«Vi annunzio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore» (cf. Lc 2, 10-11)
Anche in alcuni presepi meccanici, tutto si ferma al momento della nascita di Gesù, presi da stupore sovrumano. E’ la magia sempre rinnovata, anche dal punto di vista umano, del Natale. E’ il grande evento che ha solcato e dà senso a tutta la storia umana, alla vita di ogni essere umano, e coinvolge anche tutto il creato, cielo, terra, angeli, santi e peccatori: «gioiscano i cieli, esulti la terra», «gioiscano le isole tutte», «acclami al signore tutta la terra». Tutti sono invitati e si sentono spinti a seguire i pastori verso la grotta dove si trova un bambino. E’ il mistero di un Dio, spesso invocato con termini terrificanti, che si presenta nel volto mansueto di un bimbo. Cresciuto darà la grande rassicurazione: «Non abbiate paura!». Egli è l’Emmanuele, “Dio-con-noi”, che garantirà: «Io sarò sempre con voi». E’ nato a Betlemme per non lasciarci più soli, abbandonati a noi stessi, al caso o al “destino”: egli si fa nostro compagno di viaggio. Facendosi uno di noi, ha stretto con l’umanità un vincolo così saldo che nulla potrà spezzare, eccetto che siamo noi a volerlo. A tutti viene rivolto l’invito di Isaia: «Prorompete il canti di gioia» perché nel mistero del natale l’umanità creata “in modo mirabile”, è rinnova e redenta “in modo ancora più mirabile”, è innalzata fino a Dio: «nel mistero adorabile del natale, egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta» (pref. II).
Nel volto del figlio di Maria risplende il volto del Padre, non soltanto perché da lui generato, ma perché ogni essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio. In ogni essere umano si deve riconoscere il suo volto, da rispettare, difendere e, soprattutto, amare. Per questo, grande è la gioia del Natale, forte il richiamo al rispetto della vita e della dignità di ogni essere umano. Deturparlo è offendere Dio; difenderlo e curarlo, farlo crescere, è massimo onore dato a Dio. Gia il grande Ireneo di Lione, nei primi secoli del cristianesimo, ha racchiuso queste verità in una formula divenuta classica: «Gloria di Dio è l’essere vivente».
A noi cristiani, ai quali è dato di conoscere la benignità e l’amore di Dio per l’umanità, è chiesto: «Annunziate di giorno in giorno la sua salvezza, in mezzo ai popoli narrate la sua gloria, a tutte le nazioni dite i suoi prodigi» (salmo). Il dono del natale deve giungere a tutti, in ogni tempo e in ogni luogo, in modo che si possa dire con verità: «tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio»: è la meta prospettata nell’avvento, realizzata con la nascita di Gesù, da attuare ulteriormente con l’estensione a tutti della conoscenza di lui e del suo messaggio. I pastori sono stati i primi a farlo: dopo aver visto la gloria di Dio riflessa sul volto del bambino, «se ne tornarono glorificando e lodando Dio per quello che avevano visto e udito». Così è per quanti incontrano veramente il Signore. Noi ora incontriamo Cristo nei suoi misteri. La celebrazione delle feste dell’anno liturgico devono produrre una profonda esperienza di Dio, che suscita l’urgenza di testimoniare e annunciare. Testimoniare un vero amore per ogni essere umano, soprattutto per i più bisognosi, i deboli, gli indifesi. Dall’amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo. L’annuncio, impegno di sempre e di tutti i battezzati, diventa particolarmente vincolante ora, proposto con forza come parte del programma per l’inizio di questo millennio dell’era cristiana. Giovanni Paolo II si augurava: «Gesù risorto, che si accompagna a noi sulle strade, lasciandosi riconoscere come dai discepoli di Emmaus… ci trovi vigili e pronti a riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annuncio: “Abbiamo visto il Signore!”» (NMI 59). Un cammino che comincia con i pastori, prosegue con i magi, si rafforza nei testimoni della risurrezione, attraversa i secoli successivi e continua anche oggi nei contatti quotidiani di ogni battezzato e nell’azione dei missionari. Occorre riscoprire la gioia dell’incontro, sperimentata dai pastori, da cui proviene la voglia di manifestarla a altri.
P. Gottardo Pasqualetti, imc