I padri Stefano Camerlengo e Godfrey Msumange, Consigliere Generale per l'Africa, hanno potuto finalmente visitare la nuova missione del Madagascar, dopo due anni di tentativi andati a vuoto a causa delle restrizioni molto rigorose messe in atto da parte del governo del paese. Nella grande isola rossa dell'Oceano Indiano, che con i suoi 587.000 km² è la quarta più grande del mondo, lavorano fin del 2019 tre Missionari della Consolata: Jared Makori, Jean Tuluba e Kizito Mukalaz.

"Per ora, ricorda il padre Godfrey Msumange, abbiamo una missione a Beandrarezona, nella regione di Sofia a 1.124 metri sul livello del mare. Siamo nella diocesi di Ambanja, a mille chilometri a nord della capitale, in una situazione di missione ad gentes e un luogo in buona parte di prima evangelizzazione". La popolazione è di circa 25 mila abitanti distribuiti in 20 villaggi. La comunità cristiana più lontana è a 70 km da Beandrarezona ma, a causa delle montagne e della mancanza di strade, ci vogliono quattro giorni di cammino per raggiungerla. Il gruppo etnico più numeroso della zona è quello degli Tsimihety, piccoli agricoltori che coltivano riso, tabacco, arachidi, fagioli, mais e allevano bestiame.

Presenza di Consolatazione

Padre Msumange ricorda che "dopo aver studiato il francese e il malgascio, la lingua locale, i tre sacerdoti arrivarono alla Missione dove andarono a vivere in una piccola casa in affitto in mezzo alla popolazione. Hanno iniziato a studiare come organizzare la vita nel villaggio, senza dimenticare i villaggi remoti, difficili da raggiungere a causa della precarietà delle strade. Nella regione, i cristiani rappresentano solo il 3% della popolazione. Il primo lavoro è la formazione delle comunità, degli animatori e dei catechisti, ma poi anche la promozione umana: i missionari stanno lavorando alla costruzione e gestione di una scuola secondaria che non è mai esistita nel villaggio. L’educazione diventa così non solo uno strumento di promozione umana ma anche un mezzo indispensabile per l'evangelizzazione"

Parlando della visita il padre Stefano Camerlengo ha sottolineato la bellezza del Madagascar e della sua gente. "Sono molto accoglienti e quando parlano si percepisce una bontà che viene da dentro, molto educata e presente. È un Paese che potrebbe svilupparsi bene attraverso il turismo perché è circondato da un mare meraviglioso, ma si trova in una situazione molto precaria. Il malgoverno è un problema molto diffuso, la gente vive poveramente, le autorità politiche e sociali sembrano più preoccupate dei loro interessi che del bene comune. La rete stradale è quasi inesistente e soprattutto durante la stagione delle piogge, che dura sei mesi all'anno, le strade sono letteralmente impraticabili... così che la vita, e lo sviluppo, si arresta completamente.

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La chiesa in Madagascar

In Madagascar ci sono 22 circoscrizioni ecclesiastiche: cinque archidiocesi e 17 diocesi. I vescovi in questo momento sono 28 e fra di loro anche un cardinale arcivescovo attivo: Mons. Désiré Tsarahzana. Le forza pastorali in campo non sono poche: ci sono 1.747 sacerdoti (892 clero secolare e 855 religiosi), 2 diaconi permanenti, 1202 seminaristi, 735 fratelli, 133 membri di istituti secolari, 1703 missionari laici, 5.006 religiose consacrate, 14.395 catechisti. Il cristianesimo è arrivato in Madagascar nel XVI secolo con i Padri Domenicani, seguiti dai Gesuiti e dai Lazzaristi e, nel secolo successivo, dai missionari di San Vincenzo de' Paoli.

Non si tratta quindi di un cammino recente eppure, commenta Padre Stefano, "il lavoro è ancora molto grande. Da quello che possiamo vedere, in tanti aspetti si stanno muovendo i primi passi: non c'è una catechesi ben organizzata o una preparazione al battesimo consolidata. I sacramenti sono poco celebrati e la  gente non sembra molto interessata alla vita della cominità cristiana. Con una popolazione approssimativamente 25 milioni di abitanti, solo il 10% è cristiano". c'è tanto da fare, ma tutto questo appartiene chiaramente al carisma di noi Missionari della Consolata.

Una situazione missionaria Ad Gentes

Il Padre Generale sottolinea che la Missione di Beandrarezona, dove si trovano i Missionari della Consolata, è molto bella e impegnativa. "È una missione ad gentes con circa 20 comunità (villaggi) e circa 25.000 abitanti che conta per la prima volta con una presenza stabile di sacerdoti; prima la comunità era visitata dalla parrocchia vicina. 

La situazione nella quale vivono le famiglie dei nostri villaggi è molto povera e spesso priva di servizi  basici. Se per la posizione geografica l’acqua è abbondante in cambio l'elettricità arriva con difficoltà e l’assistenza sanitaria è garantita solo da un piccolo centro medico servito da una sola dottoressa, in questi giorni assente perché in vacanza con la sua famiglia.  In caso di emergenza, l'auto della missione, la sola presente nel villaggio, diventa anche ambulanza. Anche in questo modo si cerca di fare un po’ di consolazione. 

Soprattutto i giovani sembrano un po' abbandonati al loro destino e per questo i missionari hanno iniziato a costruire una scuola superiore per dare qualche strumento in più ai ragazzi che vivono quasi senza nessuna opportunità.

Ci sono molte difficoltà, ma anche molta gioia nel sentirsi veramente utili, protagonisti di una missione che sta nascendo. 

In questo momento si deve ancora costruire una casa per i sacerdoti e una cappella un po’ più grande, l’attuale è fatta di fango ed è piccola. Sappiamo che una struttura valida e significativa aiuta ad attrarre le persone.

A Beandrarezona ci sono anche quattro Suore Francescane di Notre Dame che lavorano in tre scuole primarie e secondarie. Vivono in una casa costruita dal vescovo e aiutano nella missione.

In sintesi, ricorda il padre Stefano, “questa è l'esperienza dei nostri missionari in Madagascar che vorrei condividere con voi, perché credo sia importante farla conoscere. Scrivendo all'amministratore della diocesi ho sottolineato che questa missione è un dono che abbiamo ricevuto e che vogliamo mantenere e curare. È davvero una missione che ci stimola e ci aiuta a essere sempre più disponibili e sensibili”.

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La prima visita canonica

Padre Jean Tuluba, che ha già lavorato a Roraima, in Amazzonia, è uno dei tre missionari della Consolata in Madagascar. Egli ritiene che “la visita canonica sia stata per noi un tempo di grazia, di incontro fraterno, di gioia, di rinnovamento, di condivisione delle gioie e dei dolori della missione; un tempo per progettare il nostro futuro sull'Isola Grande. Non è un mero adempimento formale, né un atto di controllo, ma un evento di grazia per tutti, un passaggio del Signore che viene a visitare il suo popolo per rivendicarlo e portarlo alla salvezza.

Abbiamo aspettato a lungo in questo momento, ma non è stato possibile a causa della pandemia di Covid-19. La gioia non era solo nostra, ma anche di tutta la gente della Missione di Beandrarezona che ha potuto vedere con i propri occhi il Padre Generale e la sua delegazione raggiungere questo territorio. Loro hanno visto  che i tre missionari non sono soli e che la Consolata è una grande famiglia presente in tutto il mondo”.

Il Madagascar

Con un’area di 587 mila Km2, il Madagascar è un'isola dell'Oceano Indiano con 4.800 km di costa marittima. Nel Paese si parla malgascio, francese e inglese. La sua capitale è Antananarivo, con 1,4 milioni di abitanti. L'aspettativa di vita è di 66,9 anni e nelle città vive il 26,81% della popolazione. Al di sotto della soglia di povertà vive cerca del 70% de la popolazione e l'acqua potabile è disponibile per il 10%.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Consigliere Generale per l'America.

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 Superiores regionais do Instituto Missionário da Consolata no continente africano estiveram reunidos no Quénia, para afinarem o projeto missionário continental e relançaram o trabalho de revitalização e reestruturação do Instituto a nível continental.

De 11 a 16 de maio realizou-se no Centro de Espiritualidade Bethany House de Sagana, no Quénia, a assembleia dos superiores do Instituto Missionário da Consolata (IMC) no continente africano: Quénia, Tanzânia, Congo, Costa do Marfim, Etiópia e África do Sul.
Além dos superiores regionais participaram no encontro os responsáveis dos secretariados regionais de Pastoral Ad Gentes e da Animação Missionária e Vocacional. No total eram duas dezenas de missionários orientados Conselheiro Geral para a África, o P Marco Marini.

Passos principais no caminho do Projecto Missionário de África: 2012-2015

Nos últimos quatro anos (2012-2015) houve cooperação entre os vários responsáveis de circunscrições e respectivos Conselhos a nível do continente. Coordenados pelo conselheiro continental, P. Marco Marini, os superiores de África reuniram-se a nível continental até hoje por quatro vezes: em Outubro de 2012 em Dar Es Salaam, Tanzânia; em 2013 em Sagana, Quénia; e em 2014 em Maputo, Moçambique e agora em Sagana, Quénia, de 11 a 16 de Maio de 2015.

Em todas estas reuniões tentou-se “sentir” a consciência continental, enfrentando os vários temas anunciados para os vários encontros.

Em 2012 procurou-se identificar e definir as prioridades do continente africano dentro do Projecto Missionário Continental devidamente contextuado, tratando de: Formação, Missão Ad Gentes, Animação Missionária e Vocacional, e Economia de Comunhão.

Em 2013 enfrentou-se o desafio do autossustento económico, com o objectivo de acabar com a situação de dependência que se acumulou durante as últimas décadas e reflectindo sobre os meios disponíveis para gerar receitas tanto a nível de circunscrição como de continente.

Em 2014 encarou-se o problema da Formação, com especial ênfase sobre os seus fundamentos. Era um assunto imperativo face ao consistente volume de candidatos que aqui se preparam em cada ano para se tornarem Missionários da Consolata e face aos desafios que este facto implica, não só a nível económico como a nível da identificação com o carisma IMC, com a Congregação como tal e com as exigências tradicionais da vida consagrada, sacerdotal e missionária. De entre todas estas, a maior talvez seja a tentação de homologar e importar um modelo formativo de vida e acção pastoral do tipo “clero diocesano”, em oposição ao modelo que as nossas Constituições exigem – ou seja, ad vitam, ad gentes (ou inter gentes), ad pauperes (por toda a vida, para os gentios para os pobres).

Encontro Continental de Sagana-2015.

Agora, em 2015, o encontro continental de Sagana teve como temas a Missão “Ad Gentes” e Animação Missionária Vocacional

O encontro teve como objetivo a elaboração de um Projeto Missionário para o continente. Os temas tratados foram os seguintes: restruturação do Instituto; o significado da missão ad gentes; a animação missionária.

O levantamento estatístico, preparado e apresentado, referente ao pessoal missionário, comunidades IMC e atividades realizadas (pastoral e promoção humana) em África demonstra como o processo de reestruturação dos Missionários da Consolata em África está já em curso.

O número de missionários, por exemplo, diminuiu de 360, em 1975, para 309 em 2015. Ao invés, os missionários da Consolata africanos, a maior parte deles a trabalhar no continente de origem, cresceram imensamente de sete, em 1975, para 280 em 2015.
A partir desta constatação, os participantes tentaram obter respostas para as seguintes questões: qual é o contributo ad gentes dos missionários africanos em África? De que modo a mudança geracional e de nacionalidade dos missionários em África implica alterações no modo de realizar a missão e a pastoral? Foram sublinhadas as quatro dimensões presentes na missão ad gentes: primeira evangelização, pastoral missionária, promoção humana e o diálogo inter-religioso.

Nas Igrejas locais de África, a animação missionária e vocacional é um campo aberto e que tem dado bons resultados. É necessário continuar com este empenho animando “ad intra” (dimensão missionária de cada batizado) e “ad extra” (participação na missão ad gentes) as igrejas locais, às quais somos chamados a oferecer um serviço qualificado de formação de todos os seus membros: sacerdotes, seminaristas, leigos.

Conferência Missionária Internacional

Os participantes do Conselho continental tomaram parte nos trabalhos da Conferência Missionária Internacional realizada entre 19 e 21 de Maio no anfiteatro da Universidade Católica da África Oriental, em Nairobi. Esta Conferência Missionária organizada pelos Missionários da Consolata, para celebrar os 110 anos da Conferência Missionária de Muranga. O tema do encontro – «Evangelizar em África: Comemorar e redefinir a nossa identidade e missão no mundo de hoje» – resume o conteúdo dos assuntos em debate. Como em Muranga, em 1904, os Missionários da Consolata sentiram a necessidade de definir uma estratégia missionária para melhor responder às exigências colocadas pela missão entre o povo Kikuyu, assim também hoje, a Igreja do Quénia e de África em geral, estimulada pela reflexão destes dias, foi ajudada a redefinir a sua missão de modo a responder aos desafios pastorais do mundo atual.

O encontro em Tuthu: ir às origens para construir o futuro

Depois das cerimónias da beatificação da Ir. Irene Stefani, os Missionários reuniram-se em Sagana no dia 25 de Maio em Sagana para a avaliar os trabalhos da Conferência Missionária Internacional de Nairobi e colher as propostas do Continente africano para o Projecto Missionário de revitalização e reestruturação do Instituto.

No dia 26 de Maio viajámos até Tuthu, passando por Muranga, percorrendo as pegadas dos primeiros missionários da Consolata que aqui chegaram em 29 de Junho de 1902. Os superiores das circunscrições de África reuniram-se com a Direcção Geral. O Superior Geral, P. Stefano Camarlengo, agradeceu o trabalho realizado em áfrica pelos missionários da Consolata nos diferentes países onde estão presentes. Hoje, mais do que nunca, o futuro do Instituto e da sua missão passa pela África e pelos missionários aqui presentes e espalhados pelo mundo. Foi uma ocasião para os presentes recordarem o compromisso de animar os missionários no estudo e implementação do projecto de revitalização e reestruturação do Instituto. Revitalizar a nossa identidade missionária não perdendo de vista a missão ad gentes, qualificar a formação nos seminários através de equipas formativas preparadas e consistentes e sobretudo animar os jovens em formação para a missão no continente asiático.

Partido da experiência missionária na missão de Tuthu, entre 29 de fevereiro a 3 de março de 1904, os primeiros missionários chegados ao Quénia elaboraram o método evangelizador «consolatino» que produziu frutos abundantes em África. Respondendo aos desafios do momento presente, os Missionários da Consolata são desafiados a realizar um projecto missionário adaptado à realidade sócio-pastoral da África de hoje. Que a visão e o espirito de missão dos nossos primeiros confrades nos inspire e anime. Na memória e na profecia.

E tu, Marandallah…

E tu, Marandallah, terra do Bere,
de modo nenhum és a menor entre
as vilas africanas porque, do teu silêncio,
brota a música
que ecoa por toda a terra.”

Muitas vezes, não temos consciência da força e do poder que pequenos objectos têm ao serviço do espírito humano. Uma caneta, um lápis, uma folha de papel... Poder inesgotável. Sem medida. Sem limites. Ou talvez não. Diante de mim, trava-se uma batalha inédita por um grupo de mulheres, na sua maioria vindas das comunidades rurais mais pobres do norte da Costa do Marfim, que agarram o giz com a mesma força com que agarram o cabo da enxada quando penetram ou rasgam a terra. Sobre um pedaço de madeira abrem sulcos, cavam covas, semeiam grãos. A cena é divertida mas também dramática. Faz rir e dá vontade de chorar. Desenham o limão mas não sabem que é um “o”; desenham o pilão mas não sabem que é um “l”; desenham o grão de milho mas não sabem que é a ponta do “i”; desenham a metade da cabaça, mas não sabem que é o “c”, ou o “u” ou... A sua alegria por esboçar uns sarrabiscos torcidos é imensa. Parecem crianças exaltadas, empurrando-se umas às outras para mostrarem a todos as letras deformadas, acabadas de sair do forno das suas habilidades. Ao olhá-las, sinto um aperto imenso no estômago por me dar conta que, a maioria delas, nunca aprenderão a ler e a escrever mesmo que a sua vontade seja tanta. Foram convocadas para um encontro de sensibilização e formação de três dias sobre a importância da alfabetização para o seu próprio desenvolvimento. A festa culmina com a celebração do dia mundial da mulher, cuja tradução em língua local está a ser ensaiada. A maioria delas é a primeira vez na vida que se sentam numa cadeira com um lápis e um caderno nas mãos. Mas a vida está cheia de mistérios. Quando um grupo de mulheres se encontram, o resultado e as consequências podem ser imprevisíveis O que está a acontecer aqui neste momento, na sua forma rude e simples, pode ter na vida destas mulheres o mesmo impacto que teve para a humanidade a descoberta do fogo, da roda ou do espaço. O caminho a percorrer é também ele longo e árduo mas é possível Não sabem ler nem escrever mas têm consciência que, a alfabetização, é o remédio contra a cegueira que as domina, essa doença social causada pela indiferença e agravada pelo egoísmo. Não pedem muito. Pedem apenas que alguém lhes dê um pouco de atenção e as ajude a desenhar, pelo menos uma vez na vida, as letras que compõem os seus nomes: “Soro”, “ Yeo”, “Tuyo”. Uma vez na vida.

Marandallah, esta pequena vila do outro lado do mundo onde os credos e as raças se misturam numa convivência pacífica, é uma terra abençoada. Cada parcela de terra onde há vida é sempre abençoada mas aqui, a vida é abundante. Expande-se sem limites, multiplica-se sem cessar. É uma maternidade a céu aberto. Mas esta vida que cresce e se multiplica, que é abençoada, é também ameaçada. As razões são muitas e todas justificadas. São internas e externas. Humanas e sociais. Geográficas e históricas. Políticas e religiosas. A maioria das pessoas não conhece uma letra. A sua escola é a terra e os seus mestres são as abelhas, os pássaros e as formigas. O instinto de defesa e a necessidade de sobrevivência impõem leis associadas ao clima. Fraternas e amigáveis quando a chuva é abundante, rudes e agressivas quando os poços secam. A autoridade local, exercida por chefes tribais e religiosos perdidos no tempo, concentra-se nos “Timoté” e nos “Teoté”, detentores de rituais e tradições antigas em pleno acasalamento com as motas, os telefones celulares e a energia eléctrica recém chegada. Não imaginam o dia em que nasceram mas tem a certeza que o seu funeral será grandioso. A atmosfera que envolve esta parcela do mundo, aparentemente calma, está carregada de forças invisíveis que arrastam as pessoas para barrancos onde as trevas devoram a luz e a razão é tragada pelo medo. A religião predominante é o Islão e convive, sem esforço, com o sincretismo e todo o tipo de celebrações onde se canta e dança. As mezinhas e raízes, sem necessidade de receitas, passam ao lado do centro de saúde e esticam a vida até onde podem. A astúcia rivaliza com a honestidade e, os mais esclarecidos, fazem-se honrar e pagar pelos bons conselhos que dão ao povo. A cadeira do Chefe do Cantão é um monumento e a sua palhota uma aula magna onde os saberes se misturam. Todos lá vão parar: Imanes, pastores, adivinhos, médicos tradicionais, curandeiros, charlatães, comandantes, perfeitos e sub-perfeitos. Todos homens. Que riqueza. Mas a riqueza deste povo são as mulheres. Sabem rir e chorar, servir e não servir-se, sofrer e amar e sabem também sorrir e brincar porque a vida, sobre tudo por aqui, é demasiado curta para não ser levada a sério.

Não é aconselhável chegar a Marandallah sem se apresentar e partir sem se despedir. Seria como um desprezo, uma indelicadeza, quase um insulto à natureza, aos espíritos dos antepassados, às instituições presentes. Passar por Marandallah quer dizer, tomar consciência da própria existência. Ser apresentado, escutado, cumprimentado. Para uns, a coreografia pode parecer insólita, exagerada ou até mesmo cómica, para outros, simplesmente “surpreendente”, “estupenda”. As perguntas que compõem o ritual são baldeadas de pessoa para pessoas segundo a categoria e quase todas simples e inofensivas. Não é necessário espantar-se se algum dos chefes locais perguntar se a França fica na América ou se os brancos são todos inteligentes. A inocência aqui é mesmo pura. O mundo existe até onde chegam os olhos e, para o chefe muçulmano local, o seu rosto é o de uma criança quando exibe aos estrangeiros o presente que recebeu à mais de 30 anos duma maquete em ferro fundido da “Notre- Dame” de Paris e o mesmo lhe passa quando nos convida à mesquita e nos pede para rezar e abençoar toda a assembleia.

Na maioria das viagens que faço à capital e outras vilas maiores, quando falo de Marandallah, as pessoas perguntam: “Mara..o.. quê?” ou, “Onde é isso?”. Ao escutar tais perguntas, a resposta que me sai espontânea é: “se tu soubesses...!». No tempo que levo com esta gente, quase quatro anos, não parei de aprender e, de uma forma ou de outra, estou marcado. As marcas são invisíveis, mas não por isso menos intensas e profundas. Para conhecer um povo, é necessário amá-lo mais que compreendê-lo e, para amá-lo, é necessário escutá-lo e contemplá-lo. É necessário diluir-se no seu ser, correr nas suas veias, morrer e ressuscitar na sua alma. Mas amar, é também deixar-se amar. No “Jardim da Amizade”, ícone natural da fraternidade que cresce nesta terra, o silêncio da Virgem de Fátima que contempla o tronco de madeira onde Jesus se dá a todos de braços abertos, é a imagem que melhor se ajusta a este povo: não um povo esquecido ou desconhecido, mas um povo que existe e se comunica através do silêncio. O silêncio é uma atitude humilde e nobre ao mesmo tempo. A dor manifesta-se pelo grito como direito à própria existência; o sofrimento, pelo silêncio como transcendência dessa mesma existência. Por isso mesmo, o sofrimento deste povo não é triste. Se o sofrimento de Maria que contempla o seu filho neste jardim está animado pela dança de árvores exóticas ao ritmo do canto exuberante dos pássaros, o sofrimento deste povo está animado pela dança interminável ao ritmo de vozes misteriosas. Tal como as árvores e os pássaros, dançam e cantam apenas por puro deleite.

 São elas, as mesmas mulheres que há algumas horas atrás pareciam crianças a exibirem as suas primeiras letras sobre um pedaço de madeira, que agora cantam e dançam consoladamente à volta duma árvore imensa onde a Virgem de Fátima construiu o seu ninho. Em compasso, deslizam à direita e à esquerda, rodopiam e, passando á frente da Virgem, levantam para ela os braços e lhe dizem “Ninguém é pobre quando tem uma mãe como tu!”. Dentro de algumas horas, regressarão a si mesmas a pé ou transportadas por uma moto-triciclo em que cada buraco da pista será motivo de tantas gargalhadas. Para trás, ficarão momentos únicos de alegria por terem tido a oportunidade de se encontrarem durante o dia, de se olharem ao espelho durante a noite e de saberem que há um dia por ano para as mulheres. A partir de agora, o pedaço liso de madeira será substituído pelo campo áspero e sem limites, o pau de giz pelo cabo da enxada, o limão voltará a ser limão e o mesmo se passará com o pilão, o grão de milho ou a metade da cabaça. Já não terão mais tempo para o jogo do sapo, do futebol ou para os passeios pelas ruas da vila sem fardos à cabeça. Tudo será esquecido rapidamente. Tudo, excepto o que não se pode esquecer.

Aquilo que é autêntico, jamais poderá ser esquecido e, muito menos, gravado sobre um pedaço de madeira: pertence ao silêncio e, o silêncio, não se diz nem se escreve. Ninguém é mais do que ninguém só porque ensina nas universidades ou recebeu o prémio Nobel por desvendar a cadeia do ADN ou a composição dos anéis gelados de Saturno. Este povo e, sobre tudo, estas mulheres, nunca foram à escola mas estão cheias de dignidade, de sabedoria, de segredos infinitos. Para os desvendar, é necessário aprender uma nova linguagem que não pode ser escrita nem pronunciada, mas apenas sentida pelo coração daqueles que acreditam. A fé tem muito poder. O poder deste povo, destas mulheres, é a sua fé, o seu silêncio. É esse silêncio que elas guardam que um dia gostariam de nos comunicar. Oxalá as pudéssemos escutar.

Marandallah, 13 Março de 2015

Os participantes do 4º Simpósio de Missiologia que acontece esta semana em Brasília (DF), voltaram um olhar para a África. O evento faz memória dos 50 anos do Decreto conciliar Ad Gentes sobre a missão e sua recepção na diversidade dos continentes. Para apresentar a caminhada pós-conciliar na África, o Simpósio recebeu, na manhã desta quarta-feira, 25, dom Luiz Fernando Lisboa, bispo brasileiro da diocese de Pemba, Província de Cabo Delgado, região norte de Moçambique.

 “África não é só pobreza. É neste continente que se encontram os vestígios da humanidade. O povo é forte e culturalmente rico e com uma história apreciável. A terra è riquíssima em recursos naturais e a Igreja tem grandes santos e doutores, além de milhares de mártires”, afirmou dom Luiz Fernando, CP, missionário Passionista, em Moçambique desde 2001. Natural de Valença (RJ), ele voltou ao Brasil em 2009 e, em junho de 2013, foi nomeado bispo de Pemba, diocese de 82.000 Km2, com 22 paróquias e mais de 800 comunidades. Lá atuam 115 missionários entre padres, religiosas, religiosos, leigos e leigas com formação.

Ao apresentar a realidade africana o bispo observou que quando se fala da África, normalmente o continente é visto como um único país. No entanto, trata-se de 55 países com uma variedade de povos e culturas. “A Europa simplesmente repartiu o vasto território entre alguns de seus países. A grande maioria dos países africanos alcançou a sua independência nas décadas de 1960, 1970 e 1980. São todos estados novos e cheios de riquezas naturais e, ao mesmo tempo, com os maiores índices de pobreza do mundo”.

Em sua análise, o bispo de Pemba destacou os grandes desafios enfrentados pelas populações africanas, como a qualidade da educação e saúde, a falta de água e saneamento, a desnutrição e as doenças, entre as quais, a malária, AIDS, dengue e ebola. Lembrou também, dos conflitos. “As influências do Estado Islâmico e a onda de fundamentalismo são evidentes em muitos países do norte”. Segundo dom Luiz Fernando, as condições de desenvolvimento humano em África estão melhorando, mas há muitos países atrasados. “A pobreza está gradualmente a diminuindo com melhoras na educação e na saúde, mas a exclusão persiste, resultando num acesso desigual às oportunidades econômicas e sociais”.


 O assessor recordou as migrações forçadas e citou o caso de Lampedusa, na Itália, onde “o papa Francisco disse ao mundo, que é urgente e necessária uma proximidade aos imigrantes que buscam uma vida melhor, que fogem de seus dramas. Ao acolher os habitantes da Ilha de Lampedusa dão um exemplo ao mundo”.

Dom Luiz Fernando sublinhou o esforço do Decreto conciliar Ad Gentes na valorização das Igrejas locais nas diversas culturas. “É necessário que em cada grande espaço sociocultural, se estimule uma reflexão teológica... As tradições particulares e qualidades próprias de cada nação, esclarecidas pela luz do Evangelho, serão assumidas na unidade católica” (AG 22).

Para mostrar que desde o início do cristianismo a África teve uma participação significativa nomeou doutores e escritores africanos dos primeiros séculos: Orígenes, Santo Atanásio, São Cirilo (Escola Alexandrina), Tertuliano, São Cipriano e Santo Agostinho que nasceu em Tagaste, hoje Argélia. “A Igreja já teve três papas africanos: Victor I, Melquíades e Gelásio I”, completou o bispo para, na sequência constatar que a reflexão teológica sobre a Igreja em África se intensificou no período pós-independência de seus países, a maioria a partir de 1960 e, sobretudo, com as novidades eclesiológicas geradas pelo Concílio Vaticano II.


 A Igreja na África realizou dois sínodos, ambos em Roma. O primeiro foi em 1994 como o tema, “A Igreja em África e a sua missão evangelizadora rumo ao ano 2000”. O outro aconteceu em 2009 e versou sobre a reconciliação, justiça e paz. A Exortação Apostólica pós-sinodal Africae Munus afirma que “é preciso reservar uma atenção preferencial ao pobre, ao faminto, ao doente, ao prisioneiro, ao migrante, ao refugiado, ao desalojado” (AM 27). Propõe também, “que cada um se torne cada vez mais apóstolo da reconciliação, da justiça e da paz” e que a Igreja em África seja “um dos pulmões espirituais da humanidade”, sublinhou dom Luiz Fernando.

Segundo ele, a Igreja na África é ainda muito “dependente, romanizada e estrangeira”. A diocese de Pemba, por exemplo, tem 35 seminaristas e depende da ajuda que vem de fora para suas necessidades administrativas. “Contudo, há alguns passos de africanidade na reflexão teológica, na liturgia e na inculturação da fé, apesar do longo caminho a percorrer”, ressaltou.

Para mostrar a recepção do Concílio em Moçambique, dom Luiz Fernando resgatou as decisões das três assembleias nacionais de Pastoral realizadas no país. A primeira, em 1977, propôs “uma Igreja não mais triunfalista, mas despojada e pobre, em renovação interior, de base e de comunhão, inserida nas realidades humanas e fermento da sociedade; uma Igreja que opta pelas Pequenas Comunidades Cristãs; uma Igreja que se propõe a desenvolver uma comunhão eclesial em todos os níveis e principalmente uma Igreja ministerial”.

A segunda Assembleia de Pastoral aconteceu em 1991 e reafirmou a ministerialidade. Pediu também, uma passagem do modelo colonial piramidal e clerical para um modelo circular e participativo. Por fim, em 2005, a terceira Assembleia escolheu como prioridades, “a formação dos agentes de pastoral, a Pastoral Juvenil, a Pastoral Litúrgica, a Pastoral da Família, as Pequenas Comunidades Cristãs, inculturação do Evangelho e autonomia Econômica”.


 Dom Luiz Fernando louvou a presença de missionários e missionárias brasileiros na África. Em Moçambique, em particular, estes já representam o maior número de missionários estrangeiros. Contudo, há uma preocupação para qualificar melhor essa presença.

Como proposta, dom Luiz Fernando pede uma maior cooperação entre países, Igrejas, universidades e não uma nova colonização. “Uma Igreja ‘em saída’ que partilha e recebe, disposta também ao sacrifício. Uma Igreja com os pés descalços para tocar a cultura, aprender a língua, disposta a recomeçar; que dialoga sem superioridade, mas como igual. Missão é sair e isso significa ter compaixão, partilhar, aprender e crescer”, completou o bispo.

Promovido pelo Centro Cultural Missionário (CCM) e a Rede Ecumênica Latino-americana de Missiólogos e Missiólogas (RELAMI) o evento reúne 55 pessoas entre, docentes, teólogos, pesquisadores, representantes de instituições missionárias e agentes de pastoral do Brasil e convidados de Moçambique e do México. A programação que começou nesta terça-feira, 23, se estende até sexta-feira, 27.

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10-12-2024 I missionari dicono

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Non appena abbiamo saputo la data della canonizzazione del nostro Fondatore, il nostro Superiore Regionale, padre Clement Gachoka, è andato...

«La vita è appesa a un filo». Campagna solidale in America Latina e Caraibe

09-12-2024 Missione Oggi

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È stata presentata nella Sala Stampa della Santa Sede questo lunedì, 09 dicembre, la campagna di solidarietà dal titolo "La...

Essere Fratello: una vocazione appagante

09-12-2024 I missionari dicono

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Infiammato dal suo zelo apostolico e avendo compreso la missione della Chiesa, San Giuseppe Allamano si interessò al mondo intero...

Il Papa: in un tempo di guerre e seduzioni digitali, affidiamo a Dio ogni speranza

09-12-2024 Notizie

Il Papa: in un tempo di guerre e seduzioni digitali, affidiamo a Dio ogni speranza

All'Angelus dell'Immacolata Concezione, il Papa si sofferma sullo sforzo diffuso di possedere e dominare, sulla fame di denaro, sul desiderio...

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