ex officio”: «Se qualcuno dicesse che era assiduo al confessionale, ma soltanto per i ricchi e per le persone di alta condizione sociale, che cosa si dovrebbe rispondere?»: «Che ciò non è vero, perché ho visto io personalmente molti poveri recarsi da lui per confessione o per consiglio. Non rimandava mai alcuno; ma riceveva tutti con la stessa bontà e carità».

La testimonianza del can. G. Cappella, che era il suo aiutante diretto al santuario, svela molti aspetti interessanti. Ne riporto solo qualcuno: «Al mattino scendeva al santuario per la celebrazione della Messa, e si tratteneva fino a tarda ora per le confessioni. Nel tempo pasquale scendeva anche alle quattro o alle cinque secondo la stagione, per essere pronto a ricevere i numerosi penitenti che già assiepavano il suo confessionale».

«Lo zelo che dimostrò per il ministero delle confessioni, conferma quanto egli aborrisse il peccato e si adoperasse per salvare il peccatore. Modellato alla scuola del Beato Cafasso, suo zio, per il quale il confessare era l’occupazione continua, e il ministero che riteneva più utile per le anime, e perciò più meritorio, il Servo di Dio si prestava molto volentieri a confessare. Ancora negli ultimi anni, non era mai che si lagnasse di dovere fare ripetutamente le scale quando fosse chiamato a confessare. Confessava anche in camera sua, e nella sua cappella privata. Si sarebbe detto che quella del confessare, era per lui l’occupazione più gradita, tanto si dimostrava contento nel sentirsi chiamare a questo ministero, e molto più soddisfatto, dopo che aveva mandato in pace qualche anima. [...]. Non faceva distinzione di sorta nell’accogliere i penitenti; solo qualche volta, vedendo uomini, che dall’aspetto dimostravano premura, o ragazzi impazienti, li chiamava davanti al confessionale, e li mandava in pace.

Mons. E. Vacha, che è stato suo assiduo penitente: «Come confessore, il Can. Allamano si può dire sia stato un vero apostolo. Negli anni 1895-1897, quando fui al Convitto ecclesiastico, si vide non soltanto assiduo al confessionale, ma passarvi ore ed ore, al mattino e nel pomeriggio. Mi formai la convinzione che non fosse molto lungo nel confessare. Il suo confessionale era sempre assiepato da sacerdoti e laici, da ricchi e poveri, insomma, da ogni sorta di persone. Io mi confessai più volte da lui, durante il Convitto, poi da Vicecurato, e da Parroco. Il mio cuore ne provò sempre le più salutari emozioni. Sono persuaso che avesse il dono di tranquillizzare le coscienze, anche le più intricate e scrupolose».

Un altro suo penitente, almeno all'inizio, è stato il p. G. Barlassina: «Nonostante le sue molteplici occupazioni, non solo il Servo di Dio impartiva le direttive per il funzionamento del santuario, ma vi attendeva personalmente, ma soprattutto attendendo con grande assiduità al ministero delle confessioni. […]. Il suo confessionale era abitualmente assiepato da penitenti di ogni condizione, e di ogni gradazione sociale. Io stesso, da chierico approfittai del ministero del Servo di Dio, come confessore al santuario della Consolata, quando ancora io non pensavo ad entrare nell’Istituto. E posso attestare che la sua direzione mi aiutò molto per il mio progresso nella vita spirituale».

Fa piacere leggere queste testimonianze. Ce ne sono un numero incalcolabile e danno l'impressione che il nostro Padre fosse soprattutto un confessore. Non posso terminare senza riportare anche qualche frase di quella di mons. Filippo Perlo, che da giovane convittore vide il Fondatore nel pieno del suo ministero di confessore: «Egli stesso dava a questi [sacerdoti confessori] esempio continuo, passando lunghe ore ogni giorno al sacro tribunale di penitenza, nonostante che molte e certamente non lievi fossero le occupazioni sue quotidiane. Quando poi veniva chiamato per confessioni agli ammalati, il che accadeva frequentemente, con qualunque tempo, ed in qualsiasi ora e stagione, vi accorreva prontamente per essere strumento della divina misericordia. Il suo confessionale era continuamente assiepato di penitenti di ogni condizione sociale. Solamente quando saremo in Paradiso,  sapremo di penitenti di eccezione che usufruirono del suo ministero. […]. Ad anche quando noi insistevamo perché avesse qualche riguardo per la sua salute delicata, egli era irremovibile, e continuava imperterrito il suo ufficio di carità e misericordia».

La conclusione ce la fa il Fondatore, quando celebrava il 45° anniversario di sacerdozio: «Quante Messe! E poi tutte le Confessioni, tutti i Sacramenti che ho amministrato in questi 45 anni. Vi so dire che stamattina nella meditazione mi sentivo vivamente riconoscente al Signore per la vocazione che mi ha dato».

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi a Roma. Pensieri sul Fondatore organizzati per il ritiro della comunità di Casa Generalizia, sabato 13 aprile 2024.

Il primo studente, primo religioso, primo sacerdote e missionario dell’istituto Missioni Consolata, Pietro Paolo Albertone nacque a Torino il 3 gennaio 1894.

Mentre il Canonico Allamano stava progettando l’apertura di un Seminario per accogliere giovani studenti aspiranti missionari che alimentassero poi le file dei chierici dell’Istituto da lui fondato nel 1901, gli si presentava un giovane desideroso di offrire la sua opera in servizio delle missioni.

Il santo sacerdote accoglieva benevolmente quel giovane quindicenne, lo interrogava sulle condizioni di famiglia, sugli studi compiuti e sentito che il suo nome era Pierino, gli diceva: « Tu sei Pierino... allora tu dovrai essere la prima pietra del seminario che la Consolata vuole qui, in Torino ». E Pietro Paolo Albertone fu il primo studente, primo religioso, primo sacerdote e missionario di questa nuova fondazione missionaria che era l’Istituto Missioni Consolata.

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Missionari della Consolata a Tosamaganga  in Tanzania nel 1927. (I padri Bolla, Sciolla, Albertone, Oggè, Mauro, Becchio, Panelatti, Cagliero, Ferrero). Foto: Spairano

(Continua a leggere questa bella storia di vita e missione a cura di padre Pietro Trabucco, IMC, Castelnuovo don Bosco)

Ci sono diverse riflessioni di santi, beati e teologi sulla risurrezione di Gesù Cristo, perché è il fondamento della vita cristiana e la ragion d'essere della Chiesa nel mondo. Anche il Beato Giuseppe Allamano, Fondatore e Padre dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, ha riflettuto profondamente sul significato della festa della risurrezione di Gesù. Per lui, celebrare la Pasqua significava fondamentalmente questo:

Festa di resurrezione nel fervore

La Pasqua è una festa di risurrezione nel fervore. Il beato Giuseppe Allamano diceva: “Noi dobbiamo risorgere al fervore; non solo dal peccato, ma da tutte le debolezze. Conserviamo sempre il fervore che sentiamo in questa festa (Così vi voglio n. 71). Va notato che il fervore è il sentimento di intenso entusiasmo e ammirazione per qualcuno o qualcosa. Per il cristiano, è la resurrezione del fervore nella sequela di Gesù Cristo; imparare ad essere essere migliori discepoli e missionari di Gesù Cristo. I discepoli ferventi del Signore si manifestano nel vivere la risurrezione nella propria vita. E a questo proposito l’Allamano afferma: “Tutti dicano a se stessi: «Siamo risorti, non vogliamo più morire, vogliamo essere veri missionari, vere missionarie!” (Così vi voglio n. 71).

Un tempo per la pace

20240405PasquaAllamano3La Pasqua è un tempo per vivere in pace e per promuovere la pace agli altri, perché Cristo è il Principe della pace (Isaia 9,6). Dopo la risurrezione, Gesù ha dato agli apostoli il saluto di pace: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27). La Pasqua è un tempo per vivere in pace e per chiedere la pace per coloro che non ce l'hanno; un tempo per imparare da Gesù la pedagogia della pace. La pace è uno stato di benessere, tranquillità e stabilità; significa vivere in armonia senza guerre, conflitti e contrattempi. Secondo Sant'Agostino, la pace consiste nella tranquillità dell'ordine; quando l'ordine regna in noi e intorno a noi, godiamo di pace e tranquillità.

Sulla stessa linea, il beato Giuseppe Allamano afferma che “Bisogna quindi che ci sia la pace con Dio, compiendo la sua volontà; con noi stessi, evitando le distrazioni, regolando le passioni e liberandoci dai desideri inutili; e con il prossimo, soprattutto accettandone i limiti e trattando tutti bene” (Così vi voglio n. 72).

Gesù Cristo è il prototipo per eccellenza della pace, perché è la nostra pace (Ef 2, 14). Egli ci insegna la pedagogia della riconciliazione interpersonale anche nei momenti in cui sperimentiamo la violenza degli altri: “a chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica” (Lc 6,29). Gesù Cristo è il modello della riconciliazione dei popoli: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” (Gv 4,9). Il Signore ci insegna l'importanza della Parola di Dio come fonte inesauribile di pace per il mondo: “Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7,24). Così, la risurrezione di Gesù Cristo è la fonte inesauribile di pace, perdono e riconciliazione per tutta l'umanità.

Un tempo di gioia

La Pasqua è un tempo di gioia. Infatti, il beato Giuseppe Allamano diceva che lo spirito della Chiesa in questo tempo è uno spirito di gioia. Chi non partecipa a questa festa, chi non prova gioia nel suo cuore, non ha né cuore né spirito. Il fondamento della gioia dei cristiani è il Signore risorto. La Sacra Scrittura testimonia la risurrezione del Signore come fonte fondamentale della gioia. Le Scritture dicono che le donne tornarono dalla tomba vuota piene di paura e di gioia (Mt 28,8) e che i discepoli gioirono quando videro il Signore risorto (Gv 20,20). L'incontro di Cristo con i discepoli allo spezzar del pane (At 2,46) comunica loro gioia. La Chiesa è piena di fede gioiosa in Cristo (1Pt 1,8) e la gioia nel Signore è una delle sue caratteristiche fondamentali (FIp 4,4).

La gioia evangelica è una virtù che accompagna sempre i seguaci di Gesù Cristo e in modo particolare i missionari della Consolata. Dice Giuseppe Allamano: “Siamo allegri sempre, tutti i giorni e tutto l’anno. Il Signore ama e predilige le persone allegre. (…) Siamo allegri anche per riguardo al prossimo, di modo che non debba sopportarci, ma possa dire: «Questi missionari e missionarie hanno lasciato casa, parenti, tutto, eppure hanno sempre il cuore allegro!» (Così vi voglio n. 73).

La gioia contribuisce al bene degli individui e dei popoli. Una persona allegra supera sempre la tristezza, la disperazione e la malinconia. La gioia aiuta molto il missionario nella sua opera di evangelizzazione. Il beato Giuseppe Allamano sottolinea a questo proposito: "Se si vuole fare del bene, bisogna essere allegri: il prossimo ne resta edificato ed è attratto alla virtù. Uno può essere santo; ma se è tutto concentrato in se stesso, chiuso, fa paura e nessuno vuole avvicinarlo. (Così vi voglio n.  73) (...)  Vi voglio allegri. Bisogna stare bene di anima e di corpo. Io desidero che si conservi e si accresca sempre più lo spirito di tranquillità, di scioltezza, di serenità. Questo è lo spirito che io voglio: sempre gioia, sempre facce allegre! ((Così vi voglio n.74).

Conclusione

La risurrezione di Gesù è il più grande mistero della nostra salvezza. È il fondamento della nostra fede cristiana. Per questo, come credenti e discepoli-missionari di Gesù Cristo, dobbiamo vivere la festa della risurrezione con gioia, pace, perdono e riconciliazione con noi stessi e con il nostro prossimo.

* Lorenzo Ssimbwa, IMC, lavora con la popolazione afro nella diocesi di Buenaventura, Colombia.

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