Presente e futuro vanno assieme tradotti in “già e ancora no”.
Ml 3,19-20. Il Profeta soffriva di constatazione pessimista al massimo: a servire il Signore non si guadagna niente.
2 Ts 3,7-12. La regola di condotta è: non dimentichiamoci del futuro quando ci preoccupiamo del presente e non dimentichiamoci del presente quando ci preoccupiamo del futuro.
Lc 21,5-19. Che la storia umana finisca è certo. Tutto passerà perché tutto è provvisorio, meno il Regno di Dio. C’è un fine della vita per ognuno di noi, un incontro con il Signore risuscitato per vivere già, partendo dal futuro, l’incontro pieno e definitivo
Sta finendo l’anno liturgico. Si completa un ciclo di insegnamento, di esperienza, di pratica cristiana, ma ci sentiamo abbastanza lontani da una definizione di futuro vero. La consegna di Gesù è: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”. La traduzione è difficile. In latino suonerebbe così: nella vostra pazienza avrete il possesso delle vostre anime. Chiediamo al greco che ci da il valore esatto della parola; dice così: con la vostra “upomone” guadagnate le vostre anime. E’ una pazienza che arriva alla resistenza nonostante un lavoro pesante, nonostante una prova che ti fa soffrire, nonostante un periodo di circostanze dure e sfavorevoli. Uno resiste quando avrebbe voglia di piantare lì tutto e arrendersi all’evidenza che è impossibile superare il problema. Diventa capacità e potere di restare vigilante e attivo, impegnato e responsabile. “Upomone” vuol dire che io so come va a finire la cosa e continuo ad avere fede nonostante tutto; mantengo viva e accesa la speranza ottimista nonostante tutto; contro vento e bufera non abbandono il posto. Secondo me la parola “upomone” che traduciamo come un insieme di pazienza-perseveranza-resistenza, descrive bene il senso che sappiamo dare alla parola “utopia”. Di fronte ai segni tristi e scoraggianti e a volte anche disperati, che incontriamo nella società umana e perfino in servitori ecclesiali che sono stanchi di essere fraintesi, accusati a piè sospinto, travisati perfino nelle intenzioni e falsati e stravolti addirittura quando si fa il bene, la risposta è ricuperare la “utopia” che vuol dire attuare con speranza e gioia nel futuro di Dio. Utopia è credere che il futuro della umanità esiste già e si chiama Gesù. Si ricupera l’utopia quando si crede che le cose possono cambiare e si pensa che è possibile trasformare la nostra situazione e arrivare a godere una vita più umana, più fraterna, maggiormente piena di amore.
Si ricupera l’utopia quando non mi lascio scoraggiare se vedo le stesse cose di sempre: le stesse persone, le stesse guerre; gli stessi tiranni, le stesse catene, gli stessi schiavi; le stesse proteste, gli stessi farsanti; gli stessi maestri e gli stessi poeti. Ricupero l’utopia quando apro un orizzonte nuovo per uno che era escluso, e invento parole nuove per chi doveva stare zitto, e dipingo sorrisi sul volto di un bambino speciale che si guarda nello specchio e dice: allora son bello anch’io; e nello sguardo di un ammalato faccio scaturire il sorriso di chi ha trovato un amico, uno che gli vuole bene nonostante non si veda nessun futuro; e disegno felicità parlando della tenerezza di Dio; e porto luce chiara ai genitori che vivono con un figlio speciale e assicuro che il “dopo di noi” non è più incubo ma futuro sorridente.