At 2,42-47
1Pt 1,3-9
Gv 20,19-31
È chiamata “domenica in albis” perché i battezzati la notte del sabato santo portavano le vesti bianche fino ad oggi. La Chiesa in questo tempo pasquale ci ricorda tanto il nostro battesimo. La Messa inizia dicendo “come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, che vi faccia crescere verso la salvezza” (1 Pt 2,2) – queste parole sono per gli appena battezzati, ma sono indirizzate anche a tutti i credenti che devono ugualmente sentirsi come “bambini appena nati” perché queste parole sono come un inno d’apertura che canta la gioia del credente per l’eredità che gli è donata nel fonte battesimale e che lo condurrà alla piena partecipazione al Regno.
Il Vangelo dice che gli apostoli erano raccolti nel cenacolo per paura dei Giudei. La sera di Pasqua Gesù appare loro, entra nel cenacolo senza passare dalla porta (Cristo glorioso, nella sua nuova condizione che lo sottrae ai limiti della corporeità e dello spazio, non può patire alcun ostacolo). Mostra agli apostoli le mani e il costato per dimostrare che è proprio Lui, il Crocifisso, che appare adesso come il Signore della gloria. Il Risorto mostra le cicatrici delle mani e del costato come sua identità: la croce porta alla risurrezione, la risurrezione alla croce – così anche noi: completo in me quello che manca alla Passione di Cristo, completo in me quello che manca alla Sua risurrezione; dobbiamo essere sacrificio a Dio, e dobbiamo essere liberazione- risurrezione.
E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Ciò che li ha stravolti, cambiati, fu il vedere Gesù vivo e risorto: mostra loro le mani e il costato, mangia anche con loro per convincerli che non era un fantasma, ma proprio Lui in persona; la gioia li travolse, alla paura subentrò la gioia. E Gesù dice loro due volte “pace a voi” – non è solo un augurio ma pace che è liberazione da ogni paura: paura di sé, paura degli altri, paura della vita, paura della morte (in realtà Gesù adempie la promessa fatta ai suoi nell’ultima cena “vi do la mia pace, non ve la do come il mondo la dà” [Gv 14,27]).
Chi crede al Risorto acquista una garanzia assoluta su ogni turbamento che la vita presente ci può offrire. San Paolo dice: “Cristo è la nostra pace” (Ef 2,14). Era staccato completamente da se stesso per affidarsi esclusivamente a Dio – solo il Cristo risorto può comunicare ai suoi la certezza che Dio è più potente delle nostre debolezze, della paura stessa della morte.
San Pietro nella seconda lettura di oggi: “Dio ci ha rigenerati mediante la risurrezione di Cristo dai morti, per una speranza viva...” una speranza situata non nel mondo ma nei cieli perciò ferma e solida come Dio stesso. Forte del messaggio di Pasqua il cristiano riesce a sperare anche nell’ora della tribolazione. A Silvano del monte Athos il Signore disse: “mantieni il tuo spirito agli inferi e non disperare” cioè capaci di mantenere la speranza anche agli inferi, esperienza di luce anche nelle tenebre, di speranza nell’angoscia, di vita nella morte, di gioia nel timore.
La pace, dice san Tommaso, è la pienezza dei beni messianici – e Gesù manda i suoi apostoli come lui era stato inviato dal Padre perché l’infinità dei beni divini raggiunga l’umanità intiera sulla faccia della terra. Poi Gesù alitò su di loro e disse: “ricevete lo Spirito San101 to...”. Come all’inizio della creazione Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gn 2,7), così ora Gesù inaugura una nuova creazione: non più dal nulla, ma dalla prevaricazione tira fuori esseri di giustizia, vie di santità, purezze nuove, figli di Dio – creazione più degna della sapienza e amore di Dio di quella che apparve all’inizio – Dio in un modo mirabile ha creato l’uomo, e in un modo ancor più mirabile lo ha riformato. Gesù inaugura uno stato perenne di risurrezione, per il cristiano deve essere un movimento familiare quello di risorgere (viene a proposito una frase di don Milani “io oso dire di essere cattolico perché posso sempre confessarmi”). Gesù istituisce il sacramento della Penitenza – Paolo VI dice che la Pasqua ci presenta il quadro della misericordia di Dio e il quadro della nostra povertà “De profundis clamavi a te Domine”.
Nella domenica “in albis” del 2000 quando Giovanni Paolo II canonizzò suor Faustina Kowalska, lo stesso papa disse che da allora in poi in tutto il mondo la Domenica in albis si sarebbe celebrata la domenica della Divina Misericordia. Gesù stesso la chiese per mezzo di suor Faustina dicendo “questa festa è uscita dalle viscere della mia misericordia ed è confermata nell’abisso delle mie grazie. Ogni anima che crede e ha fiducia nella mia misericordia la otterra”. Ancora Giovanni Paolo II riferiva: “Gesù ha detto a suor Faustina che gli uomini non possono trovare la pace fino a quando non si rivolgono con fiducia alla sua misericordia”.
Tommaso non c’era quando Gesù apparve ai discepoli e non voleva credere, mostra diffidenza circa la testimonianza degli amici che gli avevano riferito del loro incontro con Gesù “abbiamo visto il Signore” (la comunità inizia a proclamare la sua fede nel Risorto). Tommaso chiede di poter riconoscere il Signore dai segni della Passione, in questo è ben ispirato, commette però il comune errore di mettere sullo stesso piano l’esperienza sensibile e l’esperienza di fede, dimenticando che si tratta di due piani diversi. Tommaso voleva vedere per credere, invece Gesù lo aiuta a credere per poter vedere (mons. Luciano Pacomio).
Otto giorni dopo, sempre di domenica, Gesù apparve di nuovo e con tenerezza chiamò a sé Tommaso perché entrasse nella felicità del credere. Tommaso come folgorato pronunciò quel sublime e completo atto di fede “Signore mio, Dio mio”, è l’unico caso nel Nuovo Testamento in cui Gesù è chiamato Dio. Commenta san Gregorio Magno “a noi giovò di più l’incredulità di Tommaso che la fede degli apostoli” (il toccare fisico si è trasformato in un contatto spirituale, un contatto di fede). Tommaso giunge a credere quando viene a trovarsi in comunione con gli altri: il cristiano non può stare da solo, ma stare nella Chiesa, la fede ha questa dimensione ecclesiale, e si esprime nel caso concreto del ritrovarsi insieme. La fede non è solo un credere puro, ma richiede un terreno dove posare i piedi come Tommaso che voleva toccare con le proprie mani, ecco che questo terreno è la testimonianza, la testimonianza è il motivo ordinario della nostra fede “gran nugolo di testimoni” (Eb 12,1).
San Giovanni ha scritto il Vangelo per suscitare e alimentare la fede e quasi a termine del suo Vangelo porta questa espressione di fede di Tommaso – Gesù ribatte proclamando l’ultima beatitudine del vangelo, la sola che si legge in Giovanni “beati coloro che pur non avendo visto crederanno”.
San Pietro precisa che questa fede più preziosa dell’oro ha bisogno di essere purificata, approfondita attraverso prove che sono necessarie – le prove sono dolorose, ma si tratta di una sofferenza che non è per nulla distruttiva, anzi positiva al massimo. Tutti i beni materiali non sono nulla se paragonati al valore grandissimo della fede (Albert Vanhoye).