DOMENICA XVIII DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria


Arricchire davanti a Dio


Qo 1,2; 2,21-23
Col 3,1-5. 9-11
Lc 12,13-21

San Luca prediligeva anche questo argomento nel suo Vangelo: il valore e il retto uso dei beni del mondo alla luce del messaggio salvifico di Gesù. L’occasione è data da un ascoltatore di Gesù che si fa avanti e chiede: “maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Per consuetudine il fratello maggiore ereditava tutti i beni immobili e due terzi dei beni mobili, questo per evitare il frazionamento della proprietà soprattutto terriera.
Anche per questo ha dovuto soffrire Gesù. Egli parlava di distacco dai beni della terra ed ecco chi lo vuol coinvolgere in beghe ed affari materiali: “oh uomo chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”.
Sant’Ambrogio: “Gesù giustamente rifugge dalle incombenze terrene perché era sceso quaggiù per quelle divine e non accondiscende a fare il giudice di vertenze contenziose Lui che giudica i vivi ed i morti ed ha piena decisione sui meriti; tanto più che non la mediazione di un giudice ma la forza conciliatrice dell’affetto deve dividere il patrimonio tra fratelli”.
L’evangelista restituisce una immagine di Gesù non riducibile a quella di altri rabbini, impegnati a dirimere anche questioni di carattere socio-economico; Egli vive soltanto nel fascio di luce proiettato dall’irruzione del Regno. Dice Paolo VI: “Egli ha dimorato in mezzo a noi pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato ed instaurato il Regno di Dio e in sé ci ha fatto conoscere il Padre...”.
Gesù ha rinunciato a questo ruolo di giudice preferendo quello immensamente più duro ma anche più fruttuoso della conversione dei cuori. Chiede di cambiare la propria prospettiva di vita per adeguarla alla rivelazione della volontà divina.
Ancora Gesù vuol far capire ai suoi discepoli che la Legge, anche se rispettata e ubbidita alla lettera, non distrugge il male in radice (basta pensare al suo atteggiamento verso la pratica ebraica del sabato, per questo i farisei giungevano a dire: “quest’uomo non viene da Dio perché non osserva il sabato”) (Gv 9,16).
I farisei erano osservanti della legge fino alla esagerazione, ma ne travisano lo spirito: “guai a voi scribi e farisei che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e di intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche all’esterno diventi netto!” (Mt 23,25).
Questo richiamo all’interiorità spiega il motivo per cui Gesù non ha aderito alla richiesta di colui che, fra la folla, gli chiedeva di far da giudice o da mediatore per dividere l’eredità paterna. Prima richiede che l’uomo rientri in se stesso. Gesù ha fiducia nell’interiorità dell’uomo. Egli sa che ogni uomo, anche il malvagio, è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26).

Gesù insegna il valore della persona in sé e per sé, a prescindere dai beni che possa avere o produrre: “guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”.
L’uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa (Gaudium et Spes). Quando Dio creò le cose vide che tutto era molto buono, ma quando creò l’uomo, qui Dio si compiacque perché l’uomo più che creatura è figlio adottivo di Dio, erede della sua gloria, figlio di un amore misterioso, profondo, eterno.
Sant’Alfonso de’ Liguori: “ricorda o uomo che Dio ti
ha amato per primo. Non c’era ancora la luce, non esisteva il mondo, e già Dio ti amava, ti ama da quando esiste. E perché tu lo potessi riamare ha dotato la tua anima di intelligenza, volontà, memoria, ha dotato il tuo corpo dei cinque sensi; ha ornato-arricchito l’universo di tutto ciò che potesse servire al bene, all’utilità, alla felicità di te sua creatura prediletta; e poi per te ha dato il suo Figlio unigenito, e con Gesù ti ha dato tutti i beni”.
Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio; solo Dio che ci ha fatti a sua misura può colmare questo bisogno di infinito: “ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Te” (sant’Agostino).

Nel contesto di questo dibattito per questioni di eredità Gesù racconta la parabola del ricco stolto che mette tutto il cuore nei beni trascurando la propria anima.
Quel ricco è biasimato perché dice: “anima mia hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi, datti alla gioia”. Vi si legge la mentalità pagana diffusa nell’antichità e ben nota ai lettori di Luca (ma viva ancora oggi): ‘visto che dobbiamo morire, tanto vale godersi la vita’. Anche san Paolo: “se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1 Cor 15,32).
Quel ricco stolto vede la vita come qualcosa che sta nella sua disponibilità e nel suo potere invece che come un dono divino. Si preoccupa dei suoi beni, il suo cuore è posseduto dai suoi beni, e parla con se stesso: “anima mia...”.
“Oh quanto ci abbassiamo quando ci attacchiamo alle cose di quaggiù” (santa Teresa). Il nostro spirito, il nostro cuore tendono a rimpicciolirsi, a restringersi alle dimensioni degli oggetti sui quali si ripiegano.
Per possedere veramente una cosa, bisogna stabilire con essa non un rapporto di possesso (il possesso è sempre una limitazione), ma di partecipazione, di meraviglia, di contemplazione. “Tutti coloro che erano diventati cri186 stiani stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune: chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44).
Nel centenario di santa Gemma Galgani il vescovo di Lucca Giuliano Agresti ha scritto la sua biografia intitolata “L’espropriata” perché la povertà religiosa non significa possedere poco, ma non possedere niente, ossia è l’esproprio totale per possedere tutto.

 “Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio”. Siamo creati per conoscere amare servire Dio per poi goderlo per sempre in paradiso.
Diceva Giovanni Paolo II: “aiutate le comunità cattoliche a comprendere che conoscere, amare e servire Dio, non è un bisogno psicologico, ma l’espressione della più alta dignità umana”. Sant’Agostino dice che la vita ci è data per cercare Dio, la morte per incontrarlo.
È detto che la santità consiste nell’avere quel grado di grazia e quel grado di amore che richiede da te in quel momento della vita: la grazia tocca il nostro essere ‘Ave o Maria piena di grazia’, l’amore il nostro operare. Una voce di santità vale più di un oceano di genio (Gounot).
La nostra vita deve essere ispirata ai due comandamenti dell’amore: amare Iddio con tutto il nostro essere, e amare il prossimo come lo ha amato Gesù. Questo è il valore essenziale della nostra vita; tutto il resto deve essere subordinato alla ricerca del progresso nell’amore. In tutto dobbiamo avere come fine principale il progresso dell’amore in noi e attorno a noi. In questo consistono il cercare le cose di lassù e il non lasciarsi ostacolare dalla ricerca delle cose della terra. Se poniamo il nostro fine nella ricerca dei beni materiali, saremo necessariamente delusi, perché questi beni non possono riempire il nostro cuore, se invece cerchiamo la crescita dell’amore in noi e attorno a noi, avremo una gioia profonda- meravigliosa perché sarà una gioia divina (Albert Vanhoye).
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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