Dt 11,18.26-28
Rm 3,21-25a.28
Mt 7,21-27
La salvezza è un dono immeritato che l’uomo accoglie dall’amore di Dio.
C’è l’iniziativa libera e gratuita di Dio che ci salva in virtù della morte di croce del suo Figlio, intesa come il gesto più sconcertante di amore e di donazione. Egli è morto per i nostri peccati – la sua morte è veramente efficace per liberarci dal peccato e per metterci in una situazione di giustizia davanti a Dio: il peccatore non viene semplicemente dichiarato giusto (non lo può perché non lo è) ma viene reso giusto dalla grazia di Dio ottenutaci dalla morte di Cristo.
La salvezza, dopo Cristo, non è più una speranza per il futuro, ma una possibilità a portata di mano per tutti: il Vangelo perciò pone l’uomo di fronte ad una situazione di urgenza, dal momento che lo pone a confronto con Dio che ormai ha fatto tutto per la salvezza dell’uomo (Salvatore Garofalo).
San Paolo dice: “noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della legge” (Rm 3,28) – la fede che Paolo pone come condizione necessaria alla salvezza, è libera totale e gioiosa accoglienza del dono di Dio, cioè di Gesù nella pienezza del suo mistero e nella totalità della sua persona; ma ancor prima la fede è dono che Dio offre a tutti. Si direbbe che essa è la prima grazia, il primo dono che Dio fa a tutti; e poiché è frutto della fede, anche la salvezza è assolutamente gratuita.
Per san Paolo la ‘fede’ è solo quella che si traduce nelle ‘opere’ della vita che poi sono le opere dell’amore. Nella lettera ai Galati dirà precisamente che “in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6). Anche per Paolo la fede che pur è “radice e fondamento della giustificazione” (Concilio di Trento) ha bisogno di essere coronata dalle opere dell’amore (Settimio Cipriani).
Nei nostri cuori è scritta la ‘legge naturale’, si deve seguirla per non deturpare l’opera delle mani di Dio; gli essere irrazionali la seguono senza sapere e senza poter scegliere: il sole illumina di giorno, la luna di notte, le stelle seguono il loro corso, il mondo si avvicenda in giorni, mesi e anni.
Poi Dio sul monte Sinai ci ha dato le tavole dei comandamenti che ci dicono quello che è scritto nel nostro cuore e come vuol essere amato. Infine Gesù con il ‘discorso della montagna’ ha promulgato lo statuto del ‘Regno’ ed ha aperto davanti agli occhi stupiti dei suoi discepoli l’orizzonte infinito dello spirito delle “beatitudini’. Espone le concrete richieste di Dio per i tempi in cui il suo regno è ormai venuto sulla terra.
Già il Deuteronomio (30,11) diceva: “quanto ti ordino non è troppo alto per te né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: chi salirà per noi in cielo per prendercelo e farcelo udire, sì che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e per farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Anzi questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.
Con l’avvento nel mondo dell’Emanuele, cioè di “Dio-con-noi”, la volontà divina è manifesta e ci è “vicina” in Cristo, quindi è necessario fare la volontà del Padre di Gesù (Mt 12,50), cioè mettersi al seguito di Cristo, il quale è appunto il modello più perfetto di adempimento della volontà del Padre: di essa egli si nutriva (Gv 4,34) e su di essa misurava il passo: “non cerco la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 5,36).
Cristo ha obbedito al “comandamento” ricevuto dal Padre di dare la propria vita liberamente per la salvezza del mondo (Gv 10,17). Fare la volontà del Padre è costato moltissimo a Gesù, come dimostra l’agonia del Getsemani, nella quale si incontrano la drammatica assolutezza delle esigenze del Padre e la dedizione non meno assoluta con la quale il Figlio le adempie (S. Garofalo).
Ma c’è il pericolo di rimanere degli ascoltatori, degli ammiratori del Maestro, senza avere il coraggio di porre in pratica quanto Egli ha insegnato.
Ecco la ragione per cui Gesù ammonisce “non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre che è nei cieli”.
Anche Giacomo nella sua lettera è preoccupato per questo rischio e lo denuncia in modo risoluto “siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi...” (Gc 1,22).
Il cardinale G. Colombo: “bisogna lasciarsi mettere in crisi dalla Parola e non mettere in crisi la Parola”.
Paolo sembra fare eco a Cristo: “se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (1 Cor 13,2).
La volontà del Padre, che è una volontà di amore, deve essere fatta in modo generoso. Gesù insiste molto su questo tema: chi non si comporta secondo la legge di Dio che è la legge dell’amore, non può essere chiamato giusto alla fine (Albert Vanhoye). Non conterà neppure l’aver fatto miracoli o cacciato i demoni nel nome di Cristo, ma l’aver saputo amare perché sul tema dell’amore si svolgerà il giudizio come ci insegna anche altrove Matteo (25,31). Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore, dice san Giovanni della Croce.
“Non vi ho mai conosciuti” vuol dire: non avete avuto mai un rapporto personale, autentico con me. L’impegno vitale di fronte alla sua “Parola” è l’unica via per stabilire una autentica parentela col Cristo “mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 8,21).
È solo l’amore che può dare senso, bellezza e pienezza alla vita. La santità consiste nell’avere quel grado di grazia e quel grado di amore che Dio richiede da te in quel momento della vita: la grazia tocca il nostro essere, l’amore il nostro operare.
“Una goccia di santità vale più di un oceano di genio” (Gounot).
Finché viviamo abbiamo sempre bisogno di crescere di grado nell’amore al Signore e di essere sempre più forti nella virtù (Santa Teresa d’Avila), e la stessa santa dice che sembra che Gesù abbia fatto per scherzo a dire che la via è stretta, mentre è una via larga, dritta, bella. Gesù stesso dice “il mio giogo è soave, il mio peso è leggero”; mentre papa Giovanni “il cristianesimo non è un complesso di fattori opprimenti, è pace, è letizia, è amore, è vita che sempre si rinnova”.
Poi Gesù termina dicendo: “chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica, è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia”: l’urto delle prove, delle difficoltà e delle tempeste della vita non piegheranno un impegno solidamente fondato sul messaggio di Gesù.