Natale del Signore - Anno A

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Dio sulla mangiatoia


Le prime Letture delle messe odierne (Is 9,1- 3.5-6; Is 62,11-12; Is 52,7-10) riecheggiano la grande gioia di questo Giorno Santo perché, come ci annunciano le seconde Letture (Tt 2,11-14; Tt 3,4-7; Eb 1,1-6), Dio stesso da oggi è in mezzo a noi nel suo Figlio Gesù Cristo. Ma per cogliere la sua Presenza, perché questo evento sia davvero “per me oggi”, perché anche noi possiamo dire di avere oggi “visto la sua gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14), dobbiamo fare obbedienza ai segni che la Parola ci presenta.

Innanzitutto Gesù si pone fin dalla nascita tra gli ultimi, tra gli emarginati. Gli angeli proclamarono la sua povertà come segno messianico: “Oggi vi è nato... un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,11-12). Notiamo subito come Luca usi termini “crudi”: “brèphos” (Lc 2,12.16), che indica il feto da partorire o appena partorito, e “gennòmenon” (Lc 1,35), che designa il feto nel grembo materno. Un Dio che si fa feto: quale povertà poteva essere più grande? “Dio non è il sommo padrone che possiede tutto. Dio è il più grande povero che non possiede nulla... Ha donato tutto eternamente e non può donare di più, perché questo dono lo costituisce nel suo essere persona fondato unicamente sulla carità” (M. Zundel).

Ma notiamo anche che è così importante questa mangiatoia di cui parlano gli angeli, che in seguito viene denominata con l'articolo determinativo: “la” mangiatoia: “Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia” (Lc 2,16). La mangiatoia è il segno che viene dato a conferma dell'annuncio soprannaturale della nascita del Salvatore (Lc 2,11), così come alla notizia a Zaccaria della sua imminente paternità era stato dato il segno del mutismo (Lc 1,11-20), e alla proclamazione a Maria della sua divina maternità è dato il segno della gravidanza della vecchia Elisabetta (Lc 1,26-38). Il Vangelo, “facendo della mangiatoia il segno paradossale da cui riconoscere il Salvatore, rimanda ad un avvenire che non può essere che quello della croce, manifestazione suprema della debolezza e della miseria di colui che è divenuto, risuscitando, l'autore della nostra salvezza” (J. Dupont). E’ tra i poveri e con i poveri che troveremo il Signore. Non cogliere il segno della sua identificazione con gli ultimi significa mancarne la presenza: forse è perché spesso lo cerchiamo altrove che tra gli esclusi che le nostre celebrazioni natalizie tante volte non riescono ad essere vero, personale, sconvolgente incontro con lui.

Ma c’è un altra sottolineatura da fare: tutta la vita di Gesù è inscritta tra due segni di “manducazione”: la “mangiatoia” su cui nasce a Betlemme (Betlemme tra l’altro significa proprio: “Casa del pane”!) e il “pane” e il “vino” in cui si identifica nell’Ultima Cena. Il Dio che celebriamo nel Natale e che si rivela nel luogo del cibo, è il sostentamento anche per tutto il creato, rappresentato dagli animali della stalla. Il Dio che si fa pane e vino nell’Eucarestia è il Dio che si fa nostro cibo, nostra sopravvivenza. E’ un Dio che si è donato totalmente a tutti, che si è interamente consumato per gli uomini e per tutto l’universo (Rm 8,18-30). La “mangiatoia” e l’Eucarestia sono il “segno” del suo amore, del suo offrirsi totalmente, del suo svuotarsi fino al sacrificio supremo, della sua autodonazione. Anche noi talora diciamo: “Ti voglio così bene che ti mangerei”: il nostro Dio “si fa mangiare” totalmente (Gv 15,13). Commossi adoriamo il Signore, ripartendo dalla Grotta e dall’Eucarestia per “fare questo in memoria di lui” (Lc 22,19; 1 Cor 11,24-25), per diventare anche noi cibo per gli altri, esistenze che si spezzano e che sono “consumate” dagli altri, per farci “mangiare” anche noi dai fratelli.

Ci aiutino a vivere il senso vero del Natale gli auguri “scomodi” di Monsignor Tonino Bello, già Presidente di Pax Christi, e di cui è iniziata la causa di beatificazione:

“Non farei il mio dovere se vi dicessi «Buon Natale» senza darvi disturbo. Io invece vi voglio infastidire. Non posso sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla «routine» di calendario. Mi lusinga, addirittura, l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.

Tanti auguri scomodi, allora!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio e di coraggio.

Il Bambino che dorme nella paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità ad uno sfrattato, ad uno straniero, ad un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, il progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini, o il bidone della spazzatura, o l’inceneritore di una clinica diventino la tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle tombolate, provochi cortocircuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete con i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio per fame.

I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere «una gran luce» dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce che comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative. Che i poveri, i poveri veri, hanno sempre ragione, anche quando hanno torto.

I pastori che vegliano nella notte «facendo la guardia al gregge» e scrutando l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri: che è poi l’unico modo di morire da ricchi… Buon Natale…! Sul vecchio mondo che muore, nasca la speranza”.


Letture:

Messa della notte: Is 9,1-3.5-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14

Messa dell' aurora: Is 62,11-12; Sal 96; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20

Messa del giorno: Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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