DOMENICA XIV DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria
 

Il Signore designò
altri settantadue discepoli


Is 66,10-14
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12. 17-20

È una pagina importante questa perché è l’unico luogo nel Vangelo dove si parla della missione dei settantadue discepoli. Dietro questa pagina san Luca, compagno di viaggio di san Paolo, adombra l’idea della missione universale a cui tutti devono partecipare, e adombra la costante volontà di Gesù che il Vangelo giunga a tutti i popoli mediante l’inesauribile slancio missionario della Chiesa.
San Luca presenta l’episodio della missione dei settantadue discepoli, pur dopo averci descritto poco prima (9,1-6), in armonia con Marco (6,8) e Matteo (10,1), la missione dei dodici. Quindi Luca sottolinea che la qualità missionaria non è solo dei dodici ma dell’intera comunità ecclesiale. Tutti in qualche modo siamo missionari. La notizia del Regno non ha bisogno di mezzi di potenza, ma ha bisogno di tutti. Ogni battezzato partecipa alla missione di tutto il popolo di Dio (Concilio Vaticano II).
Il numero settantadue, secondo l’antica tradizione giudaica, era il numero dei popoli sparsi sulla faccia della terra. Quindi tutti i popoli sono chiamati a far parte del Regno. L’orizzonte della missione della Chiesa è totale sia nel soggetto missionario sia nell’oggetto verso cui si apre.

“Li inviò a due a due avanti a sé....”.
A due a due: e ciò, stando all’uso ebraico, perché ci sia una testimonianza valida secondo la legge. Devono essere testimoni dell’accoglienza che si fa al loro annunzio perché il Vangelo è un dono di Dio che si deve accogliere con sommo rispetto e gratitudine. E anche per un aiuto vicendevole e una fraterna collaborazione. In pratica: è la comunità cristiana, non il singolo, che deve essere missionaria.
“Avanti a sé”: il discepolo missionario è colui che va avanti a Gesù, lo precede come precursore. Il discepolo è finalizzato al maestro e all’annuncio che deve proclamare. Luca scriverà: “quando avrete fatto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo” (Lc 17,10).

Diceva loro: “la messe è molta ma gli operai sono pochi”. Questa espressione esprime nel medesimo tempo un sentimento di gioia ma anche uno di tristezza.
La gioia è per l’abbondanza della messe, pronta per la mietitura. È una distesa che si perde all’infinito. Gesù vedeva oltre i limiti dello spazio e del tempo e il suo sguardo si spingeva nel futuro, abbracciando le innumerevoli generazioni umane, fino alla fine del mondo. Tutte sono la sua messe, che egli si è conquistata col suo sangue, versato per la moltitudine degli uomini.
Padre Agostino Cardaveraz, un celebre apostolo del Sacro Cuore in Spagna, testifica: so che una volta Gesù mi mostrò il suo adorabile cuore tutto acceso di carità e come in una grande oppressione per le vivissime divine ansie che soffriva e soffre di comunicarsi agli uomini. Avrei voluto chiudere gli occhi per non vedere l’intimo sentimento che assilla il cuore di Gesù, costatando che io non posso dare pieno compimento ai suoi desideri.
 Questa sete di Gesù per le anime che la Sacra Scrittura esprime con chiarezza “Dio vuole che tutti si salvino”
 (1 Tim 2,4).
Invece il sentimento di tristezza deriva dal fatto che gli operai sono pochi “pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe”: c’è biso169 gno della preghiera perché Dio soltanto, che è il padrone della messe, può suscitare gli annunciatori e soprattutto rivestirli della forza necessaria per testimoniare che Dio opera la salvezza in Cristo. Come il Cristo anche il discepolo sa che la fecondità del ministero nasce solo dal contatto vivo e personale con Dio. La missione è grazia e solo nella preghiera può essere ottenuta per la Chiesa.

“Andate, ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”; la battaglia sembra essere perduta in partenza, e lo sarebbe proprio se l’agnello non avesse la protezione e la forza di Colui che lo manda. Eppure, bisogna essere convinti, come faceva osservare san Giovanni Crisostomo che “finché siamo agnelli, vinciamo. Se diventiamo lupi, veniamo vinti, perché ci manca allora l’aiuto del Pastore, il quale pasce agnelli, non lupi”.
Per di più il Signore non esorta i suoi a provvedersi di qualche sicurezza umana: “non portate borsa, né bisaccia...”, sono espressioni da non prendere alla lettera, ma vogliono dire che non devono ricercare altri appoggi all’infuori del comando di Cristo. Bisogna che appaia che la potenza sta nel Vangelo, non nei mezzi impiegati (Alessandro Pronzato).
Dirà san Paolo “quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). E ancora lo stesso Paolo: “noi abbiamo questo tesoro dell’apostolato in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2 Cor 4,7). “Al discepolo è stato affidato un compito, non garantito il successo” (Bruno Maggioni).
In Luca (12,32) il gruppo dei discepoli è definito ‘piccolo gregge’, esso è esortato a non temere perché il Padre si è premurato di regalargli il Regno.

Si deve essere agnelli, cioè annunciatori di pace che propongono e mai impongono. Là dove arriveranno (e il numero settantadue, secondo la cultura ebraica del tempo, richiama l’idea di universalità) dovranno dire “pace a questa casa”. Il saluto di pace “shalom”, spalanca le porte alla novità assoluta del dono della salvezza. La trepidazione materna di Dio, attraverso l’azione dei discepoli, si dilata e diventa benedizione soprattutto per coloro che maggiormente soffrono nel corpo e nello spirito: “curate i malati che vi si trovano e dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio”.
“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò: in Gerusalemme sarete consolati” (Is 66,13).

I discepoli tornano con gioia. La forza di Gesù ha fatto sì che riuscissero a sottomettere i demoni. Effettivamente Gesù stesso, grazie alla loro opera, aveva visto Satana cadere dal cielo come folgore. Nella missione della Chiesa si realizza l’estromissione di Satana dalla sua posizione di potere nefasto sugli uomini, per la stessa forza di Gesù che è presente in loro “nulla li potrà danneggiare”, e a Pietro dirà “e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).
Sono sotto la protezione di Cristo, il male non riuscirà a toccarli veramente. Ma il motivo della gioia è piuttosto nel fatto di essere in comunione con Cristo, di essere accolti e amati da Dio, di trovarsi nella sua appartenenza: “Rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Da lì nessuno li potrà cancellare, essi sono nel cuore di Dio da dove nessuno li potrà strappare – “La memoria di Dio presso la quale con le opere buone, come attraverso delle lettere, si è eternamente scritti” (il Venerabile Beda).
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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