DOMENICA XXII DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria


Humilitas


Sir 3,19-21. 31.33
Eb 12,18-19. 22-24a
Lc 14,1. 7-14

È la seconda volta nel corso del viaggio alla volta di Gerusalemme che Gesù riceve ospitalità. Viene invitato a pranzo di sabato da uno dei capi dei Farisei. I pranzi solenni si facevano al sabato dopo la celebrazione nella Sinagoga. I maestri e i dottori approfittavano di questo banchetto per esporre le loro dottrine, anche Gesù ha dato molto dei suoi insegnamenti a tavola.
Gesù invitato a pranzo notò la brama degli invitati di occupare i primi posti. Specialmente gli Scribi, i Farisei e gli appartenenti alla classe sacerdotale rivendicavano apertamente privilegi onori precedenze. Allora Gesù dà questo consiglio: “quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto... va’ all’ultimo, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: ‘amico passa più avanti!’ allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali”. Gesù vuole che assumiamo un atteggiamento umile, perché l’umiltà manifesta una disposizione d’animo molto bella, che apre la via all’amore (Albert Vanhoye).
Gesù alludeva senz’altro a un detto dei Proverbi (25,6): “non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: ‘sali quassù’ piuttosto che essere umiliato davanti a uno superiore”.
Potremmo dire che Gesù offre in questa breve parabola sui posti a tavola una regola per l’ingresso nel suo Regno: l’arrivismo, l’orgoglio, l’autosufficienza, il fariseismo sono condizioni ostacolanti – la semplicità, l’umilta, il rispetto della giustizia sono invece le condizioni ideali per l’ingresso. La regola della mensa del Regno è, secondo una costante tradizione biblica, una sola: “chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
Dunque Gesù propone ai suoi la regola dell’umiltà, per cui veramente ricerchiamo solo l’‘ultimo posto’ che già di per sé è ‘una grazia’ e un gesto d’amore da parte di Dio (Settimio Cipriani).
 Coloro che hanno coscienza della loro piccolezza sanno che tutto è dono e si meravigliano per tutto quello che ricevono. Che mi farà ottenere un posto nella comunione con Dio non è la mia giustizia ma la sua grazia che mi dice ‘amico passa più avanti’ (Gianfranco Ravasi).
L’umiltà è il leale riconoscimento della propria pochezza, essere coscienti della propria povertà, della propria insufficienza, dei propri limiti, dei propri bisogni; avere la coscienza di non bastare a se stessi, di non aver risposte alle proprie domande, di non vantare diritti.

L’umiltà è il fondamento dell’edificio cristiano, tanto più il fondamento è profondo tanto più l’edificio si innalzerà. Sant’Agostino: il primo gradino della santità è l’umiltà, il secondo è l’umiltà, e conclude, se mi domanderai mille volte ti dirò sempre l’umiltà. Quindi nel Regno di Dio l’unica grandezza è quella dell’umiltà.
Ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo nell’ordine naturale e spirituale è dono da parte del Creatore e Redentore, solo il peccato ci appartiene. (Santa Teresina domandava perdono al Signore non solo dei peccati commessi, ma anche di quelli che avrebbe commesso se la grazia di Dio non l’avesse aiutata. Santa Teresa d’Avila quando riceveva grazie speciali diceva: guardate o Signore a chi date tali favori, perché io sono vile e miserabile. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori: nell’abisso del mio niente. Santa Margherita Maria Alacoque: nel mio nien201 te di peccato. Santa Teresa de los Andes: nel mio criminale nulla).
È necessario praticare la virtù dell’umiltà continuamente se vogliamo diventare umili. Nel Vangelo si legge che i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “chi dunque è il più grande nel Regno dei Cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “in verità vi dico se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel Regno dei Cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me (Mt 18,1- 5).
Dobbiamo metterci anche noi all’ultimo posto, come ha fatto Gesù, perché l’ultimo posto è quello in cui si manifesta in maniera più pura e più forte la generosità dell’amore (Albert Vanhoye).

Poi Gesù presenta un altro esempio, consigliando questa volta la generosità disinteressata.
Egli dice in modo sorprendente: quando offri un pranzo o una cena invece di invitare i tuoi amici invita i poveri, storpi, zoppi e ciechi e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Gesù rivela la chiave di tutto questo discorso: “riceverai infatti la ricompensa alla risurrezione dei giusti”, cioè, si avrà una ricompensa divina; così Gesù ci invita alla generosità disinteressata per aprirci la via ad una gioia di qualità molto superiore: la gioia di essere uniti a Dio nella generosità disinteressata, la gioia di vivere nell’amore che viene da Dio e che ci unisce a Lui (Albert Vanhoye).
Perché questo capovolgimento operato da Cristo nelle consuetudini sociali? Un primo motivo è quello della ‘gratuità’: questa azione nella sua umiltà diventa grande, essa vale solo per se stessa, per la bontà che la pervade e la ispira. Un secondo motivo è quello della ‘preferenza’ che Egli dà ai poveri e agli abbandonati in una società che li emargina. Già la lettera di san Giacomo, che secondo alcuni sarebbe lo scritto più antico del cristianesimo, ci parla di certe discriminazioni che si facevano perfino nelle assemblee liturgiche (Gc 2,2). Gesù indica il nuovo amore senza calcoli e senza limiti.
Questa preferenza verso i poveri è anch’essa un gesto di umiltà, la scelta dell’ultimo posto, ma solo così saremo invitati a ‘passare più avanti’ nella sala del banchetto. L’umiltà regola il nostro atteggiamento verso Dio, l’amore disinteressato, quello verso il prossimo. Gesù ci ha portato la novità, anzi la nostra esistenza è posta nell’era perfetta e definitiva.

San Francesco di Sales diceva: “mio Dio siete Uno e Trino, siete carità e umiltà”. Dio non può aspirare a cose superiori a Lui, e quel suo condiscendere a creare, salvare e discendere verso noi, sono tutti atti di umiltà. Sant’Agostino scrive: avevo udito parlare sin da fanciullo della vita eterna, che ci fu promessa mediante l’umiltà del Signore Dio nostro, sceso fino alla nostra superbia.
La Madonna dice: “...ha guardato l’umiltà della sua serva...”. In questi giorni si ricorda il suo pianto a Siracusa (29-30-31 agosto e 1° settembre 1953). Le lacrime indicano la resa e l’abbandono del linguaggio quando la piena interiore non trova più mezzi per esprimersi; quando non c’è più nulla per dire l’amore e il desiderio, parlano le lacrime.
Quando san Carlo Borromeo nelle sue peregrinazioni si portava appresso il suo confessore per immergersi tutti i giorni nel sacramento della Penitenza, non esagerava un bigottismo, viveva la verità della sua persona.
L’umiltà si appoggia tutta ad un’ultima calma perché la riconosciuta verità di sé induce la pace in cui è il ristoro, il rifluire della vita autentica.
Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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