XXI Domenica T.O. - C

Pubblicato in Domenica Missionaria
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Le letture di questa domenica ci fanno respirare aria di universalità e di missione.

La prima lettura che conclude il lungo libro del profeta Isaia ci offre la visione del grande progetto di Dio sull’umanità: “Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria”. Questo è il sogno di Dio: fare di tutta l’umanità il suo popolo santo, radunato nel suo nome. Da questa grande assemblea Dio sceglierà alcuni e li manderà “ad annunziare la mia gloria alle nazioni”. (Parole care alla storia del nostro istituto...) E’ interessante notare come questi nuovi missionari saranno scelti fra pagani convertiti alla fede di Israele. Certo il luogo di questa grande assemblea non poteva essere per Isaia che Israele e la sua capitale Gerusalemme.

Tuttavia in questo brano c’è tutta la dinamica della missione: Il piano di Dio, la mediazione umana, lo scopo da raggiungere: formare un’umanità radunata nel nome di Dio.

Il nostro fare missione, lo stile di una comunità cristiana dovunque essa si trovi non può che fare proprio questo progetto di Dio. Guai alla comunità che si costruisce solo a partire da se stessa o che si ferma alle proprie ristrette situazioni, sarà condannata ad una lenta morte per asfissia. Sana sarà invece la comunità che pur riconoscendo i propri bisogni e le proprie urgenze sa guardare oltre se stessa perché lo sguardo di Dio è sempre uno sguardo ampio e universale.

Il vangelo di Luca riafferma la grande visione di Isaia completandola.

Qui il missionario per eccellenza è Gesù stesso che guarda caso non ha mai costruito sinagoghe, luoghi di culto o strutture assembleari ma “passava di città e villaggi insegnando” senza perdere di vista la sua meta, Gerusalemme. Ogni missionario (ma anche ogni comunità cristiana) davanti a questa breve ma significativa annotazione di Luca ha un ampio spazio di riflessione e di confronto. Poi la domanda posta da un anonimo: Sono pochi quelli che si salvano? Molti si saranno aspettati una risposta del tipo: “Certo il popolo di Israele per primo e poi tutti coloro che sono a lui vicino...”. Ma qui Gesù, come sovente fa, nella sua risposta scombussola attese e sicurezze diffuse nella pratica religiosa del tempo.

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La salvezza non si riceve per eredità o per appartenenza etnica, culturale o religiosa a un dato popolo, fosse questo anche il popolo della promessa.. Non pare ci si salvi neanche perché si fanno “le cose di Dio” (Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza...). Bisogna invece appartenere a Dio e vivere secondo lo stile di Dio, quello stile che dalle Beatitudini in poi Gesù ci ha indicato nel Vangelo con le sue parole, i suoi gesti e la sua vita. In questo senso la possibilità di fare parte del regno è data a tutti senza esclusioni. E allora “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno per prendre posto al banchetto nel Regno di Dio”. E la sorpresa sarà che i più lontani o ritenuti tali si siederanno ai primi posti.... e quelli che si ritenevano bravi e buoni frequentatori delle cose di Dio ne potrebbero essere esclusi. Tutto il brano è una domanda posta allo stile di vita di una comunità cristiana e la mette in guardia da facili sicurezze. Ogni giorno della nostra vita siamo invitati a rinnovare il nostro appartenere a Dio.

Finalmente arriviamo al brano di Paolo agli Ebrei. Lo scenario in qualche maniera cambia e dalla grande visione di Isaia e del brano del Vangelo, Paolo ci conduce per mano dentro la pedagogia di Dio, il Padre che vuole educare i figli, secondo il concetto biblico “l’istruzione attraverso la correzione”. Il filo rosso di questo e dei brani precedenti è la fede. Con fede Paolo ci invitava domenica scorsa “a correre tenendo fisso lo sguardo su Gesù” mentre oggi ci invita ad accettare le prove della vita quasi come una pedagogia applicata di Dio, che ha cura dei figli.

Come la vita che, allora come adesso, è fatta di prove, così è la fede. La prova può essere occasione di scoraggiamento, di fatica, di caduta. Ma se vissuta con fede, dice Paolo, è un momento di purificazione, di fortificazione ma anche di consapevolezza che Dio ti ama anche e sopratutto attraverso la prova. (v. 8 “se siete senza correzione...siete bastardi, non figli”).

Tre idee in sintesi per ogni comunità cristiana e per noi missionari:

- Avere sempre lo sguardo di Dio: ampio e universale

- Il regno di Dio è per chi appartine a Dio e opera secondo Dio

- Nella vita e nella fede le varie prove che ci possono essere sono segno dell’attenta paternità di Dio per ciascuno di noi.


Is 66, 18-21;
Sal 116;
Eb 12, 5-7.11-13;
Lc 13, 22- 30
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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