Sir 3,3-7.14-17a
Col 3,12-21
Mt 2,13-15.19-23
Il Figlio di Dio quando scese in terra avrebbe potuto venire con tanta gloria, invece scelse di nascere nella capanna di Betlemme. Visse qui in terra trentatré anni, e di tutti questi anni, trenta li passò nella casa di Nazaret e tre li impiegò a predicare il Vangelo (la Buona novella della gioia). Così il Signore volle passare i suoi preziosi anni che visse qui in terra: trenta li visse nella famiglia di Nazaret (“Gesù di Nazaret” è forse il più antico appellativo del Salvatore); così esaltò la famiglia, ci ha insegnato il valore della vita familiare, ci dice che la famiglia è una grande cosa per l’uomo; volle avere un padre e una madre, avere una famiglia una casa, essere soggetto a Giuseppe e Maria.
La famiglia di Nazaret era unita dai vincoli più stretti che possono rendere amabile un focolare domestico. Il giorno di Natale i pastori trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino posto nella mangiatoia – otto giorni dopo la nascita, nel giorno della circoncisione Giuseppe e Maria imposero al Bambino il nome di Gesù come era stato loro detto dall’angelo – quaranta giorni dopo la nascita Giuseppe e Maria portarono il Bambino al Tempio per presentarlo al Signore, secondo le usanze della loro gente e secondo tutto ciò che era prescritto nella Legge del Signore – il giorno della Epifania i Magi giunsero a Bet32 lemme, entrati in casa videro Maria sua madre e il Bambino Gesù, si inginocchiarono e l’adorarono; Giuseppe fu contento di vedere questi forestieri venire da lontano per vedere il Bambino e lodare la sua Madre.
Perché Erode cercava di uccidere il Bambino, Giuseppe e Maria dovettero prendere il Bambino Gesù e fuggire in Egitto; Giuseppe è invitato a fuggire in Egitto. L’Egitto era il rifugio tradizionale degli esuli e perseguitati ebrei; il biblista Salvatore Garofalo dice che fin dal 30 a.C. il paese era sotto il dominio di Roma, e contava circa un milione di israeliti, riuniti in fiorentissime colonie ben organizzate e generose con i correligionari in bisogno. Giuseppe dovette seguire la via più lunga per raggiungere la terra dell’esilio, inoltrandosi nel vasto deserto del sud palestinese lungo le piste carovaniere che conducevano in Egitto.
Anche la Sacra Famiglia fu provata, nonostante tutto credevano che la mano di Dio li guidava e li aiutava a stare saldi nell’opera loro affidata. Dio non rinuncia alla sua volontà di salvezza a costo di sottoporre suo Figlio allo scandalo della persecuzione che si rivela carico di presagi.
Il mistero della volontà d’amore del Padre trova nella umiltà e nelle tribolazioni della vita terrena del Figlio la più eloquente e commovente espressione.
La fuga in Egitto: siamo qui dinanzi ad un mistero salvifico, poco conosciuto, ma certamente autentico. Tra i Padri della Chiesa, San Pietro Crisologo († 450) è esplicito “la fuga di Cristo è un mistero, non l’effetto del timore – avvenne per la nostra liberazione, non a causa di un pericolo del Creatore – fu un effetto della potenza divina, non della fragilità umana – questa fuga non mira ad evitare la morte del Creatore, ma a procurare la vita del mondo”. Tutta la vita di Cristo è redentrice e che redentori sono quindi gli eventi che la compongono, in parti33 colare quelli descritti dagli evangelisti e ripresi dalla predicazione della Chiesa Apostolica.
Nel Vangelo di oggi due volte viene detto a Giuseppe di partire: una prima volta per “fuggire in Egitto”, una seconda volta per ritornare “nel paese di Israele”, alla morte di Erode il Grande (anno 4 a.C.). Secondo il biblista la permanenza in Egitto fu da due a tre anni e mezzo. Nel ritornare Giuseppe voleva fermarsi forse nella stessa Betlemme, ma è solo l’avvedutezza umana che fa presentire a Giuseppe il pericolo di una dimora in Giudea perché seppe che in quella regione c’era il pericoloso figlio di Erode il Grande, Archelao; era più prudente andare nelle “regioni della Galilea” dove regnava Erode Antipa, fratello di Erode il Grande. L’intervento di Dio è personificato nell’angelo che parla nel sogno. Nella cultura semitica il sogno è il luogo di incontro con Dio, è il simbolo delle grandi rivelazioni.
Giuseppe è un pellegrino nella fede – in Giuseppe, uomo avvolto dal silenzio, è la fede che parla.
La fuga in Egitto e il ritorno a Nazaret si muovono nella filigrana degli eventi dell’Antico Testamento: rifece l’esperienza dei suoi Padri: vivere in esilio in terra straniera, l’Egitto. Anche Giacobbe con i suoi figli aveva dovuto abbandonare la terra di Canaan per discendere in Egitto; e di là era partito il popolo di Israele dopo 430 anni, sotto la guida di Mosè per ritornare nella Terra Promessa.
“Perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 11,1). Gesù viene a restituire il suo popolo alla più urgente e profonda libertà, riscattandolo dalla schiavitù del peccato. Gesù si è immerso nella nostra condizione di schiavitù per compiere con noi l’esodo verso la libertà. La fuga in Egitto, proprio tale apparente sconfitta, gli ha permesso di realizzare la sua missione e soprattutto lo ha messo a fianco di ogni perseguitato e ogni sconfitto, per diventare suo com34 pagno di viaggio. Per il ministero di Giuseppe, Gesù entra ufficialmente nella “terra di Israele”; Gesù è considerato dall’evangelista il vero condottiero del suo popolo, colui che lo introduce nella “terra promessa” (terra aliena da peccati, quindi questa “terra promessa” è Gesù stesso).
“Ha mandato il suo figlio nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4): si è sottoposto alla prima legge umana che è quella della famiglia; Dio non poteva scegliere una via più forte e più chiara per farci capire tutta l’importanza e il grande valore che la famiglia occupa nel suo progetto. Come avviene per ogni essere umano, la crescita di Gesù, dall’infanzia fino all’età adulta ha avuto bisogno dell’azione educativa dei genitori. Il Vangelo dice che a Nazaret era sottomesso a Giuseppe e Maria. Maria e Giuseppe si sono aiutati a rendere la casa di Nazaret un ambiente favorevole alla crescita e alla maturazione personale del Salvatore dell’umanità.
I genitori perché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbigo di educare la prole, sono i principali educatori di essa. Pio XI: “l’educazione cristiana è un beneficio che supera tutti gli altri immensamente e senza confronto – per quante buone fortune uno abbia nel corso della sua esistenza, nessuna uguaglierà in preziosità e grandezza quella dell’educazione cristiana ricevuta in modo accurato”.
Alle famiglie di sempre, Gesù Maria e Giuseppe dicono che nessuna avversità deve scoraggiare i credenti, la cui fede e fortezza consente di tenersi negli argini della volontà divina, nonostante tutto. La vita di una famiglia, specialmente oggi, è irta di difficoltà di ogni genere e spesso tali da togliere il coraggio, ma il segreto della riuscita sta nel non arrendersi mai, perché l’amore è più forte di tutto, la fede “vince il mondo” (1 Gv 5,4), e l’umiltà, con la fortezza e perseveranza, respira certezza (Salvatore Garofalo).